Milano era esattamente
come Vittorio la ricordava: rumorosa e frenetica persino più
di Roma, e afosa il doppio.
Il carabiniere sbadigliò,
massaggiandosi il collo, e si avviò a passi pesanti verso
una delle uscite della Stazione Centrale: a quell'ora di mattina era
piena di persone che andavano al lavoro e ben presto Vittorio si
ritrovò trascinato all'esterno da una fiumana di gente.
Il quarantenne conosceva bene quella zona: ci
aveva prestato servizio così tante volte da perdere il
conto, quindi si avviò con decisione verso un bar ben
preciso, all'apparenza uguale agli innumerevoli altri che sorgevano nei
dintorni.
Lì, come previsto, trovò ad
attenderlo l'avvocato che gli aveva raccomandato Luciano.
«Buongiorno, Valenti». L'uomo
gli lanciò una lunga occhiata.
«Nottataccia?»
«Buongiorno, avvocato»
grugnì Vittorio in risposta. «Ho fatto uno dei
viaggi peggiori della mia vita su un notturno interregionale che...
lasciamo stare, è meglio». Richiamò
l'attenzione del barista con una mano. «Ti prego, fammi un
caffè. Doppio. E portami anche un paio di cornetti
farciti».
Giuliano Santini inarcò le
sopracciglia. «Goditelo 'sto caffè, Valenti,
perché stamattina abbiamo parecchio da fare. Tra un'ora
vediamo tua moglie e il suo avvocato per firmare le carte per la
separazione; sono state fatte le stime sui beni di valore che possedete
insieme – all'infuori della casa, s'intende – ed
è disposta a pagare per tenersi tutto, visto che hai detto
che non vuoi niente di quello che avete comprato durante il
matrimonio».
«Meno male»
brontolò Vittorio. «E la casa?»
«Tua moglie ha rinunciato al diritto di
prelazione, ma abbiamo trovato comunque un compratore per la tua
metà e disposto ad accollarsi la tua parte di
mutuo» rispose Santini. «Ho già parlato
anche con la banca: abbiamo appuntamento alle undici e trenta per
finalizzare le carte riguardanti il mutuo. Se tutto va bene, riusciamo
a sistemare ogni cosa entro oggi». Gli fece l'occhiolino.
«Dopo, l'unica cosa che ti resta da fare è pagarmi
la parcella».
Vittorio sbuffò. «Luciano non
me l'aveva detto, che sei tanto simpatico».
L'avvocato si sistemò la giacca.
«Questo è un privilegio che riservo ai clienti
paganti».
«
Molto
spiritoso».
«Valenti, pensa a fare colazione, che
l'orologio corre!»
Vittorio decise di seguire il suggerimento di
Santini; dopo dieci minuti i due uomini erano fuori dal bar, e altri
diciassette più tardi, facevano il loro ingresso nello
studio dell'avvocato di Emanuela.
Quando la donna arrivò, posò
lo sguardo su Vittorio per un brevissimo istante prima distoglierlo in
tutta fretta, senza nient'altro che un cenno del capo a mo' di saluto.
Il carabiniere strinse d'istinto gli occhi, reso
guardingo dall'atteggiamento di sua moglie.
O meglio, quasi ex moglie,
si corresse tra sé mentre continuava a rimuginare sullo
strano comportamento di Emanuela: che stesse pensando di rimangiarsi la
parola? Magari di giocargli un brutto tiro? Vittorio non se la sentiva
di escluderlo: Emanuela gli aveva portato rancore molto più
a lungo e per motivi molto meno importanti, in passato, e non si era
mai fatto scrupolo di manifestare il proprio malumore. Dunque lo
rendeva inquieto, quel contegno così remissivo di Emanuela:
in fondo, quella era la donna che era venuta fino a Roma e non s'era
fatta scrupoli ad azzuffarsi con una sconosciuta in mezzo alla strada.
Vittorio spinse quei pensieri in fondo alla mente
quando la segretaria dell'avvocato milanese li fece accomodare nel suo
studio. Da lì, le cose procedettero senza intoppi, al
contrario di quanto s'era aspettato: ricontrollati i termini
dell'accordo e del tutto soddisfatto, Vittorio firmò i
documenti subito dopo sua moglie.
