Narnia's
Spirits
I
cuori sotto la superficie.
L'alba che
annunciò
quel giorno era particolarmente delicata, un susseguirsi di tenui tinte
pastello che andavano via via a rischiare un cielo che fino ad appena
un paio di ore prima era stato costellato dalle stelle della notte che,
buia e silenziosa, era calata su Narnia.
Dhemetrya sospirò
palesemente, scrutando l'orizzonte dalla piccola altura su cui si
trovava, facendo scorrere lo sguardo sui profili dei boschi e delle
montagne ancora immersi nella nebbia mattutina.
Il tempo stava
cambiando. Le giornate iniziavano ad accorciarsi, l'aria ad essere
più umida, a tratti perfino pungente, il cielo meno
splendente... la natura che formava quel mondo sembrava stesse mutando
espressione, assumendo delle note quasi malinconiche che riuscivano a
farle nascere un grosso sentimento di nostalgia.
Presto, Dhemetrya lo
sapeva bene, avrebbe cambiato i colori, assumendo quelle tinte in
armonia con i tramonti infuocati di cui spesso era stata testimone.
Presto sarebbe arrivato
l'autunno.
L'ennesimo autunno a cui avrebbe
assistito, l'ennesimo passaggio di testimone tra una stagione e
l'altra.
Dhemetrya spostò il peso del corpo da una gamba
all'altra, godendosi il silenzio in cui era avvolta la foresta,
assaporando quel momento di quiete assoluta che precede un nuovo giorno
e in cui il tempo sembra fermarsi, come congelato, in cui si era
trovata in mezzo.
Era passata un'altra manciata di giorni da quando
Jadis aveva tentato di tornare in vita. Quell'evento, le cui voci si
erano diffuse tra le truppe Narniane, aveva messo a dura prova
l'equilibrio ancora neonato che si era appena ristabilito.
I soldati si
erano guardati con rinnovato sospetto, lanciando occhiate di disprezzo
sopratutto verso i nani, domandandosi se per caso non potesse esserci
qualcun altro che stava tramando nell'ombra. Era risaputo che durante
gli anni d'inverno in cui aveva governato la Strega Bianca i primi ad
essere passati dalla sua parte erano stati proprio loro, per puro
istinto egoistico di sopravvivenza.
I Pevensie avevano passato ogni
momento di quelle giornate cercando di far tornare quelle creature
coese verso quell'obbiettivo comune che sembrava sempre più
vicino, evitando – lei l'aveva capito benissimo –
il più possibile di far trapelare quanto fossero rimasti
scombussolati da quell'incontro, incitandole a non perdere la speranza.
I Telmarini erano oltre la metà nella costruzione del ponte
che gli avrebbe permesso di raggiungerli e la battaglia finale si
sarebbe combattuta entro un paio di settimane, forse tre se erano un
po' più fortunati.
A zittire i borbottii ed appianare gli
animi sfiduciati l'intervento della pacifica e ammirata figura di
Glenstorm era stato ciò che di più proverbiale
Peter ed i fratelli avrebbero potuto desiderare.
Il centauro era
rispettato, le sue spiegazioni e la profonda conoscenza degli eventi
sia presenti che futuri riuscivano ad incantare anche la creatura
più tormentata. Vederlo riporre, per l'ennesima volta, la
piena fiducia negli antichi Re e in Caspian aveva agito da specchio,
facendo si che anche tutti gli altri ne seguissero le orme –
esattamente come quando, settimane prima, aveva giurato
fedeltà al Principe di Telmar.
Le cose, quindi, con calma
erano tornare ad appianarsi. Non sapevano altrimenti in che modo
avrebbero potuto arginare il problema di un'eventuale rifiuto da parte
dei Narniani di battersi al loro fianco in un momento così
cruciale per un eventuale senso di tradimento che avrebbero potuto
provare.
La ragazza chiuse gli occhi, nascondendo alla vista della
foresta ancora addormentata gli assonati occhi blu, muovendo il collo
per cercare di rilassare le spalle in tensione.
Allo stesso modo, il
tempo anche per lei era tornato lentamente a scorrere.
Dopo l'incontro
con la Grande Magia, dopo che li aveva degnati della sua presenza, dopo
che aveva ricordato a Lia ed Antares che avevano una vita oltre quella
in cui si trovavano, non avevano più parlato molto
– soprattutto, non avevano più parlato del
destino, della magia, o dei loro compiti. I due sembravano essersi
chiusi in un silenzio malinconico, forse perfino rassegnato, un
silenzio così pesante che Dhemetrya lo sentiva penetrarle
fin dentro le ossa anche se non c'entrava nulla.
Una bolla di vuoto,
come svuotati si erano ritrovati loro stessi quando erano ritornati al
campo.
Non era da loro farsi abbattere, ma Dhem immaginò che
essere messi davanti alla consapevolezza di tutto il tempo che avevano
passato separati non dovesse essere piacevole. Per la
verità, lo trovava triste. Immensamente. Le loro vite
un'utopia, il loro legame proibito sospeso nei secoli... e forse senza
occasione di riaverli indietro.
Erano passati anni da quando erano
stati felici e spensierati, loro tre, ma mai si erano soffermati a
pensare che le loro vite sarebbero potute giungere ad una fine,
scomparire così come erano nati nel giro di un soffio di
vento. Avevano sempre cercato di mantenersi neutrali, in attesa,
cercando di conservare quella fiducia che non gli permetteva di lasciar
andare tutto in malora.
