Ciao
a tutti!
Mi
dispiace veramente
tanto aver impiegato tanto ad affrontare questo capitolo. Stavolta
non si è trattato, purtroppo, soltanto della mia abituale e
abominevole lentezza: una delle cause principali del mio ritardo
è
legata a un lutto che ha colpito il mio nucleo familiare, e dal quale
non penso che mi riprenderò mai del tutto. Questo capitolo
parla di
morte, e ho avuto bisogno di qualche settimana per accettare di
tornare a parlare di questo argomento; e quando mi ci sono dedicata,
ho scoperto che la mia sensibilità al riguardo è
cambiata
totalmente. Per questo motivo il capitolo non è come avrei
desiderato scriverlo all'inizio, e probabilmente non è uno
dei miei
pezzi migliori. Ma ve lo posto così com'è venuto,
nell'unico modo
in cui avrei mai potuto scriverlo in questa fase della mia vita.
Come
al solito, il
betaggio è tutta opera di Fiulopis, che tra una cena di
compleanno e
un banchetto di Natale è riuscita anche a porre rimedio a
qualcuno
dei miei abominevoli errori!
Con
un ringraziamento
enorme quanto doveroso a Miryel e a An13Uta per le loro splendide
recensioni, non posso che augurarvi una buona lettura!
Afaneia
Capitolo
secondo –
Suture.
Carica
forte la
bestia,
punta
diretta al
cuore del mago
che
trema impaurito
e impotente
come
un aquilone nel
vento senza spago,
come
un aquilone che
vola senza spago.
Arriva
infine la
bestia e trafigge il mago al cuore,
che
muore travolto
ma felice,
perché
la bestia si
chiama amore,
perché
la bestia si
chiama amore.
Il
Mago Annoiato, Il
mago e il mutaforma.
Quando
va a Daccapo,
Link non scende mai direttamente dal santuario più vicino
fino al
centro del villaggio. Probabilmente sarebbe facile: calcolando la
traiettoria, la via più diretta sarebbe proprio quella di
planare
dolcemente in quella direzione, e un paio di volte l'ha fatto,
naturalmente, e ha concesso a se stesso di guardare il lago
spumeggiare sotto di lui e tingersi del tono del cielo, mentre lui lo
sorvolava come un uccello. Ma questo non è il suo genere,
non per
Daccapo, quantomeno, ch'egli ha giurato di proteggere a qualsiasi
costo.
Link
raggiunge il
crinale che sovrasta il villaggio verso il tramonto, ch'egli vede
riflettersi nella superficie lucida delle armi che porta appese alla
sacca, ma non vi si dirige immediatamente. Per qualche minuto, Link
si limita a stagliarsi contro il pendio erboso, scrutando col
cannocchiale il villaggio che freme di vita e i suoi dintorni
tormentati: ci sono dei boblin nei pressi del tempio, come al solito.
È come si era aspettato, conclude tra sé
riponendo il cannocchiale:
ora che la Calamità è sconfitta e ha cessato di
esercitare i suoi
malefici influssi su Hyrule, quelle bestie sono come impazzite e
hanno finito per assieparsi in grandi gruppi soprattutto là
dove
hanno maggiori speranze di trovare nutrimento e di che menare le
mani, cioè nelle vicinanze dei centri abitati. Ci
vorrà del tempo
per ripulire le lande da questi mostri, conclude Link tra sé
– ma
per la prima volta da quando si è svegliato, il tempo non
gli manca.
Arriverà stanotte al villaggio: per le prossime ore, la sua
meta è
quel gruppo di mostri che ha intravisto. Stava giusto cercando un po'
di materiale da scambiare con Kilton.
Naturalmente
non può
affrontare un corpo a corpo, non in questo momento: il suo corpo
è
troppo esausto dopo lo scontro con Ganon ed egli non può
permettersi
di tendere le ferite dolorosamente ricucite. Probabilmente non
sarebbe neppure qui se solo non fosse sfuggito nottetempo
all'inflessibile sorveglianza degli abitanti di Calbarico; ma restare
a letto per giorni a leccarsi le ferite non era proprio il suo stile
– e poi, c'è Mipha con lui, ed egli sente l'ardore
del suo spirito
aleggiare su di lui, e riesce quasi a percepire l'oscuro invisibile
lavorio della pelle che lavora per ricucire e connettere i tessuti...
Le ferite guariranno presto, ed egli conosce sufficienti ricette in
grado di anestetizzare il dolore che prova. Ma di star fermo ad
aspettare che i mostri assaltino il suo villaggio
proprio non
se ne parla. E poi, Link ha sufficiente buona mira da poter star
seduto su un'altura a dominare dall'alto la situazione e scatenare il
panico tra i mostri, senza neppure bisogno di sporcarsi le mani. Le
sue mani tremano per un solo istante quando tende l'arco Aquila
–
ma perché, poi? Possibile che quell'arco voglia dire tanto
per lui?
È
quasi contento
d'aver qualcosa da fare per trascorrere le ore che lo separano dalla
notte: non voleva arrivare al villaggio di giorno. Non
perché non si
senta a suo agio. Link ormai conosce bene tutta questa gente che a
poco a poco si è trasferita a Daccapo e si è
creata una nuova vita,
per averla aiutata e soccorsa quando aveva bisogno di lui –
ma ora
che la Calamità è vinta, Link non vuole che lo
ringrazino. Tutto
ciò che vuole è parlare con Miceda, e sa
benissimo dove trovarlo
senza alcun bisogno di cercarlo.
Link
flette verso di sé
il braccio della freccia, socchiude un occhio e dà inizio
alla sua
carneficina.
Per
avervi abitato
anche lui per qualche giorno della sua vita, Link conosce questo
edificio ormai troppo bene, e sa bene come avvicinarvisi di soppiatto
dall'esterno del villaggio, senza che nessuno possa vederlo. Le luci
sono ancora accese al piano di sotto, quando Link si avvicina in
silenzio alla finestra strisciando contro a parete: Miceda e Pauda
devono aver appena finito di cenare. La tavola è ancora
apparecchiata, un poco in disordine, ed egli vede le spalle robuste
di Miceda che racconta animatamente qualcosa e Pauda che ascolta e
ride mentre cuce un qualche indumento che ha posato sulle ginocchia.
Beh,
quantomeno non sta
interrompendo niente. Link solleva cautamente la mano e batte piano
col pugno chiuso su vetro per richiamare l'attenzione.
L'urlo
di Pauda
strozzato dalla sorpresa si tramuta in una risata non appena lo
riconosce, ed ella continua a ridere di una risata cristallina e
aperta, a gola spiegata, mentre corre ad aprirgli la finestra.
«Tu
sei tutto matto, Link! Ma si può sapere perché
non usi la porta
come tutti gli altri? Qui nessuno chiude a chiave, lo sai...»
«Ciao,
Pauda»
risponde Link sorridendo mentre si lascia scivolare attraverso il
vano della finestra sul pavimento. «Non volevo che il
villaggio si
spaventasse vedendo un'ombra... ehi, Miceda.»
Quando
Link lavorava a
Daccapo, Miceda era un uomo enorme e scettico, rude e laconico come
un saggio dei tempi andati: l'uomo che ora si è alzato da
tavola per
venirgli incontro è ancora enorme e scettico, rude e
laconico, ma ha
la barba ben fatta e i vestiti perfettamente rammendati. Beh, a
quanto pare il fidanzamento ha fatto bene persino a lui.
Ma
prima ancora
d'esserglisi appressato, gli occhi di Miceda si fanno d'un tratto
più
grandi e inquieti, colmi d'apprensione, ed egli si ferma bruscamente
e borbotta: «Link. Sei ferito.»
«È
solo un graffio»
risponde Link come al solito, ed è quasi la
verità. Ha condotto
tutto lo scontro senza neppure avvicinarsi ai boblin, acquattato tra
due rocce a prender la mira, scoccare e ricaricare con la massima
calma e il minimo spreco di energie. Quelle bestie erano tanto
stupide che a malapena sono riuscite a individuare la provenienza dei
suoi dardi, ma uno di loro è comunque riuscito a saettare
una
freccia nella sua direzione, prima di morire. L'ha colto impreparato,
questo è vero, ma la freccia gli ha trafitto la spalla senza
penetrare troppo in profondità. Link l'ha strappata via e si
è
fasciato alla meglio con un brandello di tela, ma nell'attesa che il
potere di Mipha medichi le sue carni non ha potuto fare nient'altro,
e ora la ferita sta sanguinando. Ma quando Link si getta un'occhiata
addosso si accorge che non è solo quella ferita a
sanguinare, ma che
anche quella all'inguine, forse la più grave che abbia
riportato nel
suo scontro al castello, sta spurgando gocce di sangue e siero
attraverso le suture.