Il quarantenne lanciò uno sguardo
all'orologio e sorrise. Adesso la separazione era ufficiale, senza
contare che il tutto si era svolto in poco più di un'ora e
senza scambiare una sola parola con Emanuela, il che aveva del
miracoloso: Vittorio si era aspettato ore di contrattazioni e urla
furibonde da parte di entrambi, e non gli sembrava vero di essersela
cavata così a buon mercato.
«Sbrigati, Valenti: dobbiamo andare in
banca» lo spronò Santini, quasi più
giulivo del suo cliente.
Vittorio lo seguì, non senza scoccargli
uno sguardo sardonico. «Non dovrei essere io, quello
così spudoratamente allegro?»
«No» rispose all'istante
l'avvocato. «Tu ti sei separato una volta sola; io faccio
questo lavoro da anni, e se tutte le separazione fossero
così semplici e veloci, la mia vita sarebbe
perfetta». Sospirò con quella che pareva genuina
felicità mentre uscivano dal palazzo che ospitava lo studio
dell'altro avvocato e si avviavano lungo il marciapiede. «Non
vi siete nemmeno urlati contro: e pensare che mi ero anche portato
dietro i tappi per le orecchie».
«
I
tappi per le orecchie?» gli fece eco il
quarantenne.
L'altro si voltò appena verso di lui e
ammiccò. «Luciano mi ha avvertito: dice che quando
ti arrabbi, tiri fuori due polmoni niente male!»
Vittorio grugnì qualcosa tra
sé ma scelse di non replicare. I due uomini continuarono in
silenzio la loro lenta camminata verso la banca; quando arrivarono,
vennero accolti quasi subito da un impiegato solerte, che li
guidò in un cubicolo nascosto a occhi indiscreti dalle
pareti di vetro sabbiato.
Non appena entrò, il carabiniere si
rese conto che l'acquirente era già arrivato; ma gli ci
volle una seconda occhiata per riconoscere l'uomo dall'aria altera che
gli stava di fronte, affiancato da un volto che Vittorio conosceva fin
troppo bene e che aveva guardato per l'ultima volta solo mezz'ora prima.
Incredulo, Vittorio fissò Emanuela e
Carlo, il superiore della prima nonché suo amante, per
alcuni lunghi istanti; poi un sorriso gli stirò la bocca
quasi contro la sua volontà.
Due secondi più tardi, il carabiniere
esplose in una grassa risata sotto gli sguardi increduli dell'impiegato
della banca e dell'avvocato Santini.
«I-i-io... non ci posso...
credere!»
riuscì a rantolare Vittorio, tenendosi le costole.
Indicò prima Carlo, che lo scrutava truce, poi Emanuela, sul
cui viso campeggiava un'espressione per metà ostinata e per
metà atterrita. «Proprio... non...
posso!»
«Hai finito?» chiese arcigno
Carlo.
«Per niente» ansimò
l'altro, mentre si sforzava di tenere a bada quello scoppio di
ilarità. «Scusa, ma la tua faccia era proprio
l'ultima che mi sarei aspettato di vedere, qui e oggi». Gli
lanciò uno sguardo divertito. «Non ti facevo
così audace da ricomprare la mia metà di casa
sotto il naso di tua moglie!»
Carlo passò un braccio intorno alle
spalle di Emanuela con aria arrogante.
«Mi sono separato»
annunciò, come se ne andasse particolarmente fiero.
«Non appena avremo risolto questa
situazione»
sputò con disprezzo, lanciando uno sguardo eloquente a
Vittorio, «andremo a convivere».
Vittorio si asciugò gli occhi umidi col
dorso della mano, il sorriso sempre stampato sulle labbra.
«Se non avessi più fretta di te di chiudere questa
storia, ti terrei sulla corda per il puro gusto di farlo».
Per un attimo sembrò sul punto di aggiungere qualcos'altro,
ma prima di poterci riuscire, eruppe in un nuovo torrente di risate,
tanto violente da costringerlo di nuovo a premersi le mani sullo
stomaco.