Un richiamo istintivo, qualcosa a cui non
potevano sottrarsi nemmeno con l'evidenza di tutto ciò che
era successo perché più forte di qualsiasi altra
emozione, una vocina che in testa gridava di tenere duro.
Dannazione,
quelle cose pesavano.
Occhieggiò i borsoni che le
penzolavano ai fianchi, passando le mani sotto le tracolle che aveva
incrociate sopra il seno per dare sollievo alla pelle che sentiva
tirata dal loro peso. Restò ferma qualche secondo, fissando
quelle sacche senza vederle davvero, permettendosi di rilassarsi
approfittando di quell'oasi di pace e cercando di scacciare la
stanchezza che iniziava a percepire.
Avrebbe solo voluto chiudere gli
occhi per qualche minuto. Era stata in giro tutta notte, ma
finché non tornava alla casa di Aslan non poteva permettersi
debolezze o perdite di tempo. Si trovava in una zona lontana dal guado
di Beruna in cui sostavano i soldati, ma era ancora troppo vicina
all'entrata della foresta per sentirsi totalmente al sicuro.
Si
portò gli indici alle tempie, sentendo delle fitte alla
testa, maledicendo se stessa e sentendosi tremendamente sconvolta per
il modo in cui emozioni a cui non avrebbe dovuto dare ascolto le
stavano da giorni scuotendo l'anima.
Chi glielo aveva fatto fare?
***
-Biscotti?-
Susan
alzò un sopracciglio, smettendo di ripiegare la coperta che
stava svogliatamente sistemando e voltandosi, puntando lo sguardo sulla
sorella. Gli occhi chiari non nascosero una vena di scetticismo per
quelle parole, ma si limitò ad osservare la minore delle
sorelle senza concedere altre espressioni che facessero intuirne i
pensieri.
-Si.- Lucy mimò un sorriso, consapevole di quanto
potesse sembrare strana quella sua richiesta, sbattendo le palpebre e
rimanendo seduta su una sporgenza di pietra che si trovava
in quella che era stata la loro camera appena arrivate.
-Non mi pare il
caso, Lu...- mormorò la Dolce, lanciando un'occhiata ad
Evelyn, ferma a farsi allacciare i lacci del corsetto da Dhemetrya e
notando lo sguardo perplesso che le stava rimandando e che, era sicura,
avesse assunto anche lei.
La Narniana, invece, rimase a fissare il
lavoro che stavano svolgendo le proprie dita, senza dare segno di
volersi intromettere in quella discussione tra Regine ma sentendosi, in
realtà, profondamente curiosa per quell'uscita particolare.
-Lucy, come può venirti in mente un'idea simile proprio
ora?- sbottò Eve, con un moto di stizza, lanciandole
un'occhiata palese e allargando le braccia indicando la stanza in cui
si trovavano ma intendendo, in realtà, tutta la casa di
Aslan
e la situazione precaria in cui erano coinvolti. Certe volte non
riusciva proprio a capirla.
-Io penso che se facciamo dei biscotti i
soldati potrebbero apprezzare. Li aiuterà anche a migliorare
l'umore.- Lucy si alzò in piedi, avvicinandosi alle sorelle
senza paura di sostenere i loro sguardi.
Da quando era successo il
fatto di Jadis i suoi fratelli erano tutti rigidi, sospettosi ed in
allerta, e questo non aiutava né loro né i
Narniani che dovevano guidare. Non era stupida, aveva capito che le
cose non erano ancora tornate al loro posto, anche se non glielo
avrebbero mai detto direttamente per non preoccuparla.
Lucy riusciva a
leggere dietro i silenzi e i sorrisi della sua famiglia, sentendo il
peso dei loro tormenti come se fossero suoi.
Voleva fare qualcosa per
far tornare un po' di leggerezza, voleva riuscire a trasmettere un poco
del calore della speranza che sentiva ruggirle nel petto, e quella le
era sembrata la cosa più semplice e veloce da poter attuare
tra tutte le idee che le erano balzate per la mente e che, sicuramente,
non sarebbe stato possibile fare.
Era consapevole che non avrebbero di
certo potuto mangiare come se fossero ad un banchetto, o ballare per
ore, ma i fuochi c'erano, alcuni cibi anche, solo... mancavano alcuni
ingredienti – e di altri se ne poteva fare a meno, viste le
circostanze.
Perché no? Perché non rischiare, per
portare un po' di spensieratezza? Non c'erano già state
troppe cose brutte a cui assistere, troppo dolore da sopportare? Voleva
solo avere dei pensierini da distribuire tra quella gente, come i
sorrisi che non si era mai risparmiata di fare ma che, in quei giorni,
nessuno sembrava vedere realmente, facendola sentire ancora
più piccola rispetto all'età che dimostrava e a
ciò che le era permesso fare.
Con quel corpo di ragazzina non poteva combattere, i
fratelli glielo avevano evitato il più possibile anche durante
l'Età d'Oro nononostante se la sapesse cavare egregiamente, non era adatta come compagna di allenamento perché se la situazione non lo richiedeva non riusciva a fare sul serio... l'unica cosa che le era sempre venuta bene e
spontanea era regalare un po' della positività che sempre
l'aveva accompagnata. E se quello era il compito che Aslan sembrava
averle lasciato, se doveva riuscire a non far perdere la speranza nella
prospettiva di un riscatto per Narnia e nel ritorno del leone, lo
avrebbe fatto.
