Il mio intervento è appena terminato. Ho parlato a ruota
libera per almeno un’ora, senza quasi prendere fiato,
talmente veloce che non ricordo neanche cosa ho detto. Spero di non
aver fatto qualche enorme gaffe che verrà postata sui social
per almeno un mese. Mi è capitato alla prima presentazione
con la SoftWaiting, quando ancora non ero la loro oca dalle uova
d’oro e non ho alcuna voglia di riviverlo. Mark è
subentrato al mio posto in maniera eccellente anche se si nota che
è molto agitato, ha la fronte imperlata di sudore ma la sua
parlantina lo aiuta ad andare avanti. Fosse venuto Luca con
noi, probabilmente farebbe il suo discorso proiettando un
documento su cui scrivere in real-time tanto è restio a
parlare.
Mi allontano dalla postazione per raggiungere Rebecca che da un angolo
del palchetto osserva tutta la scena con in mano il cellulare collegato
in videochiamata con Giulio e Virginia. Osservo la platea di persone
che ascoltano Mark. La maggior parte ha lo sguardo perso nelle slide
che scorrono alle sue spalle, per quanto abbia cercato di non essere
troppo tecnico, sta comunque parlando di cose che il 70% dei presenti
non ha interesse a comprendere. Sono stata sempre contraria a questo
tipo interventi davanti a un pubblico simile, ma Giulio e Reb erano
d’accordo che colpire il 30% di partecipanti competenti in
materia avrebbe potuto fruttare ben di più rispetto al
riempire quel tempo con argomenti più comuni ma meno
d’impatto. In fondo il nostro reale obiettivo era stimolare
l’interesse di una partnership e il target era proprio quel
30%! Farli innamorare delle nostre tecnologie era il segreto della
riuscita: che gli altri dormissero pure per quei quaranta minuti, non
era importante.
Questo è il primo momento in cui riesco a fermarmi oggi.
Osservo l’orologio, fortunatamente la giornata è
quasi finita! Il calo di adrenalina fa improvvisamente gravare sulle
mie spalle tutto il peso delle pochissime ore di sonno di stanotte.
Guardo Rebecca stare vigile, senza un minimo segno di cedimento e mi
chiedo come faccia. Non credo abbia dormito molto più di me
eppure sembra attivissima, come se avesse una flebo di caffeina in vena
a pieno flusso. Io, invece, sento le palpebre improvvisamente pesanti e
la testa svuotata da ogni sinapsi. Sbadiglio, in maniera un
po’ troppo evidente. Persino Mark si volta a guardarmi, con
lo sguardo terrorizzato che urla “sto facendo schifo se
faccio sbadigliare anche te”. Imbarazzata, sorrido facendo
finta di nulla e gli faccio un rapido cenno con la mano per indicargli
di continuare. Quasi istantaneamente il telefono vibra. Lo estraggo
dalla tasca della giacca sperando di non distrarre tutti anche
stavolta. Trovo un messaggio di Giulio che mi ordina di prendere un
caffè e smetterla di sbadigliare. Afferro la sfuriata che
avrebbe voluto farmi ma da cui si è trattenuto. Prima di
posare nuovamente il cellulare e assecondare il suo ordine andando a
prendere una dose di sana caffeina, controllo velocemente il resto
delle notifiche. C’è un messaggio di Diego che
decido di leggere dopo. Da parte di Tommaso, nulla. Cerco di dirmi che
non fa niente, che è normale, che sono passate poco
più di otto ore, che anche lui ha dormito pochissimo ed
è possibile che stia recuperando il sonno perduto, ma la
verità è che ci speravo. Mi scuoto, cercando di
cancellare il broncio che mi si è stampato in viso prima che
qualcuno se ne accorga. Busso alla spalla di Reb e le faccio segno che
mi sto allontanando per qualche minuto, ma mi dedica non più
di qualche istante di attenzione. Non c’è nessun
motivo per cui essere agitata, ma riuscirà a rilassarsi solo
quando l’intera giornata sarà finita. Vorrei dirle
di respirare e osservare quanto bene stia andando l’evento,
ma so che otterrei l’effetto contrario perciò
evito di aggiungere altro e vado a cercare il mio caffè.
L’arrivo di
Steve e Bree ha rinnovato l’allegria di tutta la combriccola,
facendo dimenticare la stanchezza della serata precedente. Hanno
raggiunto l’appartamento in taxi perché nelle
condizioni di Bree era impensabile farla viaggiare in treno e metro. La
sua pancia è adesso veramente enorme e anche i piccoli
spostamenti la stancano. L’arrivo della piccola K, dopo
tutto, è previsto tra poco più di tre settimane
e, nonostante lei si senta bene, la pesantezza della bambina inizia a
farsi sentire.
