Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e
messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio
tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della
fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn,
per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a
fare.
Buona
lettura.
Capitolo IV
La principessa Eowyn
di Rohan fissava il volto amato di suo zio, re Theoden, ormai del tutto
privo di volontà, obnubilato da Saruman e dal maledetto
Grima Vermilinguo.
Lei era impazzita
dalla rabbia quando era morto suo cugino, figlio di suo zio, e il re
non aveva fatto niente per vendicarlo: non era da lui essere
così immobile e, soprattutto, non era da lui vedere quanto
la sua pupilla soffrisse e non fare nulla.
Aveva capito allora
che c’era una malia in atto.
Che qualcuno doveva
aver fatto una magia alla mente di suo zio, un tempo un uomo alto,
fisicamente attraente, forte mentalmente e un buon re amato e
rispettato da tutti.
Aveva capito che
c’era dietro Grima, perché la guardava peggio del
solito; ma pure non poteva essere solo lui: Grima era soltanto un uomo,
non uno stregone e, riflettendo attentamente, aveva compreso
che Saruman si stava immettendo nella mente di suo zio.
Solo i valar sapevano
quante volte lei e suo fratello avevano pregato perché il re
ritornasse, ma le preghiere non avevano dato seguito alcuno.
E allora ecco che la
speranza incominciava a diminuire, e a calare sempre di più
nel cuore, ormai freddo, di Eowyn.
“Sei bella,
Eowyn, bella come una mattinata di primavera.” Grima non
esitava a corteggiarla nemmeno in presenza di suo zio, a questo punto.
“Le tue
parole sono come veleno per me” sputò Eowyn
osservando schifata il traditore, alzandosi dalla sedia dove si era
seduta e andando alla finestra, seguita prontamente da Grima. Un tempo
era un consigliere saggio, che la faceva ridere quando era
più piccina per le facce buffe che faceva. Ma ormai il
potere l’aveva logorato.
“Fra poco
avrò il contratto matrimoniale firmato da tuo zio, Eowyn, e
allora nulla ti proteggerà più, nemmeno
quel guerrafondaio di tuo fratello” sghignazzò
l’ometto.
Eowyn si trattenne a
stento dal dargli uno schiaffo in pieno viso, solamente
perché erano presenti degli alti ufficiali che appoggiavano
Grima.
“Non mi
sposerò mai. Sicuramente non con te”,
sibilò la principessa fissando con sguardo algido
l’ometto.
“Allora
rimarrai sempre sola. Non amerai mai nessuno, sarà la tua
maledizione, bianca dama di Rohan.” Le parole
dell’ometto la seguirono mentre, sconvolta, Eowyn lasciava di
corsa la sala del trono. Una singola lacrima le solcò il
viso.
Avrebbe tanto voluto
fuggire, raggiungere Eomer e i suoi cavalieri e cavalcare libera con
loro, salvando popolazioni e città dagli orchetti, ma
purtroppo era una donna.
Avevano discusso, lei
e suo fratello, se farla andare con loro oppure se rimanere a Rohan e
alla fine, a malincuore, aveva dovuto cedere alle pressioni che Eomer
le faceva perché rimanesse a palazzo: non aveva mai odiato
tanto essere una donna come in quel momento.
Corse fuori e
respirò aria fresca e pulita.
Doveva essere forte
per suo zio, forte per Eomer, forte per la popolazione e, per ultimo,
anche per se stessa. Non doveva vacillare.
Il mondo era ingiusto
ma lei doveva cercare di sconfiggere gli incubi.
Sospirando
entrò di nuovo nel palazzo, nella sua gabbia ormai non
più dorata.
***
I tre compagni
cavalcavano ormai da giorni i tre cavalli che, infaticabili, non davano
segni di cedimento alcuno, quando come in sogno videro apparire
all'orizzonte il palazzo d'oro di Meduseld.
“Un grave
male sorge qui, urge decisamente il mio intervento” disse
Gandalf dando un colpetto sulle reni di Ombromanto che
galoppò, senza esitazione, verso il palazzo.
All'entrata vennero
fermati da alcuni uomini.
“Dateci le
vostre armi!” intimò un uomo barbuto, capo della
compagnia.
“Per
ordine...?” domandò Gandalf, fissandolo con i suoi
penetranti occhi grigi.
L'uomo
sembrò farsi piccolo e balbettò:
“Per... ordine di Grima, il consigliere del re.”
Gandalf non si
arrabbiò: consegnò lui stesso la spada e fece
cenno a Aragorn e a Legolas di consegnare le loro armi agli uomini.
“Trattate
bene il mio arco. È stato fatto da una persona a cui tengo
particolarmente” bisbigliò Legolas, dando l'arma
in mano a un giovane che tremò in presenza di una creatura
così leggendaria.
“Il
bastone?”, chiese nuovamente il capo delle guardie.
“Oh, suvvia,
non vorrai mica privare un vecchio del suo punto di
appoggio?” domandò ridendo con gli occhi Gandalf.
A quel punto l'uomo
dalla barba rossa sospirò e lasciò entrare i tre
compagni nel palazzo d'oro.
L'interno era semplice
ma di ottimo gusto, costatò Aragorn, e al centro
del salone si trovava un grande trono con sopra seduto un uomo: un
vecchio, con i capelli ormai bianchi e molte rughe sul viso stanco. Il
re era immerso in conversazione con un uomo più giovane, dai
capelli neri incollati al viso e occhi gelidi; alla sua destra c'era
una fanciulla dai capelli rossi e vestita di verde che stringeva le
mani del vecchio.
“Ah! Eccolo
qui.” La fredda voce dell'uomo più giovane fece
fermare Legolas e Aragorn dietro Gandalf, che guardò
l'essere.
