Salve a tutti, ecco qui l’ultimo
capitolo del grande mappazzone fantasy^^
Grazie
a tutti quelli che mi hanno seguito in questa avventura, grazie a chi
ha letto o ha messo la storia in qualche lista, un grazie speciale a
chi mi ha lasciato il suo parere.
Capitolo
5
Ehrenold
si stava allenando sulla pista quando si accorse che si stava
avvicinando un sottufficiale. Si fermò per osservarlo meglio e notò
che si trattava di Tenhar.
La
prima cosa che pensò, ovviamente, fu che ci fosse qualche problema
con Siwald. Magari il maresciallo aveva calcato troppo la mano con le
punizioni e il ragazzo, esasperato e messo alle strette, aveva
compiuto qualche atto sconsiderato del quale ora avrebbe dovuto
rispondere.
Passò
il comando della squadra a Rowden, si buttò la casacca sulle spalle
nude e si avvicinò a Tenhar, ma prima ancora che potesse chiedergli
cosa era successo, fu il sottufficiale a dire: “C’è qualcosa che
devi sapere, Luogotenente.”
Ehrenold
aggrottò le sopracciglia. “Che cosa?”
“Si
tratta del tuo allievo. Ieri sera ha scatenato una rissa in camerata
e ora è in infermeria.”
Il
Luogotenente fece mente locale: Siwald era un ragazzo robusto, dal
corpo per forza di cose temprato e muscoloso. Se dopo una rissa era
finito in infermeria, significava che doveva essersi come minimo
picchiato a sangue con almeno due o tre dei suoi commilitoni più
forti.
Dati
il suo orgoglio e la sua abitudine a dissimulare eventuali condizioni
di malessere, peraltro, se era in infermeria significava che doveva
essersi fatto molto
male.
“Portami
da lui,” disse semplicemente, infilandosi la casacca.
Furono
intercettati sulla porta della camera di degenza da un guaritore, il
quale sogguardò entrambi, quindi si rivolse a Tenhar e in tono
severo chiese: “È lui il mentore?” L’uomo era già in età e
dalle maniche gli spuntavano tatuaggi di guerra, alcuni recenti,
altri ormai così sbiaditi da essere a stento riconoscibili. Una
vecchia cicatrice gli tagliava la guancia destra, deformandogli
appena l’espressione.
Il
sottufficiale annuì e disse: “Il Luogotenente Ehrenold.” Poi,
rivolto a Ehrenold: “Il guaritore Lhawin. È lui che ha curato il
ragazzo.”
L’ufficiale
si fece avanti e senza preamboli chiese: “Che cos’è successo?”
“Bah,
cos’è successo ce lo dovrebbe dire quel cocciuto, se si decidesse
a parlare. Continua a ripetere che è caduto dalle scale. Come
sempre, del resto.”
“Che
intendi dire?”
Il
guaritore assunse un’espressione esasperata. “Tutte le volte che
me lo vedo arrivare qui, e questo succede più o meno ogni tre
giorni, la risposta è sempre la stessa: guaritore,
sono caduto dalle scale.
Dannato cocciuto. Mulo, dovrebbero chiamarlo, altro che cavallo
selvaggio. Mulo dalla testa di legno. Come se io non lo sapessi
perfettamente, quello che gli è successo: sono un guaritore, mica un
contabile, e ti garantisco che di ferite ne ho viste un bel po’.”
Il
Luogotenente ascoltò con pazienza lo sfogo, quindi chiese: “Questa
volta che cosa si è fatto, guaritore?”
L’uomo
incrociò le braccia sul petto, quindi rispose: “Una rissa.
Stamattina ho medicato gli altri stupidi con cui si è accapigliato.
Razza di idioti, ragazzini che non vedono più in là del loro naso.
Ah, ma lascia che vadano in battaglia la prima volta, per la Sacra
Spada, e poi la smetteranno con queste sciocchezze.”
Di
nuovo, Ehrenold non interloquì. Cercò di guardare alle spalle
dell’uomo, ma dei letti si vedeva solo la parte finale. Un
inserviente passò reggendo un catino con entrambe le mani, al
Luogotenente parve che avesse sul braccio un telo macchiato di
sangue. “Puoi dirmi come sta, guaritore?” gli chiese.
“Come
sta? Sta come uno che si è fatto pestare da dieci esagitati, ecco
come sta. E non mi vuole dire il motivo, quello stupido mulo.”
“Posso
vederlo?”
L’uomo
lo fissò dubbioso, con uno sguardo che sembrava valutare
direttamente la sua capacità di attenersi a prescrizioni mediche.
“Ha le costole rotte,” lo avvisò. “Un movimento sbagliato e se
le pianta in un polmone, comincia a sputare sangue, casca per terra e
va a finire nelle Dimore di Vopnir, anche se non so cosa ci andrà a
fare in mezzo agli eroi caduti in battaglia, quello stupido mulo.”
“Vorrei
solo vederlo un attimo, guaritore.” Poi, dopo una breve esitazione:
“Può parlare?”