Quando fu riuscito a prendere fiato un paio di
volte, si raddrizzò e guardò Emanuela.
«Se penso che sei venuta fino a Roma per
supplicarmi di darti un'altra possibilità e che ti
comportavi come se ti avessi spezzato il cuore... per fortuna non ci
sono cascato!» commentò il carabiniere,
ricominciando a sghignazzare senza ritegno. Spostò lo
sguardo su Carlo. «Adesso è tutta tua. Tienitela
stretta, se ci riesci; io, di sicuro, non la
rimpiangerò». Allegro come non mai, si
voltò verso l'impiegato che lo fissava impietrito.
«Allora, dove devo firmare?»
******
Vera lanciò l'ennesimo sguardo al cellulare prima di tornare
verso l'armadio.
La notte precedente Vittorio era partito per
Milano e, eccezion fatta per un messaggio con cui l'avvisava di essere
arrivato, Vera non aveva avuto sue notizie; e sebbene sapesse che di
sicuro Vittorio non si era fatto sentire soltanto perché
troppo occupato, lei non poteva fare a meno di essere agitata. In
fondo, pensava la ragazza, Vittorio era sposato con Emanuela da
vent'anni: non era così improbabile che, dopo quell'ultima
lite e quel distacco tanto netto, uno o entrambi avessero cambiato idea
sulla separazione. Magari rivedendosi si erano resi conto che c'era
ancora dell'amore tra loro, o che non erano pronti a lasciarsi, o che
c'era ancora la voglia o la possibilità di salvare il loro
matrimonio...
Vera scosse con forza la testa e tornò
a riempire la piccola sacca che aveva appoggiato sul letto. Il giorno
prima, quando si erano salutati, Vittorio le aveva detto che, salvo
imprevisti, sarebbe tornato in tempo per passarla a prendere intorno
alle ventuno; e visto che non aveva avuto comunicazioni diverse
– e che ormai il tempo stringeva, almeno stando
all’orologio – alla fine si era decisa a preparare
quello che le serviva.
In quel momento Fabiola entrò nella sua
stanza e guardò con attenzione sua figlia che riempiva la
borsa.
«Dormo fuori»
annunciò Vera, anticipando la domanda di sua madre.
Fabiola inarcò le sopracciglia.
«Devo chiederti dove?»
«Ti aspetti una risposta diversa dal
solito?» ribatté ironica la venticinquenne.
Sua madre le rivolse un lungo sguardo calcolatore:
Vera era sicura che avesse visto il suo bluff, ma non aveva intenzione
di darle nessun tipo di conferma.
Dopo un minuto intero, Fabiola sedette sul bordo
del materasso e sospirò.
«Non capisco perché,
all'improvviso, ci sono tutti questi segreti tra me e te»
disse piano, lo sguardo fisso sulle proprie mani. «Pensi che
avrei qualcosa da ridire? Per quel che ho visto finora, Vittorio mi
sembra un brav'uomo».
Vera deglutì. «Che c'entra
Vitt...»
Fabiola rialzò la testa. «Per
favore, Vè, non trattarmi come se fossi stupida!»
la interruppe sferzante. Prese un breve respiro. «Ultimamente
state sempre appiccicati e si vede, che gli piaci, si vede da come ti
guarda quando siete insieme». Le rivolse un'occhiata
penetrante. «E se a te non piacesse lui, se ti fosse
antipatico come quando l'hai incontrato per la prima volta, l'avresti
già fatto scappare».
«Non sono così
cattiva!» insorse Vera.
«Quando ti ci metti sai essere peggio
che cattiva, Vè: negare l'evidenza non cambia i
fatti» sbuffò sua madre. «E non cambiare
discorso».
Vera mise le ultime cose nella sacca e la chiuse,
poi andò a sedersi accanto a Fabiola.
«Che vuoi che ti dica?»
mormorò, ripiegando la gamba sana sotto quella artificiale.
«Che mi piace? Che con lui sto bene? È
così, non ho motivo di negarlo. E neanche di tenerlo
nascosto. Solo che… volevo tenere la cosa per me, almeno per
un po’».
«Perché? Non sei
felice?» indagò Fabiola.
