Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: Dhialya    30/01/2019    3 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Narnia's Spirits
I cuori sotto la superficie.











L'alba che annunciò quel giorno era particolarmente delicata, un susseguirsi di tenui tinte pastello che andavano via via a rischiare un cielo che fino ad appena un paio di ore prima era stato costellato dalle stelle della notte che, buia e silenziosa, era calata su Narnia.

Dhemetrya sospirò palesemente, scrutando l'orizzonte dalla piccola altura su cui si trovava, facendo scorrere lo sguardo sui profili dei boschi e delle montagne ancora immersi nella nebbia mattutina.

Il tempo stava cambiando. Le giornate iniziavano ad accorciarsi, l'aria ad essere più umida, a tratti perfino pungente, il cielo meno splendente... la natura che formava quel mondo sembrava stesse mutando espressione, assumendo delle note quasi malinconiche che riuscivano a farle nascere un grosso sentimento di nostalgia.

Presto, Dhemetrya lo sapeva bene, avrebbe cambiato i colori, assumendo quelle tinte in armonia con i tramonti infuocati di cui spesso era stata testimone.

Presto sarebbe arrivato l'autunno.

L'ennesimo autunno a cui avrebbe assistito, l'ennesimo passaggio di testimone tra una stagione e l'altra.

Dhemetrya spostò il peso del corpo da una gamba all'altra, godendosi il silenzio in cui era avvolta la foresta, assaporando quel momento di quiete assoluta che precede un nuovo giorno e in cui il tempo sembra fermarsi, come congelato, in cui si era trovata in mezzo.

Era passata un'altra manciata di giorni da quando Jadis aveva tentato di tornare in vita. Quell'evento, le cui voci si erano diffuse tra le truppe Narniane, aveva messo a dura prova l'equilibrio ancora neonato che si era appena ristabilito.

I soldati si erano guardati con rinnovato sospetto, lanciando occhiate di disprezzo sopratutto verso i nani, domandandosi se per caso non potesse esserci qualcun altro che stava tramando nell'ombra. Era risaputo che durante gli anni d'inverno in cui aveva governato la Strega Bianca i primi ad essere passati dalla sua parte erano stati proprio loro, per puro istinto egoistico di sopravvivenza.

I Pevensie avevano passato ogni momento di quelle giornate cercando di far tornare quelle creature coese verso quell'obbiettivo comune che sembrava sempre più vicino, evitando – lei l'aveva capito benissimo – il più possibile di far trapelare quanto fossero rimasti scombussolati da quell'incontro, incitandole a non perdere la speranza.

I Telmarini erano oltre la metà nella costruzione del ponte che gli avrebbe permesso di raggiungerli e la battaglia finale si sarebbe combattuta entro un paio di settimane, forse tre se erano un po' più fortunati.

A zittire i borbottii ed appianare gli animi sfiduciati l'intervento della pacifica e ammirata figura di Glenstorm era stato ciò che di più proverbiale Peter ed i fratelli avrebbero potuto desiderare.

Il centauro era rispettato, le sue spiegazioni e la profonda conoscenza degli eventi sia presenti che futuri riuscivano ad incantare anche la creatura più tormentata. Vederlo riporre, per l'ennesima volta, la piena fiducia negli antichi Re e in Caspian aveva agito da specchio, facendo si che anche tutti gli altri ne seguissero le orme – esattamente come quando, settimane prima, aveva giurato fedeltà al Principe di Telmar.

Le cose, quindi, con calma erano tornare ad appianarsi. Non sapevano altrimenti in che modo avrebbero potuto arginare il problema di un'eventuale rifiuto da parte dei Narniani di battersi al loro fianco in un momento così cruciale per un eventuale senso di tradimento che avrebbero potuto provare.

La ragazza chiuse gli occhi, nascondendo alla vista della foresta ancora addormentata gli assonati occhi blu, muovendo il collo per cercare di rilassare le spalle in tensione.

Allo stesso modo, il tempo anche per lei era tornato lentamente a scorrere.

Dopo l'incontro con la Grande Magia, dopo che li aveva degnati della sua presenza, dopo che aveva ricordato a Lia ed Antares che avevano una vita oltre quella in cui si trovavano, non avevano più parlato molto – soprattutto, non avevano più parlato del destino, della magia, o dei loro compiti. I due sembravano essersi chiusi in un silenzio malinconico, forse perfino rassegnato, un silenzio così pesante che Dhemetrya lo sentiva penetrarle fin dentro le ossa anche se non c'entrava nulla.

Una bolla di vuoto, come svuotati si erano ritrovati loro stessi quando erano ritornati al campo.

Non era da loro farsi abbattere, ma Dhem immaginò che essere messi davanti alla consapevolezza di tutto il tempo che avevano passato separati non dovesse essere piacevole. Per la verità, lo trovava triste. Immensamente. Le loro vite un'utopia, il loro legame proibito sospeso nei secoli... e forse senza occasione di riaverli indietro.