Miceda
ha capito,
naturalmente: quest'uomo è troppo esperto del mondo e anche
di lui
per non sapere che cos'ha combinato. Mentre Pauda si precipita a
prendere qualcosa per medicarlo, perché questa donna nutre
un
sacrosanto orrore del sangue e delle ferite, Miceda lo scruta
severamente e chiede a bassa voce: «Dove hai
combattuto?»
«Qua,
al tempio
abbandonato, lo sai, no... dove si annidano sempre i boblin. Non
hanno ancora capito che in questo modo so già dove
trovarli.» Ma
questo non è evidentemente quello che Miceda voleva sentirsi
dire, e
la seria imperiosità del suo sguardo lo riconduce
immediatamente
all'obbedienza. Miceda gli ha fatto la cortesia di fingere di credere
alle sue fandonie anche troppe volte, e ora non si può
più fare
finta di nulla.
«Hai
combattuto al
castello?» indaga Miceda autorevolmente. «La
foschia rossa non c'è
più e i colossi sacri sembrano acquietati. È
opera tua, questa? È
questo che hai fatto quando non eri qui?»
Prima
ancora di fare in
tempo a formulare una risposta, se non esaustiva, quantomeno
ragionevole, Link si ritrova denudato della tunica e riesce a
malapena a tenersi addosso i pantaloni mentre Pauda lo trascina a
sedere sul bordo del tavolo e comincia a sterilizzare un ago alla
fiamma di una candela. Link lo sa che lo sta facendo per il suo bene,
ma non può fare a meno di storcere le labbra: odia essere
ricucito.
Preferirebbe aspettare che fosse la preghiera di Mipha a guarirlo, ma
Pauda ha ragione: così facendo guarirà
più in fretta.
«Ho
combattuto al
castello» ammette concisamente, lasciando che siano quelle
poche
parole a caricarsi di tutto il significato del gesto. Si concede di
sorridere per un attimo prima che l'ago trapassi la sua pelle e il
dolore improvviso, pungente, lo faccia irrigidire sul tavolo. Poterlo
dire ad alta voce, anche se soltanto nella cucina umile di un
villaggio sulle sponde di un lago, seduto a farsi disinfettare le
ferite col vino e ricucire con filo di seta da una sarta Gerudo, lo
rende un po' meno malinconico. Non voleva forse la pena di
sacrificare se stesso per poter donare al mondo e a questa gente una
Hyrule rinnovata? «Hyrule è salva, ora. Questa
è l'ultima
generazione di mostri. Quando avremo sconfitto loro, la nostra gente
non avrà più nulla da temere.»
«Eri
solo tu a non
crederci, Miceda!» lo rimbrotta Pauda gettandogli
un'occhiataccia al
di sopra della spalla nuda di Link, prima di rivolgersi a lui.
«Tutto
il villaggio si chiedeva se veramente il castello fosse stato
liberato, e ora finalmente sappiamo che sei stato tu. Io lo sapevo,
comunque. È da quando sei venuto a cercarmi nel deserto
vestito da
donna che sapevo che avresti fatto grandi cose. Ma perché
non sei
venuto da noi di giorno, Link? La Calamità è
sconfitta, il
villaggio vorrà festeggiarti...»
«Forse
è per questo
che non è venuto di giorno, Pauda» la interrompe
eloquentemente
Miceda, e Pauda, come accorgendosi della sciocchezza di quanto ha
detto, ammutolisce d'un tratto e non risponde. Lei non lo conosce
bene quanto Miceda, che durante gli umili giorni di Daccapo ha
assistito allo svolgersi del viluppo dei suoi dubbi e dei suoi
tormenti, ma anche lei comincia a capire quale peso porti sulle sue
spalle la responsabilità della salvezza di Hyrule, e non
commenta
più.
«Grazie,
Pauda, ma non
voglio festeggiamenti. Dico davvero. Sono passato solo ad accertarmi
che steste bene e che tutto filasse liscio, e poi anche per chiedervi
del vostro matrimonio...»
Le
mani di Pauda che
s'inseguono sulla sua pelle hanno un'esitazione improvvisa della
quale Link è grato, dato che corrisponde a una minuscola
pausa della
sua tortura, e questa strana inusuale coppia si scambia un tacito
sguardo significativo.
«Hai
tante cose a cui
pensare, Link» risponde pazientemente Miceda. «Il
nostro matrimonio
dev'essere l'ultimo dei tuoi pensieri. Forse non avrei neppure dovuto
fartene parola...»
Del
suo fidanzamento in
effetti Miceda gli ha parlato quasi per caso, una sera in cui Link
è
capitato a Daccapo esausto e ferito, in cerca di un luogo in cui
pregare. Mentre gli preparava qualcosa da mangiare, per distrarlo e
tenerlo occupato nell'attesa, gli ha chiesto, tanto per parlare, se
avesse per caso incontrato in tutti i suoi viaggi un sacerdote che
officiasse matrimoni. Link ha gioito e si è congratulato e
lo ha
subissato di domande e gli ha promesso che avrebbe cercato, ma poi
Miceda non gliene ha più fatta parola. Quest'uomo che un
tempo non
lo credeva capace neppure di sopravvivere agli Yiga o di discendere
dall'Altopiano delle Origini a un tratto si è convinto
ch'egli
davvero doveva salvare Hyrule, e ha deciso che non doveva esserci
nulla in grado di frapporsi a questo obiettivo. Della sua pazienza
Link gli è stato molto grato, ma ora quel tempo è
finito; e che
cosa può esserci di più bello al mondo che
celebrare la nuova era
con un matrimonio?
«Invece
è proprio
quello di cui intendo occuparmi al momento» ribatte Link con
convinzione. Pauda riprende il suo lavoro sulla sua spalla, ma
più
dolcemente ancora, ed egli sente la carezza della sua fresca mano
affettuosa tra i capelli. Anche Pauda, come Miceda, non è il
tipo da
lasciarsi troppo andare alle parole, ma proprio di questa carezza
silenziosa e universale che vuol dire grazie in
tutte le
lingue del mondo Link le è indicibilmente grato. Farsi
ricucire fa
improvvisamente un po' meno male. «Vorrei un consiglio da
voi, però.
Non sono certo di sapere dove trovare un sacerdote, non mi intendo
molto di queste cose.»
O
meglio, sa benissimo
dove trovare una certa principessa che è forse la persona
più
vicina al rango di divinità presente al mondo – ma
è alquanto
certo che Miceda lo riterrebbe un po' esagerato per un piccolo
matrimonio in in un neonato villaggio sperduto. E poi chissà
se
Zelda saprebbe officiare un matrimonio.
Miceda
appare ancora
combattuto all'idea di approfittare del suo aiuto. «Beh... se
vuoi
cercare la gente sacra devi andare tra gli Zora, credo. O almeno mia
madre diceva sempre così.»
Gli
Zora, già. È
dall'Ira dell'Acqua che Link non torna al loro Villaggio, forse solo
per la presenza di Sidon e le eccessive aspettative ch'egli si sente
gravare sulle spalle; ma ora che tutta questa storia è
finita, Link
si rende conto di quanto puerile e vigliacco sia stato il suo
atteggiamento. Forse Sidon avrebbe potuto aiutarlo se glielo avesse
chiesto.
«Beh,
speriamo che tua
madre avesse ragione, allora» ribatte sforzandosi di
sorridere.
«Posso partire domani. Ho un vecchio amico là, e
anche qualche
affare da sbrigare...»
«Hm,
già. Tu hai
sempre amici dappertutto, eh?» Ma lo sguardo che Miceda gli
rivolge
è sospettoso e poco convinto e Link neppure si sforza
più di
provare a fingersi allegro. Con Miceda non c'è modo di farla
franca.
«Pauda, perché non vai di là a scaldare
un po' di quello stufato
che è avanzato ieri? Questo ragazzo è sempre
più magro ogni volta
che lo vedo. Non sembra anche a te?»
Pauda
è troppo
intelligente e ricettiva per non capire che cosa cerchi esattamente
Miceda. Riflettendo a voce ostentatamente alta che lo stufato
sarà
sicuramente freddo e che ci vorrà un po' a scaldarlo, Pauda
scompare
in cucina chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle.
Una
volta che sono
rimasti soli nella stanza principale, Miceda lo guarda severamente,
gli versa un bicchiere di vino ed esordisce: «E
così ce l'hai
fatta. Hai salvato Hyrule, eh?»
Link
beve lentamente un
sorso di vino, più per non sembrare un ragazzino che
perché ne
abbia voglia, e gli fa cenno di sì col capo. «Una
specie.»
«Che
vuol dire una
specie? La Calamità l'hai sconfitta,
sì o no?»
A
Link fa male
ripensare a quel giorno, in realtà. Non è come si
potrebbe pensare.
