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Autore: voiceOFsoul    31/01/2019    0 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il mio intervento è appena terminato. Ho parlato a ruota libera per almeno un’ora, senza quasi prendere fiato, talmente veloce che non ricordo neanche cosa ho detto. Spero di non aver fatto qualche enorme gaffe che verrà postata sui social per almeno un mese. Mi è capitato alla prima presentazione con la SoftWaiting, quando ancora non ero la loro oca dalle uova d’oro e non ho alcuna voglia di riviverlo. Mark è subentrato al mio posto in maniera eccellente anche se si nota che è molto agitato, ha la fronte imperlata di sudore ma la sua parlantina lo aiuta ad andare avanti. Fosse venuto Luca con noi, probabilmente farebbe il suo discorso proiettando un documento su cui scrivere in real-time tanto è restio a parlare.
Mi allontano dalla postazione per raggiungere Rebecca che da un angolo del palchetto osserva tutta la scena con in mano il cellulare collegato in videochiamata con Giulio e Virginia. Osservo la platea di persone che ascoltano Mark. La maggior parte ha lo sguardo perso nelle slide che scorrono alle sue spalle, per quanto abbia cercato di non essere troppo tecnico, sta comunque parlando di cose che il 70% dei presenti non ha interesse a comprendere. Sono stata sempre contraria a questo tipo interventi davanti a un pubblico simile, ma Giulio e Reb erano d’accordo che colpire il 30% di partecipanti competenti in materia avrebbe potuto fruttare ben di più rispetto al riempire quel tempo con argomenti più comuni ma meno d’impatto. In fondo il nostro reale obiettivo era stimolare l’interesse di una partnership e il target era proprio quel 30%! Farli innamorare delle nostre tecnologie era il segreto della riuscita: che gli altri dormissero pure per quei quaranta minuti, non era importante.
Questo è il primo momento in cui riesco a fermarmi oggi. Osservo l’orologio, fortunatamente la giornata è quasi finita! Il calo di adrenalina fa improvvisamente gravare sulle mie spalle tutto il peso delle pochissime ore di sonno di stanotte. Guardo Rebecca stare vigile, senza un minimo segno di cedimento e mi chiedo come faccia. Non credo abbia dormito molto più di me eppure sembra attivissima, come se avesse una flebo di caffeina in vena a pieno flusso. Io, invece, sento le palpebre improvvisamente pesanti e la testa svuotata da ogni sinapsi. Sbadiglio, in maniera un po’ troppo evidente. Persino Mark si volta a guardarmi, con lo sguardo terrorizzato che urla “sto facendo schifo se faccio sbadigliare anche te”. Imbarazzata, sorrido facendo finta di nulla e gli faccio un rapido cenno con la mano per indicargli di continuare. Quasi istantaneamente il telefono vibra. Lo estraggo dalla tasca della giacca sperando di non distrarre tutti anche stavolta. Trovo un messaggio di Giulio che mi ordina di prendere un caffè e smetterla di sbadigliare. Afferro la sfuriata che avrebbe voluto farmi ma da cui si è trattenuto. Prima di posare nuovamente il cellulare e assecondare il suo ordine andando a prendere una dose di sana caffeina, controllo velocemente il resto delle notifiche. C’è un messaggio di Diego che decido di leggere dopo. Da parte di Tommaso, nulla. Cerco di dirmi che non fa niente, che è normale, che sono passate poco più di otto ore, che anche lui ha dormito pochissimo ed è possibile che stia recuperando il sonno perduto, ma la verità è che ci speravo. Mi scuoto, cercando di cancellare il broncio che mi si è stampato in viso prima che qualcuno se ne accorga. Busso alla spalla di Reb e le faccio segno che mi sto allontanando per qualche minuto, ma mi dedica non più di qualche istante di attenzione. Non c’è nessun motivo per cui essere agitata, ma riuscirà a rilassarsi solo quando l’intera giornata sarà finita. Vorrei dirle di respirare e osservare quanto bene stia andando l’evento, ma so che otterrei l’effetto contrario perciò evito di aggiungere altro e vado a cercare il mio caffè.

L’arrivo di Steve e Bree ha rinnovato l’allegria di tutta la combriccola, facendo dimenticare la stanchezza della serata precedente. Hanno raggiunto l’appartamento in taxi perché nelle condizioni di Bree era impensabile farla viaggiare in treno e metro. La sua pancia è adesso veramente enorme e anche i piccoli spostamenti la stancano. L’arrivo della piccola K, dopo tutto, è previsto tra poco più di tre settimane e, nonostante lei si senta bene, la pesantezza della bambina inizia a farsi sentire.
