IPLF 7
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Italia.
Invischiati per le feste
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7. Andreo e Giulietto
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Nicole
si alzò dal terreno, mirò un po' alla cieca quell'asta di
fronte a lei e poi tirò un calcio così potente che il
pallone finì verso la seconda stella a destra, addosso a una
sediolina degli spalti, rimbalzando sulla plastica con un rumore secco
che riecheggiò per tutto il campo.
C'erano
solo lei e la nebbia, ma si immaginò che la curva si alzasse ed
esultasse per il suo colpo facendo partire bombolette di fumo rosse e
cori animaleschi. Cosa che non sarebbe mai successa, perché con
tutte le volte in cui aveva provato, non era ancora riuscita a portare
a casa un punto oltre la maledetta asta.
E sì che Giulio Pizzi la faceva sembrare così facile.
"Lucich!"
Accidenti!
Balzò, recuperando il pallone sperduto e voltandosi con quello
stretto fra le braccia come se fosse un bambino che avrebbe dovuto
accudire.
Si
accorse che a parlare era stato suo padre, così si
rilassò quanto bastava per riconoscere il grado di parentela, ma
riprese rigidamente a riordinare gli oggetti sparsi in giro, per non
doversi sorbire un richiamo ufficiale alla santa sede del Vaticano.
"Scusa, stavo solo controllando che fosse gonfio."
L'uomo,
dapprima impettito e burrascoso, lasciò andare qualche punto di
camicia e si avvicinò alla figlia: "Hai eseguito malissimo,
Lucich. Rimettiti in posizione che rifacciamo come si deve."
"Papà..." sbuffò lei, mentre piegava casacche e raccoglieva ginocchiere pur di non dovergli dare retta.
"Lucich." ripeté lui, in tono autoritario.
Così
lei capì che avrebbe dovuto dargli retta. Antonio non l'avrebbe
lasciata in pace finché lei non avesse rifatto l'esercizio, ogni
supplica sarebbe stata inutile, e dato che ormai lo sapeva bene,
semplicemente si arrese agli ordini. Mollò la sua roba, si
piantonò sul cerchietto bianco e affrontò a muscolatura
molle la preparazione al calcio da tallonatore di touch.
"No,
non così." osservò suo padre, prendendola delicatamente
per le spalle e ruotandola verso sinistra di qualche grado. "Sei
mancina, te lo devi ricordare, Nicole."
Sbuffò.
La
ragazza pareva oltremodo scoraggiata: non avrebbe mai beccato il
canale, così, o avrebbe finito per far orbitare il pallone verso
Urano, come poco prima.
Antonio
si posizionò dietro di lei, corresse l'impostazione delle
spalle, della schiena e delle gambe, poi allungò un braccio a
pochissimi millimetri dal suo viso: "Vedi? È lì che devi
mirare, non in un punto a casaccio del cielo. Dosa la forza, pensa di
far passare la palla un po' sotto e vedrai che invece arriverà
giusta giusta a qualche centimetro sopra."
"Tanto non mi è mai venuto. Lo sai."
"Perché non ci credi abbastanza."
Quella
frase tumblr detta da niente meno che il coach Lucich, in un raro
quanto improbabile sprizzo di umanità, rimescolò lo
stomaco già abbastanza malandato di Nicole e la convinse a
riprovare. Così, girò la testa verso la traiettoria che
Antonio le aveva mostrato e prese un profondo respiro che le
riempì il polmoni di nuova adrenalina.
Caricò,
lasciò e il lato del suo piede accompagnò la palla ovale
in un perfetto arco che finì la sua corsa appena due centimetri
sopra il canale di fondo campo.
"Punto." decretò suo padre, e su entrambi i loro volti si disegnarono due identici sorrisi soddisfatti.
"Sei
veramente infallibile come dicono." insinuò Nicole, lusingata
dalla sua stessa performance, ma impegnata a non darlo a vedere.
"Certo, ma bisogna dire che è merito della propensione al successo firmata Lucich."
"Io sono un fallimento, papà."
"Ma sei bravissima a rugby."
Nicole
scosse la testa, finendo di riempire il carrello di palloni e poi
spingendolo verso il magazzino: anche se il custode era tornato dalle
Hawaii, ormai lei gli aveva soffiato il posto. Aveva veramente ricevuto
una punizione che partiva dall'1 gennaio 2019 e finiva l'1 gennaio 2020.
"Nicole,
ti vedo molto pensierosa in questi giorni." si lasciò sfuggire
il ferreo coach Lucich, rimanendo a distanza, ma incrociando le braccia
al petto con cipiglio... paterno?
Nicole
arrestò la sua corsa, tremendamente spaventata da quell'inizio
di dialogo praticamente mai avuto con suo padre in anni di ovvia
convivenza.
"Sono
solo presa tra compiti delle vacanze e il lavoro qui al campo. Sai
com'è, gli impegni di una liceale di quinta sono difficilmente
conciliabili con le punizioni da lagher polacco gentilmente ideate
dall'amorevole papà SS."