«Sì che sono
felice». Vera si grattò il naso, pensosa.
«Ed è proprio questo che mi preoccupa».
L'altra donna la fissò per un istante,
esterrefatta. «Ti rendi conto che essere preoccupati
perché si è felici non è normale,
vero?»
Sua figlia si strinse nelle spalle.
«L'ultima volta che sono stata felice, che mi sembrava di non
poter avere di più, Noemi è morta e io ho perso
una gamba oltre a passare un mese e mezzo in ospedale perché
ero piena di fratture e lesioni interne. Quindi… non lo so,
diciamo che sono scaramantica e ho paura che capiti qualche altra
disgrazia».
Fabiola le strofinò una mano sulla
schiena e si sporse a darle un bacio sulla guancia prima di alzarsi.
«A proposito... tuo padre si
è autoconvinto che non ci sia nulla, tra te e
Vittorio» commentò leggera mentre se ne andava.
«Lasciamolo crogiolarsi nelle sue illusioni».
Vera sghignazzò tra sé,
prese borsa e sacca e seguì sua madre giù per le
scale; quando entrò in cucina quasi si scontrò
con Eugenio che ne usciva, un bicchiere di tè freddo in mano
e il telecomando del televisore in tasca.
Eugenio scorse la sacca che sua figlia portava in
spalla, ma prima che potesse dire alcunché, il cellulare
della ragazza trillò; Vera lesse il messaggio di Vittorio e
sorrise tra sé.
«Pà, io esco»
annunciò mentre faceva dietrofront.
«Lo vedo» replicò
l'uomo, tallonandola verso la porta. «Ma con chi?»
«Indovina».
Eugenio assottigliò lo sguardo.
«Sarà mica quel carabiniere...?»
«Proprio lui». Vera
aprì la porta, poi scoccò un'occhiata sardonica
all'espressione aggrondata di suo padre. «Perché
quella faccia? Mi era parso di capire che ti fosse simpatico, quando me
lo hai appioppato per l'appuntamento che avevo con Fabio»
disse soave.
L'uomo mugugnò qualcosa di
incomprensibile e Vera ne approfittò per varcare la soglia.
«Digli che lo tengo d'occhio!»
le urlò dietro Eugenio.
L’ex ginnasta sventolò una
mano con fare noncurante, sgattaiolò fuori dal cancello
sotto lo sguardo sospettoso di Eugenio e s'infilò nella
macchina di Vittorio il più rapidamente possibile.
Il sorriso rilassato con cui il carabiniere la
accolse la fecero sospirare di sollievo.
«Parti, Valenti: mio padre è
sul piede di guerra».
Vittorio eseguì, non senza ridacchiare.
«Che gli hai fatto?»
«Esco con te» rispose lei in
tono innocente.
«E lui non approva»
sbuffò il quarantenne.
«Per ora, si sforza di credere che tra
me e te non ci sia nulla» replicò Vera.
«Mia madre, invece, ci ha dato la sua benedizione...
più o meno».
«Be', è rassicurante sapere
che almeno uno dei tuoi genitori non proverà a
uccidermi» disse giulivo Vittorio.
«Vorrà dire che se mai chiederò la tua
mano a Eugenio, mi presenterò con l'armatura. O pensi sia
meglio che ingaggi una decina di guardie del corpo?»
Vera lo misurò con lo sguardo.
«Quanto siamo allegri, Valenti. Per caso hai avuto un colpo
di fulmine per una donna con tutte e due le gambe?»
Vittorio accostò l'auto,
slacciò la cintura di sicurezza e si sporse verso Vera fin
quasi a salirle in braccio.
«I miei gusti sono cambiati un
po'» rispose, scoccandole uno sguardo ardente. Fece scivolare
una mano sul ventre della ragazza mentre con l'altra le afferrava la
nuca. «Adesso preferisco quelle con una gamba
finta».
Il carabiniere si avventò sulle labbra
di Vera come se non la vedesse da un mese, invece che da sole
ventiquattro ore. Vera rispose con entusiasmo: gli cinse il collo con
le braccia e insinuò la lingua nella bocca di lui,
strappandogli un gemito eccitato. Prima che gli animi potessero
scaldarsi ancora di più, però, il cellulare di
Vittorio prese a squillare con insistenza.
