Vittorio accolse con
gioia la notizia che Vera aveva parlato a Giulia della loro relazione,
per almeno due motivi. Primo: si era scoperto particolarmente felice di
stare con quella donna, quindi doversi nascondere gli andava stretto.
Secondo: nonostante Vera gli avesse chiesto di tenere la cosa per
sé, lui aveva raccontato tutto a Claudio già da
un pezzo, e stava aspettando quel momento per tentare di limitare i
danni... possibilmente, facendo di tutto perché la sua nuova
fidanzata non scoprisse che la loro storia non era stata poi tanto
segreta.
Sin da quella sera al pub, infatti, Claudio aveva
preso l'abitudine di chiedere a Vittorio come procedesse la relazione
con Vera a ogni inizio turno; il quarantenne, da parte sua, era lieto
di poter parlare con qualcuno, dunque non si faceva mai scrupoli a
rispondere.
Come quel giorno.
«Allora, Vittorio»
esordì il trentaquattrenne, buttandosi di peso sul sedile
della volante, «come va con la tua fidanzatina?».
Vittorio si accigliò mentre avviava il
motore e guidava l'auto fuori dal parcheggio del comando.
«Devi per forza chiamarla così?»
Claudio sogghignò. «Sei tu
che ti sei preso una ragazzina, eh».
Il cipiglio dell'altro aumentò.
«Vera non è una ragazzina»
grugnì.
«Quindi non ti dà fastidio la
differenza d'età tra voi due?» insisté
Claudio.
Vittorio sbuffò. «Se mi desse
fastidio, non starei con Vera».
Il più giovane si accarezzò
il mento, fingendosi pensieroso.
«Mh. Allora non è per questo,
che la tieni nascosta?» sparò.
Vittorio, che stava rallentando in
prossimità di un semaforo rosso, premette sul pedale sul
freno con troppa foga e la macchina inchiodò.
«Ma che cazzo...»
imprecò. Tirò fuori un braccio dal finestrino e
rivolse un gesto di scuse all'automobilista dietro di lui, che lo
scrutava furibondo attraverso il parabrezza: c'era mancato poco che lo
centrasse in pieno e Vittorio quasi si aspettava un gestaccio in
risposta, divisa o no. Preso un respiro profondo, si voltò
verso il collega e gli scoccò un'occhiata truce.
«Io non tengo nascosto nessuno, men che meno Vera, quindi
vedi un po' che altre cazzate devi farti uscire dalla bocca»
disse a denti stretti. «E, giusto per tua informazione,
è stata
lei
a non voler far sapere che ci stiamo frequentando: prima voleva essere
sicura che tra noi le cose funzionassero». Mugugnò
qualcosa tra sé e ingranò la prima per ripartire.
«Per fortuna si è decisa a dire alla sua migliore
amica che stiamo insieme, così non verrò
più tenuto nascosto. Perché sono stato io quello
che è stato nascosto, non lei» aggiunse in tono
risentito.
Lo sguardo di Claudio divenne malizioso ma
Vittorio, concentrato sulla strada, non se ne accorse.
«Non dirmi che ti sei offeso!»
esclamò giulivo. Vittorio mugugnò di nuovo e lui
scoppiò a ridere. «Mhhh... potrebbe essere il
titolo di un romanzo. “
Vittorio
Valenti: uno scomodo segreto”».
Sghignazzò di nuovo senza ritegno dell'espressione furiosa
dell'amico e si preparò a lanciare l'esca. «Ma hai
detto che adesso state uscendo allo scoperto, no?»
«Sì»
brontolò il quarantenne. «Finalmente,
direi».
«Quindi inizierete a farvi vedere in
pubblico» aggiunse Claudio.
«Mh-mh».
«Quindi comincerete a conoscere l'uno
gli amici dell'altro».
«Mh-mhhh».
«
Quindi
non hai più scuse per rifiutare un'uscita a quattro con lei,
me e Michela!» disse Claudio in tono di trionfo.
Preso in contropiede, Vittorio
boccheggiò e per poco non inchiodò di nuovo.
«Io... che?
Perché
dovremmo organizzare un'uscita a quattro?»
farfugliò agitato.