Quando pensa all'eroe di Hyrule, la sua mente corre istintivamente a
un'immagine che forse conosce per averla vista in un libro o in un
quadro, in una qualche vita passata – quella di cento anni fa
o in
una di quelle che non ha conosciuto mai, la vita di uno dei tanti
eroi che si sono avvicendati nel tempo per salvare Hyrule: un eroe
bello e coraggioso e tenace, privo di dubbi e di esitazioni, che
cavalca verso il sole scagliando frecce contro l'orizzonte e percorre
di corsa l'infinita scala a chiocciola di un castello per andare ad
affrontare il nemico; ed è una bella immagine, questa, ma
per lui
non è stato così.
Di
quel giorno Link non
ha nulla di cui andare orgoglioso. Ha corso e strisciato come un
verme contro i muri e sui tetti, nel sotterraneo del palazzo,
nascondendosi col cuore che batteva da quel ragno mostruoso e dai
suoi colpi mortali, e ha colpito alla cieca sperando di trafiggerlo e
ha sentito la spada affondare sino all'elsa nella massa flaccida e
nauseabonda del corpo del ragno, e a ogni affondo ha provato timore
di non riuscire a tirarla fuori e di trovarsi disarmato e inerte di
fronte al nemico, coperto di sangue marrone e pus; e questa
è stata
la parte gloriosa della battaglia. Ma quando si
è ritrovato
fuori, a fronteggiare l'enorme cinghiale mostruoso
che
incalzava sul prato, col cavallo che gli scapitava tra le cosce e
minacciava a ogni momento di disarcionarlo, qualcuno al vederlo
avrebbe davvero potuto credere che fosse un eroe? Quando a un tratto
si è trovato disteso al suolo col capo che gli martellava, a
frugare
nell'ombra colle mani per ritrovare l'arco che gli era sfuggito
durante la caduta e a scagliare addosso a Ganon erba e sassi e zolle
di terra per guadagnar tempo, e a pregarlo di
morire subito,
immediatamente – e se solo in quel momento non ci fosse stato
Revali...
Se
Hyrule l'avesse
visto in quel momento, non lo crederebbe mai un eroe. Provando
vergogna di come ha vinto, Link si limita a scrollare un poco le
spalle e risponde: «Questa volta sì. È
finita davvero, credo.»
Dopo
averlo soppesato
per un po' con aria scettica, Miceda aggrotta la fronte e commenta:
«Stai facendo i salti di gioia, eh?» Ma non
c'è alcun sarcasmo
nella sua voce, e Link percepisce la domanda implicita nelle sue
parole; ma in questo momento, per quanto gli piacerebbe, non sa
esattamente cosa rispondergli. Non si sente in grado di replicare
alla franchezza del suo sguardo, perciò guarda altrove:
fuori della
finestra, il villaggio è addormentato e l'aria è
quieta e
silenziosa. C'è un buon profumo.
«Ti
ricordi quella
casa di cui abbiamo parlato quando sei andato via?» riprende
cautamente Miceda. Sta sorridendo appena, si rende conto Link quando
si volta a guardarlo. «Sei ancora del parere che ti andrebbe
di
costruirla?»
Link
ha pensato a
quella casa per tutto il tempo in cui ha vagato per Hyrule per
riconquistare i Colossi Sacri e i propri ricordi, forse
perché era
l'unico vero pensiero che fosse in grado di proiettare dopo la fine
di Ganon. Quando si soffermava a osservare il mondo dall'alto di una
roccia, Link non era in grado di figurarsi come sarebbe stata Hyrule
una volta libera, ma era certo che ci sarebbe stata una casa per lui,
da qualche parte; ma solo ora egli si rende conto di quanto sia stato
ingenuo da parte sua anche solo credere che tutto
si sarebbe
risolto dopo la sua vittoria. Quella serenità che credeva
che
avrebbe raggiunto così era un miraggio tanto bello e irreale
ch'egli
si vergogna d'aver concesso a se stesso di credervi anche solo un
momento. Link è inquieto e spaventato esattamente come il
giorno in
cui è scappato a Daccapo per la prima volta. Non ha risolto
niente,
il Sacrario della Rinascita è ancora l'unica casa ch'egli
mai potrà
avere; e ora che Ganon non c'è più persino
affannarsi a cercare una
soluzione sembra inutile.
Stringendosi
nelle
spalle, Link scuote un poco il capo e sorride tristemente all'idea di
quella casa egli ha associato ogni sua speranza di serenità
per il
futuro, ed egli è ancora troppo confuso per poterla
realizzare.
«Non
oggi. Dopo il
matrimonio, magari» risponde semplicemente e Miceda annuisce
soltanto. Non 'è bisogno d'altro tra di loro.
«Bene
così. Il posto
c'è, lo sai, e io sono pronto a iniziare quando vuoi. A meno
che non
ti secchi esser mio vicino di casa» aggiunge molto
seriamente, e
Link ride.
«Me
ne farò una
ragione» promette sorridendo; ma quando volge il capo verso
la
finestra e torna a osservare il villaggio che dorme e si rigira
pigramente nel sonno tra la nebbia del lago e il pallido fumo, d'un
tratto egli prova inspiegabilmente una gran nostalgia. Di quando
Daccapo ancora non esisteva del tutto, e sulle sponde del lago, di
notte, egli vedeva soltanto la lunga strada silenziosa dei barbagli
di una luna rossa che si specchiava nelle acque, e il suo cuore
contemplava dolorosamente in quella calma e in quel silenzio come sul
principio di un abisso. Vorrebbe davvero non esser schiavo di questa
contraddizione, Link, che si ritrova a vagheggiare il sospiro delle
terre selvagge nel cuore di un villaggio, e che pure tuttavia, per
tutta la vita ch'egli ricorda, non ha fatto che vagheggiare di
trovare un posto al quale appartenere, e che ha costruito e amato con
tutte le sue forze un villaggio nel quale non riesce in alcun modo a
trovar pace. «Daccapo sta diventando grande, eh?»
Quando
guarda il loro
villaggio Miceda non vede quello che vede lui, come non l'ha
mai
visto neppure quando si affannavano a spaccare pietre in una distesa
di sterpaglia ed erba secca e rocce. Ciò che vede
quest'uomo, quando
si affaccia dalla finestra della casa che ha eretto con le proprie
mani, è il lavoro ben compiuto e soddisfacente di un
artigiano che
può finalmente fermarsi a tirare il fiato, e sedersi con
legittima
soddisfazione a contemplare il frutto delle proprie fatiche, che
avrà
sempre bisogno di limature e manutenzione, certo, ma sul quale egli
può posare la mano, la sera, come su una cosa proprio
finita. Per
questo motivo Link è contento che Miceda non abbia colto
quella vena
di malinconia che la sua voce ha tradito per un attimo: quando punta
lo sguardo nella direzione del suo, Miceda gli appare enormemente
sereno.
«Oh,
sì, e ora che
tutto sta funzionando a meraviglia arriverà ancora
più gente,
credimi. Anche il signor Cerada è molto soddisfatto di come
sono
andate le cose e sta progettando di espandersi ancora... verso le
terre dei laghi, credo, ma non ne sono certo. Me lo ha accennato in
una lettera di un po' di tempo fa, e comunque non sarei io a
occuparmi di quella succursale. Mi trovo bene ad Akkala,
ormai.»
Il
suo pensiero corre
immediatamente al biglietto che ha lasciato per Zelda nella casa di
Impa: Link annuisce quasi meccanicamente.«Ci sarà
molto da
costruire, ora che la principessa è tornata»
mormora tra sé e sé,
quasi meccanicamente; ma stavolta Miceda non indaga più di
così.
«Tu
hai bisogno di
dormire un po', ragazzo mio» sentenzia in un tono che non
ammette
repliche, levandosi dal tavolo una volta per
tutte.«Perché non vai
di là a vedere se lo stufato è pronto, mentre io
vado a prepararti
un letto per dormire?»
Ogni
volta che torna a
Daccapo, per quanto questo posto gli piaccia e tutti lo trattino con
affetto e corrano a salutarlo con una familiarità colma di
gratitudine che non cessa mai di stupirlo, Link non riesce mai a
soffermarvisi per più di qualche giorno. È andata
così anche
stavolta. È rimasto a casa di Miceda per tutto il tempo che
è stato
in grado di resistere, a farsi viziare e ingozzare da Pauda e a
studiare insieme a Miceda il lotto e il progetto della sua futura
casa, aspettando con pazienza che le ferite sul suo corpo si
richiudessero definitivamente e che il potere di Mipha agisse su di
lui con l'ardore di una preghiera; ma poi il suo cuore ha
ricominciato a scalpitare d'inquietudine e d'impazienza.