L'uomo si staccò da Vera con un
grugnito di disappunto e afferrò il cellulare; dopo aver
gettato un rapido sguardo allo schermo, prese un respiro profondo e
rispose sbuffando. «Mà? Che
c’è?». Ascoltò in silenzio
per mezzo minuto buono prima di schiaffarsi una mano sulla fronte in un
gesto esasperato. «Sì, sì, vengo
subito. T’ho detto che vengo!»
E chiuse la chiamata.
«Problemi?» chiese Vera. Lui
prese a testate il poggiatesta, borbottando tra sé, e le
sopracciglia della donna s’inarcarono. «Quello
è troppo morbido: se vuoi ammazzarti, devi prendere a
testate qualcosa di più duro. Tipo lo sportello di una
cassaforte, considerato che è della tua testa che stiamo
parlando».
Vittorio la guardò storto e rimise in
moto l’auto. «Devo andare da mia madre»
bofonchiò contrariato. Il suo sguardo si accese.
«Vieni con me!»
«Ma che sei impazzito?»
replicò Vera.
«No, il livello di follia è
sempre lo stesso» rispose lui, immettendosi nel traffico.
«Dai, su, sono passato a prenderti solo dieci minuti fa: non
mi va di riportarti a casa. Tuo padre potrebbe fucilarmi, per averti
scomodata inutilmente!»
«E io che pensavo me l’avessi
chiesto perché ti fa piacere stare con me»
ribatté lei, sardonica.
«Anche» concesse Vittorio.
«Dai, vedrai che ne varrà la pena: mia madre fa
una crostata buona da impazzire».
Vera quasi si mise a ridere nel sentire
l’entusiasmo con cui il carabiniere aveva pronunciato le
ultime parole. Per un attimo era sembrato un ragazzino, molto
più giovane dei suoi quarant’anni e soprattutto
molto meno amaro e cinico.
«Visto che si parla di visite, questo
sabato siamo invitati a cena da Giulia e Tiziano»
annunciò mielata.
«Basta che il tuo amico non provi a
farmi diventare juventino» rispose pronto l'uomo.
Il viaggio proseguì per un mezz'ora,
durante cui Vittorio ne approfittò per raccontarle la
propria giornata; Vera rise fino alle lacrime quando sentì
della scena avvenuta in banca, e riuscì a ricomporsi giusto
mentre Vittorio parcheggiava la macchina sotto casa di sua madre.
I due entrarono nel palazzo e presero l'ascensore
fino al quarto piano, dove Vittorio scoccò uno sguardo
malandrino a Vera prima di incollare il dito al campanello della porta
che avevano di fronte.
Dei passi veloci risuonarono dietro la porta; il
battente si aprì e Vera si trovò di fronte una
signora di circa sessantacinque anni dall'aria energica.
«Vittorio, smettila con quel
campanello!» sbottò Agnese con aria furiosa.
«E sbrigati a entrare: non so più che fare con
quel lavandino!» proseguì, esasperata. Stava per
aggiungere qualcos'altro quando finalmente scorse Vera, e si
zittì.
«Te lo dico io che devi fare: chiamare
un idraulico e cambiarlo» borbottò Vittorio,
entrando nell’appartamento e trascinando Vera con
sé. «Mà, questa è Vera;
Vera, questa è Agnese, mia madre».
Imbarazzata, Vera strinse la mano
dell’altra donna. «Salve, signora. Spero che non le
dispiaccia se ci sono anch’io» mormorò.
Agnese si riprese prontamente.
«Macché!» disse decisa, chiudendo la
porta. «Ti piacciono le crostate? Ne ho appena fatta
una».
«Guarda caso»
commentò sarcastico Vittorio. Sua madre lo guardò
male e Vera rischiò di scoppiare a ridere: era la stessa
espressione che faceva Vittorio quando lei lo punzecchiava. Il
carabiniere si rivolse a lei. «Ogni volta che mi chiama per
sistemare questo maledetto lavandino, prepara una crostata per tenermi
buono» spiegò.
