L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA
RICORDI parte seconda
La disperazione con
cui Sianna si era aggrappata alla sua mano fu più eloquente
di qualunque
supplica. Era sopraffatta, non dai propri sentimenti ma dal delirio
collettivo
che si abbatteva su di lei come un’onda schiumosa e furente
sugli scogli.
Faticava a respirare, non riusciva a schermarsi. Ynyr prese fiato, si
concentrò, le sfiorò la guancia e le tempie,
cercando di trasmetterle la
propria calma.
Con
un sospiro tremante, la sentì sciogliersi
sotto le sue dita, rasserenarsi e tornare a respirare. I suoi occhi si
svuotarono di paura e rimasero colmi solo di assoluta adorazione. Si
chinò su
di lei, ripeté a voce alta «Senti me, solo me,
Sianna. Non guardare nessun
altro»
Ricambiò il sorriso
leggero che si era dipinto sulle sue labbra ma poi, con uno strattone,
la
riportò dolorosamente alla realtà: erano
schiacciati contro una parete, la
folla impazzita non concedeva tregua eppure, se desideravano salvarsi,
dovevano
raggiungere il riparo del bosco, era quella la sua unica certezza.
«Stringetevi l’una all’altra,
tenetevi strette qualunque cosa accada! Se vi lasciate è la
fine!» cercò di
urlare sopra le urla delle persone, scorticandosi la gola per lo
sforzo. Gli
faceva male tutto, per raggiungere sua sorella aveva lottato contro
corrente,
persino respirare era un dolore che si traduceva in fitte a tradimento
tra le
costole.
Deve
essersi incrinato qualcosa,
pensò contraendo la mandibola e tastando approssimativamente
il costato. A quell’ordine,
le ragazze
obbedirono all’istante, si aggrapparono con tutta la loro
volontà alle sue
parole come alla luce di un faro in un banco di nebbia.
Sianna
tornò presente a se
stessa, Ynyr la vide finalmente realizzare che il terrore che la
circondava era
concreto, non solo un’emozione assorbita. Percepì,
quasi fosse sua, la paura di
Sianna nel capire all’improvviso che racchiudersi dentro quel
grumo d’istinti
primordiali le sarebbe costato la vita. Ynyr si portò ancora
la mano al fianco,
si lasciò scappare l’ennesima imprecazione tra i
denti, avvolse Sianna nella
sua stretta e insieme scivolarono in quel fiume di grida e carcasse
umane
oppresse. Le fiamme sempre più alte lambivano il cielo, il
colore violento del
fuoco e del calore annebbiavano la vista come ogni altro senso, Ynyr
era smarrito,
non sapeva dove andare, procedeva alla cieca, seguendo
il tumulto. La pelle bruciava, i pianti isterici e disperati che
riempivano le
sue orecchie gli impedivano di essere lucido, quei corpi che premevano
contro
il suo, contro il braccio teso verso Sianna come unico legame che non
li faceva
perdere, gli toglievano la possibilità di cercare un riparo.
Alcuni edifici,
brillanti come tizzoni ardenti, crollarono tragicamente su loro stessi,
investendo la folla, i calcinacci scoppiarono a raggiera, una pietra
arrivò a
colpirlo in testa.
Nuovi grappoli di
luce, quasi fossero centinaia di nuove stelle a illuminare il cielo, si
accesero all’unisono e all’unisono scattarono,
lasciando dietro di loro una
scia di fuoco, code di comete. La mano di Sianna strinse la sua con
forza, in
un moto di orrore. Ynyr, stordito dal colpo, cercò di
abbassarsi, la spinse a
fare altrettanto e sperò che le altre lo imitassero, che
cercassero di rendersi
bersagli meno scontati. Le frecce falciarono la fiumana di persone,
molti corpi
caddero a terra solo per essere inghiottiti e sopraffatti, calpestati.
Ynyr
stesso sentì la cedevolezza della carne maciullata sotto i
piedi.
Sono
sentimenti così agghiaccianti che non riuscirò
nemmeno io a schermarmi a lungo.
