Nova avvicina il
cellulare all’orecchio e intanto smuove con la forchetta i
resti della colazione: uova strapazzate, pane tostato e bacon canadese.
Mette giù la posata. Ascolta i primi i squilli, butta giù un sorso di succo d’arancia e cerca
una posizione comoda sul divanetto. Il crepitio del cuscino si
smarrisce nel fitto ordito di suoni nel locale: il chiacchiericcio di
clienti, la musica di sottofondo, l’acciottolio di tazze e
piattini, gli sbuffi e i gorgoglii di una macchina per le bevande
calde.
«Nova?»
La voce all’altro capo del telefono appartiene a una donna.
È matura e leggermente nasale.
«Ciao, mamma.»
«Perché non hai risposto alle mie
telefonate?» esordisce la signora Roberts. «Mi hai
fatto preoccupare! È successo qualcosa?»
Nova capisce sempre, e lo capisce subito, quando sua madre non
è completamente in sé.
Un’abilità affinata negli anni. Questa mattina la
voce al telefono, per quanto piccata, è limpida e
presente.
«Scusa. Avrei voluto chiamarti prima ma il telefono ha avuto
dei problemi. E poi io sono stata un po' male, negli ultimi due
giorni.» Le dita di Nova tastano d’istinto il
colletto del pullover. È una spiegazione generica, non una
vera e propria bugia.
«Ti sei ammalata?»
«Roba passeggera.»
«Alla tua età devi imparare a riguardarti, te
l’ho sempre detto che non sei capace di
bad—»
«Tu come stai?»
«Bene, direi...»
«Bene.»
Una pausa. Un palpabile disagio si stiracchia da un capo
all’altro della chiamata. Nova ruota il dispenser della
maionese e lo allinea alla bottiglietta del ketchup.
«Come va con il lavoro?» riprende la signora
Roberts.
«Così e così. Sto pensando di iniziare
a proporre i miei articoli a un genere diverso di testate.»
«Il tuo vero lavoro» cinguetta sua madre.
Nova quasi si stupisce che abbia atteso un giro di convenevoli prima di
sganciare il primo dissimulato insulto.
«Fai ancora la cameriera per quel messicano?»
Trovando inutile specificare che Rodriguez è venezuelano di
quarta generazione, Nova si limita a borbottare un sì a
mezza bocca.
«Lo sai quanto non mi piace Detroit. Non mi è mai
piaciuta. Non è una città. È una
fogna.»
«Nessuno ti chiede di venirci ad abitare...»
«Se tornassi tu ad Ann Arbor sarebbe meglio. Per
tutti» continua sua madre, come se non l’avesse
sentita. «Puoi divertirti a scrivere anche da qui. E se ti
trasferissi da queste parti, potresti venirmi a trovare più
spesso. Ormai non vedo quasi mai nemmeno Dale, sai? Ma lo capisco...
è sposato, lui.» A dispetto del tono risentito
Nova può immaginarla abbozzare un sorrisetto compiaciuto.
«Volete proprio che mi riduca a passare le mie giornate a
chiacchierare con Sophia?»
Nova aggrotta la fronte. «Con chi?»
«Oh, non te l’ho detto... Ho dato via Oliver. Era
diventato troppo lento. Anche Sophia non è un ultimo
modello, ma l’ho presa a sconto e le hanno caricato un
software di assistenza per... mh, persone con le mie
difficoltà, ecco. L’ha suggerito la dottoressa
Trent.»
«Mi sembra una buona idea.»
«Già, però, insomma... Lo dice sempre
la dottoressa, durante gli incontri del gruppo, che il supporto dei
familiari è fondamentale.»
Nova non commenta. Sta spiando fuori dalla vetrina, in parte coperta
dalle lamelle di una tenda di plastica. Non nevica più.
Automobili, taxi e bus scorrono lungo la Terza Strada come un unico
infinito treno.
«A proposito...» riprende sua madre. «Liv
si sposa. Lo sapevi?»
«No.»
«Hanno fissato la data per la fine di aprile.»
«Bello.»
Nova si è appena ricordata del perché,
puntualmente, la prospettiva di conversare con sua madre le faccia
venir voglia di prendere a testate la prima superficie solida a
disposizione. La cara mammina trova sempre il modo di sventagliarle con
garbo sotto il naso la solita lista di capi d’accusa.