«Perché io e te siamo
amici» replicò soave il più giovane.
A Vittorio il sorriso di Claudio non piacque per
niente.
«Perché hai tanta voglia di
conoscere meglio Vera?» domandò, guardingo.
Sventolò un dito contro l'altro uomo. «Che hai in
mente, Pastore?»
«Io? Niente. Voglio solo conoscere
meglio la fidanzata del mio amico e collega» rispose Claudio
con espressione innocente.
«Sì, e io sono un giovincello
di primo pelo» sbuffò il quarantenne.
«Guarda che tanto non mollo»
lo avvertì Claudio. «Domani abbiamo l'ultimo turno
di notte, quindi... dopodomani sera dovrebbe andar bene»
decretò.
«Se ti dicessi che voglio evitare questo
momento il più a lungo possibile, cambieresti
idea?» grugnì Vittorio.
«No».
«Ti pareva». Vittorio
mollò una pacca frustrata al volante e digrignò i
denti. «Va bene, dopodomani sera. Basta che mi lasci in pace
e che non provi a terrorizzare Vera».
«Terrorizzarla?
Io?»
ribatté Claudio. «La donna che ti ha urlato a due
centimetri dal naso e ha provato a morderti la prima volta che vi siete
visti, e che voleva spappolare la faccia di tua moglie
perché ti stava insultando?». Sbuffò
una mezza risata. «Non lo so mica, se c'è qualcuno
in grado di terrorizzare la tua ragazza, Valenti. Forse sei tu che sei
troppo protettivo e ti preoccupi senza motivo».
«Sì, sì»
brontolò l'altro. «Ti ho già detto che
ci saremo, dopodomani, quindi risparmiami almeno la tua psicologia
spicciola».
Claudio intrecciò le dita dietro la
testa e sorrise soddisfatto. «Allora me la tengo tutta per
dopo quella serata, la psicologia spicciola»
ridacchiò. «Oh, quanto mi
divertirò!»
******
Due giorni dopo quella conversazione, Vittorio era nella propria camera
da letto e si stava vestendo mentre imprecava tra sé a tutto
spiano: mancava meno di un'ora all'appuntamento con Claudio e Michela,
e lui ancora non aveva detto a Vera che quella sera sarebbero usciti. E
non si aspettava che convincerla a mettere il naso oltre la porta fosse
un'impresa facile: la venticinquenne sembrava felice all'idea di
restare a casa e giusto in quel momento era sdraiata sul divano insieme
a Estia, ignara di quel che l'aspettava.
L'uomo sospirò tra sé:
avrebbe potuto cercare di convincere Claudio a rimandare quell'uscita a
quattro ma, oltre a non essere certo di riuscirci, sapeva che l'amico
gli avrebbe dato il tormento per giorni.
Insomma: da qualunque punto di vista analizzasse
la situazione, Vittorio non vedeva modo di vincere.
Rassegnato, Vittorio s'infilò il
portafogli in tasca e tornò in salotto. Quando lo
sentì arrivare, Vera alzò lo sguardo e d'istinto
corrugò le sopracciglia, confusa dall'abbigliamento del
fidanzato: ormai aveva imparato che Vittorio passava la maggior parte
del proprio tempo libero scalzo, in tuta e magliette sformate,
soprattutto quando restava a casa, quindi vederlo in jeans, con una
maglietta in perfette condizioni e le scarpe ai piedi cozzava parecchio
con le sue aspettative. E questo senza contare l'espressione incerta e
insofferente sul volto dell'uomo.
Tutto considerato, Vera decise di dare voce alle
proprie perplessità.
«Che ci fai vestito così,
Vittò?»
Il carabiniere strinse le labbra e
arricciò il naso, poi si grattò la nuca.
«Ci tieni tanto a restare a casa,
stasera?»
L'espressione confusa di Vera divenne sospettosa.
«Che cosa stai tramando, Valenti?»