Antonio non si lasciò abbindolare e fece un sorrisetto: "Dovevi pensarci prima di mandare casa nostra al rogo, tesoro."
Non
era stata colpa sua. Lei l'aveva delimitata molto bene l'area fuochi
d'artificio, e poi erano sì e no una decina, tutti di piccola
taglia. L'incendio era divampato perché qualche stronzo dei suoi
invitati aveva lasciato una sigaretta intatta in mezzo al prato e
quella, accesa da una scintilla dei botti, aveva dato il via al grande
incendio di Roma del 64 d.C.
Ovviamente
aveva provato a spiegare al padre che si era trattato tutto di un
enorme incidente, ma le sue arringhe erano come aria al vento. Lei
aveva dato la festa alle loro spalle, lei avrebbe dovuto rispondere dei
danni della sua idea.
"E comunque, non è per la punizione che sei così." aggiunse Antonio, saggio.
"E
allora per cos'è?" lo provocò Nicole, allargando le
braccia, avvolte dallo spesso pile e dalla sciarpona regalata da Serena
che penzolava animatamente.
"Mi spiace, ma non sono tua madre. Non ci arrivo fino a lì, anche se so per certo che c'è qualcosa che non va."
Nicole
dissimulò, chiudendosi nelle spalle e spingendo il carrello
ancora più in là. Non avrebbe di certo detto a suo
papà che soffriva come un cane per aver perso la
verginità con Giulio Pizzi, che le piaceva da morire, ma che
contemporaneamente odiava con tutto il cuore, senza in realtà
ricordare nulla di tutto ciò.
"Scommetto che c'entra Pizzi, non è vero?"
Nicole si bloccò di nuovo, ma non si voltò.
"Anche
lui era strano dopo quella festa in cui l'hai invischiato. Cupo,
silenzioso. Ha iniziato a fare assenze agli allenamenti, cosa
assolutamente non da lui. Ora è dal cinque gennaio che non si
vede in giro; il sedici abbiamo la partita più importante della
nostra inesistente carriera e il mio miglior uomo è scomparso
nel nulla."
"Lo punirai?" s'informò istintivamente Nicole, le mani aggrappate con preoccupazione al freddo metallo del carrello.
"No."
rispose sinceramente Antonio. "Se non vuole più giocare,
è una sua scelta, e non posso farci niente. Ma la squadra ha
bisogno di un capitano... se Pizzi non si presenta alla partita,
darò ufficialmente il suo ruolo a Luca Ciambelli. E la
prenderemo ampiamente nel culo, dato che è una mezza sega, ma
è comunque una decisione di Giulio... in qualità di suo
allenatore, la rispetto."
Nicole guardò a terra.
Che
cacchio stava combinando quel deficiente di Giulio? Il rugby era la sua
vita! Quella partita era la sua vita! Si era allenato come un mulo, ci
aveva perso ore, giorni, anni! E adesso si lasciava scappare tutto
così? Tutto, compresa l'adorazione di suo padre che nemmeno lei
stessa, ufficiale discendente biologica, era mai riuscita ad ottenere?
Beh, al diavolo! si disse, duramente, la ferita nel petto che ancora bruciava furiosa per la festa di dieci giorni prima.
Se
il principino voleva fare il prezioso e mandare all'aria tutti i suoi
sforzi, non era di certo un problema suo. Anzi, che si beccasse pure
l'espulsione dalla squadra, se la meritava tutta! Luca sarebbe stato un
capitano da rodare, certo, ma avrebbe lo stesso fatto la sua porca
figura con le scarpe fosforescenti e la fascetta nera fra i capelli.
Che
poi, non prendiamoci in giro, Nicole era certa che quella fosse solo
una sua tattica da nobilotto per farsi attendere e desiderare ancora di
più. Si sarebbe palesato il giorno stesso della partita,
degnando tutti della sua immagine da Cristo risorto venuto in salvezza
dei mortali, per lasciare Luca a bocca asciutta con le sue illusioni
nel taschino, suo padre tronfio e traboccante di rinnovata speranza e
lo stadio intero frastornato d'idillio verso la sua compassionevole
figura. Sì, era sicura che avrebbe fatto così, non c'era
altra prassi per Giulio, il dio rubacuori e verginità, Pizzi.
"Se
hai bisogno di parlare, Nicole..." fece Antonio, rivelandole per un
secondo, solo un secondo, il papà che si nascondeva dietro
all'allenatore. "Io sono qui, ok?"
Nicole
fissò gli occhi di suo padre, molto simili ai suoi, e si
lasciò sorprendere e intenerire. Poi, solo perché era
fatta della stessa pasta, gli diede le spalle, tornando al lavoro:
"Grazie per la dritta sul calcio da tallonatore. Ci vediamo a casa."