Lavorare come cameriera è uno spreco di tempo. Le sue
aspirazioni da reporter andavano buttate nella pattumiera prima ancora
di iniziare il college. La mancanza di un anello al dito,
all’età di ventisette anni, dovrebbe essere fonte
di un ragionevole mal di vivere. La decisione di abitare a Detroit
è di un egoismo ingiustificabile.
Di norma, a questo punto della conversazione, Nova sarebbe
già in lotta con il desiderio di far notare a sua madre che
nemmeno la sua esistenza è costellata di successi e scelte
azzeccate, nonostante l’impegno a spuntare, una per una, le
caselle della brava ragazza americana degli anni Dieci. Liceo, college,
sposina a venticinque anni, mompreneur a ventinove, divorziata con
problemi di alcolismo prima dei quarantacinque.
Di norma, sempre a questo punto della conversazione, Nova avrebbe
già dovuto soffocare la voglia di ricordarle che lei, dai
quindici ai venticinque anni, non ha fatto altro che toglierle la
bottiglia di mano, sorvegliarla perché non si avvelenasse
accidentalmente con gli antidepressivi, accompagnarla fuori e dentro
gli ospedali, da un gruppo di recupero all’altro, mentre
doveva starla a guardare fare un passo in avanti e dieci indietro. Il
tutto mentre doveva anche assicurarsi che Dale, il figliolo preferito,
non facesse qualche prevedibile cazzata da adolescente.
Ma oggi il rancore è anestetizzato. O almeno ridimensionato.
Il ciarlare di sua madre è piacevole, quasi. E
inaspettatamente rassicurante. Le sta chiedendo se tornerà
per il Giorno del Ringraziamento. Ci saranno Dale e Christina, e i
bambini, e la cugina Liv con Noah. Nova promette e lascia che sua madre
trascini la conversazione per altri due o tre minuti, prima di sentirsi
autorizzata a chiudere la telefonata con la scusa di un immaginario
impegno impellente.
Con sguardo imbambolato sulle venature sul display, Nova si rende conto
che di avere la vista annebbiata. Strofina la punta del naso, raddrizza
le spalle e inghiotte di prepotenza il nodo alla gola. Non si
è mai rifugiata nel piagnucolio per affrontare lo stress e
decide che non ha nessuna scusa per cambiare strategia questa
mattina.
Accede alla casella email. Seleziona il messaggio criptato. Ormai
è convinta di aver ricevuto una vera e propria soffiata ma
il problema è che chiunque, con una ricerca in rete,
può aver trovato il suo indirizzo di posta elettronica.
Prende in considerazione l’idea, lusinghiera, che
“l’Imperatore” confidasse in lei per
rendere pubblica la faccenda dei devianti del Gold Theater. Ma se
davvero era quello l’obiettivo, perché contattare
proprio lei? Non è una reporter famosa, ha lavorato solo per
riviste minori e l’unico articolo che abbia scritto riguardo
agli androidi non è mai stato pubblicato.
Che possa entrarci qualcosa l’aver aiutato Kara? Ma chi
può esserne a conoscenza? La notizia del suo fermo
dev’essere rimasta confinata negli uffici della Centrale.
Però, ricorda che i dettagli dell’omicidio di
Ortiz diffusi rete si sono rivelati veri, il che può
significare che la polizia di Detroit non è un asso
nell’evitare fughe di notizie.
Nova oscura il display, getta il telefono in borsa e torna a
contemplare la strada. C’è un palazzo rosso
dirimpetto al Cassidy’s; sul megaschermo, montato
all’altezza del secondo piano, scorre la familiare
pubblicità della Cyberlife.
‘Get yours today’
La Cyberlife adesso possiede un pezzettino di lei; a quel pensiero, la
colazione nello stomaco acquista la densità di un blocco di
cemento.
«Desidera altro?»
Nova si volta.
Una cameriera androide si è avvicinata al tavolo; bionda, bella e sorridente come una cheerleader pronta a
diventare Reginetta del ballo. I suoi cloni si muovono per il locale,
registrando ordini e servendo colazioni.
«Non adesso...»
L’androide simula un altro sorriso e si allontana. Nova non
può far a meno di notare che il LED sulla tempia sia dello
stesso glaciale azzurro del tubo al neon il soffitto.