«Ragazzi mi siete mancati tanto e non vedo l’ora di sapere com’è andata, giuro. Ma al momento la mia priorità è fare la pipì! Questa monella mi preme sulla vescica in un modo sconcertante.» ci annuncia, quasi imbarazzata, non appena entrata in casa.
«Vieni con me, dai.» Emma, ridendo le fa strada verso il loro bagno.
Alfredo ha già messo la caffettiera sul fuoco, mentre Giorgio ha già messo una birra aperta in mano a Steve ancor prima che ci finisse di salutare.
«Fammi prima posare questa roba in stanza!» lo rimprovera.
Giacomo si offre volontario, prende le valigie e si fionda verso la stanza che avevamo riservato loro dopo aver indicato a Steve di accomodarsi sul divano e rilassarsi.
«Ragazzi, ma io sono rilassato!»
«Steve, hai appena fatto un viaggio in aereo con una donna incinta di otto mesi abbondanti e, sempre con lei, sei stato nel traffico romano.» gli dico massaggiandogli le spalle «Tutto ciò non tenendo conto del piccolo dettaglio che la donna incinta è la madre di tua figlia e che tra meno di un mese sarai padre! Hai senza dubbio bisogno di rilassarti, fidati di me.»
«Quello di cui ho bisogno sapete cos’è.» cede e prende un sorso di birra.
Giorgio si avvicina a lui annusando l’aria. «Una doccia, come minimo.»
«Idiota!» Steve lo afferra per il collo fingendo di soffocarlo.
«Da qui si sente ancora di più!» risponde con la voce volutamente stridula.
Giacomo rientra nella stanza, un braccio intorno alla vita di Emma a tenerla attaccata a sè. La cosa non sfugge a Steve.
«E quello cos’è?» li indica come se avesse appena visto uno scaratopo attraversare il corridoio. «Avete un bel po’ di roba su cui aggiornarmi, non c’è dubbio!» butta giù un altro sorso di birra continuando a tenergli gli occhi fissi addosso.
I due ridono e, per la prima volta da quando la conosco, vedo Emma leggermente arrossita. Se ripenso alla prima volta che ci siamo incontrati e al suo coltello puntato nella mia direzione, questo mi sembra un miracolo. Si è rivelata una persona così diversa! Non conosciamo a fondo la sua storia, non ce l’ha mai raccontata, l’unica cosa che ho davvero capito di lei è che quel muro di aggressività serve a tenere nascoste le sue fragilità. Guardo Giacomo, non avevo mai visto i suoi occhi così luminosi, stento a riconoscerlo con la sua espressione un po’ rincitrullita, tipica di un ragazzo che scopre la differenza tra l’insinuarsi tra le cosce di una donna e amare. Non so se sia davvero l’uomo per lei: è pur sempre il mio fratellino e forse è per questo che non riesco a vederlo come una persona tanto forte da riuscire a caricarsi il peso del passato di Emma, qualunque esso sia. Ma la ama e questo può fare miracoli. Spero che riesca a scavalcare quel muro e abbatterlo, riuscendo a proteggerla sul serio.
«Il caffè è pronto. Lo zucchero è sul tavolo insieme alle tazzine.» ci avverte Alfredo che già sorseggia il suo.
Prendo una delle tazzine dal bancone, tuffo un cucchiaino di zucchero nell’acqua scura che abbiamo il coraggio di chiamare caffè e rigiro velocemente. Butto giù tutto come fosse una medicina. La caffeina è pur sempre una necessità, anche quando il sapore fa così schifo.
Bree esce dal bagno e arriva ondeggiando a buttarsi sul divano.
«Quando esce da qui, gliela faccio vedere io a questa piccola impertinente! Mi sta distruggendo la schiena.» Si appoggia a Steve, che prende a massaggiarle piano le spalle. «Ehi!» rivolgendosi all’enorme pancione «Con tutti questi calci stai solo peggiorando la tua situazione, capito? Starai chiusa in casa in punizione fino a venticinque anni!»
Steve le porta le mani sul pancione. «Non sarà una punizione per lei, amore. La nostra piccola vorrà sempre stare con il suo papone! Non ci chiederà mai di uscire.»
Bree lo osserva con aria quasi schifata. «Sto per vomitare.»