«Visto che
funziona…» commentò candidamente
Agnese. «Vieni, Vera. Vittorio, la cassetta degli attrezzi
è al solito posto».
Le due donne andarono in cucina, dove il
televisore acceso faceva da sottofondo con il suo chiacchiericcio; la
più giovane sedette con la schiena rivolta allo schermo
mentre la padrona di casa le piazzava di fronte acqua, tè
freddo e una crostata alla marmellata di ciliegie che sembrava uscita
da una rivista di cucina.
Vera annusò il dolce. «Ha un
profumo divino» disse sincera.
Agnese sorrise fiera e si accomodò;
tagliò una bella fetta di crostata e la mise davanti alla
ragazza, mentre Vittorio entrava nella stanza sbuffando e sferragliando.
«Allora, Vera, dimmi: come mai conosci
mio figlio?» chiese Agnese.
Vera arrossì al ricordo.
«Be’ io… io…»
Il carabiniere aprì l’anta di
legno che nascondeva il sifone, si sdraiò a terra e
s’infilò per metà nel pensile.
«Te lo dico io: l’ho fermata per un controllo
mentre ero di pattuglia e mi ha insultato».
La ragazza si nascose il volto tra le mani,
mortificata.
«Ma erano insulti
meritatissimi» aggiunse Vittorio.
Vera rialzò la testa di scatto e
guardò le gambe che spuntavano dal mobiletto. «Non
l’avevi mai detto prima!»
«Perché sapevo che avrei
firmato la mia condanna a morte» replicò la voce
di lui. «Tanto so che mi pentirò presto di averlo
ammesso».
«Quando fai così, ti
detesto» mugugnò Vera.
«Tranquilla: io ti detesto
sempre» replicò divertito Vittorio.
Agnese, che aveva seguito quello scambio di
battute in silenzio, tornò a rivolgersi alla sua ospite.
«Sai che hai un’aria
familiare?» disse pensosa, osservandola. «Ho
l’impressione di averti già vista da qualche
parte…». I suoi occhi furono calamitati dal
televisore, dove le immagini di un servizio del telegiornale regionale
scorrevano sullo schermo.
«
Prenderà
il via tra pochi giorni il processo per il disastroso incidente
d’auto avvenuto sulla Tiburtina nel maggio dello scorso anno»
declamò fluido il giornalista. «
Gianluca Moretti, unico
imputato, dovrà rispondere di omicidio stradale e lesioni
gravissime: nell’incidente, provocato mentre guidava sotto
l’effetto di alcol e droga, perse la vita la ventiquattrenne
Noemi Dei Giudici, mentre la sua coetanea, Vera Nicolini,
subì l’amputazione di una gamba…»
Vera divenne bianca come un lenzuolo. Senza
battere ciglio, Agnese spense il televisore e riempì il
bicchiere della ragazza, che sospirò silenziosamente di
sollievo; Vittorio riemerse dal mobile e scoccò a sua madre
uno sguardo grato.
«Vittorio dice che vi siete conosciuti
in modo un po’ turbolento, ma a me sembra che adesso andiate
d’accordo» disse la signora, cambiando argomento.
«Ci è voluto un bel
po’» rispose Vera. «Abbiamo litigato
parecchie volte prima di capire come prenderci».
«Be’, non mi sorprende: mio
figlio ha un caratteraccio impossibile» disse calma
Agnese.
Il figlio in questione sbuffò
contrariato. «Grazie, eh, mamma!»
«Che c’è? Ho solo
detto la verità» rispose impassibile la donna.
«Confermo e sottoscrivo!»
esclamò d’istinto Vera.
Agnese sorrise. «Assaggia la
crostata» la esortò. L’altra diede un
morso alla fetta di dolce e sgranò gli occhi prima di
socchiuderli con aria estatica. Mentre era intenta a masticare, la
più anziana ripartì all’attacco.
«Lo sai che mio figlio è sposato, vero?»
Vera si strozzò.
«Io… lui…» rantolò
mentre si colpiva il petto con il pugno.
«Te lo dico solo perché ho
notato che non porta più la fede» aggiunse Agnese.