Se
io inizio a cedere, Sianna deve essere al suo limite
La trascinava con sé,
ma gli sembrava di tirarsi dietro una bambola disanimata, se fosse
svenuta
sarebbe stata la loro fine, quella fuga dalla morte si sarebbe
interrotta prima
di poter arrivare anche solo a sperare in una salvezza. In quel
trambusto, miracolosamente
riuscì a intravvedere quattro figure incappucciate ben note.
Riconoscere Kea
gli tolse un peso immenso dallo stomaco: non era stata abbandonata a se
stessa,
era stata salvata da Henry, William e Daniel. I ragazzi lo riconobbero,
gridarono i loro nomi, sbracciandosi in un mare di carne e braccia e
teste per
poterli raggiungere.
Riuscirono a riunirsi
aprendosi un varco tra la gente, Ynyr vide il bosco in lontananza, in
cima alla
salita, oltre quello che era stato l’ingresso al paese e che
ora era solo un
ininterrotto serpente di anime accalcate. Una nuova ondata di frecce si
abbatté
su di loro.
Ynyr sfruttò l’energumeno
che lo precedeva come scudo, mosso solo dal pensiero di doversela
cavare, ma sentì
dietro di sé un “croc” netto, il rumore
di qualcosa che si spezzava. A quel
suono grottesco, la presa di sua sorella venne meno, quel braccio teso
si
accartocciò mollemente. Una fitta di dolore
trapassò l’arto di Ynyr e lo
percorse in un brivido fino al cervello, incespicò nei
propri piedi, rischiò di
rotolare a terra. Per un attimo, tutti i suoni si attutirono e le
immagini
divennero sfocate, scosse la testa per snebbiarsi quel tanto
sufficiente a
riprendere il controllo del proprio corpo. Lui non era ferito, si
voltò a cercare
Sianna, la vide accasciata e capì.
È
stata colpita
Senza riflettere, liberò
la mano di Marion, ancora allacciata alla sua, e si
precipitò sulla sorella
inerme, per proteggere il suo corpo dagli urti della folla che la stava
travolgendo. Marion gridò qualcosa, riuscirono a guardarsi
negli occhi per un
momento fuggevole, poi la ragazza, trascinata dalle amiche e dai
sacerdoti,
sparì dalla sua vista e loro due rimasero soli, indietro.
Spinse Sianna a
rialzarsi, la freccia era conficcata nel braccio, l’aveva
passato da parte a
parte spaccandole l’osso, la manica carbonizzata mostrava la
terribile ustione,
la carne rosso vivo, viscida, a cui la stoffa si era appiccicata. Sua
sorella
era svenuta per il dolore, così, nella disperazione
assoluta, Ynyr se la caricò
tra le braccia, a stento, consapevole che lì nessuno badava
a loro, che nel
delirio le avrebbero fatto del male, li avrebbero uccisi. Tuttavia, il
suo
stesso fisico non reggeva più tutti quei colpi e non era in
grado di
difenderla. Più volte sul punto di perdere
l’equilibrio, individuò un vicolo
tra due abitazioni in fiamme. Nonostante l’eccessivo fumo che
invadeva la via,
Ynyr riuscì ad imboccarla, a trovare un breve momento di
sollievo in quella
fornace ardente. Tossì e barcollò con il peso
della sorella addosso.
Se
stiamo qui, siamo morti, se cerchiamo di raggiungere il portone per
uscire da
qui, verremo fagocitati dalla folla e saremo morti.
Che
cosa devo fare?
Stanco e affannato,
inciampò in una massa molle e nera e cadde a terra. Sianna
rotolò sul terreno,
inerme, come fosse già morta. A vederla immobile, scomposta
con gli occhi
chiusi, Ynyr sentì l’angoscia più pura
attanagliargli lo stomaco. Strisciò verso
di lei, allungò la mano ad accarezzarle il viso, fece
scivolare le dita fino
alla gola e lì si fermò, ad ascoltare il lento
pulsare del sangue e del cuore. Solo
allora, tranquillizzato, si mise a carponi e cercò
l’energia per rialzarsi.