E sparì all'interno degli spogliatoi.
*
Andrea aveva sviluppato due fisse, da dieci giorni.
La
prima era quella per lo schermo del suo cellulare. Da quando si era
scambiato il numero con Serena, appunto duecentodiciannove ore virgola
tredici minuti prima, non aveva fatto altro che fissarlo in attesa di
un segno di vita di lei. Una chiamata, un messaggio, un poke...
qualsiasi cosa, che non era ancora arrivata nonostante i controlli
maniacali sulla sim, la batteria e persino la linea ADSL di casa, che
aveva fatto cambiare con la fibra, giusto per precauzione.
Ma
il conto ore aumentava sempre di più e Andrea non riceveva
notizie dall'aldilà. Aveva cominciato a pensare che quella di
Serena fosse stata una grassa presa in giro o il secondo monumentale
tributo alla sua sfiga (magari era in atto un incidente mortale in cui
la giovane era stata a sua insaputa coinvolta). Avrebbe anche potuto
scriverle lui, dato che si era premurato di salvare il suo numero dopo
lo squillo, ma gli era sembrato che Serena fosse stata molto chiara
sulla questione fidanzamento. Lei stava ancora con Sandro e Andrea non
si sarebbe messo in mezzo.
Sere
non lo voleva e lui nemmeno, perché aveva sempre cercato di
rispettare i valori insegnati da mamma. Se Serena aveva piacere di
sentirlo, sarebbe stata unicamente una sua scelta. E tutto ciò
gli aveva fatto sviluppare un tic ossessivo-compulsivo secondo il quale
controllava il suo schermo a secondi alterni: uno sì, uno no,
uno sì, uno no...
Nei
secondi no, Andrea si occupava della sua seconda fissazione: la porta
della camera di Giulio. La porta della camera di Giulio si era aperta
con frequenza sempre più bassa negli ultimi dieci giorni, fino a
rimanere ufficialmente sigillata da quarantotto ore virgola sei minuti
a quella parte.
Andrea,
dalla sua posizione stravaccata sul letto singolo della sua stanza anni
Novanta, poteva comodamente rimanere a fissare il legno inospitale di
fronte. Giulio si era convertito a vecchio dell'Alpe subito dopo quella
nefasta e a dir poco focosa serata a cui lui stesso l'aveva invitato.
Aveva testimoniato con i propri occhi allo schiaffo pubblico di Nicole
e successivamente alle ripercussioni che quello morale stava ancora
avendo. Ma il fratellino sembrava irraggiungibile: tutte le volte in
cui mamma Roberta e lui avevano provato a parlargli, lui si era
rintanato nell'antro, chiudendo i battenti a doppia mandata e foderando
la fessura della porta, giusto perché non gli si potessero
mandare messaggi subliminali da lì sotto.
Non che Andrea ci avesse provato.
Quindi
sì, Andrea Pizzi passava i suoi giorni così: stravaccato
sul letto, non curante della biancheria da piegare e i curriculum da
inviare, controllando un secondo la porta chiusa di Giulio e un secondo
lo schermo spento del suo cellulare.
A un certo punto, la porta di Giulio si aprì e contemporaneamente lo schermo si illuminò.
"Puttana!" esclamò il ragazzo, nella mistica consapevolezza di essere davvero irrimediabilmente sfigato.
Per
un breve istante meditò se scegliere o lanciarsi direttamente
dalla finestra, ma alla fine scelse di non scegliere, non lanciarsi, e
cercare di prendere tutte e due le occasioni al volo.
"Ciao!" esclamò, correndo verso Giulio che usciva in corridoio e portandosi il ricevitore all'orecchio.
"Ciao, Andrea!" ricambiò festosamente Serena, dal telefono. "Ti disturbo?"
"Hai
qualche problema mentale?" rispose, invece, Giulio, accogliendo
negativamente il suo marcamento del tutto incurante delle famose
distanze interpersonali.
"No." fece il biondo, sorridendo da psicopatico. "Nessun disturbo."
"Ah, non si direbbe." buttò lì suo fratello, levandosi dal suo campo visivo, per sparire in bagno.
"Ok, perché speravo proprio di trovarti, dato che non mi sono ancora fatta sentire." giustificò Serena.
"Ehm...
come stai?" chiese Andrea, affacciandosi alla porta del bagno mentre
Giulio faceva pipì e sperando che Serena non si accorgesse che
stava parlando contemporaneamente con due persone.
"Dileguati, maniaco." berciò Giulio, coprendosi il pube con una mano e facendogli il medio con l'altra.
"Bene, grazie, e tu?" ricambiò Serena.
"Ehm...
secondo me potrebbe andare molto meglio di così, ma sai,
continuando a non sfogare i problemi con nessuno, si rischia di
rimanere chiusi nel proprio mondo fino a inabissarsi e perdere la
cognizione di sé."
"Quali problemi?" chiesero Serena e Giulio contemporaneamente.