Le sopracciglia dell'uomo si inarcarono
all'istante mentre lui registrava l'improvviso ritorno all'uso del
cognome. Avrebbe potuto continuare a tastare il terreno e girare
intorno al nocciolo della questione per ore, ma questo non avrebbe reso
più facile far alzare Vera da quel divano. Quindi Vittorio
prese la borsa di lei e se la mise a tracolla, poi convinse Estia a
spostarsi con una caramella all'erba gatta. Fatto questo con gli occhi
sorpresi di Vera sempre incollati addosso, Vittorio la mise in piedi di
peso, l'afferrò per un polso e la trascinò verso
la porta.
«Usciamo».
«Di nuovo?» gnaulò
Vera. «Ma non senti mai il bisogno di far riposare le tue
vecchie ossa stanche?»
L'uomo non la degnò di uno sguardo: si
limitò a farla entrare nell'ascensore e a pigiare il
pulsante per il piano terra. «Se è una
provocazione per spingermi a darti una dimostrazione pratica del
contrario, sappi che non funziona».
«Quale provocazione?»
ribatté lei. «Io ero seria».
Di nuovo, Vittorio non perse neanche tempo a
voltarsi verso di lei. «Allora mettiamola così:
anche se vecchio e stanco, almeno io ho ancora tutte e due le
gambe».
«Perfido!»
«Ma ho detto la
verità».
«Insensibile, allora. Ecco!
Insensibile!»
«Mai sostenuto il contrario».
Senza battere ciglio, Vittorio spinse Vera fuori
dal portone e in macchina, corse al posto di guida e mise in moto.
Sconfitta, la ragazza incrociò le
braccia sul petto e scoccò un'occhiataccia a Vittorio.
«Posso almeno sapere perché
di punto in bianco hai deciso di uscire, o anche questo è
chiedere troppo?» domandò, petulante.
Il carabiniere non si scompose. «Non
all'improvviso» la corresse. «Claudio sa che stiamo
insieme e ha deciso che dovevamo per forza fare un'uscita a quattro: mi
ha rotto le scatole finché non ho detto di
sì».
Vera sogghignò. «Basta
davvero così poco per convincerti a fare qualcosa che non
vuoi?»
«Tu sottovaluti la capacità
di Claudio di esasperare una persona» rispose Vittorio con
grande serietà. «Diventa peggio di un martello:
immagina di passare otto ore con una persona che batte e ribatte senza
sosta sempre sullo stesso punto, e mi capirai!»
L'ex ginnasta sollevò per
metà le braccia e si stiracchiò. «Il
tuo collega già mi stava simpatico prima, ma adesso credo
che potrei addirittura adorarlo: c'è bisogno di qualcuno che
ti faccia saltare i nervi anche quando non posso pensarci io»
sghignazzò perfida.
Vittorio si accigliò. «Faccio
ancora in tempo a girare la macchina e tornare a casa».
Il sorriso di Vera avrebbe illuminato una stanza
buia. «Fa' pure: tanto io vinco in entrambi i casi!»
Il cipiglio di Vittorio si accentuò
mentre l'uomo borbottava qualcosa tra sé; la sua voce era
troppo bassa perché Vera potesse distinguere con chiarezza
quel che stava dicendo, ma fu sicura di aver sentito le parole
“ragazzina guastafeste” e il suo sorriso si
allargò ancora di più.
I due lasciarono che la musica che usciva dalla
radio riempisse il resto del tragitto; alla fine Vittorio
parcheggiò l'Alfa a poca distanza dal solito pub e insieme a
Vera raggiunse la porta del locale e la varcò.
Avevano a malapena messo piede all'interno che
già un uomo si sbracciava frenetico nella loro direzione,
mentre la donna bionda seduta insieme a lui si copriva il volto con la
mano e scuoteva la testa con fare sconsolato.
«Accidenti»
commentò Vera: l'espressione di Claudio era entusiasta in
maniera quasi inquietante. «Non ti pare un po' troppo
felice?»
«Certo che è felice: ha
qualcosa in mente... solo che non so cosa»
bofonchiò scontento Vittorio. «Tanto lo so che mi
pentirò di aver ceduto, lo sapevo già prima e
adesso ne sono proprio convinto. Andiamo, va': tanto, ormai, non
possiamo più scappare».
«Sei sicuro?» chiese incerta
la donna.