Erano passati anni da quando erano stati felici e spensierati, loro tre, ma mai si erano soffermati a pensare che le loro vite sarebbero potute giungere ad una fine, scomparire così come erano nati nel giro di un soffio di vento. Avevano sempre cercato di mantenersi neutrali, in attesa, cercando di conservare quella fiducia che non gli permetteva di lasciar andare tutto in malora.

Un richiamo istintivo, qualcosa a cui non potevano sottrarsi nemmeno con l'evidenza di tutto ciò che era successo perché più forte di qualsiasi altra emozione, una vocina che in testa gridava di tenere duro.

Dannazione, quelle cose pesavano.

Occhieggiò i borsoni che le penzolavano ai fianchi, passando le mani sotto le tracolle che aveva incrociate sopra il seno per dare sollievo alla pelle che sentiva tirata dal loro peso. Restò ferma qualche secondo, fissando quelle sacche senza vederle davvero, permettendosi di rilassarsi approfittando di quell'oasi di pace e cercando di scacciare la stanchezza che iniziava a percepire.

Avrebbe solo voluto chiudere gli occhi per qualche minuto. Era stata in giro tutta notte, ma finché non tornava alla casa di Aslan non poteva permettersi debolezze o perdite di tempo. Si trovava in una zona lontana dal guado di Beruna in cui sostavano i soldati, ma era ancora troppo vicina all'entrata della foresta per sentirsi totalmente al sicuro.

Si portò gli indici alle tempie, sentendo delle fitte alla testa, maledicendo se stessa e sentendosi tremendamente sconvolta per il modo in cui emozioni a cui non avrebbe dovuto dare ascolto le stavano da giorni scuotendo l'anima.

Chi glielo aveva fatto fare?


***


-Biscotti?-

Susan alzò un sopracciglio, smettendo di ripiegare la coperta che stava svogliatamente sistemando e voltandosi, puntando lo sguardo sulla sorella. Gli occhi chiari non nascosero una vena di scetticismo per quelle parole, ma si limitò ad osservare la minore delle sorelle senza concedere altre espressioni che facessero intuirne i pensieri.

-Si.- Lucy mimò un sorriso, consapevole di quanto potesse sembrare strana quella sua richiesta, sbattendo le palpebre e rimanendo seduta su una sporgenza di pietra che si trovava in quella che era stata la loro camera appena arrivate.

-Non mi pare il caso, Lu...- mormorò la Dolce, lanciando un'occhiata ad Evelyn, ferma a farsi allacciare i lacci del corsetto da Dhemetrya e notando lo sguardo perplesso che le stava rimandando e che, era sicura, avesse assunto anche lei.

La Narniana, invece, rimase a fissare il lavoro che stavano svolgendo le proprie dita, senza dare segno di volersi intromettere in quella discussione tra Regine ma sentendosi, in realtà, profondamente curiosa per quell'uscita particolare.

-Lucy, come può venirti in mente un'idea simile proprio ora?- sbottò Eve, con un moto di stizza, lanciandole un'occhiata palese e allargando le braccia indicando la stanza in cui si trovavano ma intendendo, in realtà, tutta la casa di Aslan e la situazione precaria in cui erano coinvolti. Certe volte non riusciva proprio a capirla.

-Io penso che se facciamo dei biscotti i soldati potrebbero apprezzare. Li aiuterà anche a migliorare l'umore.- Lucy si alzò in piedi, avvicinandosi alle sorelle senza paura di sostenere i loro sguardi.

Da quando era successo il fatto di Jadis i suoi fratelli erano tutti rigidi, sospettosi ed in allerta, e questo non aiutava né loro né i Narniani che dovevano guidare. Non era stupida, aveva capito che le cose non erano ancora tornate al loro posto, anche se non glielo avrebbero mai detto direttamente per non preoccuparla.

Lucy riusciva a leggere dietro i silenzi e i sorrisi della sua famiglia, sentendo il peso dei loro tormenti come se fossero suoi.

Voleva fare qualcosa per far tornare un po' di leggerezza, voleva riuscire a trasmettere un poco del calore della speranza che sentiva ruggirle nel petto, e quella le era sembrata la cosa più semplice e veloce da poter attuare tra tutte le idee che le erano balzate per la mente e che, sicuramente, non sarebbe stato possibile fare.

Era consapevole che non avrebbero di certo potuto mangiare come se fossero ad un banchetto, o ballare per ore, ma i fuochi c'erano, alcuni cibi anche, solo... mancavano alcuni ingredienti – e di altri se ne poteva fare a meno, viste le circostanze.

Perché no? Perché non rischiare, per portare un po' di spensieratezza? Non c'erano già state troppe cose brutte a cui assistere, troppo dolore da sopportare? Voleva solo avere dei pensierini da distribuire tra quella gente, come i sorrisi che non si era mai risparmiata di fare ma che, in quei giorni, nessuno sembrava vedere realmente, facendola sentire ancora più piccola rispetto all'età che dimostrava e a ciò che le era permesso fare.