Non fosse per gli androidi, il Cassidy’s sembrerebbe sputato
dagli anni di Ritorno al Futuro Parte prima. Pale sul soffitto,
pavimento a scacchi, divanetti color senape; un arcade di Star Wars
trilla e bippa da un angolo in compagnia di uno Street Fighter e di un
impianto stereo travestito da jukebox. Una suadente voce
maschile canta su una base tutta batteria e chitarra
synth:‘When you’re close to the edge, with a gun to
your head, you must find a way.’ [1]
Nova finisce il suo succo d’arancia, lo sguardo sul piatto
bianco cosparso di briciole unte.
‘Sparando al deviante, lo ha danneggiato in modo
irreversibile.’
L’ho
uccisa, ha pensato Nova, con il fischio
dell’esplosione nelle orecchie e l’energia degli
spari che le vibrava nelle ossa.
Lo pensa anche adesso, anche se si conforta con la
razionalità. La SR700 era pericolosa. Le avrebbe piantato un
proiettile nello stomaco senza esitazione. Avrebbe sparato ai
poliziotti. E a Connor.
Era pericolosa, sì.
Ed era viva.
Viva, come Kara.
«Temevo di non trovarla più qui.»
Nova sussulta.
«Connor!»
Lei non lo ha visto entrare. Ma lui è lì, accanto
al tavolo, braccia lungo i fianchi e il viso impegnato in una strana
espressione: le labbra serrate, un angolo della bocca poco più
su dell’altro. Sta tentando di sorridere.
Nova allunga lo sguardo fino
all’entrata del Cassidy’s. Anderson non si vede da
nessuna parte. Torna a fissare Connor.
«Sei da solo?»
«Sì.»
«Devi riportarmi alla Centrale?»
«No.»
«Allora che ci fai qui?»
«Per il suo invito» risponde Connor, senza
rinunciare totalmente al sorriso in stato embrionale.
Nova inarca un sopracciglio.
«Ti hanno lasciato venire?»
«Con l’ordine di non allontanarmi dalla Terza
Strada» aggiunge l’androide. «Nonostante
i fatti di questa notte, il tenente Anderson è convinto che
interagire con personalità differenti sia un valido metodo
per testare eventuali limiti nelle mie capacità di
adattamento.»
«Adattamento a cosa?»
«All’imprevedibilità dei comportamenti
umani.»
«Mmh, se lo dice lui...»
«Posso sedermi?»
«Certo...»
C’è qualcosa di vagamente comico, o forse
intrigante, nell’osservare Connor prendere posto sul
divanetto all’altro lato del tavolo. L'androide incrocia le braccia e
qualche grammo di postura ingessata scivola via dalle spalle rilassate;
nel complesso, però, sembra un bambino che ce la sta
mettendo tutta per imitare con nonchalance la posa di un uomo adulto.
Nova pianta un gomito sul tavolo e il mento sulle nocche.
«Che cosa fa un androide detective quando si prende una pausa
dal lavoro?»
Connor la fissa. «Io non prendo pause.»
«Lo immaginavo.» Nova abbassa la mano.
«Allora, parliamo di lavoro. Mi hai detto di essere un
prototipo. Ho fatto qualche ricerca. Si trovano pochissime informazioni
sul tuo modello, lo sai? Però ho dato un’occhiata
a quel caso di agosto, quello della bambina presa in ostaggio da un
androide domestico.» Lo sguardo di Nova va d'istinto alla
sigla identificativa sul petto di Connor. «Il negoziatore
sembrava un altro RK800.»
«Lo era.»
«Ma... non eri tu,
giusto? L’androide ha fatto da scudo alla bambina. I giornali
hanno scritto che è andato distrutto.»
«La memoria del mio predecessore è stata
recuperata e installata in un nuovo supporto.»
«Intendi un nuovo corpo? Questo...»
Nova stende l'indice verso il suo interlocutore.
«Corpo?»
«Sì.»
«E questa procedura è la norma?»
«Intende sapere se può essere replicato?»
Nova annuisce.
«In caso di danni gravi.»
«Quindi se il deviante del multisala ti avesse sparato, per
te non avrebbe fatto molta differenza» riflette Nova. Si
aspetta un’altra coincisa conferma da parte
dell’androide. Invece, deve accontentarsi di un prolungato
silenzio e un tremolio ambrato del LED.