Neanche avesse sentito le loro parole, Claudio
scoccò a Vittorio uno sguardo che prometteva dure
rappresaglie e indicò con un gesto secco le sedie libere.
«Sì, sono sicuro»
sbuffò infine il quarantenne.
Senza aggiungere altro, Vera e Vittorio fecero lo
slalom tra i tavoli fino a raggiungere quello occupato dalla coppia che
li aspettava; Claudio balzò in piedi all'istante,
mollò sulla schiena di Vittorio una pacca tanto forte da
mozzargli il fiato e tese la mano a Vera.
«Ciao, Vera, è bello
rivederti...
finalmente»
cinguettò. «Questa è Michela, mia
moglie».
Vittorio lo interruppe rifilandogli uno schiaffo
deciso sul retro della testa. «Non siamo cani: la prossima
volta, quel gesto da addestratore cinofilo fallo a tua
sorella».
«Io non ho sorelle»
replicò l'altro uomo.
«E la fortuna è tutta
loro».
Scuotendo la testa al battibecco tra i due, Vera
sedette accanto all'altra donna e le tese la mano come aveva fatto
Claudio con lei solo un momento prima.
«Ciao, Michela: è un piacere
conoscerti».
Michela le prese la mano e la strinse.
«Piacere mio, Vera». La studiò con aria
divertita. «Claudio mi ha parlato parecchio di te,
specialmente negli ultimi due giorni». Sospirò,
improvvisamente abbattuta. «Scusa».
Vera batté più volte le
palpebre, perplessa. «Scusa... di cosa?»
L'altra accennò con la testa al proprio
marito. «Scusa di qualsiasi cosa dirà o
farà: lo vedo, che ha qualcosa in mente».
La venticinquenne trattenne una risata.
«Vittorio ha detto la stessa cosa appena siamo
entrati».
«Be', Vittorio sembra aver imparato a
conoscere Claudio piuttosto in fretta». Michela
lanciò un'occhiata ai due uomini che, ancora in piedi,
proseguivano nel loro botta e risposta. «Vanno d'accordo, i
due mocciosi, eh?»
Vera scoppiò in una grassa, rumorosa
risata: non poté proprio impedirselo, e la cosa
attirò l'attenzione di Claudio e Vittorio.
«Che c'è da
ridere?» chiese il secondo.
L'ex ginnasta annaspò nel vano
tentativo di riprendere fiato e indicò Michela, che li
osservava con un sorrisetto compiaciuto sul volto. «Lei...
lei... vi ha chiamati... mocciosi» singhiozzò a
fatica, «e, Dio... c'ha preso... in pieno!».
Entrambi i carabinieri si voltarono verso la
trentatreenne bionda. «
Mocciosi?»
«Se non vi piace, posso sempre chiamarvi
marmocchi» replicò placida Michela.
«Tanto è lo stesso».
«Tua moglie è un tantino
stronza» disse Vittorio all'amico.
«Sì, lo so»
replicò lapidario Claudio.
«Non dargli retta» intervenne
Vera. Batté una mano su quella dell'altra. «Tu sei
un
genio
assoluto, Michela, fidati».
«Ci credo che la consideri un genio: a
quanto mi ha raccontato Vittorio, non sei da meno di lei»
commentò Claudio.
Vera gli rivolse uno sguardo supponente.
«Stai dicendo che siamo due stronze? Bella
scoperta!»
«Sì, infatti: se proprio
dovete parlare, almeno diteci qualcosa che non sappiamo
già» aggiunse Michela con noncuranza prima di
voltarsi verso Vera. «Lasciali perdere, Vera. Piuttosto...
Claudio mi ha detto che Vittorio gli ha raccontato che fai la
traduttrice».
L'ex ginnasta guardò gli uomini, le
sopracciglia inarcate a formare due archi perfetti.
«Pettegoli» commentò.
«Comunque sì, è vero. Traduco gli
articoli di un professore di Economia che a tempo perso scrive per
varie riviste internazionali. Tutta roba abbastanza noiosa, ma lui
è una pasta d'uomo e ci si lavora che è una
meraviglia».
