Ehilà
a tutti
(Tanto per restare in tema)!
Il capitolo che vi
apprestate a leggere è ambientato in uno dei giorni
immediatamente
successivi ai fatti accaduti nell'ultimo capitolo di "Downpour".
Probabile che chi è capitato qui lo abbia già
letto e dunque io stia
dicendo un'ovvietà, ma nel dubbio...
Comunque buona lettura :)
Say
"Ehilà" To The Family- parte terza
(Eredità)
Vestita
con una semplice t-shirt, i capelli rossi sciolti e
l’espressione tranquilla quanto soddisfatta, Ember
pensò che la vita finalmente
stesse iniziando a girare nel verso giusto.
Mentre
annusava l’infuso caldo che aveva preparato, chiuse
gli occhi e ascoltò il rumore dell’acqua che
scorreva in bagno. Jiren a breve avrebbe
finito di fare la doccia.
“La
prossima volta la faremo insieme di nuovo”
pensò la
ragazza.
In quei giorni
erano usciti dalla camera da letto solo per
andare in bagno o in cucina, e anche in quei casi spesso lo avevano
fatto
insieme, finendo per fare anche lì quel che avevano fatto in
camera. Stavano
recuperando tutto quel che non c’era stato fino a quel
momento, il che per entrambi
era fantastico.
Sorrise e,
avendo deciso di bere l’infuso sul divano, lo
raggiunse con tutta la calma del mondo.
«Ehilà!»
Una calma che
si distrusse una volta che Ember si rese conto
di non essere sola in quella stanza, al punto da cacciare un breve
strillo e
lasciar cadere la tazza mug dalle mani.
«Tazza
salva!» esclamò Eve afferrandola
al volo «Buonasera, nighean
ùr.
Finalmente ci incontriamo di
nuovo».
«M-ma
come ma cosa m-ma non-» farfugliò
Ember, facendo a
malapena caso al rumore della porta del bagno che veniva quasi
strappata dai
cardini.
«EMBER!»
tuonò
Jiren, allarmato per averla sentita strillare «Cosa
succ…»
Ammutolì
con rapidità vedendo che quanto era
successo non
era tanto un “cosa”, se mai un
“chi”.
«Armamenti
notevoli, asal
deas»
commentò l’intrusa,
allargando leggermente il sorriso.
Eve Hallows,
la strana, bizzarra e assurda madre di Ember
era tornata, era lì in casa.
E lui non era
solo bagnato, era anche nudo.
Non che avesse
alcunché di cui vergognarsi, eppure
percepì
in modo chiaro e fastidioso la nascita e la crescita del rossore sulle
proprie
gote, e le mani scattarono in modo automatico a coprire le pudenda
bellamente
esposte.
«Va
tutto bene, Jiren, è solo che,
ecco… abbiamo visite»
disse Ember che, appena riavutasi dallo stupore, fu svelta ad afferrare
il
plaid sopra il divano e portarlo al compagno. Un plaid era sempre
meglio di
niente -e anche meglio delle mani.
«Sì,
questo l’ho notato»
borbottò il Grigio con voce tetra
mentre avvolgeva il plaid attorno ai fianchi.
«Io
e Finnan siamo qui in città da qualche giorno,
infatti
questa non è la prima volta che io, o entrambi, abbiamo
provato a venire qui»
disse Eve, avvicinandosi a Ember per restituirle la mug «Solo
che le altre
volte stavate venendo anche voi!»
Ambedue gli
interessati -semplicemente arrossita una, rosso
ormai tendente quasi al violaceo l’altro- si coprirono il
volto con una mano.
«Quindi
mi sono detta che magari non era il caso.
Già, forse
dovrei cambiare soprannome e iniziare a chiamarti “mac-chèile”»
disse, più tra sé e sé che altro,
guardando Jiren.
«Sono
contenta di rivederti, Eve,
però...» “Però potevi
avvertire prima, o almeno entrare dalla porta dopo aver bussato o
suonato il
campanello” pensò Ember
«Eh… come sei
entrata? Le finestre sono chiuse quindi hai, non so, scassinato la
porta?» le
chiese scherzando, nel tentativo di allentare un po’sia la
propria tensione,
sia quella del Grigio.
«Naaah»
rispose la donna «Ormai conosco
bene il posto, non
ho bisogno di porte e finestre per entrare. Allora, che programmi avete
per
stasera?»
«Avevamo
in programma di stare da soli. Come le altre
sere»
disse Jiren, col chiaro sottinteso “Quindi tu, madre della
mia compagna o no,
ora togliti di torno”.
