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Arrivai a casa stremata,
Il compito di biologia mi aveva proprio distrutta e come se non fosse stata un giornata abbastanza stressante avevo pure posso l'autobus.
Mi tolsi la giacca e il foulard beige, lanciando lo zaino sul pavimento, affianco all’attaccapanni, per poi dirigermi in cucina, avevo voglia di una fetta di pane con il burro d'arachidi e di una spremuta, tanto sapevo che nessuno mi avrebbe disturbata: papà era in viaggio per lavoro, come sempre d'altronde e mamma stava accompagnando mio fratello James alla partita di football in un paese che dista circa due ora da casa, dunque nemmeno lui ci sarebbe stato.
Io e la mia famiglia abitiamo in un bel quartiere, in uno di quelli 'alti' come li definisce papà, che grazie ad il suo lavorare sodo e sempre, senza pensare a festività o ferie varie ha scalato le vette nella società in cui lavora, diventando così indispensabile per tutti, titolare compreso, che ora se lo porta sempre appresso durante i più importanti incontri con clienti e fornitori della moderna, ma già famosa, 'Christian Design League', un’azienda che fabbrica e poi vende mobili per la casa di ultimo grido.
Una famiglia amorevole la mia, una di quello che ormai non esistono quasi più, dove il babbo chiama ancora la mamma amore e quando torna da un lungo viaggio ti stringe forte e quasi piange da quanto gli sei mancato; dove mamma ogni domenica prepara un dolce fatto in casa, una settima il mio preferito e quella dopo quello di mio fratello, senza mai pensare ai suoi di gusti, perché a lei importa solo la nostra di felicità; dove James la sera si intrufola in camera mia con una vaschetta di gelato e mi racconta la sua giornata, le sue cotte e tutti il resto dei suoi affari; ma la mia parte preferita è la mia nonna, senza ombra di dubbio:
Lei è forte come una roccia, non ha voluto nemmeno che la prendessimo in casa con noi quando il nonno è venuto a mancare, non voleva di certo pesare su sua figlia, che per lei aveva già “fatto più di quanto poteva”, come dice lei; e allora ha deciso di andare in una casa di riposo a pochi minuti di pullman da casa, così che possiamo andare a trovarla quando vogliamo, ed io ci vado circa tre volte a settimana, anche perché sono volontaria in quella casa di riposo, ancora prima che lei ci entrasse, lo scorso anno; quei soldi vecchietti hanno tante storie da raccontare e nessuno he li ascolta veramente.
Deciso di accendere la televisione, oggi ero troppo stanca per far visita a tutti i miei nonnini, quindi mi misi a guardare un film…
solitamente usavo Netflix,
ma mio fratello di era dimenticato di
rinnovare l'abbonamento, e solo al
pensiero di subirmi tutta quella
pubblicità mi venne male, ma non avevo di
meglio da fare, quindi feci partire
'Shine & Bow', ne avevo sentito parlare a
scuola, ma non lo avevo mai visto finora.
Ed io lo giuro che gli occhi di quell’attore
mi ricordavano qualcosa, ma non riuscivo
a capire cosa.
Poi mi addormentai.
Il giorno dopo tornai a scuola, ero stanca,
mio fratello mi aveva tenuta sveglia
tutta la borsa per raccontarmi di come
avevano vinto la partita e, soprattutto,
di come Cami lo avesse baciato
appassionatamente e, tenendo conto che io
ero rimasta ferma a Liz, rimasi proprio
stupita da questo fatto, dunque mi feci
raccontare anche cosa fosse capitato a
quella povera ragazza, che a me piaceva
tanto; fatto sta che le due del mattino
arrivarono velocemente, e anche le sei e
mezza, quando la sveglia ha deciso di suonare.
Vidi i tre ragazzi nuovi chiacchierare con
alcuni studenti, passai
loro di fianco e Thomas mi sorrise,
mentre io abbassai la testa… mi ero
dimenticata del piccolo incidente di ieri con la porta.
