Broken Fairytales

di queenjane
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Mi ritrovai a sfogliare i resoconti sulla battaglia di Borodino.
Mi era pure capitato tra le mani il rublo coniato per il centenario della battaglia di cui sopra. Al diritto, un’aquila coronata, simbolo degli zar,  e la scritta circolare ” ALESSANDRO I PER GRAZIA DI DIO IMPERATORE E AUTOCRATE DI TUTTE LE RUSSIE”. Al rovescio, la frase “1812 ANNO GLORIOSO È PASSATO MA NON SARANNO DIMENTICATI GLI EROISMI COMPIUTI”.
 La battaglia ebbe luogo il 7 settembre 1812 e vide la vittoria formale delle truppe napoleoniche. L’esercito russo si ritirò alle spalle di Mosca. Napoleone entrò in città, la trovò vuota di cose e persone. Dopo poco tempo il condottiero corso, non avendo ottenuto un successo definitivo, con l’esercito debilitato dal freddo, dalla difficoltà dei rifornimenti, dalle perdite, piccole ma continue causate dalla guerriglia russa, che imitava quella spagnola, decise di ritornare in Francia.
La grande armata napoleonica contava 600 mila soldati di cui 312 mila francesi. Duecentomila perirono nelle varie battaglie, duecentomila furono fatti prigionieri e almeno la metà di essi morirono. Nel dicembre 1812 solo 25 mila del gruppo centrale dell’esercito (450 mila soldati) riattraversarono il fiume Niemen e dei 47 mila della Guardia rientrarono solo in millecinquecento. Le perdite russe furono pure ingenti, nella sola battaglia di Borodinò morirono 52 mila soldati, contro i 28 mila di parte francese.
La disfatta numerica in Russia fu un araldo della fine di Bonaparte.
Felipe de Moguer, alias Rostov-Raulov, mio antenato,  era tra gli ufficiali schierati, come il suo primo figlio.
Per celebrare la ricorrenza di cui sopra, nel centenario, la famiglia imperiale giunse a Mosca. Lo zar Nicola II e le sue figlie visitarono i luoghi, guardando quindi i luoghi della battaglia dal Chistoprudny Boulevard, visitando poi il Cremlino.
Il figlio dello zar, Alexei Nicolaevich, era apparso smagliante e giocoso, nella sua uniforme su misura, un promettente erede al trono, sicuro e sorridente, nella cerimonia rievocativa sulla spianata. E poi si era inchinato con perfetta modestia, quando veniva posta la prima pietra di una cattedrale sul luogo della battaglia, vennero letti i nomi degli ufficiali.
“Cat, ma c’era anche  il tuo antenato tra gli ufficiali?” mi chiese poi in privato. “Certo” la mia solenne risposta, ridendo. “Racconta” mi ingiunse “Subito “Era un portento, lui, un pirata, un guerriero”


Alexei was, also, a sweet boy who loved to draw ships and play with his toy soldiers. He loved to eat bliny (Russian pancakes) and he adored his family and friends.


“Come te” anche Alexei era un portento. Felipe aveva combattuto contro la sua nascita oscura, lo zarevic con la sua malattia che lo tormentava da quando aveva solo sei settimane di vita. L’emofilia, il sangue che non coagulava, ogni caduta che poteva essere fatale e tanto non mollava, come mai aveva ceduto Felipe.
E io con loro, sempre.
I guerrieri.
Nota: punto di vista di Catherine R., nostra amata  Phoenix, che sempre compare, a rate, un estratto per mostrare lo zarevic quando stava bene. Prima della prova di Spala del 1912.




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