«Ah, meglio così. Io ho
lavorato per tre anni come segretaria per un infame che non ti dico...
non si sopportava. Penso di essere stata più felice il
giorno in cui ho potuto lasciare quel posto che in quello del mio
matrimonio!»
«Ehi!» sbottò
Claudio, indignato.
Nessuna delle due diede cenno d'averlo sentito:
continuarono a chiacchierare allegramente, come se Vittorio e Claudio
neanche fossero presenti.
Il quarantenne batté la mano sulla
spalla dell'altro uomo.
«Volevi tanto farle incontrare? Eccoti
servito!» disse giulivo.
Claudio assottigliò lo sguardo.
«Mi rifarò la prossima volta: tanto peggio per la
tua ragazza!»
«Buona fortuna»
sghignazzò Vittorio.
******
A differenza di Claudio, Vittorio si era ripreso in fretta dalla
rapidità con cui Vera e Michela avevano stretto amicizia: in
fondo,
lui
non aveva niente da temere dal sodalizio tra le due donne... almeno per
il momento. C'era però qualcosa da cui si sarebbe ripreso
molto meno in fretta e, pur sapendolo, si trattava di un appuntamento
che non poteva evitare.
Fu così che, quella domenica mattina,
Vittorio sospirò rassegnato e suonò il campanello.
Sua madre aprì la porta neanche dieci
secondi più tardi.
«Tua sorella è arrivata prima
di te e
lei
abita a Viterbo» furono le prime parole di Agnese.
«E ti pareva che non si partiva
all'istante con le lodi di Valeria la perfettina!»
sbottò Vittorio. «Guarda, mà, te lo
dico subito: se mi devi rompere così per tutto il pranzo,
giuro che me ne vado
adesso».
«Come sei suscettibile!»
replicò offesa sua madre. «Entra, che è
meglio!»
Brontolando tra sé, il carabiniere
varcò l'uscio e andò dritto in sala da pranzo:
lì, già schierati intorno al tavolo, c'erano i
suoi zii e sua sorella, quest'ultima incredibilmente senza marito e
figli al seguito.
«Guarda un po' chi si è
finalmente fatto vivo» disse sarcastica Valeria.
«Il mio fratellone stronzo, che è tornato a Roma
da sei mesi e non si è
mai
fatto vedere!». Gli si avvicinò e gli
sferrò un pugno in pieno petto. «Sei un
disgraziato: se non fossi venuta io qua, chissà quando ti
saresti degnato di venire a salutarmi!»
Vittorio si massaggiò il punto colpito
con una smorfia di fastidio. «Sei sempre la solita scimmietta
manesca» mugugnò. Schivò un secondo
pugno. «Senti, ho avuto un sacco di casini da sistemare e
poco tempo libero, va bene? Verrò a trovarti, basta che la
smetti di picchiarmi!»
«Non lo so se te lo meriti»
borbottò Valeria mentre gli scoccava uno sguardo torvo.
«Ma piantala di fare la
sostenuta» replicò suo fratello.
«Piuttosto, dove hai lasciato il resto della Banda
Bassotti?»
Valeria sbuffò. «Simone ha
portato i due pazzi scatenati a pescare al lago e io ne ho approfittato
per venire qui».
Vittorio gemette. «Ma così
non vale! A saperlo, sarei andato con loro!»
Il terzo pugno della trentacinquenne lo
colpì dritto al diaframma; Vittorio, preso alla sprovvista,
si piegò a metà con un gemito di dolore.
«Se ti fossi degnato di venirci a
trovare, l'avresti saputo!» abbaiò Valeria.
«I
tuoi
nipoti muoiono dalla voglia di vederti: adorano lo zio Vittorio, in
caso te lo fossi scordato!»
Il carabiniere si raddrizzò e si
grattò la nuca. «Non me lo sono scordato, ma ho
avuto un periodaccio e mi è mancato proprio il
tempo».
Sua sorella gli rivolse una lunga occhiata
penetrante, studiandolo con cura dalla punta delle scarpe a quella dei
capelli; le sue sopracciglia si aggrottarono ancora di più
prima di distendersi appena.