“Sarà
un po’ intontito, gli ho dato dell’erba di Nomutha per tenerlo
tranquillo, ma due parole gliele puoi dire.”
Ehrenold
entrò cauto nella stanza. Lungo le due pareti laterali erano
disposti a intervalli regolari dei letti, ognuno corredato di un
comodino e uno sgabello. Fece scorrere lo sguardo sui pochi degenti e
identificò subito Siwald: il ragazzo giaceva immobile, con gli occhi
chiusi. Notò che aveva il labbro inferiore spaccato, un livido sullo
zigomo e varie escoriazioni.
Nel
sentirlo avvicinarsi, il ragazzo aprì gli occhi, aggrottò appena le
sopracciglia nel riconoscerlo, quindi rimase a fissarlo in silenzio.
Il
Luogotenente si sedette accanto a lui. Allungò una mano per
toccargli il viso, ma l’altro si girò come per sottrarsi. “Cos’è
successo?” gli chiese allora.
“Sono
caduto dalle scale, Luogotenente,” fu la stentata risposta,
pronunciata con un filo di voce.
“Siwald,
dimmi cos’è successo,” ripeté Ehrenold, fissando preoccupato il
suo volto pesto.
“Caduto
dalle scale,” ripeté il ragazzo.
Il
maggiore emise un sospiro. “Mi dicono che cadi spesso dalle scale.”
“Sono
molto distratto, Luogotenente.” Chiuse gli occhi. Ehrenold gli posò
una mano sulla fronte ed egli li riaprì subito, rivolgendogli uno
sguardo che gli parve più stupito che infastidito.
L'ufficiale
ritirò comunque la mano e gli disse: “Ora riposati. Ti voglio a
posto per quando torneremo alla guarnigione.”
Siwald
non rispose.
Ehrenold
si alzò e raggiunse il guaritore, che aveva seguito lo scambio a
pochi passi di distanza con le braccia incrociate sul petto e
l’espressione diffidente. “Ebbene?” lo apostrofò questi senza
mutare la sua posizione.
“Si
rimetterà,” disse il Luogotenente.
“Certo
che si rimetterà,” replicò l’altro, “sempre che non gli venga
in mente fare lo stupido. Con quelle costole fratturate non c’è da
scherzare.”
Ehrenold
lanciò un’altra fugace occhiata al ragazzo, quindi chiese: “Chi
può aver fatto una cosa del genere?”
Lhawin
alzò le spalle. “Non ho bisogno di raccontare a te come sono i
soldati, giusto? Specie se sono giovani e stupidi come le reclute che
hanno appena ricevuto l’uniforme nera. Una parola tira l’altra,
poi cominciano a volare gli schiaffi e alla fine se le danno come dei
Cinerei ubriachi di grozzt. E ovviamente dopo nessuno parla. Del
resto, lo sai quel che si dice: quello che succede nel plotone resta
nel plotone.”
Ehrenold
annuì grave, quelle cose gli erano ben note. “Lo farò portare
all’infermeria della caserma dei Giochi, così potrò tenerlo
maggiormente d’occhio.”
“Questo
qui dovrebbe essere piantonato giorno e notte come i delinquenti, te
lo dico io.”
§
Il
Luogotenente si guardò intorno: nessuno in giro. C'erano solo
qualche albero ancora spoglio e vecchi ostacoli di un percorso di
guerra in disuso, che attendevano di essere smantellati e sostituiti
da ostacoli nuovi. Un Muro, la superficie scrostata da innumerevoli
contatti con cotte di maglia, giaceva abbandonato al suolo.
Ehrenold
si sedette su un tronco che aveva svolto le funzioni di Ponte, poi
fece girare lo sguardo sui membri della sua squadra: Rowden,
naturalmente, ma anche Arel, Lylan e Herli. “Ci siamo,” disse in
tono grave.
Nessuno
replicò, ma gli sguardi di tutti facevano capire che quella
consapevolezza non era solo sua.
Il
Luogotenente indicò i vecchi ostacoli sparsi in giro e disse:
“Adesso sedetevi, dobbiamo parlare della Spada di Hengrist.”
Tutti
obbedirono, quindi rimasero a fissarlo con aspettativa.
“Lo
scontro sarà tra noi e Gunefort,” esordì il Luogotenente. “Siamo
a pari punti, chi vincerà questa gara si porterà a casa il titolo
di Campione.” Fece una pausa, durante la quale fece scorrere lo
sguardo sui suoi uomini, quindi concluse: “E chi perde arriva
secondo. Certo, tutti fanno un sacco di bei discorsi sul fatto che
anche arrivare secondi o terzi ai Giochi è motivo di onore, ma noi
sappiamo come stanno le cose, vero? Chi arriva secondo non ha vinto.”
“E
quindi ha perso,” intervenne serio Herli.
“Precisamente,”
confermò Ehrenold. “In battaglia non c'è il premio per il secondo
posto, giusto?”
Tutti
annuirono.
Il
Luogotenente si rivolse a quel punto a Rowden: “Tu sarai il primo.
