Rinascita
Sembrava
quasi che il tempo si fosse fermato, in attesa di vedere scendere dal
cielo i fiocchi di neve previsti da almeno tre giorni.
Il freddo penetrava attraverso gli spifferi delle finestre e, oltre i
vetri sottili, il cielo appariva bianco e malinconico.
Nonostante ciò, l'agenzia era vuota e Shiho non poteva che
esserne sollevata; aver accettato di tornare in quell'ufficio per
recuperare alcuni documenti non era stato semplice, dal momento che non
aveva mai avuto voglia di avere a che fare con scartoffie e simili e,
soprattutto, con il rischio di incontrare Kogoro sull'orlo della
disperazione per qualche caso che non riusciva a risolvere o, peggio,
la figlia.
Non che avesse qualcosa contro Ran, ma il conflitto interiore che
percepiva dentro sé quando la vedeva le creava un disagio
enorme, dal quale sperava ogni volta di fuggire.
Shiho sospirò, raccogliendo l'ultima cartelletta verde
rimasta sulla scrivania. Eppure era stata chiara: non avrebbe accettato
un lavoro da segretaria, né in ufficio. Ma ormai le era
perfettamente chiaro che non importava più,
perché quando il suo interlocutore aveva bisogno di un
favore - come quest'ultimo lo definiva - lei andava, puntuale come un
orologio.
La giovane donna sorrise appena mentre raccoglieva la borsa.
Varcò ancora quella soglia, stavolta per uscire, e percorse
velocemente la rampa di scale dopo essersi accertata di aver chiuso
bene la porta con le chiavi di scorta.
«Sì, pronto?».
Una voce che conosceva bene risuonava oltre l'edificio. Shiho prese il
secondo mazzo di chiavi e spalancò il cancello, percorrendo
poi il vialetto.
«Certo, mi dica pure. Sono il detective Shinichi
Kudo».
La ragazza lesse la targhetta sulla porta con il suo nome per
l'ennesima volta, prima di spalancarla.
Quando entrò nell'ufficio e lo vide al telefono dietro la
scrivania, gli angoli della bocca le si incurvarono leggermente. Era
bello, doveva ammetterlo. Vestito bene, la camicia bianca e la cravatta
blu lo rendevano quasi un ragazzo d'altri tempi.
«D'accordo, se le vengono in mente altri dettagli non esiti a
comunicarmeli. Grazie mille, buona giornata».
Shiho aveva appena posato tutta la documentazione sulla sua scrivania,
senza dire una parola. Anche quando lui mise giù la
cornetta, non gli parlò subito, anzi. Rimase a guardarlo
negli occhi, durante istanti di silenzio nei quali si misero solo a
osservarsi e, anche così, riuscivano a dirsi ogni cosa.
«Allora? Sei riuscita a trovare tutto?».
La sua espressione sghemba non potè fare a meno di
irritarla.
«Sì, ma quando ho accettato di lavorare per
te-»
«-con me» la corresse lui, fingendo la massima
indifferenza.
«Con te? Chi è il capo qui? Chi è il
famoso investigatore che preferisce l'azione alla burocrazia e che, per
questo motivo, lascia le scartoffie alla sua aiutante?».
«Sei esagerata» rispose tranquillo Shinichi,
posando entrambe le mani dietro la nuca. «Solo
perché l'agenzia è mia non significa che sono il
tuo capo. Sai perfettamente che sarei perso senza il tuo aiuto... e da
un bel po' di tempo, ormai».
Nonostante fossero passati due anni dalla loro lotta contro i criminali
che avevano reso a entrambi la vita impossibile, per il ragazzo era
ancora sin troppo difficile esternare i propri sentimenti, anche verso
di lei.
«Ecco perché sono diventata la tua segretaria e
assistente».
«Partner» la corresse di nuovo, stavolta
ridacchiando.
«Sì, certo. Partner, aiutante, quello che vuoi...
comunque, pensavo di essere stata chiara riguardo il mio lavoro in
agenzia. Preferisco essere la tua... partner... da fuori».
«Lo so, scusa. Avevo proprio bisogno di quei documenti, non
ho potuto fare altro che chiederti una mano. Grazie mille» le
rispose, scribacchiando qualcosa su un pezzo di carta. «Hai
visto Ran?».
Shiho gli lanciò un'occhiata veloce, istintiva, prima di
rispondergli.
«No, penso sia a casa a prepararti i biscotti di Natale. Come
una perfetta mogliettina devota» gli disse senza la minima
enfasi, poggiando la borsa sulla poltroncina accanto alla sedia.
«Sei incredibile, Kudo. Pensi a lei anche quando
lavori».