«Dopo mi racconti»
bisbigliò minacciosa.
«Va bene» mugugnò
l'uomo a mezza voce.
«
Tutto!»
mormorò decisa Valeria.
«Ho già detto di
sì!» replicò Vittorio in un sussurro
furioso. Si allontanò da Valeria. «Ciao zia Adele,
zio Ernesto» salutò, abbracciando entrambi.
«Era ora di rifare un pranzo in famiglia...»
«Peccato che se dovessimo aspettare te,
per organizzarlo, ci rivedremmo solo all'altro mondo»
bofonchiò Agnese.
«E basta, Agnè»
sbuffò Adele. «Lascia in pace 'sto povero figlio,
che quando hai bisogno di una mano, corre sempre... e fa pure un
lavoraccio duro». Pizzicò la guancia del
quarantenne. «Bello de zia, non stare a sentirla a tua madre,
che se non si lamenta, non è mai contenta!»
Vittorio scoccò un'occhiata gongolante
ad Agnese, che gli rivolse una smorfia irritata e sparì in
cucina.
Nonostante le premesse, il pranzo filò
via più liscio del previsto: i battibecchi tra Vittorio e
Agnese rimasero al minimo, grazie anche agli interventi di Adele,
spudoratamente a favore del nipote, e di Ernesto, che abituato agli
scontri tra le due sorelle, sapeva bene come deviare la conversazione
in modo da farle concentrare su tutt'altro.
Giusto un paio d'ore dopo l'arrivo del
carabiniere, Adele e Agnese presero a battibeccare sulla corretta
potatura delle rose; Ernesto si vide costretto a fare di nuovo da
paciere, e questo lasciò Valeria e Vittorio a intrattenersi
tra di loro.
«Io e te dobbiamo parlare»
bisbigliò Valeria all'orecchio del fratello.
Il carabiniere si alzò. «Vado
a fare il caffè» annunciò. Quando
nessuno diede cenno d'averlo sentito, si voltò verso la
trentacinquenne. «Vieni ad aiutarmi».
I due filarono in cucina prima che Agnese potesse
accorgersi del fatto che avevano lasciato la tavola; Valeria si
richiuse la porta della stanza alle spalle e Vittorio andò
subito a frugare nella credenza, alla ricerca della caffettiera
più grande.
«Tanto vale prepararlo
davvero» disse, in risposta all'occhiata perplessa di
Valeria.
La donna incrociò le braccia al petto e
lo fissò mentre preparava la moka e la metteva sul gas;
continuò a seguire ogni sua mossa anche mentre preparava
vassoio, tazzine e zuccheriera, e soltanto quando lo vide ripulirsi con
uno strofinaccio si decise a parlare.
«Mi pare che manchi qualcosa»
osservò Valeria. Il carabiniere, confuso, osservò
prima la caffettiera e poi il vassoio, e sua sorella sbuffò.
«Sulla tua mano, manca qualcosa.
Dov'è la
tua fede?» chiese, tagliente.
D'istinto Vittorio si guardò le dita,
maledicendo tra sé la propria sbadataggine: avrebbe dovuto
aspettarsi che qualcuno notasse l'assenza dell'anello. In preda al
panico tentò inutilmente di nascondere la mano, ma ormai il
danno era fatto.
«Mi sto separando»
rivelò controvoglia.
Valeria sgranò gli occhi. «TI
STAI...»
Vittorio le schiaffò una mano sulla
bocca. «Zitta!» sibilò con voce
mortifera. Si lanciò uno sguardo alle spalle e rimase in
ascolto: dopo qualche istante, sentì sua madre e sua zia
ancora intente a bisticciare e si rilassò. Tolse la mano dal
volto di Valeria, non senza scoccarle un'occhiata di ammonimento.
«
Ti
stai separando?» lo incalzò sua
sorella.
«Parla piano!» la
rimbrottò Vittorio. «Sì, mi sto
separando. Tanto, ormai, è inutile negare l'evidenza: il mio
matrimonio è irrecuperabile e da quando sono tornato a Roma
ho capito di stare molto, molto meglio senza Emanuela. E comunque, vedi
di farti gli affari tuoi, eh» aggiunse in fretta.