Ha
capito di dover
ripartire quando un messo degli Sheikah è arrivato al
villaggio
cavalcando di gran carriera per annunciare a gran voce qualcosa che
già si sapeva e qualcosa che invece si vociferava soltanto:
che
Hyrule è libera per sempre dall'influenza della
Calamità, che il
Campione di Hyrule ha trionfato sul male con l'aiuto dei Colossi
Sacri e della Spada che esorcizza il male, e infine che la
principessa Zelda rediviva ha fatto ritorno al castello dei suoi
antenati e da lì ricostruirà una Hyrule
più salda e più forte con
l'aiuto di quanti vorranno unirsi a lei.
Link
non ci teneva a
incontrare il messo Sheikah. È rimasto ad ascoltare il suo
annuncio
dall'alto, appollaiato sul tetto della casa di Miceda, col capo
coperto sotto il mantello Hylia per nascondere i suoi capelli biondi.
Ascoltare senza essere visto gli pareva molto più opportuno.
Dunque
Zelda non ha
penso tempo, ha pensato sorridendo appena. Deve aver lasciato il
Villaggio Calbarico non appena ne è stata in grado, e dopo
cento
anni trascorsi a trattenere Ganon non ha concesso a se stessa neppure
un minuto più dello stretto necessario. La sua devozione a
Hyrule è
sempre stata così, totalizzante e coinvolgente, e se fosse
rimasta
con le mani in mano probabilmente sarebbe impazzita. Zelda ha bisogno
di salvare Hyrule e lo farà sempre, esattamente
come un tempo,
cento anni fa, tentava di colmare con studi ed esperimenti quello che
non era in grado di fare con la preghiera.
Quanto
a lui, è
alquanto evidente che le cose non sono tanto semplici.
C'è
stato qualcosa che
gli ha impedito di restare ancora dopo aver udito questo annuncio.
Ancora avvolto nel suo mantello, Link si è calato dolcemente
dal
tetto, ha raccolto tutte le sue cose, ha deposto sul tavolo un mazzo
di fiori a mo' di ringraziamento per la futura sposa e poi ha
lasciato Daccapo in silenzio, senza salutare nessuno, così
com'era
arrivato. Planare nell'aria con la paravela così gli piace
molto,
gli è piaciuto sempre sin da quando per la prima volta si
è gettato
dall'Altipiano e ha attraversato lo spazio credendo di morire, col
vento che gli sferzava gli occhi facendoli lacrimare e le braccia che
urlavano per lo sforzo dopo un coma di cento anni.
È
diretto verso il
villaggio degli Zora, certo, ma non è precisamente quella la
sua
prima tappa. Un po' di tempo fa, certo non più di un paio di
mesi,
Link ha sentito dire da una Zora che pernottava come lui allo
stallaggio del Bosco che il principe Sidon era stato investito da suo
padre dell'incarico ufficiale di vigilare sul bacino idrico, per
prevenire possibili attacchi di mostri ora che la pioggia si era
acquietata e perciò non metteva più in pericolo
la valle, ma
contemporaneamente lasciava i bacini più esposti a eventuali
attacchi. Link è stato contento per Sidon, dato che
certamente
questo voleva dire che il re suo padre aveva deciso di dargli
più
fiducia e responsabilità, ma anche e soprattutto
perché in questo
modo avrebbe avuto qualche occasione per menare un po' le mani. Sidon
è nato principe ma ha l'animo del soldato, e di restare
fermo alla
corte del padre a discutere cogli anziani e a preoccuparsi dei
raccolti non sarebbe capace mai. È da lui che sta andando,
ora.
La
via più rapida per
raggiungere il bacino proveniendo da Daccapo è quella di
risalire le
cascate che precipitano dall'altipiano, per poi proseguire verso
sud-est. È un viaggio di un giorno e mezzo a dir molto, a
patto di
conoscere i sentieri giusti e di non imbattersi in frotte di mostri
che lo trattengano, e Link se la prende comoda e viaggia con calma.
Da
quando la fata del
Nume Equino gli ha fatto dono di questa meravigliosa sella Sheikah di
cui ha impiegato un po' a comprendere il funzionamento, Link
può
farsi raggiungere dal suo cavallo quasi ovunque, perciò egli
s'inerpica sull'Altipiano, richiama Draphen con la tavoletta Sheikah
e si concede un po' di tempo per salutare il suo cavallo come merita.
Al villaggio Calbarico, là dove Link l'aveva lasciato a
riprendersi,
l'hanno trattato come un principe, ma Draphen è ugualmente
contento
di vederlo.
Link
percorre la
distanza che lo separa dal bacino a cavallo, lentamente, godendosi il
vento e l'odore del mare e il panorama del sole che sorge sul mare e
proietta una sua invalicabile strada sulle acque in direzione
dell'alba; non ha fretta, oggi. Link cavalca a passo d'uomo lungo i
sentieri scoscesi e ripidi che s'inerpicano ai fianchi della montagna
e le carrarecce ormai erose dal tempo e dall'inutilizzo, e talora
scende da cavallo e s'inoltra da solo tra gli sterpi e la boscaglia.
Quando
s'avventura tra
gli alberi così, a piedi, camminando piano tra le sterpaglie
e il
fogliame senza produrre il minimo rumore, per il solo gusto di poter
spiare tra le fronde lo straordinario spettacolo di un cerbiatto che
si attacca alle mammelle della madre che pascola placidamente, Link
si sente di nuovo come si sentiva in quei giorni lassù,
sull'Altipiano delle Origini, quando del mondo non conosceva altro
che il proprio nome e un orizzonte sconfinato che si estendeva troppo
lontano perché egli potesse raggiungerlo.
Sarei
dovuto restare là,
pensa talvolta, quando si trova immobile nel folto degli alberi, e
una danza ondeggiante di raggi di luce, filtrati e modulati dalle
fronde frementi sopra il suo capo, disegna sulle sue mani un vello
maculato dai raggi di sole come quello di una nebride, ed egli
osserva le sue cicatrici accendersi e puntinarsi d'oro in questa luce
e in questa pace. Socchiudendo gli occhi riesce quasi a illudersene,
e per qualche istante, nel buio delle palpebre chiuse, egli si sente
di nuovo là,
e
percepisce sulla pelle la sensazione ruvida e scomoda dei vecchi
abiti di cotone grezzo che gli lasciavano le caviglie scoperte ed
esposte alle ortiche e agli insetti e gli tiravano fastidiosamente
sui gomiti. Ricorda d'essersi sentito umiliato, un tempo – al
tempo
della sua fuga e del suo esilio a Daccapo – al pensiero
d'esser
stato abbandonato su un Altopiano, solo, senza alcuna spiegazione e
con nient'altro che vecchi abiti dismessi a coprirlo; ma quel tempo
è
passato, ora. Ora che il suo scontro con Ganon ha posto tra lui e il
mondo che lo circonda il filtro di una sofferenza troppo grande e di
una rinnovata maturità, e soprattutto ora che i suoi ricordi
ritrovati gli hanno dato una consapevolezza troppo acuta di
ciò che
è accaduto nei cento anni che hanno preceduto il suo
risveglio, Link
è ormai troppo distaccato da quella persona per potersene
ancora
risentire; e ora che conosce tutto e che tutta Hyrule non cela
più
un solo luogo ch'egli non abbia esplorato, egli si sorprende di
provare nostalgia di quei giorni in cui viveva come un selvaggio e
s'appostava nel bosco anche per ore per cacciare un cinghiale e avere
di che cenare quella sera – e la sua fame era tale che
mangiava
bocconi di carne cruda mentre aspettava che cuocesse e ghiande
asprigne che legavano la lingua. Era l'infanzia della sua vita,
quella, giorni in cui si sentiva solo e abbandonato e il mondo lo
sgomentava perché gli appariva infinito – e la
carne cruda lo
nauseava e le ghiande sapevano di selvatico, eppure egli ne voleva
ancora e ancora e ancora e continuava a mangiarne perché la
sua fame
era troppo grande ed egli non sapeva quando avrebbe mangiato ancora!
Si
sorprende di provare nostalgia di quei giorni in cui viveva come un
selvaggio, cacciando ed esplorando e sforzandosi d'immaginare come
funzionasse il mondo attorno a lui, e ignorava che tutto al di sotto
di lui, in quella piana sconfinata ch'egli vedeva estendersi a
perdita d'occhio, esistesse qualcun altro oltre a lui e a quell'uomo
misterioso che gli offriva talora da mangiare, e da cui Link si
sentiva sempre più attratto e soggiogato a misura che
cercava di
fuggirlo. Sarei
dovuto restare là. Se non avessi voluto la paravela per
andarmene e
scoprire chi fossi, se non avessi mai ascoltato le parole del re o la
voce di Zelda, tutto sarebbe stato più semplice. Magari
un giorno, se si fosse convinto che non esisteva nulla al di fuori
dell'Altipiano e che tutta la sua vita non aveva alcuna ragion
d'essere che quella d'inalare il profumo dei boschi e bere le gelide
acque del fiume, che egli stesso era nato lassù per
nient'altro che
un mero capriccio del caso senza nessun altro scopo, come un
cinghiale o un cervo, avrebbe finito per essere felice
lassù; e
abitare da solo sull'Altipiano sarebbe stato come essere il re di un
intero universo, poiché non gli era possibile andar
più oltre. Ma
perché non s'era saputo accontentare d'essere come un
cinghiale o un
cervo?