Ho bisogno di una persona che eventualmente possa anche fare la voce
grossa se c’è qualche problema e un capitano è l'ideale. Quella
parte di percorso per forza di cose non è particolarmente difficile,
quindi buttati in spalla la Spada e appena danno il via cerca di
guadagnare quello che puoi con la velocità.”
Rowden
annuì. “Tutto chiaro, Luogotenente.”
“Molto
bene,” approvò Ehrenold, poi si rivolse a Herli: “Tu sarai
subito dopo. Lì il percorso si fa duro, è tutta salita e ci saranno
degli ostacoli difficili. Sarà questione di forza, più che di
agilità. Ho bisogno di qualcuno che con la Spada in spalla mi salti
un Muro alto al primo tentativo, solo a forza di braccia se
necessario, e tu sei l'uomo ideale.”
“D'accordo,
Luogotenente.”
Ehrenold
annuì, quindi passò a Lylan: “Tu vai dopo di lui. Ci saranno da
fare le Corde e il Reticolo, mi serve qualcuno che sia agile e
preciso e sappia tenere una barra di ferro da venti libbre e lunga
due braccia in modo da non far suonare i campanelli. Ricordatevi che
al terzo campanello che suona la squadra è squalificata.”
“Sì,
Luogotenente.”
“Io
sarò subito dopo. Avrei preferito stare ultimo, l'arrivo al
traguardo richiede come la partenza qualcuno che abbia dei gradi
sulle spalle, ma Arel è il più veloce della squadra e sarà lui a
fare lo scatto finale.” Rivolse lo sguardo al soldato che aveva
nominato, poi disse: “Tutto chiaro?”
Questi
annuì con fare volenteroso. “Sì, Luogotenente.”
“Molto
bene. Gli altri? Qualche dubbio? Domande?”
“Tutto
chiaro,” ripeté Rowden. “Del resto, le regole della Spada di
Hengrist non sono difficili: la Spada deve essere portata fino al
traguardo, gli ostacoli devono essere superati tutti e chi non è in
equipaggiamento completo, con elmo, arma individuale e cotta di
maglia è squalificato, e con lui tutta la squadra.”
Gli
altri annuirono consapevoli, quindi Herli disse: “Bene, ragazzi.
Portiamo a casa questo titolo per il vecchio Heiswegen, che ne dite?”
“Heiswegen!”
esclamarono gli altri due soldati.
Ehrenold
annuì. “Bravi ragazzi,” approvò. “E ora andate a riposare,
domani dovremo faticare parecchio.”
Rimase
solo con Rowden. Si alzò, fece qualche passo tra i vecchi ostacoli
in disuso. Toccò con la punta del piede un vecchio campanello mezzo
mangiato dalla ruggine, traendone un suono fesso.
Alle
sue spalle si fece udire la voce del capitano: “Wardan non si farà
battere così facilmente.”
il
Luogotenente emise un sospiro. “Lo so. Potrei dire che una Spada di
Hengrist alla finale dei Giochi non sarebbe facile comunque, ma
anch'io temo quello che temi tu: ho idea che stia tramando qualcosa.”
“Ci
sono gli osservatori. Ce ne saranno anche più del solito, vista
l'importanza della gara.”
“Alla
Triplice, Wardan è riuscito a spedirmi una freccia sopra la testa
con cinque osservatori che passeggiavano su e giù.”
L'altro
si girò a fissarlo. “Sul serio?”
Ehrenold
annuì. “Non stiamo parlando di un cretino: Wardan è uno che in
battaglia sa il fatto suo.”
“A
maggior ragione,” replicò l'altro, “promettimi che starai
attento. Io rischio poco, a inizio percorso e con tutta la frotta di
giudici, osservatori e spettatori che ci sarà, ma tu sarai in mezzo
al bosco, ci sarà molta meno gente a controllare che le cose vadano
come devono andare.”
“Certo,
starò attento.”
Ehrenold
entrò in infermeria e raggiunse il letto di Siwald. “Come stai
oggi?” gli chiese sedendosi accanto a lui.
Faticosamente
il ragazzo si girò a guardarlo. “Bene, Luogotenente,” rispose.
L'uomo
scosse la testa. “Siamo soli, non c'è bisogno che continui a fare
il cavallo selvaggio. Sono solo venuto a vedere se hai bisogno di
qualcosa.”
“Non
ho bisogno di nulla, Luogotenente.”
Ehrenold
annuì come se le parole del ragazzo fossero esattamente quelle che
si era aspettato di sentire. Si appoggiò all'indietro fino a toccare
la parete con le spalle, quindi disse: “Sai perché ti ho scelto,
Siwald?” Fece una breve pausa, ma la recluta non interloquì. “Ti
ho scelto perché hai carattere,” proseguì allora, “perché non
ti pieghi, perché non ti lasci spaventare. Queste sono le doti che
cerco in un soldato.” Di nuovo tacque. “O in un compagno,”
soggiunse poi.