«Difatti
i vostri amici cominciano a chiedersi che fine
abbiate
fatto. O meglio, gli amici di Ember» si corresse Eve
«I quali in realtà la fine
che avete fatto la immaginano benissimo ma questo è solo un
dettaglio».
«Un
motivo in più per lasciarci in pace»
brontolò il Grigio,
lasciandosi perfino andare a uno sbuffo nervoso sentendo bussare alla
porta.
In casa
c’era già una persona di troppo e,
poiché chiunque
stesse bussando alla porta sembrava non aver voglia di desistere, si
decise ad
aprire e affrontarlo per stroncare sul nascere qualsiasi altra fonte di
disturbo.
«Ehilà!»
lo salutò Finnan,
sorridendo allegramente, quando
lui aprì la porta «Ho perso mia madre, non
è che-»
Il Pride
Trooper chiuse la porta di scatto. Se non fosse
stato completamente glabro, ogni pelo sul suo corpo a quel punto si
sarebbe
drizzato: era proprio vero che le disgrazie non arrivavano mai da sole.
«Ehilà
Finn!...» esclamò
Hallows, avendo sentito chiaramente
la voce del figlio «Sono qui!»
Da fuori della
porta si sentì un sospiro. «Ma non
avevamo
deciso di venire a trovarli insieme? Magari entrando dalla porta e
bussando,
prima?»
«Finnan
prima di entrare bussa sempre. È
educato» disse Eve
a Ember, come se fosse stata una cosa speciale conoscere almeno un vago
accenno
di norme sociali.
«A
beh… meglio così, no?»
Ember si
grattò la testa e dopo aver scambiato
un’occhiata
con Jiren -il quale sembrava un po’abbattuto oltre che
innervosito- entrambi si
arresero all’idea che per quella sera avrebbero avuto
compagnia.
Non che le
dispiacesse l’idea di trascorrere un
po’di tempo
con la famiglia, anche per la genuina curiosità causata
dall’alone di mistero
che quella parte di essa aveva attorno, però a certi arrivi
improvvisi
direttamente in casa era tutt’altro che abituata.
Jiren,
maledicendo il fatto di non poter prendere a pedate i
familiari della propria compagna, riaprì la porta con
un’espressione che
avrebbe portato chiunque a svignarsela più in fretta
possibile.
Chiunque
eccetto Finnan, che sorrideva ancora.
«È
permesso?»
Il Grigio si
limitò ad annuire e chiudere la porta alle
spalle del ragazzo quando questi fu entrato.
«Sono
contento di rivedervi. Bel vestito» disse a
Jiren.
«È
un plaid» bofonchiò questi.
«Bel
plaid!»
Jiren strinse
le labbra in una leggera smorfia
d’irritazione. La sensazione che il fratello di Ember lo
stesse prendendo per i
fondelli era tutt’altro che andata via. Se non fossero stati
parenti della sua
compagna probabilmente avrebbe sbattuto entrambi fuori
dall’appartamento con un
movimento delle palpebre -e chi se ne importava dei muri rotti, ne
sarebbe
valsa la pena.
«E
comunque mi sa che la doccia è ancora
aperta» osservò
Ember «Vado a-»
«Vado
io» la precedette il Grigio, volendo
approfittare
dell’occasione sia per rivestirsi, sia per darsi una calmata.
Capendo cosa
gli passava per la testa Ember non glielo
impedì, rivolgendosi invece ai due ospiti a sorpresa.
«Bene, allora… immagino
che la caccia ai fantasmi sia finita, sbaglio?» chiese loro,
ricordandosi di
quanto detto da Finnan nel loro ultimo incontro.
«Aye, wumman»
annuì Eve «Almeno dalle nostre parti.
Quest’anno è stata lunga, un
po’perché
erano abbastanza bastardi…»
«E
un po’per colpa mia che l’ho
rallentata. Eve mi fa fare
pratica» spiegò Finnan alla sorella «Ho
cominciato ad aiutarla solo da quando
ho saputo che sono suo figlio e tutto il resto. Prima non avrei potuto,
non
avevo gli strumenti giusti».
Seppur
leggermente sorpresa dalla naturalezza con cui era
stato tirato in ballo il discorso “figlio
nascosto”, Ember decise di
assecondare la propria curiosità riguardo il resto.
«Quali strumenti si usano
per la caccia ai fanta… smi?»
In mano a Eve
era comparsa una claymore che fino a un attimo
prima non c’era.
Borselli
magici, mele d’oro, cambi di forma, spade che
comparivano
di botto!