Il fumo gli toglieva
il respiro, la cappa grigia era tanto spessa da formare una coltre
sopra la sua
testa, non vedeva più nulla, e faceva caldo, troppo caldo.
Le fiamme erano
soverchianti, grondava di sudore che gli entrava negli occhi, bruciava.
Si accorse
di essere inciampato in un cadavere mangiato dal fuoco, erano
circondati da corpi
neri e grotteschi, resi irriconoscibili, così rattrappiti da
apparire deformi. Esitò,
provò a riconoscere qualcuno, ma si concesse solo un breve
istante di quel
cedimento, prima di scuotere la testa e archiviare tutto.
Sono
morti, non posso fare nulla per loro. Ma Sianna no, lei non
può morire
Raccolse sua sorella
e scavalcò quelle carcasse svuotate di vita che
intralciavano il suo passaggio,
sforzandosi di restare lucido e presente a se stesso. Non
poté comunque
avanzare troppo, il vento sollevava scintille che lo ustionavano e la
tosse convulsiva
fece il resto, pochi passi e fu costretto ad appoggiare nuovamente la
sorella a
terra e ad accasciarsi su di lei.
La guardò, non dava
cenno di volersi risvegliare, si era addormentata nel momento peggiore.
Eppure,
osservando il suo volto tanto amato, pensò che morire
così, insieme, non fosse
poi una morte tanto orribile, forse una delle più dolci che
era stata loro
concessa. Certamente a lui, a cui bastava vedere la linea morbida di
quegli occhi,
di quel profilo, per pensare che non potesse esserci nulla al mondo che
potesse
avere più senso. Le strappò la manica
dell’abito, là dove la freccia le aveva
trapassato l’omero spezzandole di netto il braccio,
perché la stoffa bagnata di
sangue si era appiccicata alla carne ustionata e con quella si stava
fondendo.
Sianna strizzò le
palpebre in un lamento inconscio, il primo accenno di ripresa.
Così, forte di
questo, Ynyr spezzò la freccia, ma non ebbe il coraggio di
estrarla. Poi,
smarrito, si guardò attorno.
Dobbiamo
ritornare nella via principale, o non ci sarà salvezza.
Ma
come faccio?
Lentamente, un’ombra
si allungò nella via, tra il fuoco e il fumo. Ynyr si
accorse che qualcuno
stava avanzando piano, flemmaticamente, verso di loro, qualcuno che
sembrava
avere tutto il tempo del mondo in un momento in cui il tempo sembrava
essersi
esaurito. I suoi occhi misero a fuoco un bambino, un ragazzino con
indosso un
abito ad ampie maniche fermato in vita da una fascia di tessuto. Il
volto era
nascosto da un’inquietante maschera bianca: il muso di una
volpe con gli occhi
strizzati. Oltre lo sbigottimento, Ynyr provò sollievo
davanti a quella
creatura sovrannaturale, che a piedi nudi e artigli in vista sembrava
completamente slegata, immune a quel contesto di disperazione.
«Kitsune» lo chiamò.
Kii si fermò. Guardò Sianna
dall’alto e, qualunque sentimento lo stesse animando, fu
impossibile capirlo perché
il viso rimase nascosto. Non gli disse nulla e allora Ynyr lo
osservò chinarsi
sulla ragazza, afferrare la perla che Sianna portava al collo e
staccarla con
un gesto secco. La perla si espanse in una corona di luce,
vibrò e si sollevò
in aria.
«Seguitemi. Vi porterò
io fuori di qui, dai vostri amici»
«Si sono salvati?»
Kii chinò il capo, lo
squadrò da dietro la sua maschera inquietante «Li
ho salvati. Kamra Eysil lo avrebbe
voluto»
Con il capo accennò
alla ragazza e lo invitò a andargli dietro. I capelli
bianchi, screziati di rame,
sembravano lingue infuocate, riflettevano i bagliori dorati. Non lo
attese, si avviò
con lo stesso strascicato passo con cui si era presentato. Ynyr, pur
affaticato
e senza fiato, si caricò Sianna tra le braccia e si
trascinò dietro alla kitsune.