Avrebbe fatto tutto ciò che era necessario.
Lucy si morse un labbro, incerta, seguendo il filo dei propri pensieri.
Aveva già controllato, ed era sicura che soprattutto non
bastasse la farina.
-Non abbiamo abbastanza riserve di cibo. Come pensi
di farli? Con l'aria?- la punzecchiò Evelyn, senza reale
cattiveria. Già si immaginava dove Lucy sarebbe andata a
parare e poteva benissimo sentire nella testa le risposte e gli
assoluti divieti che sarebbero usciti dalla bocca di Peter, i lampi che
avrebbero mandati i suoi occhi.
-Li prendiamo alla cittadella.- fu
infatti la risposta della Pevensie. Eve si portò una mano
alla tempia scuotendo la testa, per nulla sorpresa, e Susan
aprì la bocca aggrottando elegantemente le sopracciglia,
sfoggiando un'espressione d'indignazione che strappò un
mezzo sorriso divertito a Dhemetrya.
-Assolutamente no. Sei matta? Lo
sai che se ci scoprono è la fine? Sia per noi che per
Narnia.-
Lucy strinse le labbra, consapevole nonostante tutto della
verità intrisa tra le parole della maggiore.
Abbassò lo sguardo a terra, sentendo l'impotenza strisciarle
stancamente addosso.
Sapeva che Susan ed Evelyn avevano ragione, che
sicuramente il villaggio era in allerta e pieno di soldati,
però... però voleva fare qualcosa.
***
-Andate
da qualche
parte?-
Lucy s'immobilizzò sul posto, sussultando di
sorpresa per non essersi accorta di non essere sola. Strinse le redini
del cavallo che stava finendo di sellare, voltandosi, raccogliendo
tutta la sicurezza di cui sapeva poteva disporre.
Faticò a
mettere a fuoco la figura che la guardava a qualche metro di distanza
avvolta dal buio della sera e dalla vegetazione. Per non farsi vedere
dai suoi fratelli e per evitare che occhi indiscreti si intromettessero
in ciò che stava facendo si era allontanata con una scusa
dal rifugio, fingendo di voler far fare un giro al cavallo che avevano
portato via dalle scuderie la notte dell'attacco a Miraz.
La Pevensie
si rilassò, sfoggiando suo malgrado un sorriso, riconoscendo
nella figura che aveva fatto qualche passo nella sua direzione la
pacata persona di Dhemetrya. Non se lo spiegava, ma sapere di non
essere più sola in quel bosco un po' troppo vicino alle
truppe di Telmar un po' la rassicurava, anche se mentre raggiungeva
quello spiazzo non aveva mai pensato alla possibilità di
rischiare un'imboscata dai soldati nemici.
-E anche se fosse?- le
domandò, alzando il mento in un'espressione che di arroganza
aveva ben poco – se non nulla. Vide Dhem aprirsi in un
sorriso compiaciuto, passandosi la lingua sulle labbra.
-Non credo i
tuoi fratelli saranno contenti.- le disse, mettendosi le mani sui
fianchi e calciando un sassolino. L'arco che portava
ondeggiò per quel movimento, riflettendo sul legno lucido il
chiarore della luna.
Non c'era bisogno che la Pevensie le desse troppe
spiegazioni: a fronte di ciò che aveva sentito quella
mattina, del luccichio di determinazione che le aveva visto nello
sguardo nonostante il divieto, era ovvio ciò che stesse
facendo senza dire niente a nessuno.
La ragazzina sospirò,
accarezzando il cavallo senza rispondere.
-Devo farlo.- disse, dopo
qualche minuto, senza guardare la Narniana in faccia. Non se lo
spiegava, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Come sapeva che
aveva visto davvero Aslan al burrone e non ne aveva dubitato nemmeno
per mezzo secondo.
Seguirono dei minuti di silenzio, in cui si
sentì addosso lo sguardo penetrante di Dhemetrya mentre
tornava a sistemare le redini.
-Ti prego... di restarne fuori.- Lucy
tornò a voltarsi verso la ragazza, specchiandosi nei suoi
occhi rilassati. Ci mancava solo che facesse la spia e andasse a dirlo
ai suoi fratelli e già sapeva cosa le avrebbe detto Peter.
Non aveva voglia che lui pensasse di doverle anche fare da balia, con
tutto il resto delle cose che doveva gestire. In realtà, non
voleva pesare sui suoi fratelli. Lucy si pentì di averne
anche parlato con Susan ed Eve quella mattina, riflettendo sulla
possibilità che poteva aver messo loro in testa
che avrebbe fatto qualche gesto azzardato.
Dhem sospirò,
modellando un lieve sorriso e chiudendo per qualche secondo gli occhi,
rilassando le spalle, sapendo già in che modo si sarebbe
concluso quel discorso.
Sicuramente
era una faccenda che non la
riguardava. Però...
Tornò a puntare lo sguardo sulla Pevensie,
ancora ferma ad osservarla. Lucy era, in qualche modo, sempre stata la
prediletta di Aslan. Era l'unica che ancora credeva fermamente in lui
ed era l'unica a cui si era – apparentemente –
mostrato settimane prima.
