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Autore: Piperilla    17/01/2019    0 recensioni
Le storie sono belle, ma la vita vera è un'altra cosa: si nasconde agli angoli delle strade, negli appartamenti anonimi, nelle periferie, e quando va in pezzi, ti dilania come le schegge di una granata.
Questo Vera lo sa bene: piena di ferite e di demoni con cui convivere, ha smesso di illudersi. La vita è crudele, meschina, e senza giustizia.
Anche Vittorio lo sa, ma non se ne cura: dopo vent'anni passati seguendo passione e vocazione, tutto quello che ha realizzato gli si sta sgretolando tra le mani. La vita è dura, irriconoscente, e ha un pessimo senso dell'umorismo.
La vita spesso fa schifo: è questo che pensa Vera mentre si domanda se le cose andranno mai meglio.
La vita a volte è proprio una stronza: è questo che si dice Vittorio mentre si chiede se valga la pena di ricostruire quelle macerie.
La risposta che entrambi si danno è no: ormai pieni solo di rabbia e amarezza, l'unica cosa che riescono a fare è usarle come spinta per alzarsi al mattino. Se lo tengono stretto, tutto quel veleno che gli scorre nelle vene.
Almeno finché qualcuno non glielo tirerà fuori a forza e gli ricorderà che esiste anche altro oltre la rabbia.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Vittorio accolse con gioia la notizia che Vera aveva parlato a Giulia della loro relazione, per almeno due motivi. Primo: si era scoperto particolarmente felice di stare con quella donna, quindi doversi nascondere gli andava stretto. Secondo: nonostante Vera gli avesse chiesto di tenere la cosa per sé, lui aveva raccontato tutto a Claudio già da un pezzo, e stava aspettando quel momento per tentare di limitare i danni... possibilmente, facendo di tutto perché la sua nuova fidanzata non scoprisse che la loro storia non era stata poi tanto segreta.
   Sin da quella sera al pub, infatti, Claudio aveva preso l'abitudine di chiedere a Vittorio come procedesse la relazione con Vera a ogni inizio turno; il quarantenne, da parte sua, era lieto di poter parlare con qualcuno, dunque non si faceva mai scrupoli a rispondere.
   Come quel giorno.
   «Allora, Vittorio» esordì il trentaquattrenne, buttandosi di peso sul sedile della volante, «come va con la tua fidanzatina?».
   Vittorio si accigliò mentre avviava il motore e guidava l'auto fuori dal parcheggio del comando. «Devi per forza chiamarla così?»
   Claudio sogghignò. «Sei tu che ti sei preso una ragazzina, eh».
   Il cipiglio dell'altro aumentò. «Vera non è una ragazzina» grugnì.
   «Quindi non ti dà fastidio la differenza d'età tra voi due?» insisté Claudio.
   Vittorio sbuffò. «Se mi desse fastidio, non starei con Vera».
   Il più giovane si accarezzò il mento, fingendosi pensieroso.
   «Mh. Allora non è per questo, che la tieni nascosta?» sparò.
   Vittorio, che stava rallentando in prossimità di un semaforo rosso, premette sul pedale sul freno con troppa foga e la macchina inchiodò.
   «Ma che cazzo...» imprecò. Tirò fuori un braccio dal finestrino e rivolse un gesto di scuse all'automobilista dietro di lui, che lo scrutava furibondo attraverso il parabrezza: c'era mancato poco che lo centrasse in pieno e Vittorio quasi si aspettava un gestaccio in risposta, divisa o no. Preso un respiro profondo, si voltò verso il collega e gli scoccò un'occhiata truce. «Io non tengo nascosto nessuno, men che meno Vera, quindi vedi un po' che altre cazzate devi farti uscire dalla bocca» disse a denti stretti. «E, giusto per tua informazione, è stata lei a non voler far sapere che ci stiamo frequentando: prima voleva essere sicura che tra noi le cose funzionassero». Mugugnò qualcosa tra sé e ingranò la prima per ripartire. «Per fortuna si è decisa a dire alla sua migliore amica che stiamo insieme, così non verrò più tenuto nascosto. Perché sono stato io quello che è stato nascosto, non lei» aggiunse in tono risentito.