A
quelle parole, Siwald lo fissò stupito. Aprì la bocca come per dire
qualcosa, ma Ehrenold lo precedette. In tono tranquillo, come se
l'ultima frase non fosse mai stata pronunciata, disse: “Io non ho
intenzione di umiliarti o maltrattarti, Siwald, ma nemmeno di far
finta di niente di fronte alle tue mancanze: per quanto tu abbia
enormi potenzialità, per quanto tu mi piaccia caratterialmente, sei
un soldato pessimo e in una battaglia non sopravviveresti due minuti.
Stai a cavallo come un sacco di patate, scommetto che della spada
conosci solo i rudimenti, non hai né senso della gerarchia né per
forza di cose cameratismo. Ti rendi conto che in tutto quello che fa
parte delle capacità di un soldato sei inferiore agli altri e per
questo motivo cerchi di eccellere, per così dire, all'opposto. Se
non puoi essere il migliore di tutti, vuoi essere il peggiore.”
Abbassò gli occhi sul ragazzo e si accorse che egli lo stava
fissando serio. “Non sei d'accordo?” gli chiese.
Siwald
girò la testa dall'altra parte.
“In
ogni caso,” proseguì tranquillo il Luogotenente, “d'ora in
avanti le cose cambieranno. Mi aspetto che usi la tua intelligenza
non per trovare nuovi modi per farti punire, ma per usufruire al
meglio degli insegnamenti che ti darò.”
A
quel punto, il ragazzo di nuovo si voltò a fissarlo e intervenne: “E
guarda caso, il primo insegnamento si svolgerà in privato, vero?”
Ehrenold
si limitò a levare gli occhi al cielo, poi si alzò e rimise a posto
lo sgabello. “Ora vado,” lo informò, “devo allenarmi per
domani.”
“C'è
una gara?” chiese il ragazzo.
Il
Luogotenente sorrise. “C'è la
gara, direi. È la Spada di Hengrist, chi vince quella vince i
Giochi. Peccato che tu sia costretto a letto, perché se no potresti
vederla da vicino, in qualità di allievo. Gli allievi possono in
ogni momento stare con la squadra, se il loro mentore ne fa parte.”
Il
ragazzo si rabbuiò. “Non voglio privilegi perché sono un allievo.
Non l'ho certo chiesto io.”
Ehrenold
sorrise e sullo stesso tono replicò: “Non è certo un privilegio.
Una vecchia norma mai abrogata stabilisce che gli allievi siano
presenti come riserve, nel caso uno della squadra sia per qualche
motivo impossibilitato a disputare la gara. Ovviamente non succede
mai, comunque. Tu ti goderesti lo spettacolo e basta.”
“Uno
spettacolo che non mi interessa minimamente.”
Per
tutta risposta, Ehrenold gli disse: “Riguardati, Siwald. Ti voglio
in forma per quando torneremo alla guarnigione.” Poi uscì.
§
I
raggi del sole entravano dalla finestra come tante lame. Siwald li
osservò per un po', valutando che data la loro inclinazione, il sole
doveva essere già abbastanza alto.
Subito
dopo constatò che c'era ovunque un gran silenzio.
Si
guardò intorno e vide che sul suo comodino era posata una tazza. Con
qualche difficoltà si sollevò sul gomito, la prese e ne annusò il
contenuto, riconoscendo l'odore dell'infuso di Nomutha. Stava per
berlo quando udì dei rumori nella stanza attigua.
Si
girò in quella direzione pensando si trattasse di uno degli
inservienti del guaritore, ma si accorse che i nuovi arrivati erano
due combattenti in uniforme completa, con elmo, spada e cotta di
maglia. Uno era un maresciallo e l'altro un capitano.
“Ti
sei accertato che non ci sia nessuno?” chiese il capitano.
“Siamo
soli,” fu la risposta, “stanno andando tutti alla pista, per
cercare di accaparrarsi i posti migliori.”
Siwald
si immobilizzò. I due avevano al collo un laccio colorato, il che li
identificava come atleti dei Giochi. Cosa ci facevano lì?
Il
capitano si guardò intorno, aprì uno stipo e spostò oggetti su uno
scaffale. “Eppure deve esserci,” disse, “ce n'è sempre.”
Fece scorrere uno dopo l'altro una fila di cassetti.
“Che
cosa, Wardan?”
“Resina
di Erba di Nomutha.”
“Cosa
te ne fai?” La voce aveva un vago tono di apprensione.
“Sai
che cosa fa?”
“Non
capisco. Che intendi dire?”
“Fa
dormire quasi all'istante. L'ultimo tratto è ripido, da una parte
c'è il bosco, ma dall'altra una scarpata. Non c'è posto per gli
spettatori e anche gli osservatori sono molto rari.”
Il
tono della risposta suonò ancora più diffidente: “Continui a
parlare per enigmi,Wardan.”
“Vedrò
di essere più chiaro: voglio assicurarmi la vittoria. Un ago con un
po' di resina pura mette fuori combattimento in pochi attimi chiunque
e una cerbottana si può nascondere nell'equipaggiamento con grande
facilità.”
