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Autore: Old Fashioned    07/02/2019    14 recensioni
Siamo a Herburg, la capitale dell'Impero di Kjarr. La tensione è alle stelle, perché stanno per cominciare i Giochi annuali, nei quali si affronteranno le migliori squadre delle Dodici Marche. Il comandante di una delle squadre in gara, Ehrenold, si troverà da una parte ad affrontare un avversario animato da vecchi rancori e disposto a tutto per riparare al torto che ritiene di aver subito, dall'altra verrà in contatto con un giovane soldato poco incline alla disciplina, un Cavallo Selvaggio nel gergo dell'esercito di Kjarr, e riconosciutene le potenzialità cercherà di avvicinarlo, con risultati non sempre positivi. Le due vicende si intrecceranno nella gara finale, quando tutte le squadre dovranno dare il massimo, ma solo una si aggiudicherà la vittoria.
Prima classificata allo "Sport Contest", indetto da Fiore di Girasole sul forum di EFP, a pari merito con "Ironia della sorte", di SSJD
Genere: Angst, Azione, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kjarr'
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Salve a tutti, ecco qui l’ultimo capitolo del grande mappazzone fantasy^^
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questa avventura, grazie a chi ha letto o ha messo la storia in qualche lista, un grazie speciale a chi mi ha lasciato il suo parere.





Capitolo 5

Ehrenold si stava allenando sulla pista quando si accorse che si stava avvicinando un sottufficiale. Si fermò per osservarlo meglio e notò che si trattava di Tenhar.
La prima cosa che pensò, ovviamente, fu che ci fosse qualche problema con Siwald. Magari il maresciallo aveva calcato troppo la mano con le punizioni e il ragazzo, esasperato e messo alle strette, aveva compiuto qualche atto sconsiderato del quale ora avrebbe dovuto rispondere.
Passò il comando della squadra a Rowden, si buttò la casacca sulle spalle nude e si avvicinò a Tenhar, ma prima ancora che potesse chiedergli cosa era successo, fu il sottufficiale a dire: “C’è qualcosa che devi sapere, Luogotenente.”
Ehrenold aggrottò le sopracciglia. “Che cosa?”
Si tratta del tuo allievo. Ieri sera ha scatenato una rissa in camerata e ora è in infermeria.”
Il Luogotenente fece mente locale: Siwald era un ragazzo robusto, dal corpo per forza di cose temprato e muscoloso. Se dopo una rissa era finito in infermeria, significava che doveva essersi come minimo picchiato a sangue con almeno due o tre dei suoi commilitoni più forti.
Dati il suo orgoglio e la sua abitudine a dissimulare eventuali condizioni di malessere, peraltro, se era in infermeria significava che doveva essersi fatto molto male.
Portami da lui,” disse semplicemente, infilandosi la casacca.

Furono intercettati sulla porta della camera di degenza da un guaritore, il quale sogguardò entrambi, quindi si rivolse a Tenhar e in tono severo chiese: “È lui il mentore?” L’uomo era già in età e dalle maniche gli spuntavano tatuaggi di guerra, alcuni recenti, altri ormai così sbiaditi da essere a stento riconoscibili. Una vecchia cicatrice gli tagliava la guancia destra, deformandogli appena l’espressione.
Il sottufficiale annuì e disse: “Il Luogotenente Ehrenold.” Poi, rivolto a Ehrenold: “Il guaritore Lhawin. È lui che ha curato il ragazzo.”
L’ufficiale si fece avanti e senza preamboli chiese: “Che cos’è successo?”
Bah, cos’è successo ce lo dovrebbe dire quel cocciuto, se si decidesse a parlare. Continua a ripetere che è caduto dalle scale. Come sempre, del resto.”
Che intendi dire?”
Il guaritore assunse un’espressione esasperata. “Tutte le volte che me lo vedo arrivare qui, e questo succede più o meno ogni tre giorni, la risposta è sempre la stessa: guaritore, sono caduto dalle scale. Dannato cocciuto. Mulo, dovrebbero chiamarlo, altro che cavallo selvaggio. Mulo dalla testa di legno. Come se io non lo sapessi perfettamente, quello che gli è successo: sono un guaritore, mica un contabile, e ti garantisco che di ferite ne ho viste un bel po’.”
Il Luogotenente ascoltò con pazienza lo sfogo, quindi chiese: “Questa volta che cosa si è fatto, guaritore?”
L’uomo incrociò le braccia sul petto, quindi rispose: “Una rissa. Stamattina ho medicato gli altri stupidi con cui si è accapigliato. Razza di idioti, ragazzini che non vedono più in là del loro naso. Ah, ma lascia che vadano in battaglia la prima volta, per la Sacra Spada, e poi la smetteranno con queste sciocchezze.”
Di nuovo, Ehrenold non interloquì. Cercò di guardare alle spalle dell’uomo, ma dei letti si vedeva solo la parte finale. Un inserviente passò reggendo un catino con entrambe le mani, al Luogotenente parve che avesse sul braccio un telo macchiato di sangue. “Puoi dirmi come sta, guaritore?” gli chiese.
Come sta? Sta come uno che si è fatto pestare da dieci esagitati, ecco come sta. E non mi vuole dire il motivo, quello stupido mulo.”
Posso vederlo?”
L’uomo lo fissò dubbioso, con uno sguardo che sembrava valutare direttamente la sua capacità di attenersi a prescrizioni mediche. “Ha le costole rotte,” lo avvisò. “Un movimento sbagliato e se le pianta in un polmone, comincia a sputare sangue, casca per terra e va a finire nelle Dimore di Vopnir, anche se non so cosa ci andrà a fare in mezzo agli eroi caduti in battaglia, quello stupido mulo.”
Vorrei solo vederlo un attimo, guaritore.” Poi, dopo una breve esitazione: “Può parlare?”
Sarà un po’ intontito, gli ho dato dell’erba di Nomutha per tenerlo tranquillo, ma due parole gliele puoi dire.”