«Signorina, mi scusi...»
Una massiccia donna è comparsa accanto al tavolo. Ha un
cartellino appuntato al blazer color senape e sta guardando Nova.
Lei la guarda a sua volta, vagamente presa in contropiede della
presenza di personale umano nel locale.
«È suo?»
«Prego?»
«L’androide. Appartiene a lei?»
«No...»
«Allora devi andartene.» La donna si rivolge a
Connor. «Non puoi stare qui. Non hai letto cosa
c’è scritto sulla porta?»
Nova non ha idea da dove zampilli l’improvviso fastidio ma,
lo avverte chiaramente, a centrifugare in mezzo al petto. Strappa la
borsa dal divanetto. «Va bene, va bene... ce ne
andiamo.»
/\ \/
Nova
cammina senza fretta, mani in tasca e la borsa che strofina contro il
fianco. Quando ha detto di voler passeggiare fino alla fermata del bus
su Howard Street, credeva che l’RK800 sarebbe tornato alla
Centrale, ma Connor deve aver interpretato le parole come un ordine a
scortarla. Le cammina accanto, il passo adeguato al suo, senza mai
sfiorare né lei né i passanti frettolosi.
Cumuli di neve sporca separano il marciapiede dal traffico della
carreggiata. Le vetrine dei negozi sono già vestite a festa.
Nell'aria freddissima, c’è chi fa jogging, chi va
a zonzo con tutta la calma del mondo, chi corre al lavoro; molti sono
seguiti dagli androidi: figure vestite di bianco, dallo sguardo assente
e i movimenti silenziosi.
«Quindi ti basta analizzare gli indizi rimasti su una scena
del crimine per ricostruire la dinamica?» sta dicendo Nova.
Sa che la balistica forense utilizza software del genere da almeno un
ventennio, ma il fatto che quella tecnologia stia passeggiando con lei
merita un momento di riflessione. Sorride, senza allegria.
«Mi sa che sei il primo androide che minaccia due categorie
contemporaneamente. I detective e i criminali.»
Superano due WR600 che stanno grattando via il ghiaccio dal marciapiede.
«Assisti qualcun altro alla Centrale, oltre al
tenente?»
«Non al momento.»
Nova morde una guarda. «Ti trattano bene?» chiede,
esitante.
Negli occhi castani dell'androide tremola una fumosa
perplessità... che sparisce con un battito di palpebra.
«Alcuni agenti tendono ad assumere un atteggiamento ostile in
mia presenza, ma la maggior sembra reagire in maniera tranquilla e
indifferente.»
Nova ride, un suono breve e sincero.
«Hai appena descritto i miei anni al liceo.»
Il LED di Connor sfarfalla; giallo, giallo e di nuovo azzurro.
Sono arrivati all'altezza di un attraversamento pedonale. Il semaforo
è rosso e i musi tondi delle automobili attendono davanti
alla luce verde delle strisce. In mezzo al gruppetto di pedoni, una
AX400 tiene per mano un bambino che non può avere
più di sei anni, zainetto in spalla e cappellino di lana
calcato sulla testa riccioluta.
Nova si è fermata, in attesa che il gruppetto si disperda
sul marciapiede.
«Avete notizia di Kara?»
La domanda le esce di bocca, anche se è consapevole di non
avere il diritto di chiedere.
«Non abbiamo ricevuto segnalazioni nelle ultime ventiquattro
ore.»
«Oh...» Nova non sa se essere sorpresa per come
Kara stia eludendo la polizia — Ammesso che non sia successo
qualcosa di peggio... — o per il fatto che
Connor le abbia risposto. «Immagino che non
c’è niente che io possa dire per convincervi a
lasciarla in pace» mormora. E riprende a camminare, per poi
fermarsi di nuovo, una decina di metri più avanti, dove il
marciapiede si allarga in una piazzola semicircolare. Al centro della
piazzola un sedile di cemento abbraccia una larga aiuola di gelsomino;
i fiori gialli spuntano da un tappeto di neve. Tutt’attorno i
passanti ciondolano da una vetrina all’altra di un negozio di
outlet.
Nova si siede sulla panca, mettendo in fuga un piccione. Accavalla le
gambe e infila le mani tra le ginocchia. Contempla la punta bianca
delle sue sneakers.