Passò
qualche istante di un silenzio che aveva una strana connotazione
sinistra, poi di nuovo si fece udire la voce del sottufficiale: “Ma
questo è contro le regole.”
“Della
puntura non si accorgerà nemmeno e la cerbottana la butterai via,
quindi nessuno la vedrà.”
“Cioè...
tu mi faresti fare veramente una cosa del genere?”
“Giusto
per essere sicuro di vincere. Anche se, ripeto, sarà solo per
sicurezza.”
“Ma
Wardan... e se mi scoprono? Sarebbe il disonore eterno per Gunefort,
ci hai pensato? Come mandante verresti degradato, e anche se io
tacessi per non tradirti, la squadra perderebbe il privilegio di
partecipare ai Giochi per anni.”
“Se
ha a cuore la giustizia, Hengrist farà sì che nessuno ci scopra.”
Seguì un altro silenzio, poi l'ufficiale soggiunse: “E tu
non mi tradirai, vero?”
“Sai
che non lo farei, ma ti invito a pensarci bene. È un rischio.”
“Non
ho tempo di pensarci, la gara comincia fra poco.” Poi, dopo una
pausa: “Ah, eccola qui. Guarda com'è densa: questa è
potentissima.”
Siwald
udì il rumore di un contenitore di vetro o ceramica che veniva
maneggiato, poi l'anta dello stipo che tornava al suo posto, infine i
passi dei due che si allontanavano velocemente.
Per
un po' il ragazzo rimase semplicemente immobile ad ascoltare il
sangue che gli pulsava nelle orecchie. Che fare?
Nella
caserma non c'era più nessuno, ma anche se ci fosse stato qualcuno,
chi avrebbe creduto a un cavallo selvaggio come lui? Sicuramente
avrebbero pensato che cercava di fermare la finale dei Giochi come
ultimo e supremo dispetto al suo mentore e magari l'avrebbero anche
messo agli arresti.
Scese
con cautela dal letto, saggiando attento le reazioni del suo corpo.
Il torace gli doleva, ma non più di tutte le volte che aveva avuto
incidenti sul percorso del Campo Dodici. Si guardò intorno e subito
identificò l’armadio con dentro il suo equipaggiamento. Indossò
l'uniforme, ma non poteva andare in giro con quella e basta,
l'avrebbero fermato subito. Con fatica si fece passare sopra la testa
la cotta di maglia, poi raccolse l'elmo e la spada. Fatto questo,
uscì per correre ad avvertire personalmente Ehrenold del pericolo
che stava correndo.
§
Sembrava
che anche il sole volesse godersi l'ultimo giorno dei Giochi. Il
cielo era di un azzurro terso, l'aria era limpida come in alta
montagna. Sospinte da un vento finalmente gentile, le bandiere delle
Marche si agitavano piano e i loro ricami d'argento brillavano sotto
la luce calda.
Tutti
coloro che non avevano compiti specifici da svolgere stavano
affluendo verso le gradinate dell'Arena per assistere all'arrivo
degli atleti, oppure si appostavano lungo il percorso, per vedere
qualcosa della gara.
Rowden
si presentò ai giudici e ricevette quella che dava il nome alla
prova: un grande simulacro di spada a due mani, esattamente identico
a quello che la statua del dio teneva fra le mani nel tempio
principale della città. Era più grande di una spada normale, e
naturalmente più pesante.
Si
voltò verso Hyvardus, che a sua volta l'aveva ricevuta: persino
nelle mani di un colosso come lui, quell'arma appariva
sproporzionatamente grande.
Guardò
poi verso l'inizio del percorso, chiedendosi se Ehrenold fosse già
arrivato alla sua postazione.
D'improvviso
echeggiò la voce di un giudice di gara: “Pronti!”
La
spada già assicurata sulla schiena, Rowden si sistemò sulla linea
di partenza assieme ai corridori delle altre squadre. Proprio accanto
a lui c'era quello di Gunefort, un maresciallo di nome Gerd, che gli
lanciò un'occhiata torva.
Si
costrinse a ignorarlo e con la memoria ripercorse i particolari della
pista: sapeva che appena entrata nella macchia di alberi piegava
bruscamente a desta e poi cominciava a salire. Il tempo era stato
buono negli ultimi due giorni, ma di sicuro il fondo sarebbe stato
pesante, addirittura in qualche punto avrebbe anche potuto trovare
ghiaccio.
Lo
squillo della tromba lo distrasse da ulteriori meditazioni.
Cominciò
a correre. Era veloce, ma nessuno voleva rimanere indietro
nell'ultima prova dei Giochi. Il gruppo affrontò compatto il primo
ostacolo, ovvero una fossa in cui bisognava scendere per poi risalire
dall'altra parte. Ci furono spintoni, qualche grugnito di disappunto,
clangori di metallo che sbatteva. Rowden si buttò dentro in uno
spruzzo di acqua marrone, sfruttò l'inerzia per fare i primi passi
della risalita, poi si aggrappò piantando le dita nel terreno ancora
molle. Saltò fuori per primo e riprese la corsa, immediatamente
incalzato dagli altri.