Ehrenold entrò cauto nella stanza. Lungo le due pareti laterali erano disposti a intervalli regolari dei letti, ognuno corredato di un comodino e uno sgabello. Fece scorrere lo sguardo sui pochi degenti e identificò subito Siwald: il ragazzo giaceva immobile, con gli occhi chiusi. Notò che aveva il labbro inferiore spaccato, un livido sullo zigomo e varie escoriazioni.
Nel sentirlo avvicinarsi, il ragazzo aprì gli occhi, aggrottò appena le sopracciglia nel riconoscerlo, quindi rimase a fissarlo in silenzio.
Il Luogotenente si sedette accanto a lui. Allungò una mano per toccargli il viso, ma l’altro si girò come per sottrarsi. “Cos’è successo?” gli chiese allora.
Sono caduto dalle scale, Luogotenente,” fu la stentata risposta, pronunciata con un filo di voce.
Siwald, dimmi cos’è successo,” ripeté Ehrenold, fissando preoccupato il suo volto pesto.
Caduto dalle scale,” ripeté il ragazzo.
Il maggiore emise un sospiro. “Mi dicono che cadi spesso dalle scale.”
Sono molto distratto, Luogotenente.” Chiuse gli occhi. Ehrenold gli posò una mano sulla fronte ed egli li riaprì subito, rivolgendogli uno sguardo che gli parve più stupito che infastidito.
L'ufficiale ritirò comunque la mano e gli disse: “Ora riposati. Ti voglio a posto per quando torneremo alla guarnigione.”
Siwald non rispose.
Ehrenold si alzò e raggiunse il guaritore, che aveva seguito lo scambio a pochi passi di distanza con le braccia incrociate sul petto e l’espressione diffidente. “Ebbene?” lo apostrofò questi senza mutare la sua posizione.
Si rimetterà,” disse il Luogotenente.
Certo che si rimetterà,” replicò l’altro, “sempre che non gli venga in mente fare lo stupido. Con quelle costole fratturate non c’è da scherzare.”
Ehrenold lanciò un’altra fugace occhiata al ragazzo, quindi chiese: “Chi può aver fatto una cosa del genere?”
Lhawin alzò le spalle. “Non ho bisogno di raccontare a te come sono i soldati, giusto? Specie se sono giovani e stupidi come le reclute che hanno appena ricevuto l’uniforme nera. Una parola tira l’altra, poi cominciano a volare gli schiaffi e alla fine se le danno come dei Cinerei ubriachi di grozzt. E ovviamente dopo nessuno parla. Del resto, lo sai quel che si dice: quello che succede nel plotone resta nel plotone.”
Ehrenold annuì grave, quelle cose gli erano ben note. “Lo farò portare all’infermeria della caserma dei Giochi, così potrò tenerlo maggiormente d’occhio.”
Questo qui dovrebbe essere piantonato giorno e notte come i delinquenti, te lo dico io.”