Vide le frecce dei loro nemici cadere e abbattersi sui tetti delle
case,
rimbalzare sulle pareti di pietra e conficcarsi nel terreno, ma niente
pareva sfiorarli.
Sbigottito capì che era lo Yokai a proteggerli. Lo Spirito
era circondato da
una calma irreale che lo fece sentire estraniato da quel momento, era
come non
essere lì, non star assistendo a tutta quella violenza.
Le urla delle persone
si fecero ancora forti e persistenti, Kii raggiunse la via principale e
si
inserì nella marea di gente che fluiva verso il bosco. Ynyr
venne travolto, all’inizio,
eppure non si fece male, né sentì la pressione
dei corpi che lo spingevano e
strattonavano. Lo Yokai si muoveva luminoso e sovrannaturale in una
massa di
esseri umani così rapiti dal proprio terrore da non
percepirlo. Non scorgevano
la luce calda della Sfera Stellata che galleggiava sopra di loro e li
proteggeva,
in qualche modo. Con l’aiuto di Kii, riuscì a
raggiungere la porta principale,
spalancata, da cui la folla si disperdeva urlante nei boschi. Ynyr
corse,
inseguendo lo Spirito che con un salto ingoiò la Sfera
Stellata e prima di
toccare terra tornò volpe e sparì nella
vegetazione. Sempre più provato, gli
tenne dietro, si fermò solo quando intravvide, tra le radici
nodose di una
vecchia quercia, i volti familiari delle ragazze e dei sacerdoti. Il
villaggio
doveva essersi ormai svuotato, chi si era salvato riuscendo ad
abbandonare quella
fornace doveva, come loro, aver cercato riparo tra gli alberi, non
restavano a
valle altro che abitazioni bruciate e cadaveri.
Ynyr li raggiunse,
quando posò Sianna nuovamente a terra le gambe gli cedettero
per la spossatezza.
Si sentiva tanto stanco e dolorante che, per un attimo, il panico della
condizione di sua sorella divenne quasi marginale. Ci pensò
Henry a chinarsi su
di lei, carico di costernazione. Con suo disappunto, lo vide prenderle
la mano
tra le sue, scostarle i capelli sporchi incollati al viso incrostato di
fuliggine
e sangue.
«Daniel, fa’
qualcosa»
I tre Drui si affaccendarono
intorno a lei, ma Ynyr non prestò loro troppa attenzione. La
kitsune era
sparita, eppure era certo fosse nei paraggi e li stesse studiando,
limitata ad
intervenire dalla presenza dei tre sacerdoti. Lisanda e Iris erano
appallottolate
l’una nelle braccia dell’altra, Marion aveva la
testa mollemente appoggiata
alla spalla di Kea, che rannicchiata si cingeva le ginocchia con le
braccia,
gli occhi lucidi di terrore, quasi folli nella loro vacuità.
Tornò con lo sguardo
sulla sorella quando la sentì borbottare in uno stato
d’incoscienza. Invocava un
nome nel delirio, un nome che Ynyr ignorava. Mise la mano sulla spalla
di
Daniel e lo invitò a farsi da parte, poi le prese la mano
marcata dalla benedizione,
la accarezzò piano e chiuse gli occhi. In un primo momento,
tutto fu sfocato,
ma dalla nebbia della sua mente si concretizzarono delle immagini ed
una
figura, l’immagine indefinita di una donna, vista come fosse
molto lontano.
«Shiva» la voce supplichevole
di Sianna lo spinse a riaprire gli occhi. La donna che sua sorella
stava sognando
e invocando, chiunque fosse, le assomigliava tragicamente. Forse,
sognava se
stessa.