«Dai, smettila. Non è la mia mogliettina»
«Oh, beh. Di questo passo lo diventerà
presto».
Il silenzio scese di colpo nella stanza, palpabile e pesante. Shinichi
era ancora intento a scrivere, mentre l'amica lo osservava senza
vederlo realmente.
Fu lui a parlare di nuovo dopo un paio di minuti.
«A proposito, volevo parlarti di una cosa»
iniziò con espressione colpevole, forzando un sorriso.
«Sai che quest'agenzia investigativa collabora con quella di
Kogoro, no? Lui e Ran hanno deciso di organizzare una festa di Natale
invitando un bel po' di persone e, di conseguenza, dovremmo partecipare
anche noi».
Shiho inarcò un sopracciglio, immobilizzandosi qualche
istante. Lo guardò in volto, accertandosi che il giovane
detective burlone che aveva davanti non le stesse facendo uno scherzo.
Ma comprese la veridicità delle sue parole quando
notò la sua espressione mutare velocemente.
Era rassegnato.
«Ti si è raffreddato il cervello stamattina,
Kudo?» gli chiese distaccata, percependo un brivido lungo la
schiena. «Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di
partecipare a una festa? Oggi sono venuta qui solo per farti un favore,
ma non sono ingenua. Avevo capito la tua intenzione di farmi uscire di
casa con una scusa qualunque e non perché ne avessi davvero
bisogno. D'altronde, avresti potuto farti portare quei documenti da
Ran, no?».
Shinichi sgranò leggermente gli occhi, colto in flagrante.
Avrebbe dovuto aspettarselo da una come lei, ma aveva deciso di
provarci in ogni caso. Al limite lo avrebbe mandato al diavolo, come
già stava facendo.
Ma non gli importava, non stavolta.
Vedere la porta della sua stanza chiusa, con Shiho rintanata in qualche
angolo della sua camera da oltre un mese, gli aveva dato una spinta
sufficiente per cercare di farla reagire.
Il dottor Agasa gli aveva chiesto aiuto molte volte, quando non la
vedeva mangiare o nelle lunghe ore in cui non metteva piede neanche nel
salone di casa.
Shinichi l'aveva vista così soltanto anni prima, a causa
della paura per gli uomini che volevano ucciderla. E, adesso che la
situazione era tornata insostenibile da affrontare da sola, si era
chiusa di nuovo in se stessa. Non poteva permetterglielo ancora.
«Lo so, ne sono consapevole. Ma è meglio
così che stare chiusa in casa, no?».
Shiho non gli rispose; si rabbuiò, abbassando lo sguardo,
senza riuscire a reggere nuovamente quello di lui. Il suo corpo fu
colto da un tremore strano, un peso in gola che ostentava a scomparire
e che rimaneva lì, fisso, facendola soffocare.
Shinichi la guardò, ammorbidendo lo sguardo.
Cercò di incrociare i suoi occhi verde mare abilmente
nascosti dalla frangia ramata.
«Dovresti cercare di guardare oltre, la vita va
avanti».
Di colpo, la ragazza percepì le gambe cedere. Si sedette
sulla sedia davanti alla scrivania, arrivando alla sua stessa altezza
adesso. Respirò a fondo, realizzando quanto male le stesse
facendo quel discorso.
«No, non mi va di farlo di nuovo».
Il detective comprese al volo il suo stato d'animo, ascoltò
quelle parole non dette e il suo desiderio di scappare che ogni tanto
tornava alla ribalta.
«Vieni con me alla festa. Sarà una buona occasione
per distrarsi» la incitò, facendole l'occhiolino.
La vedeva ancora fragile dopo tanto tempo, sotto quella maschera che
non sempre riusciva a celare la profondità del suo essere
donna.
«No, Shinichi» gli rispose, scuotendo appena la
testa. «Non c'è bisogno che ci sia anche io. Vai
tu e divertiti, ho solo voglia di tornare a casa».
Si alzò dalla sedia in modo composto, ma fugace. Non fece in
tempo a dirigersi verso la poltroncina dove aveva precedentemente
lasciato la borsa, perché Shinichi si era sporto verso di
lei e le ora le stava tenendo il polso con decisione.
«Non ti tormenterò più con i documenti,
promesso. Però vieni anche tu, fai una prova» le
disse più serio, attento a ogni sua possibile reazione.
«Non puoi trattarti in questo modo. Non puoi passare il tuo
tempo a deprimerti in quella stanza, né puoi evitare di
mangiare. Soprattutto ora, lo sai».
Shiho sollevò finalmente lo sguardo, totalmente stupita
dalle sue parole. Sentì le sue dita allentare la presa,
probabilmente convinte del fatto che non sarebbe più
scappata.