Con quel corpo di ragazzina non poteva combattere, i fratelli glielo avevano evitato il più possibile anche durante l'Età d'Oro nononostante se la sapesse cavare egregiamente, non era adatta come compagna di allenamento perché se la situazione non lo richiedeva non riusciva a fare sul serio... l'unica cosa che le era sempre venuta bene e spontanea era regalare un po' della positività che sempre l'aveva accompagnata. E se quello era il compito che Aslan sembrava averle lasciato, se doveva riuscire a non far perdere la speranza nella prospettiva di un riscatto per Narnia e nel ritorno del leone, lo avrebbe fatto.

Avrebbe fatto tutto ciò che era necessario.

Lucy si morse un labbro, incerta, seguendo il filo dei propri pensieri. Aveva già controllato, ed era sicura che soprattutto non bastasse la farina.

-Non abbiamo abbastanza riserve di cibo. Come pensi di farli? Con l'aria?- la punzecchiò Evelyn, senza reale cattiveria. Già si immaginava dove Lucy sarebbe andata a parare e poteva benissimo sentire nella testa le risposte e gli assoluti divieti che sarebbero usciti dalla bocca di Peter, i lampi che avrebbero mandati i suoi occhi.

-Li prendiamo alla cittadella.- fu infatti la risposta della Pevensie. Eve si portò una mano alla tempia scuotendo la testa, per nulla sorpresa, e Susan aprì la bocca aggrottando elegantemente le sopracciglia, sfoggiando un'espressione d'indignazione che strappò un mezzo sorriso divertito a Dhemetrya.

-Assolutamente no. Sei matta? Lo sai che se ci scoprono è la fine? Sia per noi che per Narnia.-

Lucy strinse le labbra, consapevole nonostante tutto della verità intrisa tra le parole della maggiore. Abbassò lo sguardo a terra, sentendo l'impotenza strisciarle stancamente addosso.

Sapeva che Susan ed Evelyn avevano ragione, che sicuramente il villaggio era in allerta e pieno di soldati, però... però voleva fare qualcosa.


***

 

-Andate da qualche parte?-

Lucy s'immobilizzò sul posto, sussultando di sorpresa per non essersi accorta di non essere sola. Strinse le redini del cavallo che stava finendo di sellare, voltandosi, raccogliendo tutta la sicurezza di cui sapeva poteva disporre.

Faticò a mettere a fuoco la figura che la guardava a qualche metro di distanza avvolta dal buio della sera e dalla vegetazione. Per non farsi vedere dai suoi fratelli e per evitare che occhi indiscreti si intromettessero in ciò che stava facendo si era allontanata con una scusa dal rifugio, fingendo di voler far fare un giro al cavallo che avevano portato via dalle scuderie la notte dell'attacco a Miraz.

La Pevensie si rilassò, sfoggiando suo malgrado un sorriso, riconoscendo nella figura che aveva fatto qualche passo nella sua direzione la pacata persona di Dhemetrya. Non se lo spiegava, ma sapere di non essere più sola in quel bosco un po' troppo vicino alle truppe di Telmar un po' la rassicurava, anche se mentre raggiungeva quello spiazzo non aveva mai pensato alla possibilità di rischiare un'imboscata dai soldati nemici.

-E anche se fosse?- le domandò, alzando il mento in un'espressione che di arroganza aveva ben poco – se non nulla. Vide Dhem aprirsi in un sorriso compiaciuto, passandosi la lingua sulle labbra.

-Non credo i tuoi fratelli saranno contenti.- le disse, mettendosi le mani sui fianchi e calciando un sassolino. L'arco che portava ondeggiò per quel movimento, riflettendo sul legno lucido il chiarore della luna.

Non c'era bisogno che la Pevensie le desse troppe spiegazioni: a fronte di ciò che aveva sentito quella mattina, del luccichio di determinazione che le aveva visto nello sguardo nonostante il divieto, era ovvio ciò che stesse facendo senza dire niente a nessuno.

La ragazzina sospirò, accarezzando il cavallo senza rispondere.

-Devo farlo.- disse, dopo qualche minuto, senza guardare la Narniana in faccia. Non se lo spiegava, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Come sapeva che aveva visto davvero Aslan al burrone e non ne aveva dubitato nemmeno per mezzo secondo.

Seguirono dei minuti di silenzio, in cui si sentì addosso lo sguardo penetrante di Dhemetrya mentre tornava a sistemare le redini.

-Ti prego... di restarne fuori.- Lucy tornò a voltarsi verso la ragazza, specchiandosi nei suoi occhi rilassati. Ci mancava solo che facesse la spia e andasse a dirlo ai suoi fratelli e già sapeva cosa le avrebbe detto Peter.

Non aveva voglia che lui pensasse di doverle anche fare da balia, con tutto il resto delle cose che doveva gestire. In realtà, non voleva pesare sui suoi fratelli. Lucy si pentì di averne anche parlato con Susan ed Eve quella mattina, riflettendo sulla possibilità che poteva aver messo loro in testa che avrebbe fatto qualche gesto azzardato.

Dhem sospirò, modellando un lieve sorriso e chiudendo per qualche secondo gli occhi, rilassando le spalle, sapendo già in che modo si sarebbe concluso quel discorso.

Sicuramente era una faccenda che non la riguardava. Però...