Più
che mai si costringeva a fare il vuoto in mente e a non pensare ad
altro che ad affrontare gli ostacoli e a dosare nella maniera giusta
le risorse del suo corpo. Stava correndo troppo? Avrebbe retto fino
alla fine del suo pezzo con quell'andatura? Si concentrò sulla
respirazione. Arrivò alla Scala, ovvero una scala a pioli
orizzontale, posta a una certa altezza, da superare passando di piolo
in piolo con la sola forza delle mani. Scattò, afferrò il primo di
essi, si lanciò verso il secondo, poi il terzo... farsene sfuggire
uno significava tornare all'inizio, attraversando la torma degli
inseguitori come un salmone avrebbe fatto con la corrente del fiume.
Significava perdere, in buona sostanza, e far perdere anche il resto
della squadra.
D'altra
parte, tutte le competizioni dei Giochi erano a squadre proprio per
quel motivo: sul campo di battaglia non si era mai da soli e si
doveva imparare a ragionare sempre in termini di squadra e mai di
singolo individuo.
Lasciò
andare l'ultimo piolo dell'ostacolo, riprese la corsa. La pesante
Spada gli premeva addosso, rimbalzandogli dolorosamente sulle spalle.
Legarla troppo blandamente significava farsela sfuggire, ma d'altra
parte una legatura troppo salda avrebbe comportato la perdita di
tempo prezioso nel momento del passaggio del simulacro all'uomo
successivo.
Continuò
a correre cercando di regolarizzare la respirazione.
Sotto
lo sguardo serio degli osservatori, Ehrenold passeggiava su e giù
come una belva in gabbia, imitato ovviamente dai membri di tutte le
altre squadre. Non era ancora arrivato nessuno e a tutti gli atleti
sembrava che la corsa si stesse protraendo per un tempo abnormemente
lungo.
Non
c'era sguardo che non si fissasse di tanto in tanto verso la pista
dalla quale sarebbero dovuti spuntare i compagni di squadra, non
c'era atleta che non sentisse da lunghi minuti la tensione dolorosa
dell'attimo prima della gara, una tensione che cresceva di momento in
momento, facendo accelerare i respiri e tendere i muscoli.
Si
udì un tramestio: coperto di fango al punto da essere quasi
irriconoscibile, Lylan apparve correndo e tentando freneticamente di
slacciarsi la Spada dalla schiena. Alle sue spalle i primi elementi
del gruppo di concorrenti, che ormai si era già allungato, lo
tallonavano.
Ridusse
appena l'andatura e trottando comunque a un buon passo, con dita rese
frenetiche dall'urgenza, sciolse i nodi delle corregge che gli
assicuravano addosso la pesante arma. “Salute e vittoria,” disse,
consegnandola al Luogotenente.
Questi
la ricevette e se la legò a sua volta sulla schiena, assicurandosela
addosso con la disinvoltura dell'abitudine.
Si
lanciò di corsa, subito una figura gli apparve accanto, lo colpì
con la spalla, lo fece sbandare, lo superò. Ehrenold scattò, diede
a sua volta una spallata, di nuovo passò avanti, saltò una barriera
di tronchi aiutandosi anche con le mani, poi subito dopo tre siepi a
beve distanza una dall'altra, poi attraversò uno specchio d'acqua
nel quale galleggiava ancora qualche sottile lastra di ghiaccio.
Passò oltre, si scrollò, afferrò una fune che dondolava piano
nell'aria calma. Si issò fino a raggiungere una piattaforma
soprelevata, da lì si lasciò cadere su un mucchio di paglia, ne
riemerse annaspando e facendosi spazio con le braccia, poi
scrollandosi di dosso i fili gialli riprese la corsa.
D'un
tratto gli parve di vedere una figura a cavallo che lo oltrepassava
tenendosi a distanza, ma a una seconda occhiata non la scorse più.
Si obbligò a ignorarla: aveva dietro almeno tre uomini, poteva quasi
percepirne il respiro sul collo, il terreno era pesante e scivoloso,
ovunque rami e pozzanghere lo rendevano ancora più disagevole.
Traballò perdendo l'equilibrio su un tratto particolarmente ripido,
si afferrò all'ultimo momento a un ramo contorto, tagliandosi il
palmo della mano. Ignorò la ferita limitandosi a stringere il pugno.
Procedette lasciandosi dietro una scia di gocce vermiglie.
Finalmente
apparve la postazione, riusciva già a vedere Arel che passeggiava su
e giù nervosamente esattamente come lui aveva fatto fino all'arrivo
di Lylan. Cominciò a slacciare le corregge che gli assicuravano la
spada alla schiena, imprecando silenziosamente perché la mano ferita
scivolava sul cuoio a causa del sangue che la copriva.