Rimase in piedi, a disagio, sfiorandosi appena il ventre accentuato con
la mano libera.
«Tentare non costa nulla, no? Nel caso puoi sempre tornare
indietro. Quindi, sei con me?».
Si specchiò nei suoi occhi blu, bellissimi e profondi. Solo
quelli le diedero la forza per annuire, annullando ogni sorta di
conflitto interiore.
Forse Shinichi aveva ragione.
Il detective aveva deciso di offrire a Mouri la sua villa quale
location perfetta per la festa di Natale e nulla si poteva dire a
riguardo.
Casa Kudo era decorata per l'occasione: la ringhiera era ornata con
fili di luci colorate che funzionavano a intermittenza, così
come quelle in giardino, tra i cespugli. Il grande salone, invece,
vantava un enorme albero di Natale posto accanto alla libreria e, con
le luci soffuse del soffitto, creava pienamente l'atmosfera adatta a
una festa natalizia.
Shiho varcò la soglia molto lentamente, un passo dopo
l'altro, senza osare. Si fermò appena dopo l'ingresso, senza
muoversi, e neanche fece caso agli sguardi indagatori rivolti alla sua
figura slanciata dal vestito blu sopra le ginocchia. Non si tolse il
cappotto bianco, ancora titubante sull'andarsene a gambe levate da
quell'ambiente pieno di gente sconosciuta.
Riuscì a notare Shinichi in mezzo alla folla che
chiacchierava rilassato con gli invitati che si complimentavano mentre
Ran, alla sua destra, lo teneva a braccetto.
I volti tranquilli e felici, in quel clima festoso che si respirava da
ogni dove, erano l'esatto contrario di ciò che provava lei.
Abbassò lo sguardo e si voltò con l'intenzione di
uscire dalla porta, quando il ragazzo fece in tempo a vederla e la
raggiunse in fretta, da solo.
«Ehi» le disse, afferrandole il polso prima che
potesse sparire oltre la porta socchiusa. «Aspetta!
Perché non rimani?».
Shiho si voltò, stupita. Non lo aveva neppure visto
raggiungerla.
«Shinichi, per favore... » lo implorò,
mentre il suo intero corpo cominciava a tremare. Non poteva
controllarlo, così come il respiro che le si mozzava nei
polmoni ogni volta che percepiva troppe persone intorno.
«Ascoltami! Fidati di me».
«Questo non è il mio posto» concluse
lei, specchiandosi ora nei suoi occhi. Si aspettò una
risposta dura, eppure il volto di Shinichi assunse un'aria decisamente
confortante.
«Vieni a prendere qualcosa di caldo, dai. Hai mai visto il
cortile di casa mia dalla veranda?».
La ragazza s'interruppe, del tutto stupita. Poi sorrise sinceramente.
Il primo vero sorriso dopo mesi.
«Hai una veranda?».
«Tieni. Attenta, è bollente».
Shinichi le passò la tazza di cioccolata, facendo attenzione
a non scottarsi. Il solo contatto con la bevanda calda riusciva a
rasserenarlo dal freddo pungente.
Shiho era seduta sulla sedia pieghevole della veranda, lontana dalle
mille voci che si sovrapponevano l'una sull'altra nel salone della
villa. Lontana dagli occhi indiscreti e dalla vita degli altri, dai
sentimenti e da tutto ciò potesse farle del male.
Nonostante il cappotto ancora sulle spalle e gli stivaletti pesanti, il
detective le aveva posato addosso due coperte pesanti, riservandone un
lembo per se stesso.
La ragazza prese la tazza con entrambe le mani, prima di ringraziarlo
per le premure - seppur particolari - del giovane.
«Hai ragione, è proprio bello stare qui»
gli confessò, stendendo il sorriso malinconico. Bevve un
sorso di cioccolata, godendosi la quiete di quel momento.
«Hai visto? Ti avevo detto di rimanere. Qui non
c'è nulla da temere».
Shinichi le si sedette accanto, coprendosi a sua volta.
«Ho pensato che fosse arrivato il tempo per riprendere in
mano la mia vita» confessò, percependo il calore
piacevole della tazza. «Ma la verità è
che non ci riesco. Sono venuta qui solo perché me lo hai
chiesto tu».
Il detective le lanciò un breve sguardo, cogliendo il
significato di quelle parole. Un significato che conosceva
già, ogni volta che lei aveva deciso di rimanere chiusa in
casa.
«Non ti piace il Natale?» le chiese poi,
sinceramente incuriosito da quegli occhi spenti e solo a tratti
illuminati dalle luci soffuse e colorate.