"Che cazzo stai dicendo?" aggiunse poi, quest'ultimo.
Andrea proclamò un postulato polivalente: "Per me c'è bisogno di uscire."
"Infatti.
Quella è la porta e questo è uno che vorrebbe solamente
pisciare in pace senza che suo fratello mentalmente disturbato gli
fissi il pisello." Giulio indicò ripetutamente l'uscita, sempre
cercando di non far mostra delle sue grazie ad Andrea.
"Vuoi uscire?" gorgogliò Serena, divertita.
"No." rispose a Giulio. "Cioè, sì." ritrattò con Serena.
"Ma
ti sei fatto in vena, per caso?" suo fratello si lavò le mani e
poi, finalmente, si avviò di nuovo verso camera sua, luogo in
cui non sarebbe stato spiato da nessun famigliare incestuoso.
"Aspetta!" lo fermò Andrea, e anche Serena rimase in attesa, interdetta, dall'altra parte della cornetta.
Giulio si voltò con impazienza e sguardo omicida.
"Perché
non vuoi parlare con me e dirmi che ti sta succedendo?" Andrea
osservò con fare premuroso i lineamenti stanchi del suo
consanguineo. Era sempre stato il vero grande di casa: Andrea odiava
quando non gli lasciava fare il fratello maggiore nemmeno in situazioni
che lo richiedevano.
"Ma io sto parlando con te, e chiamavo proprio per spiegarti che cosa mi sta succedendo." si difese, intanto, la confusa Serena.
Già...
peccato per Serena, ma Andrea aveva deciso che avrebbe tentato di
salvare quel moccioso prima che rischiasse di fare la sua stessa fine:
"Perché non vai più agli allenamenti? Perché ti
richiudi in camera? Che cosa è successo con Nicole Lucich a
quella festa di Capodanno?"
"Niente
che ti riguardi." per tutta risposta, Giulio gli diede una spinta
all'indietro premendo solo un paio di dita sulla sua fronte, poi
rientrò in camera sbattendo la porta.
Il Pizzi maggiore rilasciò un lamento esasperato che parve più che altro l'ululato di un cane.
"Guai
in paradiso, Andrea?" dell'altra parte della cornetta giunse un tono
comprensivo, quasi materno, che gli ricordò che, quanto meno, il
suo doppio esperimento era appena finito male solo per metà.
Sperò
di salvare la telefonata con Serena: "Sì." ammise sconfitto.
"Mio fratello è diventato un ectoplasma e non so come
rianimarlo, ma questo è un discorso a parte. In realtà,
io sto bene, sono contento che tu mi abbia chiamato. Molto, molto
contento, per la precisione. Te?"
"Io... cosa?" rise Serena, suonando ancora più melodiosa che dal vivo. "In realtà, ho chiamato anche per questo."
"Questo
cosa?" si concentrò il ragazzo, fluttuando in camera sua per la
felicità, ma allo stesso tempo piombando pesantemente sul letto
con insoddisfazione. Serena l'aveva finalmente contattato! Ma Giulio
stava male... aveva qualcosa che non andava...
"Per
tuo fratello." spiegò lei. "Vedi, ho lasciato correre un po' di
giorni perché ho dovuto occuparmi di faccende fondamentali, ma
adesso credo sia ora che ci facciamo carico della situazione
Pizzi-Lucich."
"Facciamo?" Andrea si era illuminato a quel plurale.
Serena rise: "Senti, hai da fare oggi pomeriggio?"
"Oggi?"
ripeté Andrea, voltandosi verso l'Empire State di vestiti e
bozze di curriculum. "No, affatto. Vuoi che faccia un salto da te? Ma
devi dirmi dove andare; via Monte Grappa o via Palladini?"
"Molto
scaltro, Andrea." si complimentò la ragazza, senza aggiungere
altro. "Senti, hai presente la strada lunga prima delle due rotonde e
il palazzo di cristallo?"
"Intendi quella dove ci siamo incontrati quest'estate grazie al mio pollice sexy?"
"Sì,
esattamente quel punto." confermò. "Non so se lo sai, ma in
inverno ci piazzano un chiosco di piade romagnole, pensavo di fare
merenda insieme e approfittarne per fare due parole."
Piade a merenda? Basta, Andrea aveva trovato la sua anima gemella.
"Ma certo, micio miao! Ci troviamo lì davanti alle cinque?"
Serena espresse disaccordo: "Veramente, pensavo che sarebbe meglio se ti venissi a prendere io."
"Ok. Ti ricordi il mio indirizzo?"
"P. Sherman, 42, Wallabe Way, Sidney?"
Ti amo. avrebbe voluto rispondere Andrea.
"Sì, proprio quello. Ci vediamo alle quattro!"
"Avevi detto cinque."
"Ho già un buco nello stomaco."
Precisamente, quello che gli avevano creato le farfalle con tutti i loro innamorati sfarfallii.