   Lo sguardo di Claudio divenne malizioso ma Vittorio, concentrato sulla strada, non se ne accorse.
   «Non dirmi che ti sei offeso!» esclamò giulivo. Vittorio mugugnò di nuovo e lui scoppiò a ridere. «Mhhh... potrebbe essere il titolo di un romanzo. “Vittorio Valenti: uno scomodo segreto”». Sghignazzò di nuovo senza ritegno dell'espressione furiosa dell'amico e si preparò a lanciare l'esca. «Ma hai detto che adesso state uscendo allo scoperto, no?»
   «Sì» brontolò il quarantenne. «Finalmente, direi».
   «Quindi inizierete a farvi vedere in pubblico» aggiunse Claudio.
   «Mh-mh».
   «Quindi comincerete a conoscere l'uno gli amici dell'altro».
   «Mh-mhhh».
   «Quindi non hai più scuse per rifiutare un'uscita a quattro con lei, me e Michela!» disse Claudio in tono di trionfo.
   Preso in contropiede, Vittorio boccheggiò e per poco non inchiodò di nuovo.
   «Io... che? Perché dovremmo organizzare un'uscita a quattro?» farfugliò agitato.
   «Perché io e te siamo amici» replicò soave il più giovane.
   A Vittorio il sorriso di Claudio non piacque per niente.
   «Perché hai tanta voglia di conoscere meglio Vera?» domandò, guardingo. Sventolò un dito contro l'altro uomo. «Che hai in mente, Pastore?»
   «Io? Niente. Voglio solo conoscere meglio la fidanzata del mio amico e collega» rispose Claudio con espressione innocente.
   «Sì, e io sono un giovincello di primo pelo» sbuffò il quarantenne.
   «Guarda che tanto non mollo» lo avvertì Claudio. «Domani abbiamo l'ultimo turno di notte, quindi... dopodomani sera dovrebbe andar bene» decretò.
   «Se ti dicessi che voglio evitare questo momento il più a lungo possibile, cambieresti idea?» grugnì Vittorio.
   «No».
   «Ti pareva». Vittorio mollò una pacca frustrata al volante e digrignò i denti. «Va bene, dopodomani sera. Basta che mi lasci in pace e che non provi a terrorizzare Vera».
   «Terrorizzarla? Io?» ribatté Claudio. «La donna che ti ha urlato a due centimetri dal naso e ha provato a morderti la prima volta che vi siete visti, e che voleva spappolare la faccia di tua moglie perché ti stava insultando?». Sbuffò una mezza risata. «Non lo so mica, se c'è qualcuno in grado di terrorizzare la tua ragazza, Valenti. Forse sei tu che sei troppo protettivo e ti preoccupi senza motivo».
   «Sì, sì» brontolò l'altro. «Ti ho già detto che ci saremo, dopodomani, quindi risparmiami almeno la tua psicologia spicciola».
   Claudio intrecciò le dita dietro la testa e sorrise soddisfatto. «Allora me la tengo tutta per dopo quella serata, la psicologia spicciola» ridacchiò. «Oh, quanto mi divertirò!»

******

Due giorni dopo quella conversazione, Vittorio era nella propria camera da letto e si stava vestendo mentre imprecava tra sé a tutto spiano: mancava meno di un'ora all'appuntamento con Claudio e Michela, e lui ancora non aveva detto a Vera che quella sera sarebbero usciti. E non si aspettava che convincerla a mettere il naso oltre la porta fosse un'impresa facile: la venticinquenne sembrava felice all'idea di restare a casa e giusto in quel momento era sdraiata sul divano insieme a Estia, ignara di quel che l'aspettava.
   L'uomo sospirò tra sé: avrebbe potuto cercare di convincere Claudio a rimandare quell'uscita a quattro ma, oltre a non essere certo di riuscirci, sapeva che l'amico gli avrebbe dato il tormento per giorni.
   Insomma: da qualunque punto di vista analizzasse la situazione, Vittorio non vedeva modo di vincere.