«Dobbiamo spostarci»
fece notare William, con una certa sicurezza «Dobbiamo
inoltrarci più a fondo, gli
assalitori potrebbero essere ancora qui»
Ynyr si fece aiutare e
si caricò Sianna in spalla. Il costato doleva
incredibilmente, aveva trovato
sotto la casacca una serie di lividi viola dall’aspetto poco
rassicurante, eppure
seguì i tre sacerdoti nella boscaglia e si fermarono solo
quando, sfiniti,
trovarono un riparo tra le radici intricate di un albero mezzo
sradicato, che
creavano una sorta di nascondiglio. Si accoccolarono
all’interno di quell’incavo,
stretti e schiacciati l’uno contro l’altro, avvolti
da un silenzio ovattato e
vuoto in assoluto contrasto con i boati e le urla che avevano riempito
loro le
orecchie.
La quiete ora era
quasi troppa, nemmeno il fruscio di un animale notturno disturbava il
bosco.
Ynyr teneva Sianna stretta a sé, tra le proprie gambe, il
petto contro quella
schiena delicata, il capo della sorella reclinato
all’indietro, posato contro
la sua clavicola. Sembrava morta, ora che si era placata, e
l’unico conforto
nel tenerla tanto stretta era ascoltare il battito regolare del suo
cuore. I Drui
non le avevano tolto la freccia, si erano limitati a stringere con una
benda improvvisata
e un po’ logora la parte superiore del braccio, per ridurre
la fuoriuscita di
sangue. Nell’oscurità assoluta in cui si erano
nascosti, non era più nemmeno
possibile vedere i bagliori dei focolai a valle, che per un lungo
tratto li
avevano accompagnati. Alla fine, sopraffatti dalla stanchezza, presero
sonno.
Fu il rumore lieve di
passi nella boscaglia a svegliarlo. Si accorse che anche Sianna aveva
aperto
gli occhi, immensi e sgranati nell’orrore. Le ragazze invece
continuavano a
dormire, sfinite, e i sacerdoti anche riposavano e non avevano
udito nulla.
«Sono loro»
sussurrò
piano all’orecchio della sorella, che strinse brutalmente la
sua coscia con la
mano del braccio sano. Quel “Loro” restava un
nemico indefinito, sconosciuto,
eppure terribile. Gli aggressori, chiunque fossero, avevano in loro una
brutalità
che non avevano mai conosciuto in quella loro vita. Ynyr strinse Sianna
più
stretta.
Non
siamo visibili, ma se dovessero avvicinarsi ci troverebbero facilmente.
Ci
stanno cercando, stanno setacciando la zona e catturando i fuggiaschi
«Maledetti»
Un fruscio accanto a
loro lo fece sussultare, riuscì a tappare la bocca di sua
sorella prima che
potesse lanciare un grido di allarme. Su una sporgenza, la kitsune
nella sua
forma animale li studiava altezzosa.
Non
fate rumore e andrà tutto bene
Era questo il
pensiero dello Yokai che rimbalzò nelle loro menti. Ynyr
annuì subito, accarezzò
i capelli di Sianna, per calmarla, perché anche se aveva
capito sentiva il
cuore di lei battere all’impazzata. Quegli esseri sembravano
fiutare la paura,
si avvicinarono pericolosamente ma d’un tratto, quasi
inspiegabilmente,
cambiarono direzione e si allontanarono, come avessero perso
all’improvviso le
loro tracce. La Hoshi no Tama continuava a restare sospesa sopra di
loro come
una benedizione.
A volte, in quella
notte terribile, sentirono riecheggiare in lontananza urla e pianti
straziati,
oppure brandelli di parole di quelle creature, una lingua sibilata che
non
conoscevano e un accento che non avevano mai sentito. Alla fine si
svegliarono
anche i loro compagni, non videro Kii, che si era nascosto, ma Ynyr
percepì la
presenza della volpe non abbandonarli mai, nemmeno un istante.
Anche quando gli
assassini parvero scomparsi, restarono comunque in veglia, con
un’ansia
talmente pesante addosso che pensare di poter riposare sarebbe stato
impossibile
pur volendo. Non scambiarono tra di loro parola alcuna fino ai primi
raggi di
tiepido sole. La ferita di Sianna si era infettata e le sue condizioni
preoccupavano
Ynyr più di quanto fosse disposto ad ammettere.