*
BREAK
Siiii,
i break sono tornati! Chi mi conosce sa che sono una mia fissa,
però no, in realtà non sono tornati, perché alla
fine i capitoli di questa storia non sono così lunghi da
necessitare dei break. Tuttavia stavolta ho per voi qualcosa che doveva
assolutamente far parte della storia. Il disegno infatti è della
nostra grafica Angelica e vi rivela finalmente i volti delle due
donzelle nelle loro tenute casual <3
*
Era
stato un appuntamento molto meno romantico di quel che avrebbe voluto,
pensò Serena parcheggiando in garage e sfilando le chiavi dal
cruscotto. Non si erano baciati, non si erano toccati, non si erano
nemmeno solamente sfiorati.
Ma
era giusto così, dopotutto. Serena aveva fatto in modo che fosse
un momento amichevole, tranquillo, un po' perché era appena
uscita dalla sua unica, eterna relazione amorosa (come aveva lietamente
annunciato ad Andrea) e un po' perché non voleva sbagliare.
Aveva cercato di conoscerlo un po' meglio, prima di fare passi falsi, e
la diagnosi alla fine di quella giornata era che: sì, Andrea
Pizzi era veramente il ragazzo perfetto e sì, valeva la pena di
ributtarsi a capofitto in una cosa folle come una storia appena dopo
una storia, con annessi tutti i rischi del caso. Solo... non quel
giorno.
Ah,
lui la faceva proprio impazzire, doveva ammetterlo! Non avevano fatto
altro che conversare per tutto il pomeriggio con una piada bollente tra
le mani e solo così, già si era sognata matrimonio, cani,
figli, mutuo e pensione assieme a lui. Era simpatico, era coinvolgente
nella sua spiccata follia ed era pure bello da morire. Serena, che non
aveva nessuna di quelle qualità, si chiedeva come potesse essere
talmente interessato a lei da guardarla con occhi sognanti per tutto il
tempo, e contemporaneamente, però, non fare nessuna mossa
furbetta. Andrea la rispettava profondamente, e lei l'aveva percepito
in ogni singolo atteggiamento che aveva osservato, con i suoi stessi
occhi sognanti, quel pomeriggio.
Le
sembrava quasi una fantasia. Non vedeva l'ora di incontrare di nuovo
Andrea, lasciarsi andare alle nuove convinzioni e dargli finalmente
quel bacio che aveva agognato per tutta l'estate, l'autunno e
l'inverno. Ma prima avevano una missione da compiere.
Mi raccomando, Andrea. gli scrisse, digitando il messaggio con dita tremanti dall'euforia. Non lasciarti sfuggire nessun dettaglio del piano.
E lui rispose: Nessuno, oh mia eroina. 🤞 Non rischierei di rovinare l'unica chance di far tornare
sul trono il principino di casa. Siamo tutti troppo smorti senza di lui
che passa per la sala offendendo i programmi di Real Time che mi guardo
con la mamma.
Logorroico e imbarazzante anche nei messaggi, Serena doveva aspettarselo.
Sei stato bene comunque, oggi? inviò,
tutta agitata, non scendendo nemmeno dalla Punto in un atto di
improvvisata scaramanzia. Insomma, quella era l'auto dell'autostop! Se
non portava fortuna lei...
Starò bene solo quando mi lascerai finalmente baciarti, micio miao.😎 replicò
lui, facendola trasecolare a ridosso del volante, tanto che le
partì per sbaglio il clacson, che fece abbaiare i suoi cani e
spaventare i suoi genitori.
Che casino che c'era... in tutta la casa e specialmente nel suo cuore.
...il tuo Walter può attendere ancora fino alla partita del 16? gli domandò, imbarazzata, ma anche molto, molto eccitata.
Andrea mandò la gif di un pollice che sbandierava un autostop: Attenderebbe anche anni lungo una tangenziale, finché a raccattarlo non si fermasse una Punto blu con su sopra la tua targa. 👍
Ti amo! digitò
istintivamente Serena, sentendo il battito cardiaco persino nelle
orecchie, ma poi si ravvide e cancellò la frase in blocco,
rimediando con un più contenuto e sfiduciato: Pensa bene alle tue scelte, forse meriti di più...
Andrea
ci mise un po' a rispondere, ma mentre lei era salita in cucina e si
era messa ad asciugare ansiosamente il ripiano, il messaggio
arrivò illuminando il suo schermo: Usi
sempre questa frase completamente a sproposito, Serena. Ci vediamo alla
partita. Brinderemo alla nostra vittoria prendendoci quello che
entrambi abbiamo sempre meritato 💋🥂
Aggiunse
la gif di lui che alzava il calice nella sua direzione alla festa di
Nicole e lei non ebbe alcun nessunissimo dubbio sul fatto che lasciare
Sandro fosse stata la scelta più giusta e opportuna di tutta la
sua vita.