Il
bacino idrico è
bello e profondo quanto lo ricordava e le sue placide acque blu
rifrangono i barbagli dorati del tramonto e delle scintillanti
montagne azzurre. Link lascia Draphen a pascolare sull'altura e si
prende il suo tempo per godersi la strada che discende dal crinale
della collina d'argento verso il padiglione di lumiserite presso il
piccolo molo, là dove lo aspettava Sidon il giorno della
loro prima
grande avventura, e cammina adagio per colmarsi gli occhi di quello
spettacolo e di quel profumo.
Non
si è sbagliato
quando ha pensato che sarebbe stato qui che Sidon avrebbe istituito
il suo quartier generale. Quando si avvicina di soppiatto al
padiglione, dall'alto, per evitare di venir visto, Link sente le voci
della sua squadra che discute e vocia e ride, e sopra tutte quella di
Sidon che dà ordini e disposizioni. Beh, è
arrivato, finalmente; ma
dal momento che anche qui, esattamente come a Daccapo, egli non ha
voglia di ritrovarsi sommerso dai ringraziamenti di un popolo che si
sente in dovere di tributargli tutta la sua gratitudine, Link aspetta
appostato sul tetto che il sole termini di inabissarsi al di
là dei
monti divenuti blu come acqua e che il cielo si dispieghi su di loro
in un'uniforme coltre scura.
La
sua attesa non è
destinata a rimanere vana. Poco prima di mezzanotte, a giudicare
dalla posizione delle stelle, un turno di guardia fa ritorno al
padiglione e i soldati del turno notturno escono per dare inizio alla
loro ronda. Link aspetta ancora e tutto procede come aveva supposto:
ben presto i soldati di ritorno crollano a dormire, e nella notte
chiara e senza vento sormontata da una pallida luna, un'alta figura
maschile esce dal padiglione a respirare l'aria notturna.
Per
sorprendere il
principe alle spalle, Link balza giù dal tetto del
padiglione come
un soffio e atterra in silenzio sul manto d'erba, soffice come una
folata di vento. «Non usa più collocare sentinelle
di guardia, eh,
Sidon?»
La
messa in guardia di
Sidon dura solo il tempo strettamente necessario a riconoscere la sua
voce. Nell'istante che Sidon impiega a voltarsi di scatto verso di
lui e a sfoderare il tridente per reagire, una parte della sua mente
lo ha già riconosciuto; ma è solo quando il suo
sguardo incontra il
suo, ed egli riconosce l'azzurro quieto dei suoi occhi e il biondo
grano dei suoi capelli, che Sidon realizza logicamente che si tratta
di lui e che non c'è alcun pericolo. Un istante dopo, Link
si
ritrova avvolto e sollevato da un paio di braccia che lo stringono.
«Link,
fratello! Che
ci fai qui?»
L'entusiasmo
di Sidon è
pieno e strabordante come l'onda di un fiume: Sidon ha tante cose da
raccontargli e ancor più da chiedergli. Ha seguito le
cronache delle
sue gesta, della liberazione di tutti i Colossi Sacri, e ha
affiancato Vah Ruta quando il Colosso si è risvegliato e ha
attaccato il Castello; avrebbe voluto convincere suo padre a mandarlo
in suo soccorso a Hyrule centrale con un manipolo di soldati, ma suo
padre non poteva accettare di perdere un altro figlio... ah, e lui
è
stato un pazzo ad attaccare la Calamità da solo!
Di
fronte a questo
torrente di parole che lo annega, Link non può trattenersi
dal
ridere. «Ehi, ehi, Sidon... è tutto finito, Ganon
non tornerà più,
e io sono qui. Non preoccuparti.»
Nella
luce lattiginosa
che si riflette sulle montagne perlacee, Sidon rimane un momento a
osservarlo in silenzio. Sta sorridendo. Forse non gli sembra vero di
averlo qui di fronte a sé, sano e salvo e vittorioso dopo la
battaglia al castello; ma non c'è solo questo nei suoi
occhi. Sidon
è stranamente orgoglioso di vederlo. Ma perché?
«Non
ho mai dubitato
di te neppure per un minuto, Link.» Sidon non distoglie gli
occhi da
lui, e Link se ne sentirebbe in imbarazzo, se solo non ci fosse una
sfumatura tanto assorta, nella sua voce, da ridurlo all'istante al
silenzio. «Dopo aver riconquistato Ruta sapevo che ce
l'avresti
fatta, ma... non so, Link. Mi sembri così diverso
dall'ultima volta
che ci siamo visti. Più maturo. Stento a
riconoscerti.»
Non
è più maturo
che Link si sente rispetto a quando ha lasciato il villaggio
degli Zora per l'ultima volta, ma egli capisce benissimo che cosa
Sidon intende dirgli. Gli sorride appena, stancamente, e si sforza di
riassumere così, in poche parole, tutto quello che
è accaduto nei
mesi della loro lontananza. «Beh, sai, Sidon... ho fatto un
sacco
di cose.»
«Lo
so, lo so. Link,
hai salvato Hyrule, hai riportato la pace! Riesci a credere che sia
tutto finito? Io e mio padre...»
«Ho
ricordato tante
cose» lo interrompe Link dolcemente, e Sidon ammutolisce
d'improvviso.
«Anche
Mipha?» chiede
a bassa voce, e non è sorprendente che questo punto gli
interessi
tanto; ma a parte la naturale apprensione per i ricordi che
riguardano sua sorella, Link ha la sensazione di avvertire anche
qualcos'altro nella sua voce, eppure non è certo di cosa
sia.
Annuisce lentamente.
«Sì.
Anche Mipha...
anche, ma non solamente, e ho scoperto un po' di cose del passato. E
poi ho incontrato Zelda, e... ma parlami di te» soggiunge in
tono
forzatamente entusiasta, perché di queste cose non gli va di
parlare
adesso, e quand'anche gli andasse non avrebbe idea di come dirle. Di
fronte a Sidon, reduci entrambi come sono delle proprie vittorie, non
gli va di mostrarsi debole, o almeno non al momento. «Ho
saputo del
tuo nuovo incarico. Non ci siamo più visti da
quando...»
«Non
è un grosso
incarico» minimizza Sidon semplicemente, e Link capisce
all'istante
che la sua non è affatto falsa modestia. Per questo soldato
irruento
e coraggioso, come può un semplice incarico di sorveglianza
contare
qualcosa? «È solo un servizio di guardia della
valle. Ma è
importante permettere alla nostra gente di pescare e spostarsi in
serenità, perciò è fondamentale tenere
a bada i mostri.»
«Ce
ne sono molti?»
«Perlopiù
bande allo
sbaraglio che non sanno dove procurarsi il cibo.» Sidon si
stringe
nelle spalle come a voler minimizzare. «Non è un
problema tenerli a
bada qui intorno al bacino e nella vallata, ma il rischio è
che
impazziscano e calino sul villaggio in massa, ora che la
Calamità
non li domina più. Facciamo turni di guardia in questa zona
e
abbiamo vedette di guardia sulle alture, però...»
Se
c'è una cosa di
Sidon che gli è sempre davvero piaciuta è che non
è un principe –
è un soldato, e pensa e lavora come un soldato per il quale
difendere il suo popolo non sia un valore assoluto e ideale privo di
qualsiasi applicazione pratica, ma un compito reale, concreto e
sporco e per nulla nobilitante. È questo il motivo per cui
soltanto
Sidon, di tutto il suo popolo, è stato in grado di
dimenticare per
un momento l'orgoglio degli Zora e lasciare tutto per chiedere aiuto
a un Hylia, malgrado l'opposizione degli anziani e nonostante il suo
stesso diritto al trono sarebbe stato in discussione, se avesse
perduto. Sidon è stato in grado di rischiare e vincere
là dove
chiunque altro non avrebbe scommesso mai.
«Però?
È successo
qualcosa?»
«Credo
che sia il
momento di sbarazzarci del lynel del monte Tuono» riprende
Sidon
dopo un istante di silenzio. «Il mio progetto è
quello di
stabilizzare la situazione qua a valle, in modo da avere le spalle
libere per la ritirata quando lo attaccherò con una squadra,
ma il
problema è che continuano a sbucare fuori nuovi mostri ogni
giorno,
perciò ogni giorno devo rimandare il mio piano.»
Link
ha commesso troppe
follie in vita sua per potersi permettere di obiettare di fronte a
questo piano, ma il suo corpo reagisce da solo quando sente parlare
del lynel. La sua mano sale a recuperare l'Arco Aquila dalle spalle e
la sua voce parla per lui prima ch'egli abbia il tempo di riflettere.