§

Il Luogotenente si guardò intorno: nessuno in giro. C'erano solo qualche albero ancora spoglio e vecchi ostacoli di un percorso di guerra in disuso, che attendevano di essere smantellati e sostituiti da ostacoli nuovi. Un Muro, la superficie scrostata da innumerevoli contatti con cotte di maglia, giaceva abbandonato al suolo.
Ehrenold si sedette su un tronco che aveva svolto le funzioni di Ponte, poi fece girare lo sguardo sui membri della sua squadra: Rowden, naturalmente, ma anche Arel, Lylan e Herli. “Ci siamo,” disse in tono grave.
Nessuno replicò, ma gli sguardi di tutti facevano capire che quella consapevolezza non era solo sua.
Il Luogotenente indicò i vecchi ostacoli sparsi in giro e disse: “Adesso sedetevi, dobbiamo parlare della Spada di Hengrist.”
Tutti obbedirono, quindi rimasero a fissarlo con aspettativa.
Lo scontro sarà tra noi e Gunefort,” esordì il Luogotenente. “Siamo a pari punti, chi vincerà questa gara si porterà a casa il titolo di Campione.” Fece una pausa, durante la quale fece scorrere lo sguardo sui suoi uomini, quindi concluse: “E chi perde arriva secondo. Certo, tutti fanno un sacco di bei discorsi sul fatto che anche arrivare secondi o terzi ai Giochi è motivo di onore, ma noi sappiamo come stanno le cose, vero? Chi arriva secondo non ha vinto.”
E quindi ha perso,” intervenne serio Herli.
Precisamente,” confermò Ehrenold. “In battaglia non c'è il premio per il secondo posto, giusto?”
Tutti annuirono.
Il Luogotenente si rivolse a quel punto a Rowden: “Tu sarai il primo. Ho bisogno di una persona che eventualmente possa anche fare la voce grossa se c’è qualche problema e un capitano è l'ideale. Quella parte di percorso per forza di cose non è particolarmente difficile, quindi buttati in spalla la Spada e appena danno il via cerca di guadagnare quello che puoi con la velocità.”
Rowden annuì. “Tutto chiaro, Luogotenente.”
Molto bene,” approvò Ehrenold, poi si rivolse a Herli: “Tu sarai subito dopo. Lì il percorso si fa duro, è tutta salita e ci saranno degli ostacoli difficili. Sarà questione di forza, più che di agilità. Ho bisogno di qualcuno che con la Spada in spalla mi salti un Muro alto al primo tentativo, solo a forza di braccia se necessario, e tu sei l'uomo ideale.”
D'accordo, Luogotenente.”
Ehrenold annuì, quindi passò a Lylan: “Tu vai dopo di lui. Ci saranno da fare le Corde e il Reticolo, mi serve qualcuno che sia agile e preciso e sappia tenere una barra di ferro da venti libbre e lunga due braccia in modo da non far suonare i campanelli. Ricordatevi che al terzo campanello che suona la squadra è squalificata.”
Sì, Luogotenente.”
Io sarò subito dopo. Avrei preferito stare ultimo, l'arrivo al traguardo richiede come la partenza qualcuno che abbia dei gradi sulle spalle, ma Arel è il più veloce della squadra e sarà lui a fare lo scatto finale.” Rivolse lo sguardo al soldato che aveva nominato, poi disse: “Tutto chiaro?”
Questi annuì con fare volenteroso. “Sì, Luogotenente.”
Molto bene. Gli altri? Qualche dubbio? Domande?”
Tutto chiaro,” ripeté Rowden. “Del resto, le regole della Spada di Hengrist non sono difficili: la Spada deve essere portata fino al traguardo, gli ostacoli devono essere superati tutti e chi non è in equipaggiamento completo, con elmo, arma individuale e cotta di maglia è squalificato, e con lui tutta la squadra.”
Gli altri annuirono consapevoli, quindi Herli disse: “Bene, ragazzi. Portiamo a casa questo titolo per il vecchio Heiswegen, che ne dite?”
Heiswegen!” esclamarono gli altri due soldati.
Ehrenold annuì. “Bravi ragazzi,” approvò. “E ora andate a riposare, domani dovremo faticare parecchio.”
Rimase solo con Rowden. Si alzò, fece qualche passo tra i vecchi ostacoli in disuso. Toccò con la punta del piede un vecchio campanello mezzo mangiato dalla ruggine, traendone un suono fesso.
Alle sue spalle si fece udire la voce del capitano: “Wardan non si farà battere così facilmente.”
il Luogotenente emise un sospiro. “Lo so. Potrei dire che una Spada di Hengrist alla finale dei Giochi non sarebbe facile comunque, ma anch'io temo quello che temi tu: ho idea che stia tramando qualcosa.”
Ci sono gli osservatori. Ce ne saranno anche più del solito, vista l'importanza della gara.”
Alla Triplice, Wardan è riuscito a spedirmi una freccia sopra la testa con cinque osservatori che passeggiavano su e giù.”
L'altro si girò a fissarlo. “Sul serio?”
Ehrenold annuì. “Non stiamo parlando di un cretino: Wardan è uno che in battaglia sa il fatto suo.”
A maggior ragione,” replicò l'altro, “promettimi che starai attento. Io rischio poco, a inizio percorso e con tutta la frotta di giudici, osservatori e spettatori che ci sarà, ma tu sarai in mezzo al bosco, ci sarà molta meno gente a controllare che le cose vadano come devono andare.”
Certo, starò attento.”