Non era poi
tanto più assurdo di tutto il resto delle cose
con cui aveva a che fare più o meno quotidianamente,
però in quel caso le
facevano i suoi parenti e, al di là della stranezza, non
poteva fare a meno di
chiedersi una cosa: “Davvero non sono in grado di farlo anche
io?”
«Io
ho questa» disse Hallows «Finnan
invece ha un’arma
diversa».
«In
ben due versioni» aggiunse il ragazzo.
«Solitamente
quelli come me, quelli della mia razza,
possiedono una singola arma che mantiene sempre la stessa
forma» continuò Eve «Tuo
fratello però è un caso particolare
già per il solo fatto di essere nato. Prima
di lui io credevo che la mia razza fosse semplicemente sterile,
sai?»
«E
comunque, Ember, solo di recente abbiamo capito di
preciso quanto
ho
ereditato da
lei,
ossia quando ho ottenuto gli armamenti…»
«Quelli
del ragazzone grigio sono tali che non mi stupirebbe
se ricacciassero i fantasmi da dove sono venuti a suon di complessi di
inferiorità» commentò Eve, col suo
sorriso disagiato «A proposito, nighean
ùr,
complimenti per la scelta!»
«…per
la caccia ai fantasmi»
proseguì Finnan, ignorando la
madre.
«Non
che abbia tutta questa fretta di infilarmi in una
caccia ai fantasmi, però se tu hai avuto tutto questo di
recente c’è la
possibilità che un giorno anche io mi svegli con la
capacità di diventare un
animale e di volare? E tiri fuori un’arma dalle
mani?»
«Se
dovesse succedere non sarà in un giorno e in
un modo a
caso, non credo che sia possibile, soprattutto per te che di base non
hai
abilità particolari. Al di là delle ultime
novità, io sono sempre stato un
mutaforma… e il resto è venuto fuori
all’improvviso, sì, ma non svegliandomi
una mattina» rispose Finnan «Anche se
l’avrei preferito».
«Lo
avremmo preferito tutti e due, Finn» disse Eve,
curiosamente senza sorridere.
Il ragazzo si
voltò a guardarla. «Quel che
è successo non
può ripetersi, mamma. Lo sai».
«Vero».
Ember avrebbe
voluto chiedere ulteriori delucidazioni ma
venne distratta da ritorno di Jiren.
Se
l’era presa comoda ma ora era sia vestito, sia un
po’più
calmo.
«Direi
che tu sia pronto per uscire, mac-chèile!»
osservò Eve «Perfetto direi. Invitarvi a uscire
tutti
insieme in fin dei conti era quello che avevamo progettato di
fare».
«Quello
che avevate progettato voi»
ribatté Jiren.
«Però
forse non è una cattiva idea. Non
è un male fare
qualcosa di diverso ogni tanto, e poi potrebbe essere un modo per
conoscerci
tutti un po’meglio» disse Ember.
L’espressione
del Grigio divenne leggermente perplessa.
«Dunque tu vuoi farlo?»
La ragazza
annuì. «Vado a vestirmi
anch’io. Ci metterò poco».
Guardandola
sparire nel corridoio, Jiren si chiese cosa
potesse averla spinta a cambiare idea, dal momento che prima sembrava
aver
voglia quanto lui di stare in compagnia di altre persone. Forse aveva
fatto un
errore a non ascoltare la conversazione quando si era allontanato.
In ogni caso
se Ember aveva deciso così doveva avere
sicuramente dei buoni motivi e lui, che di quei due mutaforma non si
fidava,
l’avrebbe seguita per assicurarsi che non succedesse niente
di inappropriato.
«Io
non so perché siete venuti qui»
disse il Grigio «Non so
cosa siete né so cosa volete da Ember… ma se
farete qualcosa che non mi piacerà,
piacerà ancora meno a voi».
Eve
sollevò il pollice destro in segno di approvazione.
«Sono
contenta che Ember abbia trovato qualcuno tanto determinato a
proteggerla. Non
dubito che sappia badare a se stessa ma questa città non
è precisamente il
posto più tranquillo dell’universo. A dirla tutta
spero che riesca ad andarsene
di qui in fretta. Però ti dico questo, mac-chèile:
io e Finnan non siamo nemici. Siamo solo parte della famiglia. Vorremmo
conoscere meglio Ember e che lei conosca meglio noi. Nulla di
pericoloso, ti
pare?»
«Sarò
io a valutarlo».
Seguì
una pausa di silenzio.
«Sì
però quel plaid dove
l’hai comprato?» chiese Finnan al
Pride Trooper «Mi piace assai».