Arrivata nell’aula di storia e mi sedetti in prima fila,
come al solito: la verità è che se non
stavo in prima fila non riuscivo a
concentrarmi e a prendere appunti,
inoltre di sicuro non dovevo litigare con
nessuno per riuscire a prendere quel posto.
Qualcuno spostò la sedia di fianco alla mia,
dunque mi feci più in là, schiacciandomi
sulla sinistra del banco.
“Ciao” sentii, così mi girai
“Ciao” risposi
“mi fa ancora male la spalla, sai?”
E li diventati rossa, non credevo di aver
spinto così tanto la porta
“scusami ancora, ma ero proprio di fetta”
“non preoccuparti, stavo solo scherzando”
E lì la conversione finì, il professore
aveva chiesto il nome ai
nuovi compagni, dopo di che la lezione iniziò.
Non mangiavo mai in mensa, ma questa mattina
ero proprio in preda ad un semi-coma e mi
sono scordata il pranzo, quindi se volevo
mangiare mi dovevo accontentare di
quell’orribile polpettone e di quelle
carote totalmente insapore che servivano su piatti di plastica di un colore giallo
paglia, che rendeva il tutto ancora più
schifoso da vedere.
I posti in mensa erano divisi come quelli sul
corridoio, gruppetti di persone divisi
per categorie, pochi erano quelli liberi
per chi, come ma, non faceva parte di
nessuna di esse, ma per fortuna ne
trovai uno di libero e mi ci sedetti
subito, accanto ad una strana ragazza con
i capelli rosa ed un mio compagno di
storia che avevo visto poche ore dopo;
così cominciai a mangiare, quando, con la
cosa dell’occhio, vidi Thomas salutarmi e
raggiungermi.
“Ho chiesto di te, sai.. nessuno sembra conoscerti”
“Perché dovresti aver chiesto di me?”
Rimase a bocca aperta per qualche secondo e poi rispose
“Beh volevo sapere qualcosa in più su chi mi
ha volontariamente distrutto una spalla”
Cominciai a ridere, poi mi fermai, e diventai
rossa, di nuovo.
“Primo non è stato volontario, smettila, ti ho detto che mi dispiace!
Secondo, se vuoi sapere qualcosa
su di me non credi che ti convenga chiederlo, non so.. a me?
Terzo, hai preso lo spezzatino, non fare più questo errore, l’ultima volta che lo
ho mangiato sapeva da topo morto”
Mi guardo sconvolto, prima di chiedermi:
“Come fai a sapere che gusto ha un topo morto”
Mi misi una mano sulla fronte, mentre con
l’altra avvicinavo al forchetta alla
bocca con un pezzo di polpettone.
“Dimmi almeno come ti chiami”.
“Mi chiamo Ambra”
Lui sorrise soddisfatto
“Vivi qui?” chiese poi
“Si, sono nata e cresciuta qui”
“E allora spiegami come mai nessuno sa il tuo
nome” chiese, insospettito
“Solo se mi spieghi tu come fanno tutti a
conoscere il tuo, dopo solo un giorno che sei qui”
E non so spiegare il suo sguardo,
era stupito, contento, spaventato,
come se quella domanda non se la
aspettasse proprio e come se
avesse paura di rispondermi
“Voglio capire chi sei tu, prima di dirti che sono io”
“Thomas” lo chiamò una voce femminile
“eccoti, sei qui, ti cerchiamo da dieci minuti”
Era la ragazzo nuova, la sorella, se i miei calcoli sono esatti
“Ciao, io sono Sophia, e lui è Michael”
disse lei, allungandomi una mano,
mentre con l’altra indicava il fratello.
Io strinsi prontamente la sua mano,
presentandomi, per poi fare lo stelle con il ragazzo.
“Possiamo sederci qui?” chiese lei
“certo, tanto io ho finito, me sto andando..
piacere di avervi conosciuto”
Risposi, alzandomi da quelle sedie tanto scomode
“E Thomas” aggiunsi,
“sappi che le risposte alle tue domande le conosco solo io”
Poi me ne andai, portandomi con me
il vassoio ormai vuoto e un
senso di soddisfazione,
misto a curiosità, che mai avevo avuto prima.
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