Raggiunse
ansante il soldato, gli consegnò la spada, questi se la caricò
sulla schiena, poi partì di corsa. Non aveva fatto venti passi che
parve sussultare come se fosse andato a sbattere contro qualcosa. La
spada cadde con un funesto clangore. Il soldato fece qualche altro
passo malfermo, con l'andatura dondolante di un ubriaco. Si portò
una mano alla testa, cercò di appoggiarsi a un tronco con l'altra,
ma mancò il bersaglio e crollò a terra. Si rialzò, solo per fare
qualche altro passo stentato e ricadere.
Ehrenold
sentì il sangue abbandonargli il viso. Per quanto stesse ansimando
come un mantice per effetto della lunga corsa, in quel momento smise
di respirare: Arel era oltre la linea, il che significava che non
aveva più alcun margine di intervento su di lui. Era a terra e gli
altri contendenti si stavano avvicinando.
Significava
la squalifica. Significava la fine dei Giochi.
Significava
tornare a Heiswegen con niente altro che una sconfitta.
Wardan,
già in posizione per ricevere la Spada dal membro della sua squadra,
in tono ironico gli chiese: “Che c'è, troppa emozione per il tuo
ragazzetto? Non è riuscito a reggere la tensione della finale?”
Gli
occhi fissi sul soldato immobile, Ehrenold lo sentì appena.
L'altro
si fece consegnare l'arma e scattò in avanti legandosela frattanto
sulla schiena. Il Luogotenente rimase immobile, con la sensazione di
essere all'improvviso precipitato in un incubo: non c'era niente che
potesse fare, poteva solo stare a guardare mentre Gunefort vinceva e
Heiswegen piombava all'ultimo posto della classifica.
Poi
si udì un rumore di frasche.
Ehrenold
si voltò bruscamente e vide che nella piazzola degli osservatori era
comparso un soldato in cotta di maglia, con elmo e spada al fianco.
Si voltò a fissarlo. “Siwald!” esclamò.
“Dammi
il mandato!” gridò il ragazzo per tutta risposta.
“Cosa?
Ma tu...”
“Il
mandato! Io sono il tuo allievo, posso subentrare. Lo dicono le
leggi, no?”
Ehrenold
lo fissò, poi girò lo sguardo verso gli osservatori, che stavano
seguendo la scena in un silenzio ieratico.
“Presto!”
lo incalzò il ragazzo.
“Aspetta,
sei ferito.”
“Non
c'è tempo, fammi andare!”
Gli
altri contendenti li passavano uno dopo l'altro, scattando come daini
inseguiti dai cani.
Siwald
balzò verso di lui, gli afferrò la mano sporcandosi di sangue ed
esclamò: “Io vado! Posso andare! Avete visto che mi ha conferito
il mandato, vero?”
Saltò
oltre la linea. Ehrenold fece per riprenderlo, ma a quel punto gli
osservatori gli si pararono davanti. Il più autorevole di essi
proclamò: “Il ragazzo ha scelto. Non sta a te fermarlo.”
Siwald
raggiunse il soldato immobile, si caricò in spalla la Spada e si
lanciò a rotta di collo lungo la pista. Il torso aveva smesso di
fargli male, sentiva addosso solo una grandissima energia, come non
gli capitava da tempo, o forse come non gli era mai capitato. Volava
letteralmente sul terreno, l'arma sacra in spalla non era niente
rispetto agli zaini affardellati del Cinghiale, quel percorso era
roba da bambini paragonato al Campo Dodici.
Saltò
un tronco, si piegò per evitare una barriera di rami, si buttò
subito dopo a terra e procedendo su gomiti e ginocchia superò un
altro sbarramento, poi scattò di nuovo in piedi. Individuò dopo una
curva il più arretrato degli avversari, aumentò l'andatura
facendoglisi più sotto. L'altro accelerò a sua volta, ma poi
arrivarono a un Muro. Siwald saltò con la facilità di chi ha già
fatto la stessa cosa migliaia di volte, si issò con disinvoltura e
fece passare le gambe al di là mentre l'altro stava ancora cercando
di sollevarsi a forza di braccia.
Atterrò
e una fitta lancinante gli trafisse il torace. Barcollò appena, si
riaggiustò la spada sulle spalle quindi ripartì a denti stretti.
Raggiunse
altri contendenti, il dolore era come un fuoco che gli bruciava
dentro, ma allo stesso tempo sentiva una sorta di esaltazione folle,
qualcosa come un'ebbrezza che sembrava quasi trarre da tutta la
situazione un assurdo vigore. Si buttò in avanti, sgomitò, sgusciò
fra gli uomini impegnati negli ostacoli come aveva imparato sul
campo, quando il Cinghiale lo faceva correre assieme a quelli più
grandi.
E
poi raggiunse l'uomo che si trovava in testa al gruppo. Strinse gli
occhi mentre un'ira furiosa lo pervadeva: era il capitano che aveva
sentito parlare in infermeria.
Era
quello che aveva progettato di agire in modo scorretto per sottrarre
la vittoria a Ehrenold.
Corse.
Corse come se non ci fosse un domani, come se da quella corsa
dipendesse la sua vita, come se non il destino della Marca di
Heiswegen ma quello di tutto Kjarr gravasse sulle sue spalle.