   Rassegnato, Vittorio s'infilò il portafogli in tasca e tornò in salotto. Quando lo sentì arrivare, Vera alzò lo sguardo e d'istinto corrugò le sopracciglia, confusa dall'abbigliamento del fidanzato: ormai aveva imparato che Vittorio passava la maggior parte del proprio tempo libero scalzo, in tuta e magliette sformate, soprattutto quando restava a casa, quindi vederlo in jeans, con una maglietta in perfette condizioni e le scarpe ai piedi cozzava parecchio con le sue aspettative. E questo senza contare l'espressione incerta e insofferente sul volto dell'uomo.
   Tutto considerato, Vera decise di dare voce alle proprie perplessità.
   «Che ci fai vestito così, Vittò?»
   Il carabiniere strinse le labbra e arricciò il naso, poi si grattò la nuca.
   «Ci tieni tanto a restare a casa, stasera?»
   L'espressione confusa di Vera divenne sospettosa. «Che cosa stai tramando, Valenti?»
   Le sopracciglia dell'uomo si inarcarono all'istante mentre lui registrava l'improvviso ritorno all'uso del cognome. Avrebbe potuto continuare a tastare il terreno e girare intorno al nocciolo della questione per ore, ma questo non avrebbe reso più facile far alzare Vera da quel divano. Quindi Vittorio prese la borsa di lei e se la mise a tracolla, poi convinse Estia a spostarsi con una caramella all'erba gatta. Fatto questo con gli occhi sorpresi di Vera sempre incollati addosso, Vittorio la mise in piedi di peso, l'afferrò per un polso e la trascinò verso la porta.
   «Usciamo».
   «Di nuovo?» gnaulò Vera. «Ma non senti mai il bisogno di far riposare le tue vecchie ossa stanche?»
   L'uomo non la degnò di uno sguardo: si limitò a farla entrare nell'ascensore e a pigiare il pulsante per il piano terra. «Se è una provocazione per spingermi a darti una dimostrazione pratica del contrario, sappi che non funziona».
   «Quale provocazione?» ribatté lei. «Io ero seria».
   Di nuovo, Vittorio non perse neanche tempo a voltarsi verso di lei. «Allora mettiamola così: anche se vecchio e stanco, almeno io ho ancora tutte e due le gambe».
   «Perfido!»
   «Ma ho detto la verità».
   «Insensibile, allora. Ecco! Insensibile!»
   «Mai sostenuto il contrario».
   Senza battere ciglio, Vittorio spinse Vera fuori dal portone e in macchina, corse al posto di guida e mise in moto.
   Sconfitta, la ragazza incrociò le braccia sul petto e scoccò un'occhiataccia a Vittorio.
   «Posso almeno sapere perché di punto in bianco hai deciso di uscire, o anche questo è chiedere troppo?» domandò, petulante.
   Il carabiniere non si scompose. «Non all'improvviso» la corresse. «Claudio sa che stiamo insieme e ha deciso che dovevamo per forza fare un'uscita a quattro: mi ha rotto le scatole finché non ho detto di sì».
   Vera sogghignò. «Basta davvero così poco per convincerti a fare qualcosa che non vuoi?»
   «Tu sottovaluti la capacità di Claudio di esasperare una persona» rispose Vittorio con grande serietà. «Diventa peggio di un martello: immagina di passare otto ore con una persona che batte e ribatte senza sosta sempre sullo stesso punto, e mi capirai!»
   L'ex ginnasta sollevò per metà le braccia e si stiracchiò. «Il tuo collega già mi stava simpatico prima, ma adesso credo che potrei addirittura adorarlo: c'è bisogno di qualcuno che ti faccia saltare i nervi anche quando non posso pensarci io» sghignazzò perfida.
   Vittorio si accigliò. «Faccio ancora in tempo a girare la macchina e tornare a casa».
   Il sorriso di Vera avrebbe illuminato una stanza buia. «Fa' pure: tanto io vinco in entrambi i casi!»
   Il cipiglio di Vittorio si accentuò mentre l'uomo borbottava qualcosa tra sé; la sua voce era troppo bassa perché Vera potesse distinguere con chiarezza quel che stava dicendo, ma fu sicura di aver sentito le parole “ragazzina guastafeste” e il suo sorriso si allargò ancora di più.
   I due lasciarono che la musica che usciva dalla radio riempisse il resto del tragitto; alla fine Vittorio parcheggiò l'Alfa a poca distanza dal solito pub e insieme a Vera raggiunse la porta del locale e la varcò.