Perché?
Perché a
un'umana e non a lei?
La mora sospirò, posando una mano sul
fianco, riflettendo di come la figura della Pevensie l'avesse sempre,
in
qualche strano modo, attirata. Tanto da salvarle la vita con l'orso
senza pensarci due volte. Lucy rifletteva quella parte di giovane
speranza a cui lei aveva dovuto rinunciare, un'innocenza e
spensieratezza che ormai erano solo dei brandelli di ricordi a cui ogni
tanto si attaccava.
Forse un po' la invidiava. Invidiava la
caparbietà con cui non si faceva soggiogare a ciò
che dicevano o pensavano agli altri, la sicurezza con cui faceva
ciò che le diceva il cuore.
Se fosse andata davvero via, e
le fosse successo qualcosa... non se lo sarebbe perdonato. Non poteva
permettere che le succedesse qualcosa. Per Evelyn, per Aslan, per
Narnia... perfino per se stessa.
-Andrò io.-
***
-Sicuro
che fosse qui,
Edmund?-
Eve si voltò per occhieggiare il fratello,
sforzandosi di non alzare un sopracciglio con fare scettico.
Intercettò la figura del moro a qualche metro di distanza da
lei, intento ad osservare con cipiglio critico il terreno attorno a
loro.
-Io...- provò a mormorare, senza nemmeno guardarla in
faccia e mordendosi il labbro inferiore. Evelyn sospirò,
osservando il circondario senza sforzarsi di vedere davvero
ciò che incontravano i propri occhi.
Era impossibile che
quella dannatissima collana fosse ancora integra, ma Edmund sembrava
così deciso a volerla ritrovare che non osava dirglielo ad
alta voce.
Erano passate
più di due settimane! Ed aveva
anche piovuto...
Non capiva perché improvvisamente, un paio
d'ore prima, Edmund si fosse svegliato con di nuovo in mente quella
collana e motivato a ritrovarla. Suo fratello non era stupido
– anzi, era il più lungimirante e concreto di
tutti loro –, sapeva benissimo che, con i giorni che erano
trascorsi, se anche fossero riusciti a distinguerla da quel terreno
immenso si sarebbero trovati davanti solo a dei rimasugli ormai
appassiti di steli e petali rovinati.
Quindi
perché? Cosa
c'era nel comportamento di Edmund che le sfuggiva?
Eve
riportò lo sguardo sul Pevensie, osservandolo ciondolare per
il prato con fare assorto e riservando un'occhiata preoccupata alla
schiena che le stava rivolgendo.
Forse c'entrava ancora
Jadis?
La
Pevensie scosse lievemente la testa, cercando di scacciare quel nome
dalla testa senza staccare gli occhi da Edmund come se fosse potuto
sparire da un momento all'altro. Sospirò nuovamente,
rivolgendo lo sguardo all'erba e cercando d'ignorare la sensazione
sinistra che rievocare quel nome le aveva procurato.
Sperava che,
qualsiasi fosse il motivo che sembrava tediarlo, gliene avrebbe
parlato.
Dannazione. Dannazione.
Doveva esserci, doveva trovarla,
voleva trovarla...
Si passò nervosamente una mano tra i
capelli, Edmund, stringendo appena le ciocche tra le dita ed ignorando
il lieve fastidio che si procurò con quel gesto.
Da qualche
parte nella sua mente la parte più ragionevole di se stesso
gli sussurrò che era passato troppo tempo perché
quel regalo che non aveva mai visto indossato da sua sorella fosse
ancora integro.
Chiuse gli occhi, assaporando i raggi del sole
mattutino accarezzargli la pelle del viso e cercando di calmarsi,
ritrovandosi a dar ragione alla propria coscienza. Avrebbe dovuto
trovarla quel pomeriggio in cui poi si era perso nei ricordi, o se
Evelyn
non fosse stata in pericolo.
Forse, in quel modo...
Eve lo guardava, a
qualche metro di distanza, senza preoccuparsi di nascondere la nota di
apprensione che le luccicava nello sguardo e le sopracciglia lievemente
aggrottate, i capelli appena smossi dall'aria settembrina.
Edmund si
sforzò di sorriderle, inspirando profondamente ed
avvicinandosi di qualche passo senza interrompere il contatto visivo.
Gli sembrò come se tutto il resto intorno a lui fosse
diventato sfocato, come se non riuscisse a vedere altro che il suo viso
circondato da quella cascata mogano e gli occhi chiari.
Si
ritrovò attirato dalla sua figura dimenticando per un breve
lasso di tempo tutto il resto, lasciando fuori dalla mente ogni
pensiero che non fosse quello d'imprimersi più dettagli
possibili di Evelyn che lo guardava.
-Ed...- gli mormorò,
quando fu a qualche passo di distanza da lei. Gli lanciò
un'occhiata incerta, e lui annuì, capendo cosa si celasse
dietro il silenzio paziente con cui la Pevensie l'aveva sopportato per
quel tempo di ricerca vana e sforzandosi di ingoiare il boccone amaro
della delusione.
-Lo so Eve, lo so.- confessò, arrendendosi
e lasciando andare stancamente le braccia lungo il corpo.