Vittorio smanacciò alla cieca nella
cassetta degli attrezzi. «Non la porto più
perché io ed Emanuela siamo legalmente separati: ho firmato
le carte giusto stamattina» informò sua madre, che
si voltò repentinamente nella sua direzione.
«Legalmente separati? E come
mai?» chiese tagliente.
«Perché quella stronza di mia
moglie mi tradisce con il suo capo da più di due anni e io
sono stanco di essere un cornuto» rispose brusco suo figlio.
«È sufficiente?»
«Te l’ho sempre detto, che non
avresti dovuto sposarla» disse Agnese.
«Oddio, non ricominciare!»
sbottò Vittorio: colpì il sifone con una chiave
inglese, creando un frastuono che fece storcere il naso a sua madre.
La donna scosse la testa e si girò di
nuovo verso Vera, che la scrutò allarmata.
«Scusa, Vera, ma temevo che non te
l’avesse detto» spiegò.
Vittorio si mise a sedere di scatto e diede una
testata al bordo del pensile. Imprecando a tutto spiano, si sporse in
modo da poter guardare bene sua madre.
«Ahò, ma da
quand’è che mi consideri così
infame?» chiese risentito.
Agnese assunse un’aria molto severa.
«Sei mio figlio, non potrei mai considerarti un
infame!» replicò piccata. «Ma sapevo
già da un pezzo che tra te ed Emanuela non andava bene, e
credevo che ti fossi trovato un’amante. Che altro avrei
dovuto pensare, vedendoti arrivare con una ragazza tanto più
giovane di te?»
Vera emise un verso strangolato, incerta se
piangere di vergogna o scavare una buca nel pavimento e nascondercisi
dentro.
«Mà, puoi farla finita? Stai
mettendo in imbarazzo la mia fidanzata» disse secco
l’uomo, tornando a lavorare sullo scarico del lavandino.
«Da quand’è che
sarei la tua fidanzata?» farfugliò allibita Vera.
«Oh, ma dai»
brontolò Vittorio. «Ci vediamo tutti i giorni,
andiamo a cena, al cinema, usciamo con i miei amici e con i
tuoi… che credevi di essere?»
«Fate sesso?»
indagò Agnese.
Vera divenne paonazza.
«
Mamma!»
insorse Vittorio: anche se il suo volto era nascosto, dalla sua voce si
intuiva come quella domanda avesse messo in imbarazzo anche lui.
«Ma che domande fai?»
«È una domanda
normalissima» si difese sua madre.
«Ho detto che è la mia
fidanzata, no?» bofonchiò Vittorio.
«Avrei detto che è un'amica, se non
facessimo… be’, facciamo tutto quello che fanno le
coppie» mugugnò. «Ti basta?»
«Sì» concesse sua
madre. «Posso sperare in dei nipotini, nel prossimo
futuro?»
«MAMMA!» tuonò di
nuovo Vittorio. Vera preferì schiacciare la faccia sul
ripiano del tavolo e coprirsi la testa con le mani.
«Oddio, è un incubo. Questo
è un incubo» piagnucolò disperata la
ragazza.
Agnese si accigliò. «Eh, via,
mio figlio non è poi così male!»
Vittorio sbuffò. «Guarda che
parlava di te: l’hai terrorizzata».
«Perché? Non vuole dei
figli?» domandò Agnese, sinceramente perplessa.
«Perché a malapena stiamo
insieme!» sbottò l’uomo.
«E allora?» chiese
imperterrita la sessantacinquenne. «Mica vorrà
aspettare vent'anni, per averne!». Si voltò verso
Vera, che la fissò con palese terrore. «Quanti
anni hai?»
«Ven-venticinque»
farfugliò la ragazza.
«Ecco: l'età perfetta per
iniziare avere dei figli» commentò Agnese,
soddisfattissima. «Avevo la tua stessa età quando
è nato Vittorio. Se vi sbrigate, potreste averne almeno un
paio prima che tu compia trent'anni, con un po' di fortuna anche
tre».
Vera strabuzzò gli occhi. «Mi
sembra un discorso un po' prematuro» tentò con
voce flebile.