*
Erano
le dodici del sedici gennaio e Giulio non si spiego perché
qualcuno aveva appena lanciato un sasso contro la sua finestra, creando
un bel buco al centro del vetro, sotto la piena luce del sole.
"Andrea, ma che cazzo fai?" urlò al fratello, fuori sulla strada, a pochi metri sotto di lui.
Andre nascose la mano dietro la schiena: "Cazzo."
"Mi hai rotto la finestra!" abbaiò, sconvolto. "Hai bucato il vetro!"
"Scusa,
non pensavo di avere così tanta forza. Ad hockey non ci
insegnano a dosare il lanci di mano." si giustificò Andrea,
mimando un tiro della palla ovale alla Giulio Pizzi e poi la sua
mossetta vincente a mazza bassa dell'hockey, per illustrare
ulteriormente al fratello la differenza tra le due discipline. Come se
fosse una giustificazione anche solo pertinente.
"Ora
te la vedi tu con papà!" si irritò Giulio, allergico alle
seccature. "Sentiamo cosa ne pensa lui dei tuoi metodi da serenata in
pieno giorno, contrapposta al classico, razionale bussare alla porta,
come persone normali."
"Mi avresti risposto, se avessi bussato?"
Giulio si mise sulla difensiva: "Che cosa vuoi?"
"Mamma ci ha lasciato la Cinquecento. Vestiti che usciamo a pranzo."
"Non ho fame."
"Giulio
non farmi lapidare la finestra, ok?" minacciò Andrea con un
altro paio di sassi nella mano. "Mi hai fatto promettere di
ricominciare ad avere contatti con il mondo esterno, quindi adesso
muovi il culo e mi accompagni a pranzo, perché non ho la minima
intenzione di sembrare lo sfigato single che mangia da solo in un
angolino!"
"Single?"
si corrucciò per un attimo Giulio, attirato dal discorso. "Non
sono giorni che ti senti con Serena? Non le hai ancora chiesto di
sposarti?"
Andrea
fece un sorriso beffardo: "Anche se fosse, non ti parlerei di questi
argomenti sensibili urlando romanticamente al tuo balcone, Giulietto."
Giulio roteò gli occhi alla - doveva ammetterlo - simpatia del fratello.
"Allora, scendi o no, Capuleti?"
Il
biondino guardò l'orario: la partita del secolo sarebbe iniziata
tra nemmeno un'ora, i compagni di squadra si stavano sicuramente
già riscaldando, per cui... no, era definitivamente troppo in
ritardo per i ripensamenti e i sensi di colpa dell'ultimo secondo.
Ovviamente stava morendo dentro per quella partita, ma non ci sarebbe
andato, punto. Non sarebbe mai più andato a nemmeno un
allenamento di rugby con la sua squadra.
Molto meglio un pranzo con quell'esaltato lanciasassi di Andrea.
"Arrivo,
Andreo Montecchi." gli rispose dunque, felice che almeno, grazie a
quella distrazione, non avrebbe passato le successive tre ore a
rovinarsi il fegato e lambiccarsi il cervello nell'ansia della partita.
Scese
al piano di sotto e poi in strada, con un abbigliamento molto casual e
la zazzera spettinata che lo faceva sembrare super figo nonostante
fosse recluso in casa da metà mese: "Dove andiamo?"
domandò sentendo lo stomaco brontolare.
"Oh,
Serena mi ha fatto scoprire un fantastico chiosco di piade sulla strada
lunga delle due rotatorie." informò circumnavigando la macchina.
"Guido
io?" si offrì Giulio, sapendo che suo fratello era un tipo molto
più da bici, per questioni ecologiche e anche di effettiva
incapacità a vivere. Già su due ruote era un macello,
figuriamoci su quattro.
"No,
no!" lo stupì Andrea, saltando allegramente sul posto del
conducente, come se non stesse per mettersi alla guida di una falce a
motore per pedoni. "Ti ci porto io, oggi sono in vena."
Certo, era in gran vena di inganni, ma questo ovviamente non lo fece presente.
*
Erano
le dodici e mezzo e Nicole era in super ritardo. Non trovava le chiavi
di casa, della macchina, del magazzino, di nulla, come al solito sempre
nei momenti migliori!
Con
quegli stupidi lavori per ristrutturare la villa, tutte le sue cose
venivano quotidianamente spostate senza una logica e se lei non fosse
arrivata allo stadio in tempo, con tutte le divise previamente
recuperate al magazzino, suo padre le avrebbe dato un'altra più
che logica punizione.
"Sandro, hai visto le mie chiavi?" gridò alla tromba delle scale.
"No!" rispose il fratello. "Ma ieri avevano appeso le mie al collo del cigno di ceramica in entrata!"
Nicole sbuffò: i suoi erano proprio fissati con le ceramiche.