Tornò a puntare lo sguardo sulla Pevensie, ancora ferma ad osservarla. Lucy era, in qualche modo, sempre stata la prediletta di Aslan. Era l'unica che ancora credeva fermamente in lui ed era l'unica a cui si era – apparentemente – mostrato settimane prima.

Perché? Perché a un'umana e non a lei?

La mora sospirò, posando una mano sul fianco, riflettendo di come la figura della Pevensie l'avesse sempre, in qualche strano modo, attirata. Tanto da salvarle la vita con l'orso senza pensarci due volte. Lucy rifletteva quella parte di giovane speranza a cui lei aveva dovuto rinunciare, un'innocenza e spensieratezza che ormai erano solo dei brandelli di ricordi a cui ogni tanto si attaccava.

Forse un po' la invidiava. Invidiava la caparbietà con cui non si faceva soggiogare a ciò che dicevano o pensavano agli altri, la sicurezza con cui faceva ciò che le diceva il cuore.

Se fosse andata davvero via, e le fosse successo qualcosa... non se lo sarebbe perdonato. Non poteva permettere che le succedesse qualcosa. Per Evelyn, per Aslan, per Narnia... perfino per se stessa.

-Andrò io.-


***


-Sicuro che fosse qui, Edmund?-

Eve si voltò per occhieggiare il fratello, sforzandosi di non alzare un sopracciglio con fare scettico. Intercettò la figura del moro a qualche metro di distanza da lei, intento ad osservare con cipiglio critico il terreno attorno a loro.

-Io...- provò a mormorare, senza nemmeno guardarla in faccia e mordendosi il labbro inferiore. Evelyn sospirò, osservando il circondario senza sforzarsi di vedere davvero ciò che incontravano i propri occhi.

Era impossibile che quella dannatissima collana fosse ancora integra, ma Edmund sembrava così deciso a volerla ritrovare che non osava dirglielo ad alta voce.

Erano passate più di due settimane! Ed aveva anche piovuto...

Non capiva perché improvvisamente, un paio d'ore prima, Edmund si fosse svegliato con di nuovo in mente quella collana e motivato a ritrovarla. Suo fratello non era stupido – anzi, era il più lungimirante e concreto di tutti loro –, sapeva benissimo che, con i giorni che erano trascorsi, se anche fossero riusciti a distinguerla da quel terreno immenso si sarebbero trovati davanti solo a dei rimasugli ormai appassiti di steli e petali rovinati.

Quindi perché? Cosa c'era nel comportamento di Edmund che le sfuggiva?

Eve riportò lo sguardo sul Pevensie, osservandolo ciondolare per il prato con fare assorto e riservando un'occhiata preoccupata alla schiena che le stava rivolgendo.

Forse c'entrava ancora Jadis?

La Pevensie scosse lievemente la testa, cercando di scacciare quel nome dalla testa senza staccare gli occhi da Edmund come se fosse potuto sparire da un momento all'altro. Sospirò nuovamente, rivolgendo lo sguardo all'erba e cercando d'ignorare la sensazione sinistra che rievocare quel nome le aveva procurato.

Sperava che, qualsiasi fosse il motivo che sembrava tediarlo, gliene avrebbe parlato.

Dannazione. Dannazione. Doveva esserci, doveva trovarla, voleva trovarla...

Si passò nervosamente una mano tra i capelli, Edmund, stringendo appena le ciocche tra le dita ed ignorando il lieve fastidio che si procurò con quel gesto.

Da qualche parte nella sua mente la parte più ragionevole di se stesso gli sussurrò che era passato troppo tempo perché quel regalo che non aveva mai visto indossato da sua sorella fosse ancora integro.

Chiuse gli occhi, assaporando i raggi del sole mattutino accarezzargli la pelle del viso e cercando di calmarsi, ritrovandosi a dar ragione alla propria coscienza. Avrebbe dovuto trovarla quel pomeriggio in cui poi si era perso nei ricordi, o se Evelyn non fosse stata in pericolo.

Forse, in quel modo...


Eve lo guardava, a qualche metro di distanza, senza preoccuparsi di nascondere la nota di apprensione che le luccicava nello sguardo e le sopracciglia lievemente aggrottate, i capelli appena smossi dall'aria settembrina.

Edmund si sforzò di sorriderle, inspirando profondamente ed avvicinandosi di qualche passo senza interrompere il contatto visivo. Gli sembrò come se tutto il resto intorno a lui fosse diventato sfocato, come se non riuscisse a vedere altro che il suo viso circondato da quella cascata mogano e gli occhi chiari.

Si ritrovò attirato dalla sua figura dimenticando per un breve lasso di tempo tutto il resto, lasciando fuori dalla mente ogni pensiero che non fosse quello d'imprimersi più dettagli possibili di Evelyn che lo guardava.

-Ed...- gli mormorò, quando fu a qualche passo di distanza da lei. Gli lanciò un'occhiata incerta, e lui annuì, capendo cosa si celasse dietro il silenzio paziente con cui la Pevensie l'aveva sopportato per quel tempo di ricerca vana e sforzandosi di ingoiare il boccone amaro della delusione.

-Lo so Eve, lo so.- confessò, arrendendosi e lasciando andare stancamente le braccia lungo il corpo.