«Gamba Bionica, non farti scrupoli solo
perché è mia madre: sentiti libera di mangiarla
viva per essere una simile ficcanaso, se ti va» la
esortò il carabiniere.
«Meglio di no, Valenti, dammi
retta» rispose convinta la ragazza. «Lo sai che
è meglio se non vado a briglia sciolta».
Agnese guardò dall'uno all'altra con
aria risentita. «Comincio a capire come mai andate tanto
d'accordo» disse, un po' altera. Il suo sguardo si fece
comprensivo. «Ma io sto parlando nel vostro interesse: siete
giovani, si vede che non sapete bene cosa volete e di cosa avete
bisogno, quindi credo sia giusto guidarvi nella giusta
direzione...»
«Va bene, ora basta» esplose
Vittorio. Si rialzò e chiuse il pensile con un gesto secco.
«Mà, il lavandino è posto e noi ce ne
andiamo».
«Di già?»
replicarono in coro Vera e Agnese: la prima in tono sollevato, la
seconda genuinamente sorpresa.
«Sì» rispose
l'uomo. Prese la venticinquenne per mano e la costrinse ad alzarsi.
«Vera, saluta mia madre, che se dipende da me, non la vedrai
almeno per i prossimi quattro anni!»
Agnese gli scoccò uno sguardo
tagliente. «Smettila di fare il maleducato!»
«Smettila di farci l'interrogatorio e la
paternale» replicò pronto suo figlio.
«Papà non l'avrebbe
mai fatto, e se
fosse qui ti avrebbe tappato la bocca già da un pezzo, lo
sai bene!»
La donna decise di cambiare tattica. «E
dove andate?»
Vittorio trascinò Vera fuori dalla
cucina e verso la porta d'ingresso. «A fare quello che fanno
le coppie quando sono da sole» annunciò, e
sgattaiolò fuori dall'appartamento prima che Agnese potesse
replicare.
Vera lo seguì in ascensore, paonazza e
con un'espressione esasperata sul volto.
«Dovevi per forza dire a
tua madre che
stiamo andando a casa a fare sesso?» si lamentò.
Vittorio la guardò con le sopracciglia
inarcate. «A parte che è stata lei a chiederlo,
Vè, mia madre non è mica stupida: di sicuro non
pensa che passiamo il tempo a giocare a briscola...».
Sogghignò. «Anche se qualcosa in comune le due
cose ce l'hanno».
«E sarebbe?» lo
sfidò la ragazza, le braccia incrociate sul petto.
Il ghigno di Vittorio si allargò.
«L'asso di bastoni».
Vera gemette e gettò indietro la testa
per un momento, incredula; poi sferrò uno schiaffo sulla
fronte di Vittorio.
«Sei indecente!»
ululò. «Ma ti senti, quando parli?»
«Sai, tesoro, devi imparare a lasciarmi
fare il cafone volgare in santa pace, almeno ogni tanto»
replicò imperturbabile Vittorio. «E poi non fare
la santarellina con me: scommetto che quando sei da sola con Giulia
dici di peggio!»
Sconfitta, Vera mugugnò irritata tra
sé Vittorio ne approfittò per abbracciarla.
«Dai, smettila di tenermi il
muso» le sussurrò all'orecchio appena prima di
baciarle il collo. «Prometto che a casa
mi faccio perdonare».
La ragazza gli rivolse uno sguardo altero.
«Dovrai impegnarti parecchio».
«Ho tutta l'intenzione di
farlo» rispose suadente Vittorio, premendo il proprio corpo
contro quello di lei.
Vera ridacchiò. Il carabiniere fece per
baciarla, ma lei lo schivò e sgusciò fuori
dall'ascensore appena prima che si richiudesse. Si avvicinò
al portone del palazzo, camminando lentamente all'indietro.
«Meglio sbrigarsi ad arrivare a casa
tua, allora. Non credi?»
Vittorio la raggiunse a grandi falcate, la prese
in braccio e andò verso la macchina a passo di marcia, la
risata di Vera che gli riempiva le orecchie e le sue dita che scavavano
impietose nel suo petto.
Sì, sbrigarsi ad andare a casa era
davvero un'ottima idea.