Ehrenold entrò in infermeria e raggiunse il letto di Siwald. “Come stai oggi?” gli chiese sedendosi accanto a lui.
Faticosamente il ragazzo si girò a guardarlo. “Bene, Luogotenente,” rispose.
L'uomo scosse la testa. “Siamo soli, non c'è bisogno che continui a fare il cavallo selvaggio. Sono solo venuto a vedere se hai bisogno di qualcosa.”
Non ho bisogno di nulla, Luogotenente.”
Ehrenold annuì come se le parole del ragazzo fossero esattamente quelle che si era aspettato di sentire. Si appoggiò all'indietro fino a toccare la parete con le spalle, quindi disse: “Sai perché ti ho scelto, Siwald?” Fece una breve pausa, ma la recluta non interloquì. “Ti ho scelto perché hai carattere,” proseguì allora, “perché non ti pieghi, perché non ti lasci spaventare. Queste sono le doti che cerco in un soldato.” Di nuovo tacque. “O in un compagno,” soggiunse poi.
A quelle parole, Siwald lo fissò stupito. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma Ehrenold lo precedette. In tono tranquillo, come se l'ultima frase non fosse mai stata pronunciata, disse: “Io non ho intenzione di umiliarti o maltrattarti, Siwald, ma nemmeno di far finta di niente di fronte alle tue mancanze: per quanto tu abbia enormi potenzialità, per quanto tu mi piaccia caratterialmente, sei un soldato pessimo e in una battaglia non sopravviveresti due minuti. Stai a cavallo come un sacco di patate, scommetto che della spada conosci solo i rudimenti, non hai né senso della gerarchia né per forza di cose cameratismo. Ti rendi conto che in tutto quello che fa parte delle capacità di un soldato sei inferiore agli altri e per questo motivo cerchi di eccellere, per così dire, all'opposto. Se non puoi essere il migliore di tutti, vuoi essere il peggiore.” Abbassò gli occhi sul ragazzo e si accorse che egli lo stava fissando serio. “Non sei d'accordo?” gli chiese.
Siwald girò la testa dall'altra parte.
In ogni caso,” proseguì tranquillo il Luogotenente, “d'ora in avanti le cose cambieranno. Mi aspetto che usi la tua intelligenza non per trovare nuovi modi per farti punire, ma per usufruire al meglio degli insegnamenti che ti darò.”
A quel punto, il ragazzo di nuovo si voltò a fissarlo e intervenne: “E guarda caso, il primo insegnamento si svolgerà in privato, vero?”
Ehrenold si limitò a levare gli occhi al cielo, poi si alzò e rimise a posto lo sgabello. “Ora vado,” lo informò, “devo allenarmi per domani.”
C'è una gara?” chiese il ragazzo.
Il Luogotenente sorrise. “C'è la gara, direi. È la Spada di Hengrist, chi vince quella vince i Giochi. Peccato che tu sia costretto a letto, perché se no potresti vederla da vicino, in qualità di allievo. Gli allievi possono in ogni momento stare con la squadra, se il loro mentore ne fa parte.”
Il ragazzo si rabbuiò. “Non voglio privilegi perché sono un allievo. Non l'ho certo chiesto io.”
Ehrenold sorrise e sullo stesso tono replicò: “Non è certo un privilegio. Una vecchia norma mai abrogata stabilisce che gli allievi siano presenti come riserve, nel caso uno della squadra sia per qualche motivo impossibilitato a disputare la gara. Ovviamente non succede mai, comunque. Tu ti goderesti lo spettacolo e basta.”
Uno spettacolo che non mi interessa minimamente.”
Per tutta risposta, Ehrenold gli disse: “Riguardati, Siwald. Ti voglio in forma per quando torneremo alla guarnigione.” Poi uscì.