«Ci vado io. Torno prima dell'alba.»
Il
lynel del Monte
Tuono è stato il primo vero nemico ch'egli abbia dovuto
affrontare
in questa nuova vita, il giorno in cui gli hanno detto che per
salvare Ruta e liberare l'animo di Mipha doveva salire sul monte a
sottrargli le frecce; ma la cosa che Link non è stato mai
capace di
perdonare a se stesso, dopo tutti questi mesi, è stato di
non aver
avuto il coraggio di combattere contro il lynel quel giorno.
Anche
solo provarci
sarebbe stato una follia, ed egli lo sa benissimo; ma per quanto
possa sforzarsi di convincersi che non avrebbe in alcun modo potuto
neppure sopravvivere a uno scontro de genere con le sole sue forze di
allora, Link non riesce a perdonarsi l'umiliazione d'aver dovuto
strisciare e nascondersi dietro i cespugli e gli alberi per rubargli
le frecce come un ladro, e d'aver dovuto scappare planando dalla
vetta del monte per fuggire il risveglio della bestia...
Avrebbe
potuto tornare
e affrontarlo dopo, quando i suoi muscoli si sono fatti guizzanti e
possenti sotto la pelle e la resistenza del suo petto si è
accresciuta a dismisura; ma c'è stato Daccapo, prima, e la
necessità
di salvare Zelda poi, ed egli non è più tornato.
Ma ora che il gran
male è stato distrutto e non v'è più
alcuna priorità nella sua
vita, ora finalmente egli ha tempo per liberare gli Zora e vendicare
il proprio orgoglio.
Ma
prima ancora ch'egli
abbia il tempo di slegare l'arco dalle proprie spalle, la mano di
Sidon sale bruscamente ad afferrare la sua, e la sua voce suona grata
ma inamovibile. «No, Link. Non è compito tuo,
questo.»
Questa
non è la prima
volta in assoluto nella sua vita che qualcuno si prende la briga di
dirgli di no, che questo non è un suo problema e non deve
occuparsi
lui di risolverlo e non deve darsene pensiero; ma quella volta non
è
stato un soldato a dirglielo. È stato un umile carpentiere,
e dalle
parole di Sidon Link rimane talmente attonito che non gli viene in
mente niente di più intelligente da dire che:
«Perché no?»
Sono
fermi sulla riva
dell'acqua nera, ora, ma alla luce della lumiserite che si riflette
sull'acqua, il volto di Sidon gli appare serio e assorto.
«Non
può toccare
sempre tutto a te, Link» risponde a bassa voce.
«Hyrule è rimasta
ferma per cento anni ad aspettare il risveglio di un eroe che aveva
già dato il suo sangue per salvarla, e per tutto questo
tempo
abbiamo addossato tutto a te. Forse era destino che solo tu potessi
sconfiggere la Calamità e salvare Hyrule, ma ora che la
Calamità è
stata sconfitta non abbiamo più scuse, e non possiamo
aspettare te
ogni volta che i nostri popoli sono in difficoltà. Mi
capisci?»
Sì,
certo che Link lo
capisce, e a ogni parola Sidon si conferma sempre di più il
guerriero che Link lo reputa da sempre; ma gli pare che ci sia una
grossa falla nel suo discorso, e allora prova a obiettare:
«Le
frecce elettriche...»
Sidon
ha uno scatto
nervoso a queste parole. «Già, erano una buona
scusa per esser
vigliacchi, vero? Quando invece lo sapevamo benissimo che anche tu
avresti potuto morire...»
Tutta
quest'amarezza e
questo rimorso da parte di Sidon non se li sarebbe aspettati mai. Non
l'aveva mai vista in questo modo. Nella sua breve esperienza di vita
– e neppure in quella che ha già vissuto, se
può fidarsi dei
ricordi che ha recuperato – non gli è mai capitata
una cosa del
genere, e forse è per questo che non sa come reagire; ma
perché
Sidon è cambiato così tutto a un tratto, quando
nei suoi confronti
Link non aveva provato che ammirazione per aver avuto il coraggio di
chiedere aiuto?
Quando
Sidon fa per
muoversi e per riprendere a camminare sull'orlo dell'acqua nera,
stavolta è Link ad afferrarlo per un braccio e a
strattonarlo per
costringerlo a fermarsi.
«Sidon»
dice
fermamente, e si sorprende di quanto suoni imperiosa la sua voce.
«Che cosa è successo?»
Ma
Sidon non lo guarda
negli occhi stavolta, e neppure si volta verso di lui. La
giovialità
del suo volto si è fatta un poco pensosa, questa notte, e
Link non
potrebbe giurarlo, ma gli pare che i suoi occhi abbiano saettato per
un attimo verso Ruta che troneggia sul bacino.
«Non
è niente, Link.
È solo che ho pensato che quello che hai fatto tu avrei
dovuto
trovare il coraggio di farlo io, e d'un tratto mi sono vergognato
d'esser venuto a cercarti quel giorno. Il principe sono io e avrei
dovuto pensarci io. Ti pare tanto stupido?»
Link
vorrebbe
controbattere, obiettare; fargli notare che la decisione di cercare
un Hylia per sconfiggere Ruta era probabilmente la più
sensata che
potesse prendere per salvare il suo popolo e far cessare le piogge, e
mille altre obiezioni ancora, tutte l'una più plausibile e
ragionevole dell'altra. Ma anche Sidon è un guerriero come
lo è
lui, e anche il suo orgoglio, esattamente come il suo, è
bruciante e
irragionevole e non può sfamarsi di risposte logiche.
C'è un'unica
lingua, egli lo sa, capace di parlare al suo orgoglio.
«Andiamoci
insieme.»
Sidon
gli rivolge un
sorriso misto di gratitudine e di rassegnazione. «Link, non
c'è
bisogno che...»
Ma
Link non glielo ha
proposto per accontentarlo o perché pensi che Sidon, da
solo, non
sia in grado di farlo.
«Io
e te da soli, come
contro Ruta. Compagni d'armi come quel giorno, ti ricordi? Io lo
distraggo e tu lo cavalchi. Saremo di ritorno entro l'alba e non lo
saprà nessuno. Sarà una vera sortita notturna. Ci
stai?»
Lo
sguardo che Sidon
gli rivolge è cambiato d'un tratto, ora si è
fatto attento e
indagatore, pensieroso. Sta valutando i pro e i contro di
quest'offerta; ma è al soldato, non al principe, che Link ha
parlato, ed egli sa perfettamente che è il soldato che gli
risponderà.
«Aspetta
qui» dice
solamente, e la sua voce è tesa e concentrata eppure insieme
vibra
dell'eccitazione della battaglia. «Prendo il mio
tridente.»
È
una bestia ancora
più orrenda e più grossa di quanto Link
ricordasse, immensamente
violenta, che eleva il primo ruggito e imbraccia l'arco prima ancora
di vederli con precisione nell'oscurità, e Link sente il
fruscio
delle sue frecce fischiargli accanto all'orecchio e la scarica
elettrica fendere l'aria come un tuono.
La
battaglia è
terribile e violenta e Link sputa sangue e sudore e la ferita
sull'inguine quasi rimarginata spurga gocce di siero, e il lynel si
ribella e ulula mentre le sue zampe scuotono la terra come quelle di
un gigante. Gli calano addosso da due lati, simultaneamente, e il
lynel ruggisce e si ribella furiosamente come un cinghiale tratto in
trappola, poiché si vede circondato e non ha via d'uscita,
percuotendo il terreno come a volerlo perforare. I loro colpi paiono
non scalfirlo nemmeno: arrivatogli di spalle, Link lo colpisce con
tale forza da spezzargli sulla schiena l'alabarda, che gli rimane
conficcata in groppa per tutta la punta; ma quando il lynel ulula di
dolore e mena alla cieca la sua clava immensa, sgroppando e ruggendo
e cercando di colpirlo, egli per poco non viene sbalzato a terra da
uno zoccolo immane; ed è Sidon a salvarlo, Sidon che urla e
distrae
e confonde la bestia e la sferza di colpi e la tiene lontano da lui.
Questa distrazione è tutto ciò di cui aveva
bisogno: quando il
lynel torna a dargli le spalle, Link vede per un attimo la faretra
che gli pende scoperta tra le scapole. È un attimo, un
battito di
ciglia: mentre il lynel sta per sferrargli un colpo con la spada e
Sidon solleva d'istinto lo scudo per difendersi, Link afferra le
frecce che ne sporgono e le strattona via e grida: «Le ho
prese!»
