Era
una notte davvero sfarzosa.
C'erano dei brillii e
dei riverberi di ogni colore che accendeva la candida luna su quel
dipinto nero che era la notte. La musica all'improvviso
riempì il vuoto di ogni angolo di strada, di ogni bottega
chiusa, di ogni pezzo di Venezia dove l'acqua non l'aveva ancora
toccata. Le maschere, che dapprima restavano sospese in fila, si
mossero al ritmo di quelle leggiadre note romantiche, un pò
azzardate, come azzardato era il loro comportamento. Nascoste sotto
quelle mentite spoglie, non potevi riconoscere chi ci fosse dietro
quelle maschere colorate, di piume, di glitter e di finta
sfarzosità e cosa aveva intenzione di fare. Indossare una
maschera porta tanti privilegi, ma fino a quando possono durare? La
realtà ti obbliga a portare una delle tue tante maschere e
di conseguenza reagisci, vivi, parli, ridi, piangi.
Quella sera Tom, invece
di inseguire le belle gonnelle alzate delle cortigiane a passeggio per
la piazza, si avvicinò ad una bettola poco illuminata.
Dentro ci abitava una pazza, quella che chiamavano strega, deviata,
Demone. Ma per Tom quella povera ragazza coperta di stracci era solo un
orfana incompresa, bellissima, con occhi di ghiaccio e lunghissimi
capelli neri. La ragazza finora aveva tirato avanti con la piccola
pensione del padre calzolaio, un pezzo di pane nascosto sotto il letto
e tanti gatti. Così tanti gatti che i Veneziani, nonostante
la passione che avevano per i felini, si tenevano ben lontani da loro,
credendo che la pazza della bettola li avesse posseduti o avvelenati.
Tom si arrampicò su per il tettuccio pericolante, facendo
attenzione ad ogni passo. Una volta trovato il buco che la ragazza
aveva fatto di proposito nel tetto, Tom si inginocchiò,
sperando di trovarvi la ragazza. In effetti, lei era proprio
lì. Per la prima volta dopo tanto tempo lei aveva il viso e
i piedi puliti, un candido vestito. I capelli erano anche corti, non vi
era più la scura zazzera che di solito si portava appresso.
Tom rimase sconcertato. Gli piaceva quella scia nera e adesso sembrava
più piccola e meno sciatta del solito. Decise di entrare
nella stanza, che si componeva di un solo letto, un vecchio camino,
tante scatole, una libreria piena di scarpe antiche e impolverate, un
lavamani scheggiato con lo specchio annerito dal tempo, un tappeto
consumato, i tanti rinomati gatti ammassati addormentati in una grande
cesta e la ragazza, raccolta in un angolo della stanza ad intrecciare
vecchie pagliuzze per farne delle scarpe.
"Uno, due, trecentomila
fili.
Quattro, cinque, sei e
quell'ultima dove va?
Sette otto nove, la
scarpa finita sarà
Dieci e ricomincia, i
fili di nuovo intrecciare dovrà."
La cantilena che la
ragazza aveva intonato era una vecchia litania dei calzolai veneziani e
Tom sorrise. Erano anni che non la si sentiva più cantare. E
la ragazza cantava benissimo.
"Ciao uomo mascherato."
Disse la ragazza, che si era accorta di Tom.
"Buonasera a te
Madonna. Cosa intrecci?"
"Nuove scarpe per
l'estate. Ho trovato un sacco di fili di paglia lungo il cammino, oggi."
Il suo tono era
tranquillo, sereno. Sorrideva più del solito. Tom ne era
affascinato.
"Vedo che sei felice."
"Lo sono
perchè mi hanno detto che dovrò esserlo, d'ora in
poi."
"Chi ha detto a te tale
novella?"
"Il tizio che si
è preso cura di me, ma solo questo pomeriggio. Ha provveduto
ai miei capelli e alle mie vesti.. Anche al mio viso, anche se ho
provveduto da sola a lavarmelo, così come i piedi. Odio
quando mi toccano il viso e i piedi."
"Posso domandarti chi
era questo gentiluomo?" La curiosità di Tom divenne
sospetto. A meno che non volesse la ragazza come schiava, era
impossibile che un totale sconosciuto si avvicinasse a lei.
"Mi ha dato anche un
nuovo nome sai?"
"Ma tu non l'avevi un
nome?"
La ragazza fece di no
con la testa. "Quando mia madre mi mise al mondo, si
dimenticò di me. Mio padre era troppo occupato per fissare
le suole alle scarpe, così durante la mia infanzia e
adolescenza non venivo chiamata affatto. Ero io a propormi alla gente,
ma tutti mi allontanavano comunque per il mio aspetto e per la mia...
Bhe lo sai no? Io sono la pazza della bettola."
"Ma adesso non lo sei
più."
Lei sospirò.
Si alzò dalla sua posizione rannicchiata e Tom fece lo
stesso. La seguì con lo sguardo mentre lei si avvicinava ad
un gatto blu che le arricciava la coda alla caviglia. La luna
illuminava la sua figura esile.
"Il mio nome
è Clarissa. Non sarò più la pazza
della bettola."
"Clarissa..." Un tonfo
al cuore, un battito in più, un emozione che si apre come
uno squarcio dentro al petto. Tom non si era mai sentito
così. Quel nome gli si era insinuato con tanta forza nelle
carni, che non voleva più farne a meno.
"Quell'uomo poi
è sparito. Non so chi fosse o cosa fosse. Magari era un
fantasma, chissà. E tu uomo mascherato che mi vieni in
visita ogni settimana, sei pure tu un fantasma? Ultimamente ho pensato
tanto a te..."
"Non sono un fantasma.
Il mio nome è Tom."
Si avvicinò
a lei con la stessa cadenza di un gatto.
"Tu sei davvero bello.
Come puoi voler una come me?"
"Ma tu ti sei mai vista
allo specchio?"
"Allo... Cosa?"
"Non sai cosa sia uno
specchio?"
Ammutolita dalla
vergogna, Clarissa fece cenno di no con la testa. Tom, preso dalla
tenerezza, condusse per mano la ragazza davanti allo specchio annerito.
Trovò uno straccio e lo pulì con un gesto. La
superfice si schiarì e Clarissa ne fu spaventata, gli
sembrava di aver visto un altro viso dall'altra parte di quello
specchio.
"Non temere, era solo
il mio riflesso."
"Riflesso?"
"La tua stessa
immagine. Lo specchio è una superfice che cattura il tuo
aspetto e ti ci puoi rimirare per guardarti al mattino, quando sei
dubbioso di te stesso e anche per altri scopi. Vieni, non sei curiosa
di vederti?"
"Vedermi... Come?"
"Una volta
lì davanti lo capirai."
Tom prese di nuovo per
mano Clarissa. Stavolta la sua presa era forte. Aveva timore di quello
specchio e di ciò che vi avrebbe trovato. Quindi prima vide
il viso di Tom e poi il suo. Rimase di sasso. Occhi bianchi come la
neve d'inverno, capelli scuri come la notte. Il viso era piccolo,
rotondo. La sua bocca era aperta per la sorpresa. Tese in avanti la
mano per toccare se stessa, ma la ritrasse, il freddo di quello
specchio sembrava lava che ribolliva dal profondo della Terra.
"Quella... Sono io?"
Tom si mise dietro di
lei, abbracciandola stretta.
"La cosa più
meravigliosa di questo mondo."
E mentre la festa delle
maschere impazzava, un nuovo amore nasceva.
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