Grazie
proprio alla sua amorevole famiglia ceramofita, si trovava impegnata
pure quel giorno a scontare le sue pene, e anche più gravemente
del solito. La gran partita sarebbe cominciata in meno di un'ora e a
lei spettava il compito di portare il corredo da campioni ai ragazzi e
rimanere accanto a suo padre, con la scusa di doverlo aiutare coi
cambi, ma in realtà per reggerlo quando sarebbe ceduto in preda
allo sconforto della sconfitta.
Era
sicuro che avrebbero perso. Gli ultimi allenamenti erano andati uno
schifo; Angelico si era fatto male a una caviglia, Luca non riusciva
né a tenere i ragazzi, né a calciare dignitosamente, la
squadra aveva pure litigato un paio di volte. Era incredibile come in
una decina di giorni senza Giulio, il lavoro di un anno si fosse
letteralmente sfaldato.
Nicole
era davvero preoccupata per suo padre e ancora di più,
segretamente, per la fine che aveva fatto Pizzi. Non era più
così sicura che si sarebbe palesato in medias res a mo' di Cristo redentore.
Comunque,
aveva trovato le chiavi appese al maledetto cigno. Quindi montò
sull'Audi A4 che il padre le aveva miracolosamente prestato,
uscì dal vialetto stendendo lo gnometto ormai mutilato e diede
gas verso il magazzino del campo da rugby, per prelevare la merce.
Sandro, a quel punto, prese il telefono e scrisse a Serena come concordato: Partita.
La
collaborazione di Sandro era stata un'idea di Andrea. Serviva qualcuno
che garantisse la salvaguardia della parte B del piano e così si
era pensato di coinvolgere il birillone con i capelli da Swiffer.
Costui, proprio negli ultimi giorni, si era fatto qualche esametto di
coscienza e aveva preferito tornare a stare dai genitori cattivi che
rimanere in quell'appartamento allo stesso tempo vuoto e pieno di
malinconia.
Con
Serena stavano davvero cercando di mantenere buoni rapporti e lui
sembrava aver imparato qualcosa dalla lezione. Anche se, ormai si
sapeva, se lo sarebbe dimenticato alla prima bella mora di passaggio...
perché Sandro era sempre Sandro, purtroppo.
Il
telefono di Nicole ruggì svariate volte mentre finiva di
caricare le tonnellate di divise, ginocchiere, dentiere e che
più ne ha più ne metta sull'Audi.
"Pronto?"
rispose, affannata, rimontando in macchina e accorgendosi con
sottofondo musicale funebre che la partita sarebbe iniziata in soli
venti minuti.
Temeva
di sentirsi trapanare il cervello dal grido di battaglia di Antonio,
invece ciò che arrivò flebilmente fu la vocina tenue di
Serena: "Nicole? Ti disturbo?"
"Serena! Ma no, stavo giusto andando allo stadio per la partita di papà. Tutto bene?"
"No..."
soffiò questa, subdola. "Purtroppo no, Nicole. Odio disturbarti,
davvero, ma sono appena rimasta a piedi con la macchina lungo la strada
e avrei un disperato bisogno di qualcuno che mi desse un passaggio."
Oh, quella voce le stringeva ogni volta il cuore!
"Ma
certo, Sere, passo io. Ti raccatto e ti porto alla partita con me, ci
stai?" propose, guardando di nuovo l'orologio e dicendosi che se avesse
sempre mantenuto la velocità di costante di centotrenta
chilometri orari, ce l'avrebbe fatta. "Dimmi dove ti trovi."
In
fondo, non le importava del ritardo. Non poteva certo lasciare Serena
lungo la carreggiata, sola e infreddolita... persino suo padre
l'avrebbe capita e sostenuta in quella scelta. E poi, al massimo
avrebbero ritardato di un po' il fischio iniziale; era sicura che
nessuno ci tenesse a veder scendere in campo i giocatori nudi.
Per un attimo, pensò a Luca Ciambelli e ritrattò.
"Sono sulla strada lunga delle due rotatorie."
"Ok."
"Mi sono fermata davanti al chioschetto delle piade, hai presente?"
"Sì sì, arrivo subito!"
"Grazie,
Nicole, sei davvero un tesoro!" Serena chiuse la telefonata con un
sorriso diabolico e poi, mentre si alzava dagli spalti per avvisare
Antonio Lucich che le divise sarebbero arrivate leggermente in ritardo,
scrisse ad Andrea il messaggio concordato: Partita.
E lui seppe benissimo cosa fare.
*
Quando
la Cinquecento inchiodò sul ciglio della strada, Giulio si
tastò il corpo e si chiese se fosse maleducato gettarsi fuori
baciando l'asfalto con riconoscenza.
"Arrivati!" chiocciò Andrea, leccandosi i baffi alla vista del chioschetto. "Ops, scusa un secondo, mi chiamano."