«No, non è quello. Da piccola lo festeggiavo con
mia sorella, vedi... in America si usa più che
qui» spiegò, mentre si poteva notare il suo fiato
dal freddo. «Lei aveva sempre qualche regalo in
più per me. Nonostante fossimo solo noi due, mi sentivo
appartenere a qualcuno. Mi sentivo importante, parte di una famiglia.
Adesso avrei voluto, ma non è più
così».
«Adesso hai qualcun altro a cui puoi tramandare la magia del
Natale, no?».
Shinichi sorrise dolcemente, indicandole il ventre arrotondato con un
cenno della testa. Shiho lo imità di riflesso, sospirando
appena.
«Avrei voluto, ma... c'è sempre qualcosa che manca
nella mia vita. Ho perso tutti coloro che amavo. Prima Akemi, adesso
Rei... sempre per colpa mia».
«Ehi, ascoltami».
Shinichi le si avvicinò, accovacciandosi appena sulla sedia
nel tentativo di raggiungere la sua altezza. Si specchiò in
quelle iridi profonde, prima di continuare.
«Non è mai stata colpa tua. Non sapevamo dove si
fosse nascosto Gin».
«Ma avrei dovuto prevedere che mi avrebbe cercata e trovata.
Per questo motivo è colpa mia».
«La colpa è di quel pazzo criminale
che-».
«-Kudo, è colpa mia! Lui voleva colpire
me».
«Rei lo ha fatto per proteggerti, è stata una sua
scelta. Voleva proteggere te e la sua futura famiglia, davvero non lo
capisci?».
Shiho si bloccò di colpo, mentre il magone le si bloccava
all'altezza del petto.
«E tu come puoi saperlo?».
«Davvero non ci arrivi? È la stessa cosa che sto
cercando di fare da quando ti ho conosciuta... proteggerti».
«Non farlo» disse freddamente Shiho, trattenendo a
stento il tremolio della voce. «Non farlo o finirai anche tu
come loro. Chiunque io ami sembra sia destinato a fare una brutta
fine».
Sapeva benissimo che il tempo trascorso era troppo poco per un
cambiamento, eppure riuscì ad ascoltare le parole di
Shinichi, ancora una volta. Un Natale che non significava
più nulla; non avrebbe mai potuto farsi coinvolgere dagli
eventi, quando aveva ancora davanti agli occhi l'immagine di
quell'assassino che le puntava addosso la pistola e il giovane uomo di
cui si era innamorata pararsi davanti a lei in meno di un istante;
ricordava il corpo di quest'ultimo cadere in avanti, di aver seguito la
scena quasi a rallentatore, con il cuore palpitava affannato.
Gli aveva stretto la mano, si era macchiata la pelle con il suo sangue.
Rei non era riuscito a parlare, ma sembrava non voler mostrare la
propria debolezza neanche in quella situazione. Le aveva appoggiato una
mano sulla guancia, sussurrandole poche parole. Le più
impegnative, quelle che avrebbero significato qualcosa solo con lui al
suo fianco.
"Stai... stai tranquilla, è finita".
Dopodiché, il suo braccio era caduto al suolo e Rei non
aveva più accennato alcun movimento.
Shiho aveva forse iniziato a piangere, aveva urlato, facendo poco caso
al corpo inerme del criminale steso a terra più avanti. Un
contatto caldo sulle spalle, due braccia che l'avvolgevano: Shinichi
aveva cercato di trascinarla via da quel dolore, con l'intento vano di
calmare quei singhiozzi bruschi.
Piena di quei momenti, di quella sofferenza, il Natale scivolava via in
un attimo. Non c'era nulla a tenerla in piedi, neanche quella festa
particolare che aveva sperato potesse esserle d'aiuto.
«Non dire così» mormorò
Shinichi, rompendo il silenzio, «non sei sola,
ricordi?».
Lei non rispose, senza la minima voglia di ascoltare oltre. Si
sentì stupida per aver accettato l'invito e ancora di
più per essere rimasta.
Il detective le poggiò una mano sulla spalla, probabilmente
senza capire fino in fondo.
«Io vado dentro, tu stai quanto vuoi»
dichiarò, appoggiando la sua tazza sul tavolino accanto a
loro. «Non prendere troppo freddo».
Shiho annuì, seguendolo con lo sguardo mentre si
allontanava. Non avrebbe mai potuto pensare che lui rimanesse
lì tutta la sera, quando Ran - la sua fidanzata Ran - era
sola all'interno della villa. Una volta, nel momento in cui si erano
trovati nella stessa situazione di prigionia in un corpo da bambini, si
erano assomigliati. In un certo senso, la loro vicinanza era palpabile,
erano uno l'appoggio dell'altra.