Avrebbe voluto farle riavere quella collana che era stata uno degli ultimi momenti di gioia che avevano condiviso prima che tutto andasse a rotoli anche in quel mondo, avrebbe voluto vedergliela indossata, ammirare il bianco delle margherite in contrasto con il caldo castano dei suoi capelli eppure tremendamente simile al candore della sua pelle.

Le margherite non c'erano più in quel prato che era stato testimone dell'ennesimo momento segreto che Edmund avrebbe custodito negli antri del proprio cuore, spazzate via dal cambio del tempo. Tutto ciò gli procurava un senso di dispiacere talmente forte da fargli quasi venire la nausea, mentre osservava gli occhi di sua sorella guardarlo con un malcelato tormento.

Sapeva che Evelyn si era sentita in colpa per Jadis e che un abbraccio non avrebbe potuto fare niente. Lui lo sapeva bene, quanto le parole possano suonare vuote se non ci si crede quando le si ascolta.

Avrebbe voluto farle un regalo per tirarle su il morale, l'unico che quella situazione poteva concedergli – e invece quel regalo non c'era. Ed era stato stupido ad aver pensato di poter avere anche solo la minima possibilità di ritrovarlo dopo tutto il tempo che era passato.

Ma lui, per Evelyn, avrebbe tentato anche l'impossibile...

Edmund voleva renderla felice per quanto gli era possibile e invece in quel momento si sentiva inutile. Perché anche se non glielo diceva Eve era triste e lui lo sapeva, e lui odiava sapere che stava soffrendo senza poter fare nulla.

-Dai, siediti un po'.-

Qualcosa si riscosse nel ragazzo a sentire quelle parole. Il Pevensie sbatté le palpebre un paio di volte, intimandosi di darsi una svegliata e cercando la figura di Evelyn che, si rese conto, non si trovava più davanti a lui.

Ci mise qualche attimo a processare che la Scaltra si era allontanata da lui per avvicinarsi allo stesso tronco al quale lo aveva trovato appoggiato un paio di giorni prima e gli stava indicando il posto accanto a lei, battendo leggermente la mano sull'erba e guardandolo, in attesa.

Edmund sospirò, forse per l'ennesima volta in poco tempo tanto che si trovò infastidito da se stesso per quel gesto, ma occhieggiando Eve non la vide cambiare espressione: la sorella continuava ad osservarlo, silenziosa e con le labbra tirare in un sorriso, mentre seguiva con lo sguardo i suoi movimenti. Ad Edmund sembrò molto una bambina che attende qualcosa con curiosità e la cosa lo fece sorridere, ricordandosi di quando da piccola aspettava che Peter le mostrasse qualche trucchetto di strada che aveva imparato.

-La rifaremo.- disse lei, come per rassicurarlo, quando le si sedette accanto. Edmund accennò un sorriso amaro, senza guardarla, ed Evelyn trovò quel comportamento particolarmente strano.

Non era da Ed accanirsi così tanto per qualcosa che non poteva dipendere da nessuno. Lui era sempre stato quello che prendeva le cose come venivano, specialmente se poco c'era da fare per poterle cambiare. Era bravo a ragionare, elaborare piani e strategie, ma era anche abbastanza sveglio da capire quando valeva la pena sprecare sforzi per qualcosa.

Per l'ennesima volta in quella mattinata, ebbe la sensazione che qualcosa d'importante riguardante suo fratello le stesse sfuggendo e si ritrovasse davanti un muro che la teneva lontana. Non capirne il motivo la mandava in bestia, perché non si era accorta di nulla di diverso la sera precedente. E invece, ora, Ed era scostante e a stento parlava...

-Edmund.- riprovò, toccandogli un braccio, ignorando l'irritazione che sentiva iniziare a premere per uscire.

Catturò subito l'attenzione del moro, che si girò a guardarla di scatto, bloccandosi nel trovarla più vicino di quanto pensasse. Le punte dei loro nasi quasi si sfioravano. Eve si ritrovò incatenata nel castano dei suoi occhi tanto che ebbe quasi la sensazione di starci annegando dentro, e senza rendersene conto smise di respirare.

Una piacevole sensazione di oblio.

Tutto ciò che riusciva a percepire era il prepotente battito del cuore nelle orecchie e l'intensità dello sguardo che Edmund le stava rivolgendo, come se le stesse guardando fin dentro l'anima. Percepì un nodo alla bocca dello stomaco per l'intensità di quelle emozioni.

Edmund fu il primo a riprendersi, imponendosi un autocontrollo che non credeva sarebbe riuscito a racimolare un attimo prima di cedere alla tentazione di allungare un braccio verso di lei.

Nessuno dei azzardò a dire qualcosa riguardo quel momento di stasi che li aveva avvolti, troppo sconvolti ad analizzare ciò che avevano sentito in quei secondi per concentrarsi sull'altro.

-Hai ragione, la rifaremo.- ruppe il silenzio il Pevensie, distogliendo lo sguardo e cercando di scacciare dalla mente e dal corpo la voglia prepotente di protendersi per baciarla che l'aveva assalito. Evelyn era rimasta immobile a fissarlo... come se si aspettasse qualcosa? O forse era lui che aveva assunto un'espressione che poteva averlo tradito?