«Eccomi!»
annunciò Ember, tornata appena
in tempo da evitare
a Jiren di rispondere «Dove andiamo di bello?»
«In
questi giorni io e ma’ abbiamo trovato un paio
di locali
carini in questo blocco» disse Finnan «Quindi se
non avete in mente altro
avevamo pensato di andare lì».
Ember
annuì. «A me va bene. A te, Jiren?»
Rassegnato, lo
zetano rispose affermativamente con un breve
cenno del capo.
«In
uno di quei bar ho anche ritrovato uno con cui ero stata
a letto qualche tempo fa!... a detta sua mi aveva anche rincontrata di
recente,
ma mi sa che ha leggermente sbagliato persona perché io al
Red Ribbon non ho
mai ballato» osservò Eve, pensierosa.
«Quindi
quella specie di grosso gatto viola antropomorfo
ubriaco cercava te!» allibì Ember.
“Appunto.
Possono dire quel che vogliono ma per me questi
qui sono venuti solo a portare problemi” pensò
Jiren.
***
«“I knew I loved you before I met you! I
think I dreamed you into liiiife! I knew I loved you before I met you,
I have
been waiting all my liiife!”»
Il Blocco C
era pieno di locali notturni, dunque non era poi
così strano che l’allegro -più o meno-
gruppetto, dopo averne girati un po’, si
fosse fermato in uno abbastanza carino in cui c’era una
serata dedicata al
karaoke.
Così
come non era troppo strana la voglia di morire o di
uccidere qualcuno da parte di Jiren, ora che Finnan era arrivato alla
terza
canzone.
«È
piuttosto bravo» commentò
Ember, giocherellando con
l’ombrellino del suo cocktail «In questa canzone in
particolare sta mettendo
proprio impegno!»
La serata fino
a quel momento era stata piacevole
-eccettuato il muso lungo del suo compagno, per il quale tuttavia non
lo
biasimava- ma nonostante le chiacchiere, che non erano mancate,
non era riuscita ad avere
informazioni in più
su ciò che le interessava in particolar modo.
Non era
riuscita ad attraversare l’alone di mistero che i
suoi familiari si portavano dietro, e la mancata riuscita dei suoi
intenti le
stava facendo venire voglia di fumarsi almeno una sigaretta.
«Ovvio
che ci mette impegno» rise Eve
«Finnan ha trovato la
ragazza giusta e questa è la loro canzone».
«L’altra
volta ora che ci penso mi aveva accennato
qualcosa di
lei mentre comprava quell’uovo con la faccia
inquietante» ricordò Ember.
«Posso
affermare con tranquillità che entrambi i
miei figli
si sono accompagnati bene, anche se il tuo uomo parla ben poco! A
proposito» si
rivolse a Jiren «Ti offro qualcosa di un po’meno
analcolico? Ho cambiato
parecchie mele».
«No.
Grazie» declinò il Grigio.
«Eh,
a proposito delle mele avrei qualche domanda da farti.
Tipo, da dove vengono?» chiese Ember a Eve, cogliendo la
palla al balzo.
«Dagli
alberi, nighean
ùr,
come tutte le mele!»
«Io
però non ho mai visto alberi che fanno mele di
quel
tipo» ribatté la ragazza.
«Vero,
non li hai visti… ancora».
Niente da
fare, nessun indizio o frase rivelatrice in più,
nemmeno a pagarla con tutte le mele d’oro del mondo.
Erano
usciti insieme
per conoscersi un po’ meglio, giusto? Eppure, nonostante tra
una chiacchiera e
l’altra Finnan e Eve ormai sapessero molto della sua vita a
Dima -e anche
qualcosa di quella su Amazon, anche se lei aveva evitato accuratamente
di
parlare di quel che l’aveva portata a lasciare il pianeta-
lei non poteva dire
di sapere granché della loro vita attuale.
Non sapeva
neppure quanti anni avessero, a dirla tutta, ed
era impossibile riuscire a stabilirla dal loro aspetto fisico: varie
persone
più o meno lucide avevano scambiato Eve per lei,
però sua madre non poteva
certo avere venticinque o trent’anni, e iniziava a chiedersi
se per Finnan
valesse lo stesso discorso.
«Vado
un attimo in bagno» disse, piano, per poi
alzarsi e
allontanarsi rapidamente.
Circa un
minuto dopo la canzone terminò, e Finnan si decise
a scendere dal palco. «Ehi Jiren, ti andrebbe di fare un
duetto?»
«No.
Grazie» rispose questi, con la frase che aveva
usato
più spesso nel corso della serata.