§

I raggi del sole entravano dalla finestra come tante lame. Siwald li osservò per un po', valutando che data la loro inclinazione, il sole doveva essere già abbastanza alto.
Subito dopo constatò che c'era ovunque un gran silenzio.
Si guardò intorno e vide che sul suo comodino era posata una tazza. Con qualche difficoltà si sollevò sul gomito, la prese e ne annusò il contenuto, riconoscendo l'odore dell'infuso di Nomutha. Stava per berlo quando udì dei rumori nella stanza attigua.
Si girò in quella direzione pensando si trattasse di uno degli inservienti del guaritore, ma si accorse che i nuovi arrivati erano due combattenti in uniforme completa, con elmo, spada e cotta di maglia. Uno era un maresciallo e l'altro un capitano.
Ti sei accertato che non ci sia nessuno?” chiese il capitano.
Siamo soli,” fu la risposta, “stanno andando tutti alla pista, per cercare di accaparrarsi i posti migliori.”
Siwald si immobilizzò. I due avevano al collo un laccio colorato, il che li identificava come atleti dei Giochi. Cosa ci facevano lì?
Il capitano si guardò intorno, aprì uno stipo e spostò oggetti su uno scaffale. “Eppure deve esserci,” disse, “ce n'è sempre.” Fece scorrere uno dopo l'altro una fila di cassetti.
Che cosa, Wardan?”
Resina di Erba di Nomutha.”
Cosa te ne fai?” La voce aveva un vago tono di apprensione.
Sai che cosa fa?”
Non capisco. Che intendi dire?”
Fa dormire quasi all'istante. L'ultimo tratto è ripido, da una parte c'è il bosco, ma dall'altra una scarpata. Non c'è posto per gli spettatori e anche gli osservatori sono molto rari.”
Il tono della risposta suonò ancora più diffidente: “Continui a parlare per enigmi,Wardan.”
Vedrò di essere più chiaro: voglio assicurarmi la vittoria. Un ago con un po' di resina pura mette fuori combattimento in pochi attimi chiunque e una cerbottana si può nascondere nell'equipaggiamento con grande facilità.”
Passò qualche istante di un silenzio che aveva una strana connotazione sinistra, poi di nuovo si fece udire la voce del sottufficiale: “Ma questo è contro le regole.”
Della puntura non si accorgerà nemmeno e la cerbottana la butterai via, quindi nessuno la vedrà.”
Cioè... tu mi faresti fare veramente una cosa del genere?”
Giusto per essere sicuro di vincere. Anche se, ripeto, sarà solo per sicurezza.”
Ma Wardan... e se mi scoprono? Sarebbe il disonore eterno per Gunefort, ci hai pensato? Come mandante verresti degradato, e anche se io tacessi per non tradirti, la squadra perderebbe il privilegio di partecipare ai Giochi per anni.”
Se ha a cuore la giustizia, Hengrist farà sì che nessuno ci scopra.” Seguì un altro silenzio, poi l'ufficiale soggiunse: “E tu non mi tradirai, vero?”
Sai che non lo farei, ma ti invito a pensarci bene. È un rischio.”
Non ho tempo di pensarci, la gara comincia fra poco.” Poi, dopo una pausa: “Ah, eccola qui. Guarda com'è densa: questa è potentissima.”
Siwald udì il rumore di un contenitore di vetro o ceramica che veniva maneggiato, poi l'anta dello stipo che tornava al suo posto, infine i passi dei due che si allontanavano velocemente.
Per un po' il ragazzo rimase semplicemente immobile ad ascoltare il sangue che gli pulsava nelle orecchie. Che fare?
Nella caserma non c'era più nessuno, ma anche se ci fosse stato qualcuno, chi avrebbe creduto a un cavallo selvaggio come lui? Sicuramente avrebbero pensato che cercava di fermare la finale dei Giochi come ultimo e supremo dispetto al suo mentore e magari l'avrebbero anche messo agli arresti.
Scese con cautela dal letto, saggiando attento le reazioni del suo corpo. Il torace gli doleva, ma non più di tutte le volte che aveva avuto incidenti sul percorso del Campo Dodici. Si guardò intorno e subito identificò l’armadio con dentro il suo equipaggiamento. Indossò l'uniforme, ma non poteva andare in giro con quella e basta, l'avrebbero fermato subito. Con fatica si fece passare sopra la testa la cotta di maglia, poi raccolse l'elmo e la spada. Fatto questo, uscì per correre ad avvertire personalmente Ehrenold del pericolo che stava correndo.

§

Sembrava che anche il sole volesse godersi l'ultimo giorno dei Giochi. Il cielo era di un azzurro terso, l'aria era limpida come in alta montagna. Sospinte da un vento finalmente gentile, le bandiere delle Marche si agitavano piano e i loro ricami d'argento brillavano sotto la luce calda.
Tutti coloro che non avevano compiti specifici da svolgere stavano affluendo verso le gradinate dell'Arena per assistere all'arrivo degli atleti, oppure si appostavano lungo il percorso, per vedere qualcosa della gara.
Rowden si presentò ai giudici e ricevette quella che dava il nome alla prova: un grande simulacro di spada a due mani, esattamente identico a quello che la statua del dio teneva fra le mani nel tempio principale della città. Era più grande di una spada normale, e naturalmente più pesante.
Si voltò verso Hyvardus, che a sua volta l'aveva ricevuta: persino nelle mani di un colosso come lui, quell'arma appariva sproporzionatamente grande.
Guardò poi verso l'inizio del percorso, chiedendosi se Ehrenold fosse già arrivato alla sua postazione.
D'improvviso echeggiò la voce di un giudice di gara: “Pronti!”
La spada già assicurata sulla schiena, Rowden si sistemò sulla linea di partenza assieme ai corridori delle altre squadre. Proprio accanto a lui c'era quello di Gunefort, un maresciallo di nome Gerd, che gli lanciò un'occhiata torva.
Si costrinse a ignorarlo e con la memoria ripercorse i particolari della pista: sapeva che appena entrata nella macchia di alberi piegava bruscamente a desta e poi cominciava a salire. Il tempo era stato buono negli ultimi due giorni, ma di sicuro il fondo sarebbe stato pesante, addirittura in qualche punto avrebbe anche potuto trovare ghiaccio.
Lo squillo della tromba lo distrasse da ulteriori meditazioni.
Cominciò a correre. Era veloce, ma nessuno voleva rimanere indietro nell'ultima prova dei Giochi. Il gruppo affrontò compatto il primo ostacolo, ovvero una fossa in cui bisognava scendere per poi risalire dall'altra parte. Ci furono spintoni, qualche grugnito di disappunto, clangori di metallo che sbatteva. Rowden si buttò dentro in uno spruzzo di acqua marrone, sfruttò l'inerzia per fare i primi passi della risalita, poi si aggrappò piantando le dita nel terreno ancora molle. Saltò fuori per primo e riprese la corsa, immediatamente incalzato dagli altri.
Più che mai si costringeva a fare il vuoto in mente e a non pensare ad altro che ad affrontare gli ostacoli e a dosare nella maniera giusta le risorse del suo corpo. Stava correndo troppo? Avrebbe retto fino alla fine del suo pezzo con quell'andatura? Si concentrò sulla respirazione. Arrivò alla Scala, ovvero una scala a pioli orizzontale, posta a una certa altezza, da superare passando di piolo in piolo con la sola forza delle mani. Scattò, afferrò il primo di essi, si lanciò verso il secondo, poi il terzo... farsene sfuggire uno significava tornare all'inizio, attraversando la torma degli inseguitori come un salmone avrebbe fatto con la corrente del fiume. Significava perdere, in buona sostanza, e far perdere anche il resto della squadra.
D'altra parte, tutte le competizioni dei Giochi erano a squadre proprio per quel motivo: sul campo di battaglia non si era mai da soli e si doveva imparare a ragionare sempre in termini di squadra e mai di singolo individuo.
Lasciò andare l'ultimo piolo dell'ostacolo, riprese la corsa. La pesante Spada gli premeva addosso, rimbalzandogli dolorosamente sulle spalle. Legarla troppo blandamente significava farsela sfuggire, ma d'altra parte una legatura troppo salda avrebbe comportato la perdita di tempo prezioso nel momento del passaggio del simulacro all'uomo successivo.
Continuò a correre cercando di regolarizzare la respirazione.