   Avevano a malapena messo piede all'interno che già un uomo si sbracciava frenetico nella loro direzione, mentre la donna bionda seduta insieme a lui si copriva il volto con la mano e scuoteva la testa con fare sconsolato.
   «Accidenti» commentò Vera: l'espressione di Claudio era entusiasta in maniera quasi inquietante. «Non ti pare un po' troppo felice?»
   «Certo che è felice: ha qualcosa in mente... solo che non so cosa» bofonchiò scontento Vittorio. «Tanto lo so che mi pentirò di aver ceduto, lo sapevo già prima e adesso ne sono proprio convinto. Andiamo, va': tanto, ormai, non possiamo più scappare».
   «Sei sicuro?» chiese incerta la donna.
   Neanche avesse sentito le loro parole, Claudio scoccò a Vittorio uno sguardo che prometteva dure rappresaglie e indicò con un gesto secco le sedie libere.
   «Sì, sono sicuro» sbuffò infine il quarantenne.
   Senza aggiungere altro, Vera e Vittorio fecero lo slalom tra i tavoli fino a raggiungere quello occupato dalla coppia che li aspettava; Claudio balzò in piedi all'istante, mollò sulla schiena di Vittorio una pacca tanto forte da mozzargli il fiato e tese la mano a Vera.
   «Ciao, Vera, è bello rivederti... finalmente» cinguettò. «Questa è Michela, mia moglie».
   Vittorio lo interruppe rifilandogli uno schiaffo deciso sul retro della testa. «Non siamo cani: la prossima volta, quel gesto da addestratore cinofilo fallo a tua sorella».
   «Io non ho sorelle» replicò l'altro uomo.
   «E la fortuna è tutta loro».
   Scuotendo la testa al battibecco tra i due, Vera sedette accanto all'altra donna e le tese la mano come aveva fatto Claudio con lei solo un momento prima.
   «Ciao, Michela: è un piacere conoscerti».
   Michela le prese la mano e la strinse. «Piacere mio, Vera». La studiò con aria divertita. «Claudio mi ha parlato parecchio di te, specialmente negli ultimi due giorni». Sospirò, improvvisamente abbattuta. «Scusa».
   Vera batté più volte le palpebre, perplessa. «Scusa... di cosa?»
   L'altra accennò con la testa al proprio marito. «Scusa di qualsiasi cosa dirà o farà: lo vedo, che ha qualcosa in mente».
   La venticinquenne trattenne una risata. «Vittorio ha detto la stessa cosa appena siamo entrati».
   «Be', Vittorio sembra aver imparato a conoscere Claudio piuttosto in fretta». Michela lanciò un'occhiata ai due uomini che, ancora in piedi, proseguivano nel loro botta e risposta. «Vanno d'accordo, i due mocciosi, eh?»
   Vera scoppiò in una grassa, rumorosa risata: non poté proprio impedirselo, e la cosa attirò l'attenzione di Claudio e Vittorio.
   «Che c'è da ridere?» chiese il secondo.
   L'ex ginnasta annaspò nel vano tentativo di riprendere fiato e indicò Michela, che li osservava con un sorrisetto compiaciuto sul volto. «Lei... lei... vi ha chiamati... mocciosi» singhiozzò a fatica, «e, Dio... c'ha preso... in pieno!».
   Entrambi i carabinieri si voltarono verso la trentatreenne bionda. «Mocciosi?»
   «Se non vi piace, posso sempre chiamarvi marmocchi» replicò placida Michela. «Tanto è lo stesso».
   «Tua moglie è un tantino stronza» disse Vittorio all'amico.
   «Sì, lo so» replicò lapidario Claudio.
   «Non dargli retta» intervenne Vera. Batté una mano su quella dell'altra. «Tu sei un genio assoluto, Michela, fidati».
   «Ci credo che la consideri un genio: a quanto mi ha raccontato Vittorio, non sei da meno di lei» commentò Claudio.
   Vera gli rivolse uno sguardo supponente. «Stai dicendo che siamo due stronze? Bella scoperta!»