Ridiamo del loro dolcissimo siparietto. La mia è una risata amara, però. Penso alla piccola Rose che non vedo l’ora di riabbracciare. Ma a fare più male sono i ricordi.
«Ti prego cantale qualcosa! Non è stata ferma un attimo e credo che se continua così finirà per scivolare fuori senza che neanche me ne accorga.» mi ripeteva non appena tornato a casa dal lavoro. Lei si sdraiava sul letto e io mi appoggiavo perpendicolare a lei, le mani sul pancione, e iniziavo a cantare sottovoce Dormi. I Subsonica non sono proprio nelle mie corde ma a Rose quella canzone sembrava piacere. L’avevano passata in radio una sera mentre eravamo in macchina e Simona era rimasta stupita di come l’avesse fatta calmare. Da quel giorno ogni volta che si agitava tanto da stancarla la usavamo per farla quietare.
Giacomo deve essersi accorto che la mia mente ha iniziato a vagare, mi da un colpo ben assestato con le dita tese al centro del fianco facendomi trasalire. Mi scuoto, ricambiandolo con una lieve spinta.
«A voi com’è andata?» ci chiede Bree.
Stavolta rispondiamo, Alfredo fa da portavoce e riassume questi giorni romani che speriamo segnino l’inizio della nostra avventura.

I partecipanti alla sessione pomeridiana del nostro evento stanno defluendo dalla porta principale della sala in cui sono stati per un bel paio d’ore ad ascoltarci in modo più o meno attento. Osservo la scena dal fondo della stanza, dove mi sono rifugiata in seguito al mio evidentissimo sbadiglio. Reb saluta e ringrazia velocemente l’assessore che ha tenuto l’intervento finale, mentre Mark inizia a staccare l’attrezzatura. Non appena Reb si libera degli “obblighi sociopolitici”, come li ha definiti per tutta la settimana, fa le ultime raccomandazioni a Mark e Nico e mi viene incontro.
«Scherini è già arrivato?» allunga il collo a cercarlo tra le persone che stanno adesso migrando verso l’area già adibita per l’aperitivo.
«Non l’ho visto arrivare. Vuoi che vada a chiedere alle receptionist?»
«No, restiamo qui.» fa finta di essere calma, ma non riesce a tenere ferme le mani. Guarda l’orologio. «Arriveranno.»
Uno dei ragazzi addetti al catering, si avvicina con un vassoio su cui trasporta diversi flûte e lo fa esaminare a Rebecca annunciando che si tratta, come richiesto, di un Franciacorta Rosé. Lei è talmente ossessionata dalla buona riuscita della giornata che finanche adesso recita la parte della suocera ficcanaso. Prende uno dei bicchieri e beve metà del contenuto, ringrazia il ragazzo e lo invita a passare tra gli ospiti.
La figura di Scherini, che nel suo trench ricorda un po’ il Tenente Colombo, si delinea alla porta principale. Non appena ci vede, si apre in un sorriso.
«Eccovi qua, stavo a cercà proprio du’ fate come a voi!»
Non riesco a fare a meno di rispondere sorridendo di gusto, mentre Reb, nervosa com’è, ha stampato in viso un sorriso forzato.
«Buonasera, è un piacere anche per noi rivederla»
Un altro cameriere ci si accosta e Scherini afferra al volo due flûte. Rebecca fa notare che ha ancora il suo in mano, perciò ne porge uno a me e beve dall’altro.
«Se ci vuole seguire, possiamo usufruire di una stanza più tranquilla.»
«Non vorrei mai rifiutare l’invito de ‘na bella ragazza come te, ma se non ve dispiace vorrei aspettà i du’ simpaticoni De Blasi. Ce tengono.»
«Oh, non si preoccupi. Vuole approfittare del buffet nel frattempo?»
Reb indica con un ampio movimento del braccio la via per la zona ristoro,  che sarebbe semplice scambiare per quello di un matrimonio.

«E dopo l’esibizione che vi ha detto? Siete piaciuti?» ci chiede Bree mentre prende un cucchiaio di gelato da un bicchiere di plastica.
«In realtà non ci siamo ancora sentiti!»
«Non era lì con voi? Perché non vi siete fiondati a chiedere qualcosa?» ci chiede Steve.
«Non volevamo sembrare disperati.» risponde Giorgio.
«E poi siamo stati un po’ impegnati.» aggiunge Giacomo con un sorriso malizioso mentre mi assesta una gomitata.
«Cosa aspettate a chiamarlo?»