Divorò
lo spazio con falcate che sembravano balzi, accorciando sempre di più
la distanza fra sé e l'uomo che lo precedeva.
Udendolo
arrivare, questi si girò fugacemente a fissarlo. Rallentò appena di
proposito e quando furono affiancati gli sferrò una gomitata.
Siwald
sentì un rumore come di rami spezzati. Un lampo bianco lo privò
della vista per un istante, mentre un dolore atroce, tanto forte da
bloccargli il respiro, lo obbligò a rallentare e a cercare il
sostegno di un tronco. Tossì e in bocca gli arrivò il sapore
ferroso del sangue.
Scrollò
la testa, di nuovo sputò sangue. Fissò lo sguardo sulle spalle
dell'uomo come se i suoi occhi fossero stati dardi di balestra.
Riprese
a correre. Ormai la strada era in discesa, il fondo si era fatto più
piano e regolare. Entro breve sarebbe anche cominciata la
lastricatura di larghe pietre grigie della via che conduceva
all'Arena.
Raggiunse
l'altro, si forzò ad aumentare l'andatura. Constatò che il sangue
gli stava scorrendo giù da un angolo della bocca e sgocciolava sulla
cotta di maglia, ma stranamente gli parve una cosa di poco conto,
niente più che un piccolo inconveniente. Di nuovo l'uomo aspettò
che lui si fosse avvicinato, poi lo colpì col gomito. Siwald, che
l'aveva previsto, riuscì a farsi indietro, ma la botta gli strappò
comunque un gemito di dolore.
Cominciarono
le bandiere lungo la strada, il ragazzo percepì confusamente che
c'erano persone ai due lati di essa, c'erano urla e acclamazioni,
anche se non riusciva più a distinguere le parole...
D'un
tratto si trovò nell'Arena. Stava correndo come il vento, con la
coda dell'occhio vedeva l'uomo correre al suo fianco, forse un po'
arretrato, ma in un modo che sembrava quasi solidale, come se si
fosse trattato del suo amante, o di un suo amico.
Non
di qualcuno che aveva appena cercato di far perdere il suo mentore
con l'inganno.
Rivolse
il pensiero a Ehrenold, rievocò il suo volto serio, il suo sguardo
profondo. Lo svolazzo del nastro rosso strappato si confuse con i
rivoli di sangue che ormai lo imbrattavano ovunque, poi tutto si fece
nero e le acclamazioni si affievolirono fino a diventare un mormorio
lontano, come di un torrente.
§
Siwald
aprì gli occhi a fatica. Gli pareva di essere fatto di piombo, tanto
che quasi si meravigliò che il letto militare fosse in grado di
reggerlo.
Si
guardò intorno e dopo un po' riconobbe l'infermeria. Nell'aria c'era
odore di erbe medicinali, ma anche dell'olio che si usava per le
cotte di maglia e di cuoio. Voltò la testa e si accorse di una
sagoma immobile al suo fianco. D'istinto, con voce roca mormorò:
“Mentore?”
Immediatamente
la sagoma si animò e proprio il volto di Ehrenold comparve nel suo
campo visivo. Il Luogotenente sembrava stanco ed era piuttosto
pallido. Rughe verticali gli increspavano la fronte altrimenti
liscia.
“Siwald,”
mormorò. Allungò cauto una mano, come per paura di fargli male, e
gli sfiorò una guancia con le dita.
Egli
sorrise appena a quel tocco, piegando la testa come per trattenere la
mano che lo toccava.
Si
guardarono negli occhi. “Siwald,” ripeté l'uomo. La sua voce
vibrava di un'emozione che il ragazzo non vi aveva mai percepito. “I
guaritori disperavano di salvarti.”
“Abbiamo...
vinto?” riuscì a sussurrare.
“Tu
hai vinto, Siwald. Hai salvato la Marca di Heiswegen.” Si piegò a
baciarlo sulla fronte e poi sulle labbra. “Tu hai vinto,” ripeté.
Il
ragazzo socchiuse gli occhi. “Se ho vinto,” rispose a fatica, “se
ho combattuto è perché tu mi hai dato un motivo per farlo. Mi hai
fatto capire che ero degno di farlo.”
Ehrenold
annuì. Di nuovo gli accarezzò i capelli, quindi si alzò e disse:
“Riposa ora, devi rimetterti in forze.”
“Sarai
qui quando mi sveglierò?”
Ehrenold
sorrise. “Non vorrai che ti faccia da balia, soldato.”
Siwald
riuscì a tirare fuori a sua volta un pallido sorriso. “So badare a
me stesso.”
“Razza
di insolente,” rispose Ehrenold.
“Mi
sembrava che ti piacessero quelli di carattere.”
“Riposa,”
ripeté Ehrenold per tutta risposta, quindi se ne andò.
Siwald
lo guardò allontanarsi. Chiuse gli occhi scivolando di nuovo nel
torpore della debolezza, e mentre si abbandonava al sonno vide come
in sogno un cavallo selvaggio galoppare via e due grandi lupi neri,
forti e solenni, prendere il suo posto.
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