   «Sì, infatti: se proprio dovete parlare, almeno diteci qualcosa che non sappiamo già» aggiunse Michela con noncuranza prima di voltarsi verso Vera. «Lasciali perdere, Vera. Piuttosto... Claudio mi ha detto che Vittorio gli ha raccontato che fai la traduttrice».
   L'ex ginnasta guardò gli uomini, le sopracciglia inarcate a formare due archi perfetti. «Pettegoli» commentò. «Comunque sì, è vero. Traduco gli articoli di un professore di Economia che a tempo perso scrive per varie riviste internazionali. Tutta roba abbastanza noiosa, ma lui è una pasta d'uomo e ci si lavora che è una meraviglia».
   «Ah, meglio così. Io ho lavorato per tre anni come segretaria per un infame che non ti dico... non si sopportava. Penso di essere stata più felice il giorno in cui ho potuto lasciare quel posto che in quello del mio matrimonio!»
   «Ehi!» sbottò Claudio, indignato.
   Nessuna delle due diede cenno d'averlo sentito: continuarono a chiacchierare allegramente, come se Vittorio e Claudio neanche fossero presenti.
   Il quarantenne batté la mano sulla spalla dell'altro uomo.
   «Volevi tanto farle incontrare? Eccoti servito!» disse giulivo.
   Claudio assottigliò lo sguardo. «Mi rifarò la prossima volta: tanto peggio per la tua ragazza!»
   «Buona fortuna» sghignazzò Vittorio.

******

A differenza di Claudio, Vittorio si era ripreso in fretta dalla rapidità con cui Vera e Michela avevano stretto amicizia: in fondo, lui non aveva niente da temere dal sodalizio tra le due donne... almeno per il momento. C'era però qualcosa da cui si sarebbe ripreso molto meno in fretta e, pur sapendolo, si trattava di un appuntamento che non poteva evitare.
   Fu così che, quella domenica mattina, Vittorio sospirò rassegnato e suonò il campanello.
   Sua madre aprì la porta neanche dieci secondi più tardi.
   «Tua sorella è arrivata prima di te e lei abita a Viterbo» furono le prime parole di Agnese.
   «E ti pareva che non si partiva all'istante con le lodi di Valeria la perfettina!» sbottò Vittorio. «Guarda, mà, te lo dico subito: se mi devi rompere così per tutto il pranzo, giuro che me ne vado adesso».
   «Come sei suscettibile!» replicò offesa sua madre. «Entra, che è meglio!»
   Brontolando tra sé, il carabiniere varcò l'uscio e andò dritto in sala da pranzo: lì, già schierati intorno al tavolo, c'erano i suoi zii e sua sorella, quest'ultima incredibilmente senza marito e figli al seguito.
   «Guarda un po' chi si è finalmente fatto vivo» disse sarcastica Valeria. «Il mio fratellone stronzo, che è tornato a Roma da sei mesi e non si è mai fatto vedere!». Gli si avvicinò e gli sferrò un pugno in pieno petto. «Sei un disgraziato: se non fossi venuta io qua, chissà quando ti saresti degnato di venire a salutarmi!»
   Vittorio si massaggiò il punto colpito con una smorfia di fastidio. «Sei sempre la solita scimmietta manesca» mugugnò. Schivò un secondo pugno. «Senti, ho avuto un sacco di casini da sistemare e poco tempo libero, va bene? Verrò a trovarti, basta che la smetti di picchiarmi!»
   «Non lo so se te lo meriti» borbottò Valeria mentre gli scoccava uno sguardo torvo.
   «Ma piantala di fare la sostenuta» replicò suo fratello. «Piuttosto, dove hai lasciato il resto della Banda Bassotti?»
   Valeria sbuffò. «Simone ha portato i due pazzi scatenati a pescare al lago e io ne ho approfittato per venire qui».
   Vittorio gemette. «Ma così non vale! A saperlo, sarei andato con loro!»
   Il terzo pugno della trentacinquenne lo colpì dritto al diaframma; Vittorio, preso alla sprovvista, si piegò a metà con un gemito di dolore.
   «Se ti fossi degnato di venirci a trovare, l'avresti saputo!» abbaiò Valeria. «I tuoi nipoti muoiono dalla voglia di vederti: adorano lo zio Vittorio, in caso te lo fossi scordato!»