Si morse una guancia, socchiudendo gli occhi, riportandosi alla mente l'espressione di sua sorella mentre lo guardava e provando un brivido lungo la schiena. Quella situazione lo stava facendo diventare matto.

-Tutto bene? Qualcosa ti preoccupa?- si sentì domandare. Edmund si irrigidì, rendendosi conto che probabilmente stava avendo uno strano comportamento ai suoi occhi. Si sforzò di rilassarsi, cercando di ritrovare la calma appoggiandosi al tronco dietro di lui e fissando lo sguardo sul cielo, fingendo di non sentire i battiti accelerati del proprio cuore ed i dubbi tartassargli la mente.

-No, no... va tutto bene.- mentì, sforzandosi ad accennare un sorriso e schiarendosi la gola. Sentì su di sé lo sguardo di Eve che lo studiava e cercò di ignorarlo per non mostrare i propri turbamenti.

Non poteva permettersi di fare errori. Non poteva cedere... non doveva. Dannazione, perché da quando erano tornati gli risultava sempre più difficile comportarsi normalmente? Perché pochi momenti prima gli era sembrato che Evelyn... no, no. No. Era la sua mente che gli stava facendo brutti scherzi facendogli immaginare cose che non c'erano.

Sussultò sentendo l'inconfondibile suono del ferro di quando viene estratta un'arma e tese i muscoli, in allerta, portando istintivamente la mano all'elsa della propria e puntando lo sguardo sulla foresta circostante.

-Che stai facendo?- si sentì domandare, nuovamente, nel giro di pochi minuti. Edmund si voltò verso la sorella, credendo di essersi immaginato tutto e supponendo di star perdendo definitivamente la ragione.

-Eh?- biascicò, confuso. Eve gli fece dondolare innocentemente davanti al viso la propria arma.

-Volevo affilarla. Edmund, sicuro di stare bene? Mi sembri distratto.- fece quella, rispondendo al suo sguardo interrogativo e tirando fuori da un sacchetto una pietra.

-Ah, si. Va bene.- Il Pevensie mandò giù sonoramente la saliva, sentendosi particolarmente spaesato e poco padrone di se stesso tanto da darsi dello stupido. Osservò Eve portarsi la spada davanti al corpo, esaminandola con sguardo serio per una manciata di secondi prima di puntare verso il terreno la punta, iniziando a far scorrere la pietra lungo la lama.

Per un po' ad avvolgerli ci fu solo il silenzio, rotto dal vibrare del ferro contro la pietra o dal suono di qualche cinguettio in lontananza. Se non ci fosse stato il perenne pensiero della guerra imminente poteva quasi sembrare che si trovavano nella Narnia di milletrecento anni prima.

-Sai, non capisco perché stamattina ti sei fissato con la collana.- Ruppe quel momento Eve, continuando con il proprio lavoro senza guardare il fratello in faccia. Ci stava pensando da vari minuti e non riusciva più a contenere la curiosità che la stava assalendo.

-Come?- domandò lui, interrompendo i propri pensieri per concentrare la propria attenzione su di lei. La vide bloccarsi e roteare gli occhi.

-Si, insomma... sai anche tu che sono passati troppi giorni. Perché ti ci sei fissato? Hai combinato qualcosa?- indagò lei, alzando le spalle come per minimizzare ma lanciandogli, di sottecchi, una lunga occhiata. Voleva sapere. Era sicura che ci fosse qualcosa che non le stava dicendo e moriva dalla voglia di capire cosa fosse. Il tergiversare ed il silenzio dietro cui il ragazzo sembrava rifugiarsi le stavano dando solo conferma.

Edmund le nascondeva qualcosa.


-Non ho combinato niente.- iniziò lui, cercando di sfuggire allo sguardo indagatore che Eve gli stava riservando e portandosi le mani al petto in un vano gesto di innocenza.

-Oggi sei strano, Ed.- fu la piccata risposta che gli riservò sua sorella – ed Edmund in quel momento trovò particolarmente difficoltoso trattenersi dal risponderle che era lei, con la sua sola vicinanza, a renderlo strano.

-Da che pulpito.- cercò di sviare, sollevando un sopracciglio con fare scettico e guardandola con divertimento. Eve aprì la bocca un paio di volte senza però dire nulla, indispettita, osservando come il Pevensie stesse trattenendo una risata.

-Ehi! Io non sono strana!- Si sentì immediatamente più sollevata e si permise di dargli un leggero schiaffo sul braccio.

-Convinta tu...- borbottò il fratello, senza togliersi il ghigno che gli era spuntato sul viso e fingendo di massaggiare il punto offeso.

-Edmund non prender__-

-Zitta.-

Evelyn si bloccò all'istante, colpita dal sibilo brusco con cui le si era rivolto e sentendo una lieve fitta di sofferenza al petto. Ma osservando come il suo corpo si fosse irrigidito, il modo in cui repentinamente ogni forma di allegria era scomparsa dal suo viso, capì che qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione.