Sotto lo sguardo serio degli osservatori, Ehrenold passeggiava su e giù come una belva in gabbia, imitato ovviamente dai membri di tutte le altre squadre. Non era ancora arrivato nessuno e a tutti gli atleti sembrava che la corsa si stesse protraendo per un tempo abnormemente lungo.
Non c'era sguardo che non si fissasse di tanto in tanto verso la pista dalla quale sarebbero dovuti spuntare i compagni di squadra, non c'era atleta che non sentisse da lunghi minuti la tensione dolorosa dell'attimo prima della gara, una tensione che cresceva di momento in momento, facendo accelerare i respiri e tendere i muscoli.
Si udì un tramestio: coperto di fango al punto da essere quasi irriconoscibile, Lylan apparve correndo e tentando freneticamente di slacciarsi la Spada dalla schiena. Alle sue spalle i primi elementi del gruppo di concorrenti, che ormai si era già allungato, lo tallonavano.
Ridusse appena l'andatura e trottando comunque a un buon passo, con dita rese frenetiche dall'urgenza, sciolse i nodi delle corregge che gli assicuravano addosso la pesante arma. “Salute e vittoria,” disse, consegnandola al Luogotenente.
Questi la ricevette e se la legò a sua volta sulla schiena, assicurandosela addosso con la disinvoltura dell'abitudine.
Si lanciò di corsa, subito una figura gli apparve accanto, lo colpì con la spalla, lo fece sbandare, lo superò. Ehrenold scattò, diede a sua volta una spallata, di nuovo passò avanti, saltò una barriera di tronchi aiutandosi anche con le mani, poi subito dopo tre siepi a beve distanza una dall'altra, poi attraversò uno specchio d'acqua nel quale galleggiava ancora qualche sottile lastra di ghiaccio. Passò oltre, si scrollò, afferrò una fune che dondolava piano nell'aria calma. Si issò fino a raggiungere una piattaforma soprelevata, da lì si lasciò cadere su un mucchio di paglia, ne riemerse annaspando e facendosi spazio con le braccia, poi scrollandosi di dosso i fili gialli riprese la corsa.
D'un tratto gli parve di vedere una figura a cavallo che lo oltrepassava tenendosi a distanza, ma a una seconda occhiata non la scorse più. Si obbligò a ignorarla: aveva dietro almeno tre uomini, poteva quasi percepirne il respiro sul collo, il terreno era pesante e scivoloso, ovunque rami e pozzanghere lo rendevano ancora più disagevole. Traballò perdendo l'equilibrio su un tratto particolarmente ripido, si afferrò all'ultimo momento a un ramo contorto, tagliandosi il palmo della mano. Ignorò la ferita limitandosi a stringere il pugno. Procedette lasciandosi dietro una scia di gocce vermiglie.