   Il carabiniere si raddrizzò e si grattò la nuca. «Non me lo sono scordato, ma ho avuto un periodaccio e mi è mancato proprio il tempo».
   Sua sorella gli rivolse una lunga occhiata penetrante, studiandolo con cura dalla punta delle scarpe a quella dei capelli; le sue sopracciglia si aggrottarono ancora di più prima di distendersi appena.
   «Dopo mi racconti» bisbigliò minacciosa.
   «Va bene» mugugnò l'uomo a mezza voce.
   «Tutto!» mormorò decisa Valeria.
   «Ho già detto di sì!» replicò Vittorio in un sussurro furioso. Si allontanò da Valeria. «Ciao zia Adele, zio Ernesto» salutò, abbracciando entrambi. «Era ora di rifare un pranzo in famiglia...»
   «Peccato che se dovessimo aspettare te, per organizzarlo, ci rivedremmo solo all'altro mondo» bofonchiò Agnese.
   «E basta, Agnè» sbuffò Adele. «Lascia in pace 'sto povero figlio, che quando hai bisogno di una mano, corre sempre... e fa pure un lavoraccio duro». Pizzicò la guancia del quarantenne. «Bello de zia, non stare a sentirla a tua madre, che se non si lamenta, non è mai contenta!»
   Vittorio scoccò un'occhiata gongolante ad Agnese, che gli rivolse una smorfia irritata e sparì in cucina.
   Nonostante le premesse, il pranzo filò via più liscio del previsto: i battibecchi tra Vittorio e Agnese rimasero al minimo, grazie anche agli interventi di Adele, spudoratamente a favore del nipote, e di Ernesto, che abituato agli scontri tra le due sorelle, sapeva bene come deviare la conversazione in modo da farle concentrare su tutt'altro.
   Giusto un paio d'ore dopo l'arrivo del carabiniere, Adele e Agnese presero a battibeccare sulla corretta potatura delle rose; Ernesto si vide costretto a fare di nuovo da paciere, e questo lasciò Valeria e Vittorio a intrattenersi tra di loro.
   «Io e te dobbiamo parlare» bisbigliò Valeria all'orecchio del fratello.
   Il carabiniere si alzò. «Vado a fare il caffè» annunciò. Quando nessuno diede cenno d'averlo sentito, si voltò verso la trentacinquenne. «Vieni ad aiutarmi».
   I due filarono in cucina prima che Agnese potesse accorgersi del fatto che avevano lasciato la tavola; Valeria si richiuse la porta della stanza alle spalle e Vittorio andò subito a frugare nella credenza, alla ricerca della caffettiera più grande.
   «Tanto vale prepararlo davvero» disse, in risposta all'occhiata perplessa di Valeria.
   La donna incrociò le braccia al petto e lo fissò mentre preparava la moka e la metteva sul gas; continuò a seguire ogni sua mossa anche mentre preparava vassoio, tazzine e zuccheriera, e soltanto quando lo vide ripulirsi con uno strofinaccio si decise a parlare.
   «Mi pare che manchi qualcosa» osservò Valeria. Il carabiniere, confuso, osservò prima la caffettiera e poi il vassoio, e sua sorella sbuffò. «Sulla tua mano, manca qualcosa. Dov'è la tua fede?» chiese, tagliente.
   D'istinto Vittorio si guardò le dita, maledicendo tra sé la propria sbadataggine: avrebbe dovuto aspettarsi che qualcuno notasse l'assenza dell'anello. In preda al panico tentò inutilmente di nascondere la mano, ma ormai il danno era fatto.
   «Mi sto separando» rivelò controvoglia.
   Valeria sgranò gli occhi. «TI STAI...»
   Vittorio le schiaffò una mano sulla bocca. «Zitta!» sibilò con voce mortifera. Si lanciò uno sguardo alle spalle e rimase in ascolto: dopo qualche istante, sentì sua madre e sua zia ancora intente a bisticciare e si rilassò. Tolse la mano dal volto di Valeria, non senza scoccarle un'occhiata di ammonimento.
   «Ti stai separando?» lo incalzò sua sorella.