«Un
terzetto?»
«No.
Grazie».
«Sai,
mi ricordi un po’una ex di mia madre. Alla
fine ero
riuscito a entrare abbastanza in confidenza da poterci scambiare due
chiacchiere, immagino che con te sarà più o meno
lo stesso. È solo questione di
tempo» attirò l’attenzione di una
cameriera con un cenno «Una birra scura, per
favore».
«Forse
tra duecento o trecento anni» rispose il
Grigio.
Finnan fece
spallucce. «Va benissimo, io ci sarò!
A
proposito di gente che c’è e non
c’è, che fine hanno fatto Ember e
ma’?»
«Tua
madre è-»
Il Pride
Trooper stava per dire “è qui, non la
vedi?” ma non
poté completare la frase perché, di fatto, di Eve
Hallows non c’era traccia.
«Immagino
che siano andate in bagno»
ipotizzò Finnan, appena
dopo aver accolto con un sorriso e un “grazie” il
boccale di birra scura «Perché
ti sei alzato? Non vorrai seguire Ember anche lì?»
Jiren non
rispose, ma l’intenzione era proprio quella. Non
capiva il motivo di quell’atteggiamento e non gli piaceva
nemmeno. Se quella
strana donna doveva dire a Ember qualcosa di veramente innocuo, avrebbe
potuto
farlo anche davanti a lui.
«Che
tu voglia proteggerla è una buona cosa, ne
sei
innamorato… e infatti magari dovrei dire a mio padre che non
c’è più bisogno di
aiuto» disse tra sé e sé «Ma
anche lasciare sole almeno per qualche minuto una
madre e una figlia che si incontrano per la seconda volta nella loro
vita lo è.
Quando ti abbiamo detto che non vogliamo fare del male a mia sorella
era la
verità. So che sei diffidente ma non mi sembra il caso di
fare danni anche in
questo locale, sebbene al Red Ribbon non abbia iniziato tu»
concesse il
ragazzo.
«Non
mi fido di chi compare in casa mia dal nulla».
Finnan
alzò gli occhi al soffitto. «E come darti
torto? Io
glielo avevo detto, che avrebbe fatto meglio a…
bussare…»
Inizialmente
lo sguardo di Finnan si fissò su un punto
preciso del soffitto, poi iniziò a spostarsi lentamente in
direzione della
porta d’ingresso del locale.
Notata quella
stranezza, Jiren sollevò lo sguardo a sua
volta, trovandosi a osservare quello che sembrava in tutto e per tutto
un
ectoplasma di un alieno non meglio identificato con una voluminosissima
pancia
da birra e wurstel con ketchup.
Pur sapendo
dell’esistenza dei fantasmi, era la prima volta
che ne vedeva uno dal vivo.
«A
quanto pare da queste parti è ancora stagione
di caccia.
Jiren, immagino che buona parte della tua diffidenza derivi dal fatto
che ci
conosci poco, quindi ti andrebbe di vedere come si caccia un fantasma?
Anche se
questo non sarebbe territorio di competenza mia o di Eve»
mormorò Finnan «Ma
spero che chi di dovere non se la prenda troppo se gli alleggerisco il
lavoro.
E magari resta un po’ a distanza, non vorrei che il fantasma
tenti di possederti».
«È
questo che fanno i fantasmi? Possiedono i
vivi?» si
informò il Grigio, suo malgrado interessato trattandosi di
un potenziale
pericolo.
«Spesso
ci provano. A volte, se ci riescono con la persona
sbagliata, diventano una rottura di scatole, soprattutto
perché possono essere
rispediti da dove sono venuti solo con strumenti particolari»
spiegò Finnan,
alzandosi dopo aver finito la birra scura con un sorso «Vado
a pagare il conto,
tu non perderlo d’occhio».
***
Ember, dopo
aver asciugato le mani con un sospiro, alzò gli
occhi sullo specchio sopra il lavandino, rendendosi conto soltanto in
quel
momento di non essere più sola.
«Ehilà
di nuovo».
Dopo un breve
sobbalzo, la ragazza si voltò verso la madre.
«Un altro arrivo a sorpresa?»
«Stavolta
sono entrata normalmente. Tutto a posto, nighean ùr?»
«Sì,
è… anzi, no»
si corresse Ember «Non proprio».
«Possiamo
cambiare locale, se vuoi».
«Non
è per il locale, del locale non mi importa.
Senti, tu e
Finnan siete venuti qui così che potessimo conoscerci e
passare del tempo
insieme, così avete detto. Giusto?»
Eve
annuì. «Infatti quel che stiamo
facendo».