Connor rimane in piedi il tempo necessario per sistemare i polsini
della giacca, un gesto che lei gli ha già visto fare, e poi
questa volta senza chiedere il permesso, si accomoda sulla panca, a un
palmo di distanza da Nova; con le spalle basse, le mani abbandonate
sulle cosce e l'interfaccia visiva puntata sul lastricato grigio.
«Quando hai detto che il deviante ti ha mandato parzialmente
in corto circuito» riprende Nova,
«intendevi dire che qualcosa funzionava ancora?»
«Sì.»
«Il tuo audio?»
«È rimasto attivo.»
Nova sospira. «Quindi hai sentito cosa ha detto riguardo agli
umani. Avrà anche avuto i chip fusi, però in un
certo senso ha detto la verità.»
La fronte di Connor si aggrotta vistosamente.
«Quel deviante aveva subito danni molto gravi. Stava
delirando.»
Una coppia di mezz’età passa accanto
all’aiuola. Un androide, carico di buste, li segue
a ruota.
«Connor, hai idea del perché così tante
persone non sopportino gli androidi?»
«La diffidenza dell’uomo nei confronti delle
intelligenze artificiali è perfettamente normale.»
Il tono di Connor è più impersonale del solito,
come uno scolaro che recita a memoria una risposta. «Inoltre,
gli androidi sono responsabili dell’aumento di disoccupazione
nel Paese.»
«No» ribatte Nova, piano. «Non gli
androidi. Le persone alla Cyberlife. Sapeva l’impatto che
avrebbe avuto alla lunga sul lavoro. Ma non gli è mai
importato. Come non è mai importato al governo. E adesso la
gente comune può prendersela solo con gli androidi,
perché li ha a portata di mano. E perché chi vi
ha messo in circolazione è troppo ricco e potente per essere
toccato.»
Connor tace.
E Nova suppone che stia, in qualche misura, processando il suo discorso.
«Siamo circondati da oggetti tecnologici» insiste
lei, «ma sono gli androidi a prendersi insulti e
botte.»
Connor ancora non parla.
«Sai, io ho una teoria. Credo che parte del problema sia il
vostro aspetto. Somigliate così tanto a noi che a
maltrattarvi si prova la stessa soddisfazione che darebbe sopraffare un
altro essere umano.»
Il cipiglio sulla fronte di Connor, accarezzata dalla ciocca solitaria,
scompare. «Può essere un'idea corretta. Tuttavia,
non penso sia sufficiente a spiegare la natura di tutte le relazioni
tra androidi ed esseri umani.»
Nova osserva il profilo di Connor. La luce naturale del mattino rivela
ogni increspatura della pelle sintetica. Hanno davvero fatto un lavoro
estremamente realistico a Belle Isle.
«Lo sai che hai appena usato la parola pensare?»
Connor incrocia lo sguardo di Nova.
Lei sa che gli androidi devono analizzare continuamente i movimenti
facciali, per raccogliere i dati che permettono loro di sostenere una
conversazione, eppure per un attimo, come nell'ufficio di Fowler, ha la
sensazione che gli occhi di Connor stiano cercando più a
fondo del normale. Crede quasi che non sia colpa dell’aria
fredda, o dei lividi, se avverte un gran bruciore alle guance. Torna a
guardare la punta delle scarpe e si scrolla di dosso quella fantasia
indefinita e improbabile.
«Hai scoperto qualcosa sui devianti del Gold
Theater?»
«L’androide inattivo è un AL100 per la
sorveglianza. È scomparso due mesi fa dal Ford Field. La
SR700 è sparita tre settimane fa da un deposito della
Guardia Nazionale, vicino all’Autostrada 96. Era
lì in attesa di venir riparata.»
«Come ha perso il braccio?»
«Su questo non ho informazioni.»
«Per farle andare fuori di testa in quel modo,
dev’essere stato qualcosa di parecchio brutto.»
«Signorina Barton, posso farle una domanda?»
«Okay.»
«Perché si è introdotta
all’interno del Gold Theater da sola?»
«Perché, sorprendentemente, la mia rubrica non
strabocca di contatti disposti a infilarsi in un edificio fatiscente in
piena notte.»