Avrebbe
voluto farle riavere quella collana che era stata uno degli ultimi
momenti di gioia che avevano condiviso prima che tutto andasse a rotoli
anche in quel mondo, avrebbe voluto vedergliela indossata, ammirare il
bianco delle margherite in contrasto con il caldo castano dei suoi
capelli eppure tremendamente simile al candore della sua pelle.
Le
margherite non c'erano più in quel prato che era stato
testimone dell'ennesimo momento segreto che Edmund avrebbe custodito
negli antri del proprio cuore, spazzate via dal cambio del tempo. Tutto
ciò gli procurava un senso di dispiacere talmente forte da
fargli
quasi venire la nausea, mentre osservava gli occhi di sua sorella
guardarlo con un malcelato tormento.
Sapeva che Evelyn si era sentita
in colpa per Jadis e che un abbraccio non avrebbe potuto
fare niente. Lui lo sapeva bene, quanto le parole possano suonare vuote
se non ci si crede quando le si ascolta.
Avrebbe voluto farle un regalo
per tirarle su il morale, l'unico che quella situazione poteva
concedergli – e invece quel regalo non c'era. Ed era stato
stupido ad aver pensato di poter avere anche solo la minima
possibilità di ritrovarlo dopo tutto il tempo che era
passato.
Ma lui, per Evelyn,
avrebbe tentato anche l'impossibile...
Edmund voleva renderla felice per quanto gli era possibile e invece in
quel momento si sentiva inutile. Perché anche se non glielo
diceva Eve era triste e lui lo sapeva, e lui odiava sapere che stava
soffrendo senza poter fare nulla.
-Dai, siediti un po'.-
Qualcosa si
riscosse nel ragazzo a sentire quelle parole. Il Pevensie
sbatté le palpebre un paio di volte, intimandosi di darsi
una svegliata e cercando la figura di Evelyn che, si rese conto, non si
trovava più davanti a lui.
Ci mise qualche attimo a
processare che la Scaltra si era allontanata da lui per avvicinarsi
allo stesso tronco al quale lo aveva trovato appoggiato un paio di
giorni prima e gli stava indicando il posto accanto a lei, battendo
leggermente la mano sull'erba e guardandolo, in attesa.
Edmund
sospirò, forse per l'ennesima volta in poco tempo tanto che
si trovò infastidito da se stesso per quel gesto, ma
occhieggiando Eve non la vide cambiare espressione: la sorella
continuava ad osservarlo, silenziosa e con le labbra tirare in un
sorriso, mentre seguiva con lo sguardo i suoi movimenti. Ad Edmund
sembrò molto una bambina che attende qualcosa con
curiosità e la cosa lo fece sorridere, ricordandosi di
quando da piccola aspettava che Peter le mostrasse qualche trucchetto
di strada che aveva imparato.
-La rifaremo.- disse lei, come per
rassicurarlo, quando le si sedette accanto. Edmund accennò
un sorriso amaro, senza guardarla, ed Evelyn trovò quel
comportamento particolarmente strano.
Non era da Ed accanirsi
così tanto per qualcosa che non poteva dipendere da nessuno.
Lui era sempre stato quello che prendeva le cose come venivano,
specialmente se poco c'era da fare per poterle cambiare. Era bravo a
ragionare, elaborare piani e strategie, ma era anche abbastanza sveglio
da capire quando valeva la pena sprecare sforzi per qualcosa.
Per
l'ennesima volta in quella mattinata, ebbe la sensazione che qualcosa
d'importante riguardante suo fratello le stesse sfuggendo e si
ritrovasse davanti un muro che la teneva lontana. Non capirne il motivo
la mandava in bestia, perché non si era accorta di nulla di
diverso la sera precedente. E invece, ora, Ed era scostante e a stento
parlava...
-Edmund.- riprovò, toccandogli un braccio,
ignorando l'irritazione che sentiva iniziare a premere per uscire.
Catturò subito l'attenzione del moro, che si girò
a guardarla di scatto, bloccandosi nel trovarla più vicino
di quanto pensasse. Le punte dei loro nasi quasi si sfioravano. Eve si
ritrovò incatenata nel castano dei suoi occhi tanto che ebbe
quasi la sensazione di starci annegando dentro, e senza rendersene
conto smise di respirare.
Una piacevole sensazione di oblio.
Tutto
ciò che riusciva a percepire era il prepotente battito del
cuore nelle orecchie e l'intensità dello sguardo che Edmund
le stava rivolgendo, come se le stesse guardando fin dentro l'anima.
Percepì un nodo alla bocca dello stomaco per
l'intensità di quelle emozioni.
Edmund fu il primo a
riprendersi, imponendosi un autocontrollo che non credeva sarebbe
riuscito a racimolare un attimo prima di cedere alla tentazione di
allungare un braccio verso di lei.
Nessuno dei azzardò a
dire qualcosa riguardo quel momento di stasi che li aveva avvolti,
troppo sconvolti ad analizzare ciò che avevano sentito in
quei secondi per concentrarsi sull'altro.
-Hai ragione, la rifaremo.-
ruppe il silenzio il Pevensie, distogliendo lo sguardo e cercando di
scacciare dalla mente e dal corpo la voglia prepotente di protendersi
per baciarla che l'aveva assalito. Evelyn era rimasta immobile a
fissarlo... come se si aspettasse qualcosa?