«Più
o meno. Tu e Finnan ormai conoscete piuttosto
bene la mia
vita attuale, anche perché quand’è al
dunque non c’è poi così tanto da
dire…»
«Considerando
le frequentazioni del tuo ragazzo avrei da
ridire su questo punto» commentò Eve, sorridendo
come suo solito.
«…
ma io di te e Finnan so ancora ben poco!
Io… sì, so che
questa è solo la seconda volta che ci incontriamo, so che
per certe cose serve
del tempo, mi rendo conto, sul serio, ma in queste poche volte in cui
ci siamo
visti avete messo un sacco di carne al fuoco su cose che in futuro
forse, non
si sa quando, potrebbero riguardare anche me, e ho avuto più
domande che
risposte. Anch’io voglio davvero conoscervi ma come faccio,
se parlate per
enigmi?»
Per qualche
attimo nessuna delle due disse niente.
«Anche
se non ho cresciuto Finnan l’ho sempre
frequentato,
tant’è che si è abituato a tutto questo
e a
me
da quando era molto piccolo» disse Eve
«Di solito mi importa poco e
niente di quello che chiunque pensa o sa della sottoscritta, quindi non
so bene
come approcciarmi a una figlia adulta per la quale ovviamente non vale
lo
stesso discorso. È una situazione nuova per te, per tuo
fratello e anche per
me. E comunque ci sono cose che vanno dette nel momento e nel luogo
giusto» si
guardò attorno «O beh… posso sempre
farmelo andare bene, per mostrarti
qualcosa».
Le luci del
bagno persero rapidamente energia, al punto di
spegnersi dopo pochi istanti.
«Non
correre via urlando, nighean
ùr».
Inizialmente
Ember, ancora leggermente scossa dal buio
improvviso, non capì neppure a cosa si riferisse Eve; quando
però notò di avere
attorno dei piccoli esseri che sembravano fuocherelli azzurri muniti di
braccine, occhi e sorriso vagamente inquietante, il primissimo istinto
fu
proprio quello di correre via urlando.
«C-chi
sono?!...»
«Io
li chiamo Willies. Sono stati generati da quel che ha
generato anche me e tutti quelli della mia razza. Mi hanno assistita
durante la
crescita -perché sì, diverso tempo fa sono stata
piccola anche io- e mi
assistono ancora in alcune cose, tipo la caccia ai fantasmi o il
semplice
ritorno a casa. Non ti vogliono fare del male» la
rassicurò Eve, allungando una
mano sulla quale andò subito a posarsi un fuocherello.
Ember fece un
respiro profondo e, preso coraggio, allungò
una mano per toccare l’esserino. Questi parve esserne
contento, al punto da abbracciarle
l’indice. Non le face male, Ember avvertì solo una
vaga sensazione di calore e
di “vicinanza”, in senso fisico e non.
Improvvisamente
quei fuocherelli non facevano più
così tanta
impressione.
A guardarli
bene iniziavano quasi a essere familiari.
«Sono
parte dell’eredità di tuo fratello
e anche della tua;
non so ancora in che misura ma, essendo tu una ragazza perfettamente
normale,
scoprirlo è inevitabile. Magari più tardi
possibile».
«Tra
quel che hai detto e il fatto che tu e Finnan diate la
caccia a qualcosa che dovrebbe stare nell’oltretomba, inizio
a chiedermi dove sia
“casa”. E anche come sia».
«Vicino
a casa c’è un bel frutteto di
mele» sorrise Eve
«Posso fartela visitare quando vuoi, come ho fatto con tuo
fratello. Quando
vorrai vederla potrai anche chiedere a Jiren di seguirci…
non che sia
necessario, perché immagino che cercherebbe di farlo a
prescindere. A dirla
tutta sono stupita che non sia ancora piombato qui sfondando la
parete».
La luce
tornò di colpo come se n’era andata, e
com’era
scomparso il buio scomparvero anche gli Willies.
«E a
tal proposito direi di tornare dai ragazzi. Non vorrei
che Finnan chieda al tuo uomo qualcos’altro sul
plaid!»
«Se
lo facesse mi sa che Jiren finirebbe a distruggere il
locale per sbaglio» disse Ember, uscendo dal bagno assieme
alla madre.
Con sua somma
sorpresa, trovarono il tavolo vuoto.
«Sono
usciti dal locale qualche minuto fa dopo aver pagato
il conto» le informò la cameriera di prima
«Uno dei due aveva la faccia di chi
ha visto un fantasma».