Finalmente apparve la postazione, riusciva già a vedere Arel che passeggiava su e giù nervosamente esattamente come lui aveva fatto fino all'arrivo di Lylan. Cominciò a slacciare le corregge che gli assicuravano la spada alla schiena, imprecando silenziosamente perché la mano ferita scivolava sul cuoio a causa del sangue che la copriva.
Raggiunse ansante il soldato, gli consegnò la spada, questi se la caricò sulla schiena, poi partì di corsa. Non aveva fatto venti passi che parve sussultare come se fosse andato a sbattere contro qualcosa. La spada cadde con un funesto clangore. Il soldato fece qualche altro passo malfermo, con l'andatura dondolante di un ubriaco. Si portò una mano alla testa, cercò di appoggiarsi a un tronco con l'altra, ma mancò il bersaglio e crollò a terra. Si rialzò, solo per fare qualche altro passo stentato e ricadere.
Ehrenold sentì il sangue abbandonargli il viso. Per quanto stesse ansimando come un mantice per effetto della lunga corsa, in quel momento smise di respirare: Arel era oltre la linea, il che significava che non aveva più alcun margine di intervento su di lui. Era a terra e gli altri contendenti si stavano avvicinando.
Significava la squalifica. Significava la fine dei Giochi.
Significava tornare a Heiswegen con niente altro che una sconfitta.
Wardan, già in posizione per ricevere la Spada dal membro della sua squadra, in tono ironico gli chiese: “Che c'è, troppa emozione per il tuo ragazzetto? Non è riuscito a reggere la tensione della finale?”
Gli occhi fissi sul soldato immobile, Ehrenold lo sentì appena.
L'altro si fece consegnare l'arma e scattò in avanti legandosela frattanto sulla schiena. Il Luogotenente rimase immobile, con la sensazione di essere all'improvviso precipitato in un incubo: non c'era niente che potesse fare, poteva solo stare a guardare mentre Gunefort vinceva e Heiswegen piombava all'ultimo posto della classifica.
Poi si udì un rumore di frasche.
Ehrenold si voltò bruscamente e vide che nella piazzola degli osservatori era comparso un soldato in cotta di maglia, con elmo e spada al fianco. Si voltò a fissarlo. “Siwald!” esclamò.
Dammi il mandato!” gridò il ragazzo per tutta risposta.
Cosa? Ma tu...”
Il mandato! Io sono il tuo allievo, posso subentrare. Lo dicono le leggi, no?”
Ehrenold lo fissò, poi girò lo sguardo verso gli osservatori, che stavano seguendo la scena in un silenzio ieratico.
Presto!” lo incalzò il ragazzo.
Aspetta, sei ferito.”
Non c'è tempo, fammi andare!”
Gli altri contendenti li passavano uno dopo l'altro, scattando come daini inseguiti dai cani.
Siwald balzò verso di lui, gli afferrò la mano sporcandosi di sangue ed esclamò: “Io vado! Posso andare! Avete visto che mi ha conferito il mandato, vero?”
Saltò oltre la linea. Ehrenold fece per riprenderlo, ma a quel punto gli osservatori gli si pararono davanti. Il più autorevole di essi proclamò: “Il ragazzo ha scelto. Non sta a te fermarlo.”