L’arrivo dell’alba si presentò
come una salvezza dalle più svariate gradazioni di rosa, un
calore fiacco ma
che li strappava dal peggior incubo che avessero mai vissuto.
Il primo ad azzardarsi
ad uscire allo scoperto fu Daniel, che dopo una breve perlustrazione
tornò
indietro.
«Non credo ci siano
più»
I Drui si lanciarono
in congetture sulle origini di quei mostri che portavano con loro una
scia, uno
strano odore di fiori marci.
«Non credo siano umani»
«Non credo nemmeno che
siano creature d’ombra di questa terra»
Ynyr prestava loro
poca attenzione, quasi nulla. Ora che sua sorella si era svegliata,
anche il
dolore era diventato troppo chiaro e nitido.
«Ditemi che uno di voi
ha una minima esperienza come guaritore. Perché qualcuno
deve togliere questa freccia
dal braccio di mia sorella» gli occhi dei presenti si
posarono senza troppa
clemenza su Daniel che, suo malgrado fu costretto ad annuire. Le
ragazze li
condussero ad un piccolo ruscello lì vicino, dove spesso
avevano giocato da
bambine proprio con Sianna, e fu lì che, dopo aver pulito la
ferita alla bell’e
meglio, estrassero la freccia scheggiata dal braccio. Cercarono di
pulire la
ferita con degli stracci di stoffa recuperati dai vestiti e immersi
nell’acqua
limpida e la fasciarono.
Mentre Sianna,
nuovamente svenuta, si riprendeva, riposarono e attesero, decidendo
cosa fosse
meglio fare da quel momento in poi. Ynyr però partecipava a
tratti, con scarso
interesse, più concentrato a vegliare il sonno della sorella
che a tutto il
resto.
Dopo un dibattito
lungo e contrastato, decisero di tornare a valle, per scoprire che fine
avessero fatto gli altri superstiti e se fosse sopravvissuto qualcosa.
Ripercorsero
il sentiero più tranquilli, William sembrava convinto che
chiunque se la fosse
cavata, sarebbe tornato indietro, anche solo per cercare amici e
parenti o per
recuperare i propri averi.
Ynyr faticava a
sorreggere Sianna, vacillava e il dolore lo trapassava ogni volta,
togliendogli
il respiro ad ogni stilettata, ma il pensiero di Henry pronto accanto a
lei come
un cavalier servente lo nauseava troppo perché gli riuscisse
di tirarsi
indietro.
Quando raggiunsero il
villaggio, rimasero paralizzati. Le fronde si diradarono solo per
mostrare
devastazione. Oltre ai detriti e alla cenere non era rimasto nulla,
nessun
edificio era ancora in piedi, i muri diroccati e l’odore di
legno bruciato, di
carne cotta, tolsero loro le forze. A Ynyr mancò il fiato,
sua sorella
trattenne il respiro e il primo, tremulo, soffio di pianto.
Scesero silenziosamente
quella strada che per tutta la loro vita era stata la cosa
più nota e familiare
ed ora era solo un campo di cadaveri abbandonati, massacrati in maniera
grottesca.
Per quanto macabro, non riusciva a smettere di guardare, di cibarsi di
quelle
immagini irreali, e così anche le ragazze e i Drui si
nutrivano di quell’orrore
senza trovare le parole per raccontarsi.
«Non c’è nessuno
qui.
Non verrà nessuno» lo disse per spezzare
l’incantesimo e riportarli alla
realtà. Kea cercò i suoi occhi, era tanto vuota
in quel momento, tanto
sconvolta, da sembrare finta. Marion si lasciò andare ad un
pianto disperato.
Ci
speravano davvero, credevano sul serio che qualcuno della loro famiglia
ce l’avesse
fatta
«Ci siamo solo noi»
Il vento leggero
sollevò mulinelli di cenere dal terreno, camminavano su uno
strato di cenere
tanto spesso da sembrare sabbia grigia. Scavalcarono carcasse di legno
crollate
in mezzo alle vie, sfiorarono le pietre annerite.
Infine, quel sospiro
trattenuto tra le labbra di Sianna si tramutò in un tremore
diffuso. L’abbracciò
stretta, per calmarla quanto desiderava placare se stesso.