«Il
che è molto probabile. Credo che qui sia
ancora stagione
di caccia» commentò Eve, per poi farle cenno di
avvicinarsi di più «Ho visto il
biglietto che mi hai messo in tasca. Non posso dire che ti
chiamerò perché come
al solito non ho la più pallida idea di dove sia andato a
finire il mio
cellulare, ma rimarrò in città ancora per un
po’, dunque sicuramente ripasso!»
***
L’espressione
di Jiren diceva chiaramente cosa pensava
più
di quanto avrebbero potuto fare mille parole.
«Torna quiiiii!»
Il fratello di
Ember aveva parlato della caccia ai fantasmi
dipingendola come una cosa piuttosto seria, al punto che lui stesso era
uscito
dal locale per guardarlo fronteggiare la possibile minaccia, tenendosi
anche un
po’ a distanza come Finnan gli aveva consigliato.
«Ma
anche no! Io volevo solo tornare nel mio locale
preferito ancora una volta, non volevo fare niente di male!»
Insomma, si
sarebbe aspettato qualcosa più di un
inseguimento che Finnan -probabilmente dopo aver capito che quel
fantasma in
particolare non aveva chissà che brutte intenzioni- non
sembrava nemmeno
prendere troppo sul serio.
O
così suggeriva il fatto che stesse correndo dietro lo
spettro
brandendo una grossa gruccia che, a detta sua, era la seconda
variazione della
sua arma anti fantasmi.
«E
comunque questo non è il tuo territorio, non è la
prima
volta che esco e le altre volte non sei stato tu a rispedirmi dentro! LASCIAMI IN PACEEEEE!» urlò
il
fantasma, lanciando due cassonetti contro il suo inseguitore.
«Non
oggi!» esclamò Finnan, facendo
diventare la gruccia una
grossa spada-motosega a due mani -degna dei film di
“Sharknado”- con la quale
tagliò in due entrambi i cassonetti «Visto,
Jiren?!»
Sì,
ovviamente il Grigio aveva visto.
E altrettanto
ovviamente si stava chiedendo cosa avesse
fatto di tanto male in questa vita, o forse in una vita precedente, per
ritrovarsi in una situazione così profondamente scema.
«Jiren!»
Lo zetano
volse lo sguardo alla propria sinistra e, vedendo
Ember arrivare assieme a Eve, non poté evitare di biasimare
se stesso per aver
scelto di assistere a una caccia inutile. Se non altro la sua compagna
sembrava
piuttosto tranquilla, pur essendo stata da sola con la madre, il che
era un
sollievo.
«Ember.
È tutto a posto?» le chiese
subito.
«Sì,
va tutto bene» “E
avrò diverse cose da raccontargli,
dopo” aggiunse mentalmente la giovane «Che state
facendo tu e Finnan qui
fuori?»
«ALL’ARREMBAGGIO!»
gridò entusiasticamente Finnan, tornato a brandire la
gruccia, cercando di
saltare addosso al fantasma panzone.
«Si
diverte con un fantasma, direi»
osservò Eve.
«Quindi
quella cosa sarebbe un fantasma?» si
stupì Ember.
«Sì,
ma direi che
questo sia piuttosto innocuo. In caso contrario Finn
l’avrebbe già rispedito
dove deve stare».
“In
ogni caso sarebbe apprezzabile
se tuo figlio lo facesse in tempi brevi”.
Ember e Jiren
sobbalzarono entrambi nel sentire una voce
sconosciuta e metallica dentro le loro teste, mentre Eve si
limitò a spostare
lo sguardo su un vicolo buio. «Ehilà,
Vaen!» esclamò, salutando con la mano.
Dall’ombra
fuoriuscì una donna
tanto alta quanto magra, con un abito nero a
coprire una pelle che sembrava biancastra. Era del tutto glabra, priva
di ogni
tratto facciale esclusi due occhi gialli grandi come acini
d’uva, rotondi e ben
distanziati, e stava ricambiando il saluto di Eve con uno identico,
agitando
una mano munita di sole quattro dita. Una sfera delle dimensioni di
un’arancia,
inoltre, la seguiva fluttuandole accanto.
Jiren
pensò che a guardarla sembrava in tutto e per tutto
un’abitante di un piccolo pianeta vicino, conosciuto
semplicemente col nome
V12… ma era una conoscente di Eve, il che non prometteva
niente di buono.
“Ehilà,
Eve Hallows.
Tu e tuo figlio siete piuttosto lontani dal vostro
territorio”.