Rimaniamo tutti in silenzio, vagando con lo sguardo da un volto all’altro, aspettando qualcuno che abbia il coraggio di ammettere la verità: se non lo chiamiamo, non avrà modo di rifiutarci.
«Prendete quel telefono e chiamate, forza!»

I due fratelli De Blasi non si sono fatti attendere molto. Dopo aver approfittato nuovamente del gentile servizio dei ragazzi di sala, ci siamo rintanati nel piccolo ufficio che ci hanno riservato. Al contrario di quanto è avvenuto alla cena, i due fratelli fanno solo da osservatori mentre è Scherini a contrattare i dettagli dell’accordo con Rebecca. Dal canto suo, Reb sembra aver finalmente riacquistato fiducia in sè stessa e messo da parte l’ansia che l’ha tenuta prigioniera per l’intera giornata. Mi chiedo se non sia l’effetto del Franciacorta.
La stanchezza torna a pesarmi addosso, dato che anch’io sono stata relegata al ruolo di scaldasedia. Sento le palpebre chiudersi e la testa cadere. Cerco di tirarmi su con dei pizzicotti alle cosce e tenendo la mente impegnata contando i quadretti presenti sulle loro cravatte.
Mentre Reb e Scherini stanno discutendo di tassi di conversione, il cellulare del più anziano dei De Blasi, quello che ci ha dato un po’ di filo da torcere, inizia a far rimbombare una delle improponibili suonerie monofoniche del Nokia 3310. Quel suono fastidioso mi riporta a quando ero una sedicenne, al terzo superiore, in un’aula mezza diroccata, a giocare a Snake con il nuovo telefonino di Vale. Per un attimo rivedo il suo sorriso un po’ storto, la pelle olivastra e le labbra carnose a incorniciare le stelline dell’apparecchio. Ricordare il suo volto mi dà una fitta al cuore, breve ma intensa. Perdo un respiro. Poi tutto torna normale.
De Blasi estrae finalmente dal taschino interno della giacca l’aggeggio dal suono infernale e risponde. Ovviamente mi accorgo che non ha in mano uno degli indistruttibili telefoni tanto desiderati negli anni ‘90, ma il modello di iPhone appena messo sul mercato. Davvero credevo di vedergli in mano uno di quegli aggeggi blu e grigio con lo schermo verdognolo?
Va accanto alla porta a rispondere. Facciamo tutti silenzio, mentre saluta la persona all’altro capo, liquidandola velocemente con un “sono in riunione, la richiamo appena posso”. Posa nuovamente il telefono all’interno della giacca e, scusandosi, torna a sedersi.
Ram e Scherini ricominciano la loro conversazione. Nessuno dei due ha realmente bisogno degli altri presenti nella stanza, quindi mi concentro sui due De Blasi che hanno iniziato a parlottare tra loro.
«Quella pazza di Caterina ha dato il mio numero personale.»
«Non capisco perché ancora non l’hai licenziata quella lì.»
«Me lo chiedo anche io a volte.»
«Chi era? Un rompicoglioni?»
«Fortunatamente no. Erano i ragazzi di ieri.»
I ragazzi di ieri? Sta parlando del gruppo di Tommaso, ne sono quasi certa.
«Non abbiamo potuto parlare ieri sera. Avevo troppa gente con il fiato sul collo per la conclusione della serata e quel coglione che si sente il figlio illegittimo di Tyler continuava a stressarmi. Ti rendi conto che ha avuto la faccia tosta di chiedermi il doppio di quanto pattuito?»
«Io ero già contrario all’idea di pagarli. Lo sai.»
«Lo so, infatti ha ottenuto un bel calcio nel sedere. Lui e quei quattro deficienti che si porta dietro.»
«Sono degli esaltati. I tuoi ragazzi, invece...»
I loro sguardi si fissano simultaneamente su di me. Sposto lo sguardo al soffitto, ma credo che si siano accorti fin troppo bene che stavo origliando la loro conversazione. Smettono di parlare, rimandano a dopo. Avrei dovuto essere più discreta, così da poter anticipare qualcosa a Tommaso. Il tono non era affatto negativo, mi sarebbe piaciuto dargli una buona notizia.
Istintivamente, afferro il mio telefono e lo sblocco.
Certo, sarebbe stato bello dargli una buona notizia. Sarebbe stato bello anche solo che mi avesse mai dato un segno di vita. Ma non c’è nessuna traccia.
   
 
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