O forse era lui che aveva
assunto un'espressione che poteva averlo tradito?
Si morse una guancia,
socchiudendo gli occhi, riportandosi alla mente l'espressione di sua
sorella mentre lo guardava e provando un brivido lungo la schiena.
Quella situazione lo stava facendo diventare matto.
-Tutto bene?
Qualcosa ti preoccupa?- si sentì domandare. Edmund si
irrigidì, rendendosi conto che probabilmente stava avendo
uno strano comportamento ai suoi occhi. Si sforzò di
rilassarsi, cercando di ritrovare la calma appoggiandosi al tronco
dietro di lui e fissando lo sguardo sul cielo, fingendo di non sentire
i battiti accelerati del proprio cuore ed i dubbi tartassargli la
mente.
-No, no... va tutto bene.- mentì, sforzandosi ad accennare
un
sorriso e schiarendosi la gola. Sentì su di sé lo
sguardo di Eve che lo studiava e cercò di ignorarlo per non
mostrare i propri turbamenti.
Non poteva permettersi di fare errori.
Non poteva cedere... non doveva. Dannazione, perché da
quando erano tornati gli risultava sempre più difficile
comportarsi normalmente? Perché pochi momenti prima gli era
sembrato che Evelyn... no, no. No. Era la sua mente che gli stava
facendo
brutti scherzi facendogli immaginare cose che non c'erano.
Sussultò sentendo l'inconfondibile suono del ferro di quando
viene estratta un'arma e tese i muscoli, in allerta, portando
istintivamente la mano all'elsa della propria e puntando lo sguardo
sulla foresta circostante.
-Che stai facendo?- si sentì
domandare, nuovamente, nel giro di pochi minuti. Edmund si
voltò verso la sorella, credendo di essersi immaginato tutto
e supponendo di star perdendo definitivamente la ragione.
-Eh?- biascicò, confuso. Eve gli fece dondolare
innocentemente davanti al viso la propria arma.
-Volevo affilarla.
Edmund, sicuro di stare bene? Mi sembri distratto.- fece quella,
rispondendo al suo sguardo interrogativo e tirando fuori da un
sacchetto una pietra.
-Ah, si. Va bene.- Il Pevensie mandò
giù sonoramente la saliva, sentendosi particolarmente
spaesato e poco padrone di se stesso tanto da darsi dello stupido.
Osservò Eve portarsi la spada davanti al corpo, esaminandola
con sguardo serio per una manciata di secondi prima di puntare verso il
terreno la punta, iniziando a far scorrere la pietra lungo la lama.
Per
un po' ad avvolgerli ci fu solo il silenzio, rotto dal vibrare del
ferro contro la pietra o dal suono di qualche cinguettio in lontananza.
Se non ci fosse stato il perenne pensiero della guerra imminente poteva
quasi sembrare che si trovavano nella Narnia di milletrecento anni
prima.
-Sai, non capisco perché stamattina ti sei fissato
con la collana.- Ruppe quel momento Eve, continuando con il proprio
lavoro senza guardare il fratello in faccia. Ci stava pensando da vari
minuti e non riusciva più a contenere la
curiosità che la stava assalendo.
-Come?- domandò lui, interrompendo i propri pensieri per
concentrare la propria
attenzione su di lei. La vide bloccarsi e roteare gli occhi.
-Si,
insomma... sai anche tu che sono passati troppi giorni.
Perché ti ci sei fissato? Hai combinato qualcosa?-
indagò lei, alzando le spalle come per minimizzare ma
lanciandogli, di sottecchi, una lunga occhiata. Voleva sapere. Era
sicura che ci fosse qualcosa che non le stava dicendo e moriva dalla
voglia di capire cosa fosse. Il tergiversare ed il
silenzio dietro cui il ragazzo sembrava rifugiarsi le stavano
dando solo conferma.
Edmund le nascondeva qualcosa.
-Non ho combinato
niente.- iniziò lui, cercando di sfuggire allo sguardo
indagatore che Eve gli stava riservando e portandosi le mani al petto
in un vano gesto di innocenza.
-Oggi sei strano, Ed.- fu la piccata
risposta che gli riservò sua sorella – ed Edmund
in quel momento trovò particolarmente difficoltoso
trattenersi dal risponderle che era lei, con la sua sola vicinanza, a
renderlo strano.
-Da che pulpito.- cercò di sviare,
sollevando un sopracciglio con fare scettico e guardandola con
divertimento. Eve aprì la bocca un paio di volte senza
però dire nulla, indispettita, osservando come il Pevensie
stesse trattenendo una risata.
-Ehi! Io non sono strana!- Si sentì
immediatamente più sollevata e si permise di dargli un
leggero schiaffo sul braccio.
-Convinta tu...-
borbottò il fratello, senza togliersi il ghigno che gli era
spuntato sul viso e fingendo di massaggiare il punto offeso.
-Edmund
non prender__-
-Zitta.-
Evelyn si bloccò all'istante,
colpita dal sibilo brusco con cui le si era rivolto e sentendo una
lieve fitta di sofferenza al petto. Ma osservando come il suo corpo si
fosse irrigidito, il modo in cui repentinamente ogni forma di allegria
era scomparsa dal suo viso, capì che qualcosa doveva aver
attirato la sua attenzione.