Ma adesso non era più così, preda del tempo e
delle situazioni che trascorrevano senza tregua.
La solitudine di quel silenzio le confermò di essere da
sola, ancora una volta. Da quell'angolazione riusciva a vedere le
famiglie unite, gli amici insieme, la felicità negli occhi
dei presenti.
Forse, il suo destino era sul serio quello di continuare da sola, di
andare avanti per forza, in un modo o nell'altro.
«Sai, Shinichi... ».
Lui sentì appena il suo tono di voce basso e si
fermò sul posto, il cuore stranamente palpitante, un cuore
pieno di preoccupazione e di voglia di lottare per non lasciarla di
nuovo nell'oblio. Si voltò appena, osservandola con la coda
dell'occhio e attendendo.
«Forse non è il caso di dirlo proprio a te, visto
che dentro c'è Ran che ti sta aspettando. E che ti ha sempre
aspettato» mormorò Shiho, chinando il capo.
«Ma credo sia arrivato il momento di lasciar perdere tutto.
Ti ringrazio per ciò che hai fatto per me e anche il dottor
Agasa. Però mi sono accorta che amare è una
grossa responsabilità, perché rischi di perdere
molto, alla fine. E io non voglio più rischiare».
Il ragazzo sospirò, riflettendo. Si aspettava da lei un
discorso del genere, ma non credeva glielo avrebbe mai confessato.
L'aveva vista prendere la decisione di andarsene molte volte e in modi
differenti; ma lui glielo aveva impedito. Le aveva trasmesso il
coraggio necessario per combattere, le era corso dietro senza
esitazione quando pensava che avesse preso il primo treno per andare
via.
Adesso era seria, ancora di più. Lo sentiva.
Tornò da lei e le si inginocchiò davanti,
poggiando la mano sulla coperta pesante.
«No, non è così... la vita è
breve. Rompi le regole. Perdona in fretta. Bacia lentamente. Ama
veramente. Ridi incontrollabilmente e non pentirti di niente che ti
abbia fatto sorridere» le spiegò, arrossendo
lievemente. Si stava concentrando sui propri pensieri per cercare di
risolvere la situazione, di darle di nuovo il modo di non arrendersi.
Shinichi Kudo era cresciuto e quelle frasi erano rivolte solo a lei.
«Non avere paura di provare certi sentimenti
perché sarebbe come non vivere. E tu devi farlo, mi hai
capito? Se non per me, per lui».
Shiho sollevò di scatto la testa, guardandolo come se lo
vedesse per la prima volta. Non poteva essere sul serio la stessa
persona con la quale aveva condiviso lo stesso destino per
più di due anni.
«Sei veramente tu o è davvero il freddo a farti
agire in questo modo?» gli chiese ironica, sorridendo.
«Non ti immaginavo capace di tanto».
«Ehi piccolo, hai sentito cosa mi dice?» rispose
Shinichi, posando la mano sulla coperta all'altezza del suo ventre.
«Mi raccomando, non prendere da lei».
La giovane donna rise appena, ancora un po' confusa da quel
comportamento. Dopodiché si tranquillizzò,
scrutandolo.
«È ancora troppo piccolo perché tu
possa sentirlo».
«La cosa importante è che lui senta me».
Risero e i loro sguardi in quel momento s'incrociarono. Gli occhi blu
di lui in quelli verdi di lei, entrambi luminosi e pieni di un
rinnovato sentimento d'affetto.
«Rei era felice di avere questo bambino, vero?».
«Sì... » gli rispose, mentre il senso di
soffocamento la costringeva a respirare profondamente.
«Sì, lo era».
Bastava ricordare quegli occhi azzurri pieni di entusiasmo, la premura
con la quale le faceva mille domande ogni volta. Avrebbe voluto
ricordarlo sempre così.
«Coraggio, adesso torniamo dentro prima di prenderci una
polmonite» ordinò l'amico, porgendole la mano.
«Non voglio che la mia partner si ammali proprio in questo
periodo, con il lavoro che c'è da fare».
La ramata iniziò a seguirlo e inarcò un
sopracciglio. Dopodiché si fermò, sfoggiando il
migliore sorriso che avesse potuto mostrare.
«Ehi, Kudo» lo chiamò, aspettando di
avere la sua attenzione, «grazie».
Ora riusciva a sentirlo un po' di più, lo spirito del
Natale, come il senso di serenità che provava ogni volta
attraverso la sua presenza.
Non aveva bisogno di altro, non ancora.
«Buon Natale, Shiho».
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