Non
era vero, ma Andrea si portò comunque il telefono all'orecchio e
fece finta di parlare con un qualche direttore d'azienda che aveva
letto il suo curriculum - magari! dato
che ne aveva spediti in lungo e in largo negli ultimi giorni con scarsi
risultati. Giulio rimase per un po' ad ascoltare spazientito, poi i
pensieri fluttuarono su altro e passò qualche minuto, prima che
Andrea lo riscuotesse con un pugno sul braccio.
"Penso
ci vorrà un po', questo vuole farmi un colloquio telefonico e
non posso proprio rimandare." sussurrò al fratello, coprendo il
ricevitore. "Ti spiace scendere a comprare le piadine?"
"No,
certo che no, basta che questa non sia la solita scusa per non pagare
la tua parte, brutto tirchio squattrinato." lo apostrofò
gentilmente Giulio.
Il biondino afferrò il portafogli e uscì all'aria aperta, prendendone un sospiro intriso di fritto e rimpianti.
"Porchetta
e cipolla per me." lo istruì Andrea, abbassando il finestrino e
continuando a fingere di star interrompendo il suo colloquio telefonico
per amor del cibo. "Con qualche peperone, se ce l'hanno, e ketchup e
maionese. E i cetrioli."
"Ci vuoi anche diabete, colesterolo alto e ipertensione, se ce li hanno?"
"No, ma va bene la senape." annuì Andrea, prima di tornare a discutere animatamente per telefono.
Giulio
scosse la testa e si diresse al bancone. Di fila ce n'era praticamente
zero, ma ci mise un po' per elencare tutti gli ingredienti della piada
di Andrea e nel frattempo, aveva udito uno strano cigolio di frizione
pressata a caso alle sue spalle. Tipica delle partenze suicide di
Andrea e della loro rottamata Cinquecento.
Si
girò, proprio mentre il piadinaio gli sbatteva sotto il naso
quell'agglomerato di calorie che aveva ordinato, e vide la Cinquecento
partire in quarta, strisciando le gomme sull'asfalto e fiondandosi a
velocità sostenuta verso l'infinito e oltre.
"Ehi!"
esclamò lasciando la piadina sospesa nell'aria e correndo verso
il ciglio della strada. "Ehi, Andrea!" gridò al gelo
dell'inverno. "Dove cazzo stai andando?"
Ma
la targa della Cinquecento già non si distingueva più,
mentre la zazzera bionda di Andrea era appena sparita al primo
incrocio.
"Coglione!"
gridò Giulio, contento anche solo di far sapere al pulviscolo
atmosferico quel che pensava di suo fratello. "Si può sapere che
cazzo ha quel coglione nel cervello!?"
"Oh,
le tue piade." ringhiò il piadinaio, uscito dalla baracca solo
per dare a Cesare quel che era di Cesare (in questo caso Giulio Cesare)
e prendersi i guadagnati dieci euro. Giulio gli strappò dalle
mani quelle ormai raffreddate prelibatezze e ricambiò con la
grana, poi restò impalato a fissare la strada, chiedendosi cosa
fosse andato storto quel giorno del parto di Andrea e perché sua
madre non l'avesse semplicemente venduto a un'asta di rottamazione per
bambini usciti male prendendosi in cambio un fratello normale.
E
mentre il miscuglio di ketchup, maionese e senape iniziava a colargli
sulla mano, i fanali di un Audi A4 si piantarono su di lui, per poi
frenargli bruscamente a due centimetri di distanza, nell'indecisione se
farlo secco o fermarsi per lo stupore.
***
ANGOLO AUTRICE
Sembra
impossibile, eppure siamo praticamente alla fine. Il prossimo
sarà l'ultimo capitolo e io sono davvero soddisfatta. Ho scritto
questa storia in modo molto spontaneo e, vorrei dire, anche veloce per
i miei standard XD
Certo,
non è la stessa cosa di scrivere e pubblicare un capitolo alla
volta, con tanto di attese apocalittiche, quello... quello è un
modo doloroso, ma più coinvolgente di vivere la pubblicazione di
una storia, ve lo garantisco, però sono contenta lo stesso.
In
poco tempo, mi sono affezionata molto a questi personaggi, specialmente
a Giulio e Andrea. Dallo scorso capitolo, come vi avevo predetto
all'inizio, le vostre opinioni potrebbero essere cambiate. Sicuramente
il personaggio di Giulio ha perso qualche punto, però c'è
ancora un capitolo bello lungo in cui potrebbe riscattarsi.
Il
giorno di San Valentino, infatti, pubblicherò il finale e anche
un mini sondaggio sui vari social dove potrete votare per la sfida
definitiva tra i Pizzi. Sarà una battaglia difficile.
Per
ora vi ringrazio di tutto e spero di leggere nei commenti e nelle
recensioni tutti i vostri pareri riguardo questo capitolo. Vi è
piaciuto? Che ne pensate del piano; funzionerà? Che cosa si
diranno Nicole e Giulio? Serena e Andrea riusciranno a... ehm...
concludere?
Alla prossima,
Daffy
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