Qualcosa di cui lei non si era accorta... forse
dei Telmarini nelle vicinanze? Le sfuggivano parecchie cose, quel
giorno.
Vide i suoi occhi dardeggiare per la
foresta, analizzando un punto imprecisato della vegetazione, la mano
già corsa all'elsa della spada. La Pevensie si mise in
allerta di riflesso, vedendo con quanta serietà il moro
fosse attento a ciò che li circondava, impugnando
più saldamente la propria arma ed accennando una vaga
posizione di difesa.
-Edmund...- provò, in un sussurro,
lanciando occhiate al circondario. Non le sembrava ci fosse qualcosa di
diverso. Quello non si voltò a guardarla, continuando a
tenere gli occhi incollati alla foresta, limitandosi a fare un cenno
del capo per farle capire di averla sentita.
-C'è qualcuno.-
fu il basso mormorio che le diede come spiegazione. Eve trattenne il
fiato, cercando di farsi attenta ai suoni circostanti ma senza sentire,
però, nulla di insolito. Si domandò se non fosse
così distratta da non accorgersi di qualcosa di palese o se
Edmund non stesse dando di matto, quel giorno, visto il comportamento
che stava tenendo.
Forse rivedere Jadis l'aveva allarmato
più di quanto lasciasse intendere ed ora vedeva pericoli
ovunque... Fu in quel momento, in cui si stava perdendo nei propri
pensieri, che lo sentì.
Un fruscio.
Eve sbatté le
palpebre, sorpresa, rivolgendo lo sguardo alle proprie spalle pensando
di esserselo immaginata. Ma il modo in cui Edmund si era voltato a
spada sguainata e le si era messo davanti le fece svanire ogni dubbio.
Qualcuno si stava avvicinando.
***
Il
sole del mattino
filtrava attraverso le grandi chiome degli alberi donando vari giochi
di luce ed ombre, i rami sembravano sempre pronti a protendersi per
accoglierla dolcemente ogni volta che saltava da un tronco all'altro
evitandole di cadere.
Sotto il suo sguardo la foresta era silenziosa ed
immobile, chiusa nel proprio dolore, eppure Dhemetrya non poteva che
percepire quanto ancora vi fosse vita all'interno di essa, al modo
materno con cui sembrava indicarle la via più veloce per
raggiungere i luoghi che desiderava e a come le foglie sembrassero
accarezzarla durante la notte.
Probabilmente era un'impressione, nessun
ramo si allungava realmente verso di lei e nessun sospiro di vento la
manteneva in aria quel tanto che le bastava per saltare agilmente tra
una roccia ed un albero senza sentire la fatica.
Eppure, in quel
momento, mentre tornava al campo con le borse piene di ingredienti
rubati, le piaceva pensare che Narnia fosse tornata ad essere quella
terra in cui era nata per proteggerla ed amarla.
Forse era colpa di
Lucy, del modo in cui si ostinava a non lasciarsi abbattere, a farle
credere che ci fosse ancora qualcosa in cui credere. Forse era stato
aver rivisto la Grande Magia, forse era il modo in cui nonostante tutto
quel mondo aveva continuato la sua vita a dispetto delle tragedie di
cui era stata testimone.
Gli alberi si erano chiusi, gli elementali si
erano nascosti, gli animali avevano perso la parola... eppure, c'era
chi aveva continuato a vivere senza spegnere la fiammella di speranza.
Narnia era cambiata, si... ma non si era lasciata morire del tutto.
Piuttosto, quel giorno Dhemetrya avrebbe detto che si era come
congelata nel tempo, in attesa di un nuovo risveglio, di qualcosa che
la facesse tornare allo splendore che la contraddistingueva e che
rompesse quella barriera di silenzio dietro cui si era nascosta. Come
milletrecento anni prima.
Non sapeva perché le fosse venuto
in mente quel pensiero, Dhem, non sapeva cosa le fosse passato per la
mente.
Le era sempre capitato di pensare che la magia nella sua terra
stesse scomparendo come stava scomparendo la speranza, lentamente
divorare dalle crudeltà che gli uomini di Telmar avevano
portato, spingendo Narnia e le sue creature a nascondersi ed a lei di
vivere di stenti. Aveva osservato gli alberi rimanere immobili sotto il
suo tocco, l'aria diventare gelida, le acque scorrere senza fare da
specchio al suo animo o deformarsi in arabeschi allegri.
Eppure,
osservando l'alba che aveva dato vita a quel giorno, le erano tornati
alla mente tutte le cose che erano accadute da quando i Pevensie erano
tornati. La Grande Magia si era palesata ben due volte nel giro di
poche settimane, Antares era tornato da loro, i Narniani si erano
riuniti e anche le sconfitte non li avevano abbattuti...
Non aveva
potuto fare a meno di provare un poco di sollievo, Dhemetrya, come da
tempo non succedeva, in mezzo al caos ed al dolore che l'aveva
accompagnata per tutto quel tempo come una seconda pelle.
Perché dal modo prepotente con cui il sole aveva spazzato
via la nebbia del mattino aveva sentito qualcosa germogliarle
all'altezza del cuore – qualcosa che sembrava tanto simile
alla felicità, ma dal sapore agrodolce, a cui non riusciva
dare un nome.
In qualunque modo sarebbe andata a finire quella storia,
andava bene, fintanto che avrebbero combattuto seguendo il disegno che
era stato scritto per loro dall'alba dei tempi.
