________________________________________________________
It is nothing to die.
It is frightful not to live.
Toshiyuki-san lo attende nel grande salone baroccheggiante. Ha le mani
strette attorno al grembiule che porta sul grembo, insozzato di farina
e con qualche macchiolina di olio. Non che le importi, in fondo sa che
ad Akashi-sama quelle piccolezze non interessano.
Lo
vede entrare dalla porta d’ingresso, sul volto reca ancora
la vacua e inafferrabile espressione di sempre, quella corazza fatta di
lembi di pelle che vieta all’intruso d’appropriarsi
delle sue emozioni. Non sa spiegarlo, ma per certi aspetti
quell’atteggiamento austero le appare più
familiare dell’espressione trasognante e felice che si
portava addosso quand’era piccolo.
‒
Bentornato, signore. ‒ È tutto quello che riesce a dirgli.
Non le risponde, intento a togliersi il giaccone e a posare
distrattamente il borsone del club di basket sulla panca
rococò che giace dimenticata contro il muro – alla
signora quel mobilio così ridondante e pieno di fronzoli non
piaceva affatto, ma si trattiene dall’esprimere quel pensiero
ad alta voce. Ad Akashi non piace dover parlare di sua madre.
‒
È tornato mio padre? ‒ domanda, ma Toshiyuki non riesce
mai a rispondere in maniera pronta quando si vede scrutata dal suo
sgradevole occhio.
‒
No ‒ risponde, sa di aver temporeggiato troppo. ‒ No signore, non
è tornato.
‒
Sai quando tornerà? ‒ chiede ancora.
Scuote il capo, scrollandosi di dosso l’insana sensazione di
averlo deluso. Le fa male davvero vederlo così, quando tempo
addietro l’ondata di rancore che si porta addosso come fiera
corazza ancora poteva essere scalfita. Da lei,
l’unica persona in quella magione che adesso dimora nel buio
sacrario, nascosta alla luce di quella magnifica giornata di sole.
‒
Signore ‒ prova a dire, sperando che l’ascolti, ‒ oggi
è il suo compleanno.
‒
Lo so, Toshiyuki. ‒ Il sentirsi chiamare per nome da quella voce che
preannuncia sventura, la pone subito in guardia. Dalla morte di sua
madre, anche il piccolo bambino che conosceva è morto,
dilaniato dalle fauci del mostro che la scruta con crescente biasimo. ‒
Se non ricordo male, ti avevo detto di smetterla di prepararmi una
torta.
‒
Ma non posso, signore ‒ cerca di spiegare, col timore che la sua
giustifica possa indisporlo ancora di più, ‒ ho fatto una
promessa a sua madre.
‒
Non è più necessario, Toshiyuki. ‒ Lo sguardo
si sofferma per un istante sul volto della governante, solcato dalle
rughe della vecchiaia incombente. ‒ Le promesse si fanno ai vivi.
La
donna sospira, certa che se quel discorso dovesse continuare, la
spregevolezza celata in quelle iridi dissonanti la porterebbe a
rinnegare ancora una volta il suo ruolo di fedele servitrice. Odia
dover vedere il suo padrone in quelle condizioni.
‒
La prego ‒ gli dice infine, lasciandosi andare all’ultima
disperata supplica, ‒ almeno spenga le candeline.
Akashi Seijuro fissa la sua governante, e per un istante il suo ego
smisurato si cheta, portandosi a fissarla con due occhi rossi, quelli
giusti, quelli veri.
‒
Va bene. ‒ Lei non lo vede, ma sta sorridendo. ‒ Solo per oggi.
Flash-fic | 499 parole
Note
dell'autrice:
Niente, questa breve flash-fic
è nata un po' a caso - come un po' tutte le mie ultime
storie. Ho rivisto di recente Kuroko no Basket e mi sono ricordata di
quanto mi piacesse questo personaggio, salvo poi ricordarmi di non
essere mai stata in grado di scriverci niente, spero di aver rimediato
in qualche modo.
Per qualsiasi cosa, critica o anche solo
per dirmi che questa mia breve storia vi è piaciuta, potete
scrivermi tranquillamente, accetto ogni tipo di commento.
Che dire, spero di scivere altro
inerente a questo fandom.
A presto!
_EverAfter_
|