«I contatti nella sua rubrica sembrano individui di buon
senso.»
Nova fissa Connor. Cos’era? Una battuta?
«Ehi, e tutta quella filippica dell'altro giorno, su quanto
io sia una persona razionale?»
«Per questo fatico a capire perché abbia preso una
decisione tanto imprudente.»
Nova si gratta un ginocchio. Prende tempo. Incespica nei suoi stessi
pensieri, ne raccapezza uno, sincero, e trovare il coraggio di esporlo,
come una ferita sul tavolo di un chirurgo.
«Prima di andartene dal mio appartamento, hai detto che
potevo essere rimasta traumatizzata
dall’aggressione.»
«E lei ha negato» le ricorda Connor.
«Può darsi che stessi mentendo. Ho sempre creduto
di essere una persona capace di badare a sé stessa. Insomma,
una che sa quello che fa. Che ha il controllo della situazione. Ma il
modo in cui quel teppista è riuscito a seguirmi fin dentro
il mio appartamento. Non mi sono accorta di niente, come una stupida. E
non sono stata in grado di difendermi. Quello è stato il
vero trauma.»
Il LED di Connor brilla. «Ha pensato che affrontare di nuovo
una situazione potenzialmente rischiosa potesse ricostruire
l’idea che aveva di sé stessa.» Non
è una domanda. È una diagnosi. «Se ne
fosse uscita illesa, avrebbe ritrovato fiducia.»
«Dio, non l’ho pensato» sospira Nova, con
un’occhiata al cielo. È di un bianco perlaceo e
fastidioso da guardare. «Ma... sì, suppongo che
inconsciamente... sotto sotto... le cose stessero
così.»
«Ma sapeva che avrebbe trovato dei devianti?»
«No, io—»
Lo sguardo di Nova crolla su Connor.
«Stai cercando di interrogarmi?»
Il silenzio dell’androide è accompagnato da un
aritmico pulsare del LED, che però non cambia colore.
Nova si risponde da sola. «Stai cercando di
interrogarmi.» Fastidio e delusione arrivano e se ne vanno.
Bruciano veloci come un fiammifero.
«Il tenente Anderson ha dei sospetti nei suoi confronti, ma
non vuole metterla sotto interrogatorio.»
«E nemmeno tu ti fidi di me?»
«Basandomi sui suoi comportamenti passati, deve riconoscere
che non posso darle completa fiducia.»
Nova scosta i capelli dietro le orecchie. Non dà torto a
Connor. E nemmeno al tenente Anderson. Ma rifiuta l’idea di
affidarsi alla polizia e finire estromessa dall’intera
faccenda.
«Non avevo idea che ci fossero degli androidi al Gold
Theater. Dico sul serio. Sono andata lì
perché ho ricevuto un messaggio anonimo. Un incontro, a
mezzanotte precisa, all’interno del vecchio multisala. Non
c’era altro nel messaggio.» Sostiene lo sguardo
attento di Connor. «Hai ragione, sì. Dopo quello
che è successo con Kara, e poi con la pistola
rubata, hai ragione a pensare che io voglia solo complicarvi il
lavoro...»
Umetta le labbra. Vorrebbe da morire stringere una mano
sull'avambraccio di lui.
Ma non si azzarda.
«Non è così. Questa storia del
messaggio anonimo è un mistero anche per me. Datemi un paio
di giorni. Troverò il mittente. E se ne viene fuori qualcosa
di utile per la polizia, vi dirò tutto.»
«Lasci che sia la polizia a indagare. Disponiamo di maggiori
risorse.»
«Non siete gli unici ad avere delle risorse.»
Il LED sfarfalla e Connor strizza le palpebre, come se fosse stato
colpito da una fitta di dolore.
«Devo tornare subito alla Centrale.»
«Che è successo?»
«Ho ricevuto un rapporto.»
Connor si alza in piedi.
«Ancora devianti?»
«Sì.»
«Non divertirti troppo senza di me.»
Ma l’androide non accenna a muoversi. Il LED è
fisso sul giallo. «Signorina Barton, Zenosyne non
è forse il nome della testata giornalistica per la quale ha
lavorato negli ultimi mesi?»
Nova annuisce.
«La redazione si trova sulla State Street.»
«Sì...»
«È la scena del crimine.»
«Che crimine?»
«Omicidio.»