Poi
tutto cambia molto
rapidamente. Il lynel s'imbizzarrisce di sentirsi defraudato e la sua
schiena sgroppa tanto forte che Link rotola a terra per qualche metro
e tutto si confonde. D'improvviso è di nuovo tutto come allora,
come sulla piana di Hyrule davanti a quel cinghiale mostruoso e alla
fine di tutto; e di nuovo, esattamente come quel giorno, per un
istante la vasta distesa d'erba si confonde col cielo nero e Link non
sa più bene dove debba guardare...
«Link!»
Quando
alza lo sguardo,
Link s'accorge che Sidon è riuscito a cavalcare il lynel e
lo sta
colpendo da ogni possibile angolazione, afferrandosi con una mano
alla criniera della bestia e affondando il tridente con l'altra,
disperatamente; ma il lynel sgroppa e scalcia come impazzito dal
dolore ed è troppo intelligente per comportarsi come una
creatura
insensata e violenta buona soltanto a ruggire: il lynel ha capito che
se è insieme che sono venuti, è l'uno che deve
colpire per
sconfiggere l'altro. Sidon ha gridato perché la bestia
galoppa verso
di lui ed egli non sa come fermarlo.
Il
suo corpo agisce
prima ch'egli sia in grado di prendere una decisione razionale. Senza
neppure rendersene conto Link si raccoglie su se stesso per un
istante, col corpo tutto teso nella tensione che percorre i muscoli e
contratto dal dolore della caduta, e finalmente deflette le gambe e
si leva in aria sulle ali di un vortice.
Persino
nel cuore di
una lotta, Link ha sempre amato volare.
Il
lynel non si
aspettava la sua mossa. I suoi zoccoli frenano invano affondando fino
alle ginocchia nel terreno fangoso, il suo grido di rabbia si ripete
echeggiando tra le cime dei monti – ma Link è in
altro ormai,
molto in alto al di sopra delle cose.
Questo
attimo di
stupore gli è fatale. Sollevandosi sulla sua groppa per
prendere lo
slancio, Sidon colpisce ancora e ancora: Sidon è ferocia e
furia
implacabile sulla terraferma tanto quanto è desiderio di
volare
nell'acqua. I suoi muscoli possenti guizzano sotto la pelle squamosa,
le sue braccia si lordano di sangue fino al gomito, mentre il
tridente affonda nella schiena del mostro e poi brilla in aria in
cerca di un altro affondo, inarrestabile e violento quanto uno
squalo.
Sotto
i suoi fendenti
il lynel scalcia e sgroppa e mena fendenti all'indietro, alla cieca,
nella speranza di colpirlo. Al di sopra di questo inferno di ferro e
di sangue, Link lascia per un attimo la paravela e si lascia
precipitare. I suoi muscoli tornano a tendersi e a contrarsi a
mezz'aria, i suoi occhi sono più veloci della sua mente:
Link tende
l'arco e scocca tre frecce proprio in mezzo agli occhi della bestia.
Il
lynel si accascia al
suolo senza neppure un grido mentre Link precipita a terra.
«Link!»
È
un miracolo che
Sidon non sia rimasto schiacciato sotto il corpo enorme della bestia
accasciata al suolo cogli occhi sgranati e fissi, immobili, immane e
statuaria più ancora di quando era viva – ma
è morta, ora, e
Sidon strappa via per l'ultima volta il tridente dalla carne delle
sue spalle e si precipita nella sua direzione. «Link, stai
bene?»
La
preghiera di Mipha è
scorsa attorno a lui come acqua non appena è caduto, dolce e
penetrante a tal punto ch'egli quasi non ha provato dolore; e poi,
chissà se dolore è ancora in grado di provarne il
suo corpo. Ma
quando solleva il capo per annuire la sua risposta gli muore in gola,
perché ora che lo vede da vicino Link s'accorge che Sidon ha
una
lunga ferita che stilla sangue sul collo.
Non
ci sta nemmeno a
pensare. Sidon si è curvato su di lui per guardarlo,
appoggiato al
suo tridente insanguinato conficcato nel terreno, e istintivamente
Link protende le mani verso di lui e l'ardore di Mipha fluisce dalle
sue dita con la devozione di una preghiera.
Si
rende conto della
reale portata del suo gesto solo quando gli occhi di Sidon si
dilatano improvvisamente di stupore ed egli si ritrae di scatto, e
Link si dà dell'idiota da solo.
Non
ho mai detto a
Sidon d'aver ereditato il potere di Mipha, forse per un certo pudore
dopo averla incontrata, quel giorno, dentro Vah Ruta, come se
sentisse che quel momento doveva restare tra loro due solamente; ma
Sidon è suo fratello, e invece quel potere, esattamente come
la
Scagliadiluce e la corazza, è passato a lui. Link possiede
di Mipha
molte più cose di quante ne possieda il suo stesso fratello,
e ora
per la prima volta gli pare d'aver usurpato qualcosa.
Ritira
le mani
improvvisamente, come se nasconderle di scatto potesse cancellare
quello che è successo, e balbetta: «Mi dispiace,
Sidon. Avrei
dovuto dirtelo, non volevo tenertelo nascosto...»
«Link,
va tutto bene»
esclama Sidon ridendo, e il suo volto è di nuovo aperto e
sincero e
la sua risata spiegata, come sempre. Quell'ombra del suo volto
è
svanita così com'era apparsa. «Non preoccuparti,
va tutto bene.
Credi che non lo sapessi?»
Questa
notizia lo
lascia interdetto per un attimo, tanto che Link non può
provare che
a protestare e schermirsi ancora. «Sarebbe dovuto andare a
te.»
«Link.»
La voce di
Sidon è bassa e conciliante e non ammette repliche.
«Eri tu a
combattere per Hyrule, non io, e sei stato tu a salvare lo spirito di
Mipha...»
Il
senso di colpa che
ha provato di fronte agli occhi grandi dello spirito di Mipha e
all'ardore della sua tenerezza è stato inumano e indicibile,
per
nulla rasserenante, perché Link sapeva di
non ricordarsi di
lei e di non avere idea di chi avesse di fronte; eppure, dall'animo
di quella creatura mite e generosa che non si rendeva conto di amare
un perfetto sconosciuto, egli ha accettato senza protestare il potere
di cui ella gli faceva dono, perché in quel momento egli ne
aveva
bisogno. Ma ora che tutti i tasselli si sono
ricongiunti e
collegati nella sua mente, quel senso di colpa d'improvviso torna a
farsi più forte e più impellente ed egli non
può più reprimerlo
in nome di un bene superiore.
«Tu
sei suo fratello»
obietta debolmente. «La Scagliadiluce, la Preghiera di Mipha,
io...»
«Ascoltami,
Link...
Link!» lo interrompe ancora Sidon, ma con intransigenza, ora,
e la
sua voce è limpida e inflessibile come una diga di fronte
alla
marea. Vuole solamente calmarlo. «Io sono suo fratello, ma
non ero
io che dovevo ricevere quel dono – eri tu. Perché
questo ti turba
tanto? Link, tu a me non hai tolto niente di lei.»
Ma
non è questo che
Link sente – Link sente d'avergli usurpato un diritto ch'egli
invece non avrà mai.
«Io
non l'amavo,
Sidon» prorompe d'istinto con la forza di una mareggiata.
«Link...
lo so»
mormora Sidon piano, senza sapere perché gli sia parso tanto
importante confessarglielo. «Può darsi che lo
sapesse anche lei...
nessuno di noi si è mai aspettato che la ricambiassi. Non
eri tenuto
a farlo.»
Ma
Sidon non capisce,
non riesce a capire, non è così che stanno le
cose! Col petto
oppresso da un singulto di disperazione che pare volerlo dilacerare,
Link distoglie bruscamente lo sguardo e risponde: «Ma io
ancora non
mi ricordo di lei!»
D'un
tratto il volto di
Sidon cambia sotto la luna, e i suoi occhi stanchi, d'improvviso,
appaiono indicibilmente tristi. In questa notte sconfinata che pare
trovar fine solo nei monti e nel mare, su questo monte eternamente
silenzioso che pare esser l'unico luogo rimasto al mondo e sul quale
si fronteggiano solamente loro, come gli ultimi esseri viventi sotto
la luna, Sidon sta cercando le parole da dirgli.
«Se
io ti dicessi...
se io ti rivelassi un mio segreto molto grande e terribile, qualche
cosa che non ho rivelato mai a nessuno, tu mi ascolteresti?»
«Certo
che ti
ascolterei» balbetta Link senza capire, ma le sue parole
emergono
dolorosamente dal suo petto come un singulto strappatogli a viva
forza.
«Link,
neanche io mi
ricordo di Mipha.»
Le
sue parole sono per
lui tanto assurde e incredibili, tanto prive di significato, che Link
neppure le capisce. Non hanno senso.