Qualcosa di cui lei non si era accorta... forse dei Telmarini nelle vicinanze? Le sfuggivano parecchie cose, quel giorno.

Vide i suoi occhi dardeggiare per la foresta, analizzando un punto imprecisato della vegetazione, la mano già corsa all'elsa della spada. La Pevensie si mise in allerta di riflesso, vedendo con quanta serietà il moro fosse attento a ciò che li circondava, impugnando più saldamente la propria arma ed accennando una vaga posizione di difesa.

-Edmund...- provò, in un sussurro, lanciando occhiate al circondario. Non le sembrava ci fosse qualcosa di diverso. Quello non si voltò a guardarla, continuando a tenere gli occhi incollati alla foresta, limitandosi a fare un cenno del capo per farle capire di averla sentita.

-C'è qualcuno.- fu il basso mormorio che le diede come spiegazione. Eve trattenne il fiato, cercando di farsi attenta ai suoni circostanti ma senza sentire, però, nulla di insolito. Si domandò se non fosse così distratta da non accorgersi di qualcosa di palese o se Edmund non stesse dando di matto, quel giorno, visto il comportamento che stava tenendo.

Forse rivedere Jadis l'aveva allarmato più di quanto lasciasse intendere ed ora vedeva pericoli ovunque... Fu in quel momento, in cui si stava perdendo nei propri pensieri, che lo sentì.

Un fruscio.

Eve sbatté le palpebre, sorpresa, rivolgendo lo sguardo alle proprie spalle pensando di esserselo immaginata. Ma il modo in cui Edmund si era voltato a spada sguainata e le si era messo davanti le fece svanire ogni dubbio.

Qualcuno si stava avvicinando.


***
 


Il sole del mattino filtrava attraverso le grandi chiome degli alberi donando vari giochi di luce ed ombre, i rami sembravano sempre pronti a protendersi per accoglierla dolcemente ogni volta che saltava da un tronco all'altro evitandole di cadere.

Sotto il suo sguardo la foresta era silenziosa ed immobile, chiusa nel proprio dolore, eppure Dhemetrya non poteva che percepire quanto ancora vi fosse vita all'interno di essa, al modo materno con cui sembrava indicarle la via più veloce per raggiungere i luoghi che desiderava e a come le foglie sembrassero accarezzarla durante la notte.

Probabilmente era un'impressione, nessun ramo si allungava realmente verso di lei e nessun sospiro di vento la manteneva in aria quel tanto che le bastava per saltare agilmente tra una roccia ed un albero senza sentire la fatica.

Eppure, in quel momento, mentre tornava al campo con le borse piene di ingredienti rubati, le piaceva pensare che Narnia fosse tornata ad essere quella terra in cui era nata per proteggerla ed amarla.

Forse era colpa di Lucy, del modo in cui si ostinava a non lasciarsi abbattere, a farle credere che ci fosse ancora qualcosa in cui credere. Forse era stato aver rivisto la Grande Magia, forse era il modo in cui nonostante tutto quel mondo aveva continuato la sua vita a dispetto delle tragedie di cui era stata testimone.

Gli alberi si erano chiusi, gli elementali si erano nascosti, gli animali avevano perso la parola... eppure, c'era chi aveva continuato a vivere senza spegnere la fiammella di speranza.

Narnia era cambiata, si... ma non si era lasciata morire del tutto. Piuttosto, quel giorno Dhemetrya avrebbe detto che si era come congelata nel tempo, in attesa di un nuovo risveglio, di qualcosa che la facesse tornare allo splendore che la contraddistingueva e che rompesse quella barriera di silenzio dietro cui si era nascosta. Come milletrecento anni prima.

Non sapeva perché le fosse venuto in mente quel pensiero, Dhem, non sapeva cosa le fosse passato per la mente.

Le era sempre capitato di pensare che la magia nella sua terra stesse scomparendo come stava scomparendo la speranza, lentamente divorare dalle crudeltà che gli uomini di Telmar avevano portato, spingendo Narnia e le sue creature a nascondersi ed a lei di vivere di stenti. Aveva osservato gli alberi rimanere immobili sotto il suo tocco, l'aria diventare gelida, le acque scorrere senza fare da specchio al suo animo o deformarsi in arabeschi allegri.

Eppure, osservando l'alba che aveva dato vita a quel giorno, le erano tornati alla mente tutte le cose che erano accadute da quando i Pevensie erano tornati. La Grande Magia si era palesata ben due volte nel giro di poche settimane, Antares era tornato da loro, i Narniani si erano riuniti e anche le sconfitte non li avevano abbattuti...

Non aveva potuto fare a meno di provare un poco di sollievo, Dhemetrya, come da tempo non succedeva, in mezzo al caos ed al dolore che l'aveva accompagnata per tutto quel tempo come una seconda pelle. Perché dal modo prepotente con cui il sole aveva spazzato via la nebbia del mattino aveva sentito qualcosa germogliarle all'altezza del cuore – qualcosa che sembrava tanto simile alla felicità, ma dal sapore agrodolce, a cui non riusciva dare un nome.

In qualunque modo sarebbe andata a finire quella storia, andava bene, fintanto che avrebbero combattuto seguendo il disegno che era stato scritto per loro dall'alba dei tempi.