   «Parla piano!» la rimbrottò Vittorio. «Sì, mi sto separando. Tanto, ormai, è inutile negare l'evidenza: il mio matrimonio è irrecuperabile e da quando sono tornato a Roma ho capito di stare molto, molto meglio senza Emanuela. E comunque, vedi di farti gli affari tuoi, eh» aggiunse in fretta. «Evita di correre a dirlo a mamma!»
   «Che palle, Vittò! E falla finita!» sbottò sua sorella. «Lo sai che non sono mai andata a raccontare i tuoi segreti a mamma!»
   Vittorio inarcò le sopracciglia. «Ah, no? E quando hai trovato quel pacchetto di sigarette nel cassetto delle mutande, in camera mia?»
   «Avevo undici anni!» insorse Valeria. «Per quanto tempo ancora hai intenzione di rinfacciarmelo? E poi anche tu mi hai beccata a marinare la scuola e l'hai detto a mamma!»
   «Avevi tredici anni: 'ndo volevi andà io ancora non l'ho capito» bofonchiò l'uomo.
   «Non provare a cambiare discorso» bisbigliò minacciosa la trentacinquenne. «Tu non mi stai raccontando tutto, lo so!»
   «Che vuoi che ti racconti? Che porto le corna da più di due anni? Eccoti accontentata!» esplose sottovoce Vittorio.
   Valeria trattenne bruscamente il fiato.
   «Quella stronza!». Schivò la mano di suo fratello, che tentava di nuovo di chiuderle la bocca. «Non me fai sta' zitta, proprio no! Quella puttana! Se la pijo, je spacco la faccia!»
   Vittorio la abbrancò alla vita e, con un certo sforzo, riuscì contemporaneamente a bloccarla e soffocare la sua voce con la propria mano.
   «Già ne ho dovuta fermare una, ci manca solo che ci provi anche tu, a prendere a schiaffi Emanuela!» ansimò l'uomo. «Perché sono circondato da donne fuori di testa?»
   Valeria farfugliò qualcosa contro il suo palmo, l'espressione furiosa, ma Vittorio non allentò la presa; due secondi più tardi, però, ritrasse di scatto la mano con aria disgustata.
   «Mi hai leccato!» disse, incredulo.
   «Così impari a tapparmi la bocca!» ribatté Valeria.
   «Che schifo, ma che schifo!» proseguì Vittorio mentre si lavava le mani. «Cristo, Valè, c'hai trentacinque anni, mica otto!»
   Sua sorella gli sferrò un calcio sul polpaccio. «E tu continui a fare il prepotente come quando ne avevi dieci e io cinque!» sbottò. Controllò la caffettiera e spense il gas prima di concentrarsi di nuovo su Vittorio. «E adesso dimmi chi è che voleva pestare Emanuela, senza che io debba tirarti fuori le parole con le pinze!»
   Vittorio esitò: un errore madornale, perché Valeria fiutò all'istante la sua incertezza. Il carabiniere prese a versare il caffè nelle tazzine, sperando così di sfuggire all'interrogatorio di sua sorella.
   Peccato che Valeria fosse ostinata quanto lui.
   «Vittorio» ringhiò la donna.
   «Bada ai fatti tuoi» reagì brusco il quarantenne. «Ti voglio bene, Vale, sai che te ne voglio, ma questo non mi obbliga a raccontarti tutti gli affari miei!»
   Valeria gli scoccò un'occhiata truce prima di scuotere la testa.
   «Fammi almeno il favore di non metterti nei casini» disse cupa.
   «La tua fiducia in me è commovente» rispose sarcastico Vittorio mentre prendeva il vassoio. «Torniamo di là, prima che mamma venga a impicciarsi».
   Sua sorella gli trotterellò dietro. «Hai preso lo zucchero di canna per me?»
   «Sì» brontolò l'uomo.
   «E il mio cucchiaino preferito?»
   «Ho preso anche quello, razza di rompiscatole».
   «Ehi! Rompiscatole a chi?»
   «A te: ne vedi altri, in giro?»
   I due rientrarono nella sala da pranzo senza mai smettere di punzecchiarsi e, una volta lì, Adele coinvolse Valeria nella discussione con Agnese.
   Vittorio tirò un silenzioso sospiro di sollievo: era salvo, per il momento... ma conoscendo sua sorella, quella pace non sarebbe durata a lungo.
   
 
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