«Evita di correre a dirlo a mamma!»
«Che palle, Vittò! E falla
finita!» sbottò sua sorella. «Lo sai che
non sono
mai
andata a raccontare i tuoi segreti a mamma!»
Vittorio inarcò le sopracciglia.
«Ah, no? E quando hai trovato quel pacchetto di sigarette nel
cassetto delle mutande, in camera mia?»
«Avevo undici anni!» insorse
Valeria. «Per quanto tempo ancora hai intenzione di
rinfacciarmelo? E poi anche tu mi hai beccata a marinare la scuola e
l'hai detto a mamma!»
«Avevi tredici anni: 'ndo volevi
andà io ancora non l'ho capito»
bofonchiò l'uomo.
«Non provare a cambiare
discorso» bisbigliò minacciosa la trentacinquenne.
«Tu non mi stai raccontando tutto, lo so!»
«Che vuoi che ti racconti? Che porto le
corna da più di due anni? Eccoti accontentata!»
esplose sottovoce Vittorio.
Valeria trattenne bruscamente il fiato.
«Quella
stronza!».
Schivò la mano di suo fratello, che tentava di nuovo di
chiuderle la bocca. «Non me fai sta' zitta, proprio no!
Quella
puttana!
Se la pijo, je spacco la faccia!»
Vittorio la abbrancò alla vita e, con
un certo sforzo, riuscì contemporaneamente a bloccarla e
soffocare la sua voce con la propria mano.
«Già ne ho dovuta fermare
una, ci manca solo che ci provi anche tu, a prendere a schiaffi
Emanuela!» ansimò l'uomo.
«Perché sono circondato da donne fuori di
testa?»
Valeria farfugliò qualcosa contro il
suo palmo, l'espressione furiosa, ma Vittorio non allentò la
presa; due secondi più tardi, però, ritrasse di
scatto la mano con aria disgustata.
«Mi hai leccato!» disse,
incredulo.
«Così impari a tapparmi la
bocca!» ribatté Valeria.
«Che schifo, ma
che schifo!»
proseguì Vittorio mentre si lavava le mani.
«Cristo, Valè, c'hai trentacinque anni, mica
otto!»
Sua sorella gli sferrò un calcio sul
polpaccio. «E tu continui a fare il prepotente come quando ne
avevi dieci e io cinque!» sbottò.
Controllò la caffettiera e spense il gas prima di
concentrarsi di nuovo su Vittorio. «E adesso dimmi chi
è che voleva pestare Emanuela, senza che io debba tirarti
fuori le parole con le pinze!»
Vittorio esitò: un errore madornale,
perché Valeria fiutò all'istante la sua
incertezza. Il carabiniere prese a versare il caffè nelle
tazzine, sperando così di sfuggire all'interrogatorio di sua
sorella.
Peccato che Valeria fosse ostinata quanto lui.
«
Vittorio»
ringhiò la donna.
«Bada ai fatti tuoi»
reagì brusco il quarantenne. «Ti voglio bene,
Vale, sai che te ne voglio, ma questo non mi obbliga a raccontarti
tutti gli affari miei!»
Valeria gli scoccò un'occhiata truce
prima di scuotere la testa.
«Fammi almeno il favore di non metterti
nei casini» disse cupa.
«La tua fiducia in me è
commovente» rispose sarcastico Vittorio mentre prendeva il
vassoio. «Torniamo di là, prima che mamma venga a
impicciarsi».
Sua sorella gli trotterellò dietro.
«Hai preso lo zucchero di canna per me?»
«Sì»
brontolò l'uomo.
«E il mio cucchiaino
preferito?»
«Ho preso anche quello, razza di
rompiscatole».
«Ehi! Rompiscatole a chi?»
«A te: ne vedi altri, in giro?»
I due rientrarono nella sala da pranzo senza mai
smettere di punzecchiarsi e, una volta lì, Adele coinvolse
Valeria nella discussione con Agnese.
Vittorio tirò un silenzioso sospiro di
sollievo: era salvo, per il momento... ma conoscendo sua sorella,
quella pace non sarebbe durata a lungo.