E, mentre aveva osservato con rinnovato interesse i raggi del sole mattutino illuminare la sua terra, aveva pianto.


***


-Ci hai spaventato.-

Evelyn rilassò i muscoli non appena riconobbe la figura di Dhemetrya sbucare dagli alberi. Osservò il viso della Narniana rivolgere loro un sorriso stanco, gli occhi lievemente lucidi ed arrossati – dimenticava l'ultima volta che non li aveva visti in quel modo, ma a quel punto non seppe dirsi se fosse per la mancanza di sonno o per il pianto o se, invece, era normale li avesse così.

-Ho notato, non volevo.- si scusò la ragazza, accennando alle spade che i due Pevensie ancora reggevano tra le mani e notando i tratti dei loro visi ancora rigidi.

Aveva riconosciuto subito le loro figure non appena aveva scorto la radura, ed era stata costretta ad annunciarsi per evitare che facessero mosse azzardate. Per lei, da sempre abituata a muoversi nel silenzio, era stato strano dover palesare la propria presenza, ma vederli guardarsi intorno come degli animali braccati le aveva fatto un po' pena.

Edmund le rivolse un sorriso imbarazzato, rinfoderando la spada con un gesto fluido e tornando a guardare la mora, cercando di capire cosa ci fosse nella sua figura che gli stesse procurando fastidio. Fu allora che notò i due borsoni che portava ai fianchi e che avevano l'aria che si sarebbero lasciati andare sotto il peso del contenuto.

-Cosa sono?- domandò, indicandoli con un cenno del capo ed avvicinandosi per alleggerirla del peso, ottenendo uno sguardo di ringraziamento.

Dhemetrya si occhieggiò intorno, cercando le figure di Lia ed Antares in quella radura nascosta, invano. Aveva capito che quello era una sorta di posto segreto in cui nessun altro, se non quei due ragazzi, si recava.

Non si spiegava nemmeno come si fosse ritrovata a tornare al rifugio sbucandogli dietro, convinta che invece se lo sarebbe trovato a lato. Forse si era persa troppo nei propri pensieri mentre vagava per la foresta.

Evelyn, avvicinatasi ad Edmund, storse la bocca in una smorfia quando la mora le lanciò un'occhiata incerta, facendole un mezzo sorriso, sviando lo sguardo della Regina per concentrarsi nuovamente sull'ambiente circostante. Decise che assicurarsi non ci fossero intrusi e che nessuno l'avesse seguita fosse la cosa migliore che potesse fare per evitare di sostenere lo sguardo indagatore della Pevensie.

Non ci mise molto, Eve, a dare un nome per il comportamento tenuto dalla Narniana.

-Lucy.- fece la ragazza, facendo suonare il nome della sorella più come una constatazione che come una domanda. L'occhiata colpevole con cui Dhemetrya non poté fare a meno di guardarla fu solo una conferma alle proprie supposizioni.

La minore delle sorelle si era alzata particolarmente presto, quel giorno, dopo essersi coricata più tardi del solito... e ora ne capiva il motivo.

-Cosa?- domandò Edmund, voltandosi a guardarla senza riuscire a decifrare il tono della sua voce, con un sopracciglio alzato. Fece passare lo sguardo dall'una all'altra, puntandolo poi sulla borsa che aveva preso e osservando la Pevensie con una muta domanda negli occhi.

Eve fece un gesto con la mano, alzando le spalle e rinfoderando Asterius, sospirando pesantemente per mantenere la calma e per nulla contenta di ciò che, era sicura, avrebbe comportato il gesto di Dhemetrya.

-Lascia stare.-
























































































































Ciao a tutti e ben ritrovati! Prima di tutto buon anno nuovo a tutti, anche se con un mese di ritardo! Spero ve la stiate passando bene. :)
Passando al capitolo: ho dovuto dividerlo perché altrimenti sarebbe risultato davvero troppo lungo, ma giuro che nel prossimo sarà presente quel benedetto bacio che ho promesso! Per questo motivo il presente capitolo è finito per risultare quasi di "passaggio", eppure spero di aver reso bene i pensieri di questi tre poveretti che sono finiti per esserne i soli protagonisti.
Soprattutto, spero che anche le motivazioni di Lucy siano abbastanza chiare: da sempre avevo pensato a questo espediente dei biscotti (che poi capirete è una scusa per far nascere un'altra scena abbastanza decisiva), ho cercato di limare un po' la cosa cercando di renderla fattibile per la situazione in cui si ritrovano.
Che altro dire... penso di aggiornare tra un mesetto, ma tra un paio di settimane inizierò a ristrutturare casa, quindi io sarò praticamente sfrattata fino a quando non sarà posato il pavimento, imbiancato e riarredato almeno la camera. Ergo, non avrò il mio "angolino di pace" e sarò presa a fare altro, quindi potrei essere latitante per un paio di mesi per questo motivo. Cercherò di evitare questa cosa, comunque, ma non si sa mai.
Nel frattempo vi ringrazio delle letture, recensioni, preferite, seguite e ricordate e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Love, D. <3   
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: Dhialya