Era una figura
piuttosto inquietante, tanto che Ember senza
nemmeno rendersene conto si avvicinò ulteriormente a Jiren,
sperando di non
dover vedere una lotta tra cacciatori di fantasmi -aveva parlato di
territorio,
come aveva fatto Finnan prima, dunque era probabilmente una collega-
causata da
uno sconfinamento.
“È
curioso vedervi
qui”
continuò l’aliena, senza avvicinarsi ulteriormente.
Finnan, dal
canto suo, si decise a finire il fantasma
panzone con un fendente della propria arma, tornata nuovamente a essere
una
spada-motosega. «Ehilà!»
salutò «Noi siamo solo in visita».
Seppur
immobile, Jiren si stava preparando a rispondere a
qualsiasi attacco in modo drastico. Non che temesse alcunché
da parte quella
tizia, non era nulla che non potesse gestire, ma essendo presente Ember
intendeva stroncare qualsiasi cosa sul nascere.
«Questioni
personali. Direi di famiglia» disse Eve.
Lo sguardo
fisso di Vaen cadde su Ember e lì rimase. “Sei piena
di sorprese anche per i nostri
standard, Eve Hallows”.
«Sì»
concordò questa, col suo
sorriso inquietante «Sono
piena di sorprese anche per me stessa, se è per
questo».
“Non ne
dubito”
disse l’aliena, per poi tornare a sparire
nell’ombra del vicolo, così com’era
apparsa “Il
tuo amico zetano
comunque ha
le chiappe d’oro”.
Eve rise di
gusto. «L’abbiamo notato
tutti!»
Dopo
ciò, silenzio.
«Credo
che sia andata» disse Finnan.
«Chi
era quella?» domandò Ember
«Una… collega?»
«Esatto»
confermò Hallows «Si
chiama Vaen e questo, quand’è
stagione, è il suo territorio di caccia. Lei è
della mia razza».
«Menti.
Lei è un’abitante del pianeta
V12. Tu no» la
contraddisse il Grigio.
«Io
non mento mai, mac-chèile.
Anche perché…» fece spallucce
«Non posso».
«Se
non vi spiace vorrei tornare a casa. Mi sento piuttosto
stanca» disse Ember, per la gioia di Jiren che non vedeva
l’ora di sentire una
cosa del genere «È stata una giornata
lunga».
«Ti
capiamo» sorrise Finnan «O beh,
immagino che ci
rivedremo presto!»
«E
pensa a quel che ti ho detto riguardo casa. Quando vuoi
basta farmelo sapere, nighean ùr».
Dopo un ultimo
breve saluto si separarono e Jiren,
riportando a casa Ember in volo, si concesse un lungo sospiro sia di
sollievo
per la serata finita, sia di rassegnazione perché ce ne
sarebbero state altre.
Inoltre aveva
svariate domande da farle.
«Di
quale casa parlava?»
«La
sua. È una lunga storia, Jiren, quando
arriveremo a casa
nostra ti racconterò tutto per bene. Alcune cose che ha
detto mi danno di che
riflettere. Non ne ho paura, ma inizio a pensare che, pur dando
la caccia i fantasmi, anche
Eve, la sua casa e
forse Finnan non siano precisamente di questo mondo… dei vivi».
Il Grigio
aggrottò la fronte, più che mai in
allerta. «In
che senso?»
«Forse
letterale. Non so dirlo bene neppure io e questo
è
precisamente il motivo per cui voglio saperne di più. Mi ha
invitata a vedere
casa sua e io, possibilmente, vorrei andarci presto. Con te, se
tu-»
«Sì».
Non avrebbe
dovuto nemmeno chiederlo: ben difficilmente lui
l’avrebbe lasciata sola con dei familiari che diventavano
sempre più strani a
ogni incontro.
Prima erano
dei mutaforma, poi dei mutaforma volanti con
mele d’oro e oggetti magici, e ora Ember se ne usciva con
l’idea che saltassero
fuori dall’aldilà!
Se lei fosse
stata una persona con appena meno buonsenso e
quei due -tre, con quell’aliena del pianeta V12- fossero
stati meno strani
avrebbe ritenuto il tutto un’ipotesi abbastanza assurda.
«Verrò
con te, Ember, anche se quella casa fosse
nell’aldilà
per davvero».
Sembrava
impossibile… ma ce l’abbiamo (ho) fatta!
La canzone che
canta Finnan si chiama “I Knew I Loved
You”,
dei Savage Garden.
Un’ultima
nota nel caso a qualcuno sia venuto qualche dubbio:
Vaen è un personaggio che appartiene a me e, aggiungo,
è alla sua prima (e
ultima, almeno qui) apparizione.
Alla prossima,
_Dracarys_
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