«Ragazzi mi
siete mancati tanto e non vedo l’ora di sapere
com’è andata, giuro. Ma al momento la mia
priorità è fare la pipì! Questa
monella mi preme sulla vescica in un modo sconcertante.» ci
annuncia, quasi imbarazzata, non appena entrata in casa.
«Vieni con me,
dai.» Emma, ridendo le fa strada verso il loro bagno.
Alfredo ha
già messo la caffettiera sul fuoco, mentre Giorgio ha
già messo una birra aperta in mano a Steve ancor prima che
ci finisse di salutare.
«Fammi prima
posare questa roba in stanza!» lo rimprovera.
Giacomo si offre
volontario, prende le valigie e si fionda verso la stanza che avevamo
riservato loro dopo aver indicato a Steve di accomodarsi sul divano e
rilassarsi.
«Ragazzi, ma
io sono rilassato!»
«Steve, hai
appena fatto un viaggio in aereo con una donna incinta di otto mesi
abbondanti e, sempre con lei, sei stato nel traffico romano.»
gli dico massaggiandogli le spalle «Tutto ciò non
tenendo conto del piccolo dettaglio che la donna incinta è
la madre di tua figlia e che tra meno di un mese sarai padre! Hai senza
dubbio bisogno di rilassarti, fidati di me.»
«Quello di cui
ho bisogno sapete cos’è.» cede e prende
un sorso di birra.
Giorgio si avvicina a
lui annusando l’aria. «Una doccia, come
minimo.»
«Idiota!»
Steve lo afferra per il collo fingendo di soffocarlo.
«Da qui si
sente ancora di più!» risponde con la voce
volutamente stridula.
Giacomo rientra nella
stanza, un braccio intorno alla vita di Emma a tenerla attaccata a
sè. La cosa non sfugge a Steve.
«E quello
cos’è?» li indica come se avesse appena
visto uno scaratopo attraversare il corridoio. «Avete un bel
po’ di roba su cui aggiornarmi, non c’è
dubbio!» butta giù un altro sorso di birra
continuando a tenergli gli occhi fissi addosso.
I due ridono e, per la
prima volta da quando la conosco, vedo Emma leggermente arrossita. Se
ripenso alla prima volta che ci siamo incontrati e al suo coltello
puntato nella mia direzione, questo mi sembra un miracolo. Si
è rivelata una persona così diversa! Non
conosciamo a fondo la sua storia, non ce l’ha mai raccontata,
l’unica cosa che ho davvero capito di lei è che
quel muro di aggressività serve a tenere nascoste le sue
fragilità. Guardo Giacomo, non avevo mai visto i suoi occhi
così luminosi, stento a riconoscerlo con la sua espressione
un po’ rincitrullita, tipica di un ragazzo che scopre la
differenza tra l’insinuarsi tra le cosce di una donna e
amare. Non so se sia davvero l’uomo per lei: è pur
sempre il mio fratellino e forse è per questo che non riesco
a vederlo come una persona tanto forte da riuscire a caricarsi il peso
del passato di Emma, qualunque esso sia. Ma la ama e questo
può fare miracoli. Spero che riesca a scavalcare quel muro e
abbatterlo, riuscendo a proteggerla sul serio.
«Il
caffè è pronto. Lo zucchero è sul
tavolo insieme alle tazzine.» ci avverte Alfredo che
già sorseggia il suo.
Prendo una delle tazzine
dal bancone, tuffo un cucchiaino di zucchero nell’acqua scura
che abbiamo il coraggio di chiamare caffè e rigiro
velocemente. Butto giù tutto come fosse una medicina. La
caffeina è pur sempre una necessità, anche quando
il sapore fa così schifo.
Bree esce dal bagno e
arriva ondeggiando a buttarsi sul divano.
«Quando esce
da qui, gliela faccio vedere io a questa piccola impertinente! Mi sta
distruggendo la schiena.» Si appoggia a Steve, che prende a
massaggiarle piano le spalle. «Ehi!» rivolgendosi
all’enorme pancione «Con tutti questi calci stai
solo peggiorando la tua situazione, capito? Starai chiusa in casa in
punizione fino a venticinque anni!»
Steve le porta le mani
sul pancione. «Non sarà una punizione per lei,
amore. La nostra piccola vorrà sempre stare con il suo
papone! Non ci chiederà mai di uscire.»
Bree lo osserva con aria
quasi schifata. «Sto per vomitare.»