Siwald raggiunse il soldato immobile, si caricò in spalla la Spada e si lanciò a rotta di collo lungo la pista. Il torso aveva smesso di fargli male, sentiva addosso solo una grandissima energia, come non gli capitava da tempo, o forse come non gli era mai capitato. Volava letteralmente sul terreno, l'arma sacra in spalla non era niente rispetto agli zaini affardellati del Cinghiale, quel percorso era roba da bambini paragonato al Campo Dodici.
Saltò un tronco, si piegò per evitare una barriera di rami, si buttò subito dopo a terra e procedendo su gomiti e ginocchia superò un altro sbarramento, poi scattò di nuovo in piedi. Individuò dopo una curva il più arretrato degli avversari, aumentò l'andatura facendoglisi più sotto. L'altro accelerò a sua volta, ma poi arrivarono a un Muro. Siwald saltò con la facilità di chi ha già fatto la stessa cosa migliaia di volte, si issò con disinvoltura e fece passare le gambe al di là mentre l'altro stava ancora cercando di sollevarsi a forza di braccia.
Atterrò e una fitta lancinante gli trafisse il torace. Barcollò appena, si riaggiustò la spada sulle spalle quindi ripartì a denti stretti.
Raggiunse altri contendenti, il dolore era come un fuoco che gli bruciava dentro, ma allo stesso tempo sentiva una sorta di esaltazione folle, qualcosa come un'ebbrezza che sembrava quasi trarre da tutta la situazione un assurdo vigore. Si buttò in avanti, sgomitò, sgusciò fra gli uomini impegnati negli ostacoli come aveva imparato sul campo, quando il Cinghiale lo faceva correre assieme a quelli più grandi.
E poi raggiunse l'uomo che si trovava in testa al gruppo. Strinse gli occhi mentre un'ira furiosa lo pervadeva: era il capitano che aveva sentito parlare in infermeria.
Era quello che aveva progettato di agire in modo scorretto per sottrarre la vittoria a Ehrenold.
Corse. Corse come se non ci fosse un domani, come se da quella corsa dipendesse la sua vita, come se non il destino della Marca di Heiswegen ma quello di tutto Kjarr gravasse sulle sue spalle.
Divorò lo spazio con falcate che sembravano balzi, accorciando sempre di più la distanza fra sé e l'uomo che lo precedeva.
Udendolo arrivare, questi si girò fugacemente a fissarlo. Rallentò appena di proposito e quando furono affiancati gli sferrò una gomitata.
Siwald sentì un rumore come di rami spezzati. Un lampo bianco lo privò della vista per un istante, mentre un dolore atroce, tanto forte da bloccargli il respiro, lo obbligò a rallentare e a cercare il sostegno di un tronco. Tossì e in bocca gli arrivò il sapore ferroso del sangue.
Scrollò la testa, di nuovo sputò sangue. Fissò lo sguardo sulle spalle dell'uomo come se i suoi occhi fossero stati dardi di balestra.
Riprese a correre. Ormai la strada era in discesa, il fondo si era fatto più piano e regolare. Entro breve sarebbe anche cominciata la lastricatura di larghe pietre grigie della via che conduceva all'Arena.
Raggiunse l'altro, si forzò ad aumentare l'andatura. Constatò che il sangue gli stava scorrendo giù da un angolo della bocca e sgocciolava sulla cotta di maglia, ma stranamente gli parve una cosa di poco conto, niente più che un piccolo inconveniente. Di nuovo l'uomo aspettò che lui si fosse avvicinato, poi lo colpì col gomito. Siwald, che l'aveva previsto, riuscì a farsi indietro, ma la botta gli strappò comunque un gemito di dolore.
Cominciarono le bandiere lungo la strada, il ragazzo percepì confusamente che c'erano persone ai due lati di essa, c'erano urla e acclamazioni, anche se non riusciva più a distinguere le parole...
D'un tratto si trovò nell'Arena. Stava correndo come il vento, con la coda dell'occhio vedeva l'uomo correre al suo fianco, forse un po' arretrato, ma in un modo che sembrava quasi solidale, come se si fosse trattato del suo amante, o di un suo amico.
Non di qualcuno che aveva appena cercato di far perdere il suo mentore con l'inganno.
Rivolse il pensiero a Ehrenold, rievocò il suo volto serio, il suo sguardo profondo. Lo svolazzo del nastro rosso strappato si confuse con i rivoli di sangue che ormai lo imbrattavano ovunque, poi tutto si fece nero e le acclamazioni si affievolirono fino a diventare un mormorio lontano, come di un torrente.

§

Siwald aprì gli occhi a fatica. Gli pareva di essere fatto di piombo, tanto che quasi si meravigliò che il letto militare fosse in grado di reggerlo.
Si guardò intorno e dopo un po' riconobbe l'infermeria. Nell'aria c'era odore di erbe medicinali, ma anche dell'olio che si usava per le cotte di maglia e di cuoio. Voltò la testa e si accorse di una sagoma immobile al suo fianco. D'istinto, con voce roca mormorò: “Mentore?”
Immediatamente la sagoma si animò e proprio il volto di Ehrenold comparve nel suo campo visivo. Il Luogotenente sembrava stanco ed era piuttosto pallido. Rughe verticali gli increspavano la fronte altrimenti liscia.
Siwald,” mormorò. Allungò cauto una mano, come per paura di fargli male, e gli sfiorò una guancia con le dita.
Egli sorrise appena a quel tocco, piegando la testa come per trattenere la mano che lo toccava.
Si guardarono negli occhi. “Siwald,” ripeté l'uomo. La sua voce vibrava di un'emozione che il ragazzo non vi aveva mai percepito. “I guaritori disperavano di salvarti.”
Abbiamo... vinto?” riuscì a sussurrare.
Tu hai vinto, Siwald. Hai salvato la Marca di Heiswegen.” Si piegò a baciarlo sulla fronte e poi sulle labbra. “Tu hai vinto,” ripeté.
Il ragazzo socchiuse gli occhi. “Se ho vinto,” rispose a fatica, “se ho combattuto è perché tu mi hai dato un motivo per farlo. Mi hai fatto capire che ero degno di farlo.”
Ehrenold annuì. Di nuovo gli accarezzò i capelli, quindi si alzò e disse: “Riposa ora, devi rimetterti in forze.”
Sarai qui quando mi sveglierò?”
Ehrenold sorrise. “Non vorrai che ti faccia da balia, soldato.”
Siwald riuscì a tirare fuori a sua volta un pallido sorriso. “So badare a me stesso.”
Razza di insolente,” rispose Ehrenold.
Mi sembrava che ti piacessero quelli di carattere.”
Riposa,” ripeté Ehrenold per tutta risposta, quindi se ne andò.
Siwald lo guardò allontanarsi. Chiuse gli occhi scivolando di nuovo nel torpore della debolezza, e mentre si abbandonava al sonno vide come in sogno un cavallo selvaggio galoppare via e due grandi lupi neri, forti e solenni, prendere il suo posto.






   
 
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