Come percepisco l'esistenza dopo il ricovero: innanzitutto non si tratta di una pletora di anime dantesche errabonde che graffiano smarrite l'intonaco del muro, no: sono individui in pigiami di flanella o cotone che camminano in maniera quasi cantilenante da un corridoio all'altro, da una stanza all'altra, da una persona all'altra, da un amore all'altro. I miei genitori continuano ad asserire che io non appartenga a quel luogo, ma oramai la laurea di "matta" e la suddetta nomea l'ho conseguita a pieni voti. Ma chi sono i veri matti? Sono lì dentro o là fuori, a giudicare con sguardo bieco, severo e ipocrita chi in quel luogo è dovuto finire, una sorta di orfanotrofio appositamente creato per raggruppare gli orfani dell'equilibrio, della serenità e coloro che la gioia ha finito per abbandonare? E io che sono fuori? Sono veramente uscita da lì? Posso considerarmi guarita? |