Ridiamo del loro
dolcissimo siparietto. La mia è una risata amara,
però. Penso alla piccola Rose che non vedo l’ora
di riabbracciare. Ma a fare più male sono i ricordi.
«Ti prego
cantale qualcosa! Non è stata ferma un attimo e credo che se
continua così finirà per scivolare fuori senza
che neanche me ne accorga.» mi ripeteva non appena tornato a
casa dal lavoro. Lei
si sdraiava sul letto e io mi appoggiavo perpendicolare a lei, le mani
sul pancione, e iniziavo a cantare sottovoce Dormi. I Subsonica non
sono proprio nelle mie corde ma a Rose quella canzone sembrava piacere.
L’avevano passata in radio una sera mentre eravamo in
macchina e Simona era rimasta stupita di come l’avesse fatta
calmare. Da quel giorno ogni volta che si agitava tanto da stancarla la
usavamo per farla quietare.
Giacomo deve essersi
accorto che la mia mente ha iniziato a vagare, mi da un colpo ben
assestato con le dita tese al centro del fianco facendomi trasalire. Mi
scuoto, ricambiandolo con una lieve spinta.
«A voi
com’è andata?» ci chiede Bree.
Stavolta rispondiamo,
Alfredo fa da portavoce e riassume questi giorni romani che speriamo
segnino l’inizio della nostra avventura.
I partecipanti alla sessione pomeridiana del nostro evento stanno
defluendo dalla porta principale della sala in cui sono stati per un
bel paio d’ore ad ascoltarci in modo più o meno
attento. Osservo la scena dal fondo della stanza, dove mi sono
rifugiata in seguito al mio evidentissimo sbadiglio. Reb saluta e
ringrazia velocemente l’assessore che ha tenuto
l’intervento finale, mentre Mark inizia a staccare
l’attrezzatura. Non appena Reb si libera degli
“obblighi sociopolitici”, come li ha definiti per
tutta la settimana, fa le ultime raccomandazioni a Mark e Nico e mi
viene incontro.
«Scherini è già arrivato?»
allunga il collo a cercarlo tra le persone che stanno adesso migrando
verso l’area già adibita per
l’aperitivo.
«Non l’ho visto arrivare. Vuoi che vada a chiedere
alle receptionist?»
«No, restiamo qui.» fa finta di essere calma, ma
non riesce a tenere ferme le mani. Guarda l’orologio.
«Arriveranno.»
Uno dei ragazzi addetti al catering, si avvicina con un vassoio su cui
trasporta diversi flûte e lo fa esaminare a Rebecca
annunciando che si tratta, come richiesto, di un Franciacorta
Rosé. Lei è talmente ossessionata dalla buona
riuscita della giornata che finanche adesso recita la parte della
suocera ficcanaso. Prende uno dei bicchieri e beve metà del
contenuto, ringrazia il ragazzo e lo invita a passare tra gli ospiti.
La figura di Scherini, che nel suo trench ricorda un po’ il
Tenente Colombo, si delinea alla porta principale. Non appena ci vede,
si apre in un sorriso.
«Eccovi qua, stavo a cercà proprio du’
fate come a voi!»
Non riesco a fare a meno di rispondere sorridendo di gusto, mentre Reb,
nervosa com’è, ha stampato in viso un sorriso
forzato.
«Buonasera, è un piacere anche per noi
rivederla»
Un altro cameriere ci si accosta e Scherini afferra al volo due
flûte. Rebecca fa notare che ha ancora il suo in mano,
perciò ne porge uno a me e beve dall’altro.
«Se ci vuole seguire, possiamo usufruire di una stanza
più tranquilla.»
«Non vorrei mai rifiutare l’invito de ‘na
bella ragazza come te, ma se non ve dispiace vorrei aspettà
i du’ simpaticoni De Blasi. Ce tengono.»
«Oh, non si preoccupi. Vuole approfittare del buffet nel
frattempo?»
Reb indica con un ampio movimento del braccio la via per la zona
ristoro, che sarebbe semplice scambiare per quello di un
matrimonio.
«E dopo
l’esibizione che vi ha detto? Siete piaciuti?» ci
chiede Bree mentre prende un cucchiaio di gelato da un bicchiere di
plastica.
«In
realtà non ci siamo ancora sentiti!»
«Non era
lì con voi? Perché non vi siete fiondati a
chiedere qualcosa?» ci chiede Steve.
«Non volevamo
sembrare disperati.» risponde Giorgio.
«E poi siamo
stati un po’ impegnati.» aggiunge Giacomo con un
sorriso malizioso mentre mi assesta una gomitata.