“Gandalf,
corvotempesta. Il malaugurio è un cattivo ospite”
continuò l'ometto disgustato, fissando gli occhi grigi dello
stregone come a provocarlo.
“Voglio
parlare con il re, non di certo con te, Grima Vermilinguo”
sibilò Gandalf pericolosamente.
“So chi sei.
E so come estirparti, Saruman. Vattene, lascia questa corpo, lascia
questa casa” declamò Gandalf, e fu come essere
abbagliati da un aura di potere. Aragorn dovette chiudere gli occhi e
così anche Legolas, che si trovava vicino a lui.
Theoden
urlò parole incomprensibili, ma ecco che
l'incantesimo giungeva a termine, mentre Grima urlava e sputacchiava di
togliere il bastone allo stregone.
Legolas prese sotto la
sua custodia l'uomo, mentre il re si riprendeva e diventava
più giovane sotto gli occhi stupiti di tutti.
“Gandalf, mi
serve una spada” furono le prime parole che
pronunciò il vero re. Subito mormorii concitati si fecero
sentire, e l'uomo che aveva preso le armi a Legolas, Aragorn e Gandalf,
porse l'elsa di una spada al re.
“Questa
è la vostra arma, mio signore” mormorò
l'uomo inchinandosi e Theoden la prese sentendo una sensazione
meravigliosa su di sé: si sentì forte e vivo.
“Dov'è?”
sibilò poi, riferendosi a Grima. Lo vide inchiodato a terra
da Legolas, che capì e lasciò l'uomo al suo
destino.
L'ometto si mosse
carponi verso l'uscita del palazzo. Il re gli andò incontro
sfoggiando sul viso un'espressione crudele. Puntò la spada
sulla gola di Grima Vermilinguo che iniziò a borbottare.
“Mio
signore, no. Non uccidetelo.” disse Aragorn, colpito dalle
sue stesse parole.
“Chi sei tu?
Chi sei tu per dirmi cosa devo fare?” domandò il
re fissando gli occhi su Aragorn.
“Il mio nome
è Aragorn, figlio di Arathorn, e vi ordino di fermarvi,
vostra maestà.” Le parole uscirono dalla bocca di
Aragorn senza che egli le potesse controllare. Poi, fissando la dama
vestita di verde che li aveva seguiti fuori dal palazzo, e che sembrava
ancora più bella alla luce del sole, bella come una
primavera, inspirò forte dal naso e aggiunse:
“Avete già sofferto troppo, mio signore, a causa
sua. Risparmiatelo.”
Theoden lo
fissò a lungo con sconcerto prima di abbassare la spada.
“Vai
e non farti più vedere. Se ritornerai, la mia mano non
sarà più piegata.” sibilò il
re rivolto a Grima che, dopo aver sputato sui piedi di Aragorn,
fuggì.
***
Frodo e Sam seguivano
abbastanza fiduciosi la loro nuova guida per Mordor. Per i piccoli
hobbit abituati al verde della Contea quel luogo pareva tutto grigio e
uniforme, eppure riuscivano a trovare cose belle anche lì,
specialmente Sam, che si incantava davanti a ogni cosa.
“Guardi quel masso, padron Frodo, non è
perfetto?”
“Forza Sam,
dobbiamo seguire Eliean.” borbottò piano Frodo.
L'hobbit si stava
decisamente affezionando alla figura silenziosa della loro
accompagnatrice. Non parlava molto, Eliean –
così aveva detto loro di chiamarsi – ma era
proprio quel silenzio che a Frodo serviva: il piccolo hobbit aveva un
peso sul cuore dovuto all'anello, che si stava facendo sempre
più potente man mano che si avvicinava al suo padrone, e
quindi avere qualcuno di silenzioso, ma che gli era simpatico, era una
bella sensazione.
“Guardate”
bisbigliò Eliean e li portò vicino a un burrone.
Sotto di loro marciava
una lunga fila di cavalieri, alcuni a piedi, altri su cavalli imponenti
e altri ancora invece su elefanti dalla doppia proboscide.
Gli uomini erano
bellissimi, indossavano vesti rosse e oro, avevano gioielli al viso e i
loro occhi erano scuri e crudeli.
“Quelli sono
Olifanti” bisbigliò eccitato Sam all'orecchio di
Frodo. “Se il vecchio Gaffiere lo sapesse, che li abbiamo
visti.”
Il portatore
dell'anello ridacchiò.
La donna
sibilò rudemente e Frodo si voltò verso di lei
per chiedere spiegazioni.
“Vuol dire
che non possiamo andare per la via che avevo pensato... No! Dobbiamo
per forza andare per l'altra strada, anche se è
più pericolosa e tortuosa. Ve la sentite, giovani
hobbit?” domandò fissando i due suoi nuovi amici.
Frodo
sospirò. “Se ci conduce al nero cancello, non
possiamo fare altro che seguirvi.”
La donna
annuì e prese a camminare con i due hobbit che la seguivano,
piano e attenti a non farsi male.
Note.
Buonsalve,
è da tantissimo che non aggiorno, lo so, mea culpa, mea
grandissima culpa; avevo perso letteralmente l'ispirazione, poi
però trovata nuovamente. (: spero vivamente che ci sia
ancora qualcuno fra queste lande (?) perchè adesso la storia
inizia a entrare nel vivo della narrazzione; perdonatemi se non ho
inserito subito Boromir e Indil, ma il prossimo capitolo capiterete
cosa gli sta per succedere. E vi dico già che non
è bello. Io amo far soffrire i miei pg, veramente. Fatemi
sapere che ne pensate di questo, con una bella recensione.
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