Sapevo
che non avrei trovato nulla, ma non pensavo fino a questo punto
Fu il pianto
disperato di Mari, fragile come quello di una bambina, a ridestarlo.
Avanzava sfregando
le palpebre arrossate con i polsi, come la più soffice delle
creature, pareva
ancora più piccola dei suoi anni. Sentire quel dolore tanto
spontaneo ruppe il
freno alle gemelle e Iris, che non esprimeva mai se stessa,
rivelò quanto fosse
affranta e prostrata. Iris non sapeva piegarsi, solo spezzarsi,
sembrava
impossibile che potesse ricomporsi dopo quelle perdite. Passarono
accanto all’ennesimo
cadavere carbonizzato, quello di un bambino, e fu Kea questa volta ad
esitare. Era
la quarta di sette fratelli, tre dei quali così piccoli che
quel corpo avrebbe potuto
tranquillamente essere di uno di loro.
Kea non lo disse, ma
era evidente ciò che pensava, il tormento per la sua
famiglia le scuriva il
volto e quegli occhi neri oscuri come un pozzo. Per Sianna invece,
l’orrore era
troppo forte e il suo corpo troppo provato. Svenne, e Ynyr
riuscì ad acchiapparla
prima che cadesse a peso morto a terra.
«Andiamocene»
«Forse dovremmo
aspettare» protestò appena Daniel. Ynyr venne
invaso da tutta la rabbia
trattenuta che si sforzava di domare «Non
c’è nessuno» sibilò
«Sono morti
tutti, non tornerà nessuno»
Alla durezza delle
sue parole seguirono i singhiozzi costernati delle ragazze, Marion
piangeva
tanto forte che quasi le mancava il fiato, non riusciva a respirare.
«Non le sottoporrò a
questa sofferenza» fece presente indicandole.
Si allontanarono,
soffocati dall’amarezza.
Camminarono per un
giorno intero, cercando di frapporre tra loro e Gleann Dubhar quanta
più
distanza possibile, perché si portavano ancora addosso il
terrore che gli
assalitori potessero ricomparire con il buio. Non sapendo dove andare,
decisero
di seguire i sacerdoti verso Lochlainn, il loro villaggio Drui, nella
speranza
di ritrovare anche Korakas. Ynyr sperava che insieme alla vecchia
potesse
esserci anche Marilien, mentre Henry, Daniel e William cercavano di
trovare una
spiegazione da dare alla reggente sul perché la Somma
Sacerdotessa non fosse
con loro.
Frapposero molte
leghe tra loro e il villaggio, ad una stanchezza spossante si
unì la fame. Al terzo
giorno, Sianna non era più in grado di camminare, la ferita
aveva fatto
infezione e nei pochi momenti di veglia vaneggiava e non era presente a
se
stessa. Ynyr proseguì portandosela addosso, nonostante fosse
ormai al suo limite.
Dopo giorni di
cammino, giunsero nei pressi di Lochlainn moribondi, laceri e sfiniti.
Allo stremo, si
accasciarono in agonia. Vennero raccolti da dei Drui non lontano dal
Cerchio di
Pietre.
ANGOLO AUTRICE
Eccomi! Ho risolto in maniera pratica l'orribile questione delle
didascalie con i nomi di posti, cose, animali , città...!
Per semplificare il tutto, ho fatto questa cartina. Non è
completa, copre solo una parte dei territori, ma è quella
che vi serve in questa parte di storia quindi per ora mi limito a
questo e più avanti aggiungerò il resto :)
Grazie a chi ancora leggere questo delirio che vi assicuro, non ho
abbandonato, semplicemente è in una revisione
costante, costanti cambiamenti (per esempio dovrei togliere i primi
capitoli e sostituirli con le nuove versioni, ma va beh, resisto e mi
faccio andare bene questa!) e costanti dubbi sui risultati.
Resta, tra tutti i mondi che ho inventato, il mio preferito e il
più complesso.
A presto spero, o a tra qualche mese nel dubbio! :)
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