«Cosa
aspettate a chiamarlo?»
Rimaniamo tutti in
silenzio, vagando con lo sguardo da un volto all’altro,
aspettando qualcuno che abbia il coraggio di ammettere la
verità: se non lo chiamiamo, non avrà modo di
rifiutarci.
«Prendete quel
telefono e chiamate, forza!»
I due fratelli De Blasi non si sono fatti attendere molto. Dopo aver
approfittato nuovamente del gentile servizio dei ragazzi di sala, ci
siamo rintanati nel piccolo ufficio che ci hanno riservato. Al
contrario di quanto è avvenuto alla cena, i due fratelli
fanno solo da osservatori mentre è Scherini a contrattare i
dettagli dell’accordo con Rebecca. Dal canto suo, Reb sembra
aver finalmente riacquistato fiducia in sè stessa e messo da
parte l’ansia che l’ha tenuta prigioniera per
l’intera giornata. Mi chiedo se non sia l’effetto
del Franciacorta.
La stanchezza torna a pesarmi addosso, dato che anch’io sono
stata relegata al ruolo di scaldasedia. Sento le palpebre chiudersi e
la testa cadere. Cerco di tirarmi su con dei pizzicotti alle cosce e
tenendo la mente impegnata contando i quadretti presenti sulle loro
cravatte.
Mentre Reb e Scherini stanno discutendo di tassi di conversione, il
cellulare del più anziano dei De Blasi, quello che ci ha
dato un po’ di filo da torcere, inizia a far rimbombare una
delle improponibili suonerie monofoniche del Nokia 3310. Quel suono
fastidioso mi riporta a quando ero una sedicenne, al terzo superiore,
in un’aula mezza diroccata, a giocare a Snake con il nuovo
telefonino di Vale. Per un attimo rivedo il suo sorriso un
po’ storto, la pelle olivastra e le labbra carnose a
incorniciare le stelline dell’apparecchio. Ricordare il suo
volto mi dà una fitta al cuore, breve ma intensa. Perdo un
respiro. Poi tutto torna normale.
De Blasi estrae finalmente dal taschino interno della giacca
l’aggeggio dal suono infernale e risponde. Ovviamente mi
accorgo che non ha in mano uno degli indistruttibili telefoni tanto
desiderati negli anni ‘90, ma il modello di iPhone appena
messo sul mercato. Davvero credevo di vedergli in mano uno di quegli
aggeggi blu e grigio con lo schermo verdognolo?
Va accanto alla porta a rispondere. Facciamo tutti silenzio, mentre
saluta la persona all’altro capo, liquidandola velocemente
con un “sono in riunione, la richiamo appena
posso”. Posa nuovamente il telefono all’interno
della giacca e, scusandosi, torna a sedersi.
Ram e Scherini ricominciano la loro conversazione. Nessuno dei due ha
realmente bisogno degli altri presenti nella stanza, quindi mi
concentro sui due De Blasi che hanno iniziato a parlottare tra loro.
«Quella pazza di Caterina ha dato il mio numero
personale.»
«Non capisco perché ancora non l’hai
licenziata quella lì.»
«Me lo chiedo anche io a volte.»
«Chi era? Un rompicoglioni?»
«Fortunatamente no. Erano i ragazzi di ieri.»
I ragazzi di ieri? Sta parlando del gruppo di Tommaso, ne sono quasi
certa.
«Non abbiamo potuto parlare ieri sera. Avevo troppa gente con
il fiato sul collo per la conclusione della serata e quel coglione che
si sente il figlio illegittimo di Tyler continuava a stressarmi. Ti
rendi conto che ha avuto la faccia tosta di chiedermi il doppio di
quanto pattuito?»
«Io ero già contrario all’idea di
pagarli. Lo sai.»
«Lo so, infatti ha ottenuto un bel calcio nel sedere. Lui e
quei quattro deficienti che si porta dietro.»
«Sono degli esaltati. I tuoi ragazzi, invece...»
I loro sguardi si fissano simultaneamente su di me. Sposto lo sguardo
al soffitto, ma credo che si siano accorti fin troppo bene che stavo
origliando la loro conversazione. Smettono di parlare, rimandano a
dopo. Avrei dovuto essere più discreta, così da
poter anticipare qualcosa a Tommaso. Il tono non era affatto negativo,
mi sarebbe piaciuto dargli una buona notizia.
Istintivamente, afferro il mio telefono e lo sblocco.
Certo, sarebbe stato bello dargli una buona notizia. Sarebbe stato
bello anche solo che mi avesse mai dato un segno di vita. Ma non
c’è nessuna traccia. |