E, mentre aveva osservato con
rinnovato interesse i raggi del sole mattutino illuminare la sua terra,
aveva pianto.
***
-Ci
hai spaventato.-
Evelyn rilassò i muscoli non appena riconobbe la figura di
Dhemetrya sbucare dagli alberi. Osservò il viso della
Narniana rivolgere loro un sorriso stanco, gli occhi lievemente lucidi
ed arrossati – dimenticava l'ultima volta che non li aveva
visti in quel modo, ma a quel punto non seppe dirsi se fosse per la
mancanza di sonno o per il pianto o se, invece, era normale li avesse
così.
-Ho notato, non volevo.- si scusò la
ragazza, accennando alle spade che i due Pevensie ancora reggevano tra
le mani e notando i tratti dei loro visi ancora rigidi.
Aveva
riconosciuto subito le loro figure non appena aveva scorto la radura,
ed era stata costretta ad annunciarsi per evitare che facessero mosse
azzardate. Per lei, da sempre abituata a muoversi nel silenzio, era
stato strano dover palesare la propria presenza, ma vederli guardarsi
intorno come degli animali braccati le aveva fatto un po' pena.
Edmund le rivolse un
sorriso imbarazzato, rinfoderando la spada con un gesto fluido e
tornando a guardare la mora, cercando di capire cosa ci fosse nella sua
figura che gli stesse procurando fastidio. Fu allora che
notò i due borsoni che portava ai fianchi e che avevano
l'aria che si sarebbero lasciati andare sotto il peso del contenuto.
-Cosa sono?- domandò, indicandoli con un cenno del capo ed
avvicinandosi per alleggerirla del peso, ottenendo uno sguardo di
ringraziamento.
Dhemetrya si occhieggiò intorno, cercando le
figure di Lia ed Antares in quella radura nascosta, invano. Aveva
capito che quello era una sorta di posto segreto in cui nessun altro,
se non quei due ragazzi, si recava.
Non si spiegava nemmeno come si
fosse ritrovata a tornare al rifugio sbucandogli dietro, convinta che
invece se lo sarebbe trovato a lato. Forse si era persa troppo nei
propri pensieri mentre vagava per la foresta.
Evelyn, avvicinatasi ad
Edmund, storse la bocca in una smorfia quando la mora le
lanciò un'occhiata incerta, facendole un mezzo sorriso,
sviando lo sguardo della Regina per concentrarsi nuovamente
sull'ambiente circostante. Decise che assicurarsi non ci fossero
intrusi e che nessuno l'avesse seguita fosse la cosa migliore che
potesse fare per evitare di sostenere lo sguardo indagatore della
Pevensie.
Non ci mise molto, Eve, a dare un nome per il comportamento
tenuto dalla Narniana.
-Lucy.- fece la ragazza, facendo suonare il nome
della sorella più come una constatazione che come una
domanda. L'occhiata colpevole con cui Dhemetrya non poté
fare a meno di guardarla fu solo una conferma alle proprie
supposizioni.
La minore delle sorelle si era alzata particolarmente
presto, quel giorno, dopo essersi coricata più tardi del
solito... e ora ne capiva il motivo.
-Cosa?- domandò Edmund,
voltandosi a guardarla senza riuscire a decifrare il tono della sua
voce, con un sopracciglio alzato. Fece passare lo sguardo dall'una
all'altra, puntandolo poi sulla borsa che aveva preso e osservando la
Pevensie con una muta domanda negli occhi.
Eve fece un gesto con la
mano, alzando le spalle e rinfoderando Asterius, sospirando
pesantemente per mantenere la calma e per nulla contenta di
ciò che, era sicura, avrebbe comportato il gesto di
Dhemetrya.
-Lascia stare.-
Ciao
a tutti e ben ritrovati! Prima di tutto buon anno nuovo a tutti, anche
se con un mese di ritardo! Spero ve la stiate passando bene. :)
Passando al capitolo: ho dovuto dividerlo perché altrimenti
sarebbe risultato davvero troppo lungo, ma giuro che nel prossimo
sarà presente quel benedetto bacio che ho promesso! Per
questo motivo il presente capitolo è finito per risultare
quasi di
"passaggio", eppure spero di aver reso bene i pensieri di questi tre
poveretti che sono finiti per esserne i soli
protagonisti.
Soprattutto, spero che anche le motivazioni di
Lucy siano abbastanza chiare: da sempre avevo pensato a questo
espediente dei biscotti (che poi capirete è una scusa per
far nascere un'altra scena abbastanza decisiva), ho cercato di limare
un po' la cosa cercando di renderla fattibile per la situazione in cui
si ritrovano.
Che altro dire... penso di aggiornare tra un mesetto, ma
tra un paio di settimane inizierò a ristrutturare casa,
quindi io sarò praticamente sfrattata fino a quando non
sarà posato il pavimento, imbiancato e riarredato almeno la
camera. Ergo, non avrò il mio "angolino di pace" e
sarò presa a fare altro, quindi potrei essere latitante per
un paio di mesi per questo motivo. Cercherò di evitare
questa cosa, comunque, ma non si sa mai.
Nel frattempo vi ringrazio delle letture, recensioni, preferite,
seguite e ricordate e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Love, D. <3
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