«Quando
mi hanno
annunciato la sua morte ero così piccolo che quasi non
capivo. Non
ero neppure qui: per tenermi lontano dal pericolo, mio padre mi aveva
mandato sull'isola di Terrafinita col mio precettore... e quando sono
tornato a casa, sei mesi dopo, semplicemente Mipha non c'era
più, e
per l'assenza di un cadavere su cui piangere mio padre aveva eretto
una statua alla sua memoria. Non ho quasi ricordo di mia sorella
perché non abbiamo avuto molto tempo da trascorrere insieme
io e
lei, eppure tutto quello che so è che sono cresciuto
all'ombra di
quella statua, e che per me lei è stata un'assenza e
nient'altro per
gli ultimi cento anni...»
Questa
è la prima
volta che Link realizza davvero, per la prima volta, che lui non
è
l'unico reduce di quella guerra di cento anni prima ad aver perduto
ogni memoria di quanto è accaduto allora, o quasi. Che Sidon
e suo
padre e tutto il popolo degli Zora avessero perduto una sorella e una
figlia e una principessa soavemente amata lo sapeva, certo, e quel
dolore egli l'ha sempre immaginato e rispettato col cuore stretto di
compassione e vicinanza – ma che Sidon potesse averla
dimenticata
per via dell'accumularsi degli anni, questo non l'avrebbe creduto
mai, e della propria miopia ora prova vergogna e mortificazione.
«Quella
notte, quando
abbiamo parlato, sotto la statua...»
Quella
notte Sidon
parlava con la statua, e attraverso essa si rivolgeva a Mipha: Link
lo ricorda nitidamente come fosse appena il giorno precedente. Ma
quando Sidon distoglie finalmente lo sguardo dalla sagoma immane di
Ruta stagliata verso l'orizzonte e si volge verso di lui, i suoi
occhi si sono fatti grandi, enormi di dolore, e il suo sorriso
è
stanco e dolceamaro e carico di rimpianto.
«Ti
pare tanto strano
che mi manchi anche se non l'ho mai davvero conosciuta?» Non
c'è
alcun bisogno che Link risponda, allora Sidon parla ancora.
«Non è
stato come per te, certo, ma forse non è andata neppure
troppo
diversamente. Ho passato quarant'anni a domandarmi perché
fossi
stato condannato a non ricordarmi di lei eppure a non poterla
ignorare mai, perché tutta la vita del mio popolo pareva
incentrata
sul culto ossessivo della sua memoria, e persino mio padre non aveva
occhi che per la sua statua...»
«Ci
sono state notti
in cui avrei voluto che non fosse esistita mai, che non ci fosse
stata mai. Sarebbe stato tutto più semplice se Mipha non
fosse nata
e non fosse morta mai, perché non mi sarebbe mai mancata e
non
sarebbe mancata a mio padre; non avrei provato tanto rimorso quando
ho scoperto di non ricordare più la sua
espressione...»
«E
poi?» Questa
domanda gli sale alla gola più violenta e angosciata di
quanto
avrebbe creduto mai, ma in questo egli non ha più alcuna
capacità
decisionale – egli deve sapere,
perché sente che se solo
sapesse che cosa è stato di Sidon in tutti quegli anni e
come è
sopravvissuto al dolore, allora tutto diverrebbe chiaro anche a lui e
il suo dolore si attenuerebbe, finalmente. Se Sidon ha trovato la
chiave per placare questo dolore sordo e immutabile che lo accompagna
sempre, per quale motivo essa non dovrebbe salvare anche lui?
Ma
Sidon tace a lungo,
e il suo silenzio è greve e soffocante tanto che Link prova
per un
istante la tentazione di scrollarlo, di scuoterlo, incalzarlo; ma poi
la voce di Sidon riemerge dal buio, ed egli si aggrappa alle sue
parole come a una rupe sull'acqua.
«Non
c'è un e
poi, Link.
Non
veramente. È solo che a poco a poco la sua assenza si
è fatta
costante e abitudinaria, una piccola cosa da affrontare tutti i
giorni e che non avrei potuto sanare mai, e ho cercato di liberarmi
dall'influenza della sua statua e della sua memoria e di non
sentirmene oppresso e schiacciato in ogni minuto della mia vita, e
alla fine...»
«E
alla fine?» chiede
Link a bassa voce, ma senza incalzarlo più.
«E
alla fine è arrivata Ruta e tu hai salvato Mipha, e tu eri
l'unico
altro al mondo oltre a me che non si ricordava di lei e che eppure le
era tanto legato da volerla salvare. È solo che a un tratto,
quel
giorno in cui per la prima volta tu hai indossato l'armatura di Mipha
e abbiamo parlato a lungo con Morit, per la prima volta mi sono
ricordato davvero
di
lei – mi sono ricordato quando m'ingelosivo senza capire,
perché
mia sorella trascorreva tutto il suo tempo con te, e anche di come mi
permettesse di aiutarla a cucire la tua corazza senza dirmi per chi
fosse, e poi ancora di come m'insegnasse ad aiutarla senza
rimproverarmi mai; e ho ricordato il giorno in cui mi ha insegnato a
risalire le cascate...»
«Non
ricordavi nulla
di tutto ciò?» mormora Link appena, e Sidon tace
tanto a lungo
ch'egli quasi teme che non abbia udito la domanda.
«Avevo
dimenticato di ricordarlo ancora, o forse non pensavo che fosse
importante... non so. Avevo trascorso con mia sorella tanto poco
tempo, ed ero stato schiacciato per tanti anni dalla statua che
incombeva sul villaggio e dallo spettro della sua morte precoce, che
per tutta la vita non ho pensato ad altro che al fatto che lei non
c'era più, non avrei potuto parlarle o tenerle compagnia mai
più;
ed ero così angosciato al pensiero di non ricordarmi davvero
di lei,
da non essermi concentrato mai sul fatto che io avevo
tuttavia dei
ricordi
un po' lontani e nebulosi di lei e che quei ricordi appartenevano a
me solo, e in tutti quei ricordi Mipha mi amava e s'impegnava a
proteggermi – e mi ha insegnato a nuotare. A un tratto per la
prima
volta quel giorno ho finalmente realizzato che quando mio padre e
tutto il villaggio le hanno tributato quella statua non era stato
perché Mipha era morta, ma perché era
stata viva, e questo è
qualcosa che nessuno avrebbe potuto toglierci mai. È stata
la prima
volta che ho realizzato che Mipha non era stata solo una martire, e
che parlare di lei non voleva dire soltanto parlare della sua
morte...»
«Ma
il dolore è
rimasto lo stesso» mormora Link appena, con un senso di
delusione
più leggero e impalpabile dell'acqua, e appena un po'
più
soffocante. «È così, vero?»
Sidon
tace per un
istante prima di rispondere – ma in quell'istante, e questo a
Link
non può sfuggire, l'amarezza del suo sguardo si è
attenuata un po'.
«Certo,
Link. Il dolore è sempre lo stesso, e i dubbi e le angosce
rimangono
sempre. Ti chiederai sempre quale peccato tu dovessi scontare per
doverti dimenticare di lei, o se quando è morta lei sapeva
che
tu le volevi bene;
se fosse triste o disperata di dover morire o se lo avesse accettato
con la naturalezza di qualche cosa che aveva scelto e che era
inevitabile... ma quando nuoto, allora Mipha non è solamente
morta.
Capisci che la
grande differenza per me, anche se può sembrare ovvio e
implicito in
tutto quello che è accaduto, sta nel fatto che per la prima
volta
quando ti ho incontrato ho ricordato che Mipha è stata viva
per me
nel fatto d'avermi insegnato a nuotare?»
Quando
le sue parole si spengono lentamente nel silenzio, affievolendosi
nell'algido splendore grigiazzurro dell'aurora, Link lo sa
in
cuor suo che Sidon
ha ragione, che le sue parole suonano sagge e ragionevoli; che se
solo egli fosse in grado d'accontentarsi e di smetter di tormentarsi,
di trovare pace, le sue parole sarebbero più che sufficienti
per
placarlo e calmarlo. Ma se c'è qualcosa che Link ha ormai
capito di
se stesso, e che evidentemente è parte di lui esattamente
come il
suo coraggio e la sua paura, è che di tormentarsi egli non
smetterà
mai. Sidon ha ragione su tutto – Mipha è risalire
una cascata,
Mipha è la Scagliadiluce; ma Revali?
«Il
dolore è rimasto
lo stesso, però» obietta appena, per la seconda
volta, ma diretto
ormai più a se stesso che a Sidon. Non c'è
più ribellione nella
sua voce, ormai – solo la consapevolezza che non esiste
alcuna
possibilità di cambiare le cose, e che di guarigioni e
salvezze,
ormai, non ne esistono più.
Quando
Sidon parla di
nuovo, un attimo dopo, la sua voce è di nuovo immensamente
triste.
Sta guardando Ruta, e al di là di Ruta, chissà,
forse vede Mipha.
«Il dolore sì, Link... quello è ancora
lo stesso. Ancora dopo
cento anni.»
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