La
varicella era arrivata dopo dieci giorni in casa Boscawen, colpendo
tre dei quattro bimbi che vi vivevano. Solo Demian era stato esentato
e miracolosamente, in quei giorni di malattia e serve col mal di
schiena, era più visto e chiacchierone del solito.
E
arrabbiato...
Perché
i suoi fratelli avevano quei bellissimi puntini rossi su tutto il
corpo e lui no e li voleva! Lui voleva sempre essere uguale ai suoi
fratelli e soprattutto, non accettava che Daisy avesse la varicella e
lui no! E Demelza aveva ovviato alla cosa dipingendogli sul faccino,
ogni mattina, dei puntini rossi usando i pastelli a cera con cui il
bimbo amava disegnare, a patto che la sera si facesse fare il bagno
senza storie. E dopo questa operazione, eccitato e contento, Demian
correva in camera dai fratelli per farsi vedere, pieno di orgoglio
nell'essere come loro!
Per
fortuna la varicella non fu presa in maniera violenta e la febbre, a
parte una sera in cui divenne piuttosto alta per Daisy, non diede mai
particolari preoccupazioni. La cosa più difficile era tenere
però
impegnati i bambini in quei giorni di immobilità in cui
erano
costretti a letto.
Demian
era stato affidato alle cure di tata-Mary visto che Prudie era ancora
convalescente per il problema alla schiena e Lord Falmouth aveva
ceduto alle richiesta di farlo disegnare pure fuori dalla sua stanza
da letto anche se poi se n'era pentito subito, visto che aveva
scoperto il bambino che disegnava sulle pareti del salone da ballo
principale, rischiando di finire in castigo a scrivere il suo nome
come la sua gemella pochi giorni prima.
Il
tempo divenne freddo e piovoso in quei giorni, era ormai autunno e
Demelza trascorse le sue giornate cercando di intrattenere i bambini
che si ritrovavano tutti in camera di Jeremy per trascorrere il
tempo, lui da solo nel suo letto e le bambine insieme nel letto che
avrebbe dovuto essere di Demian, se mai avesse deciso di dormire da
solo.
Il
figlio più grande si contava con orgoglio, ogni giorno, i
puntini
che aveva su pancia, gambe e braccia, annotando su un quaderno ogni
variazione al tema, Clowance piangeva disperata pensando di rimanere
sfigurata e maledicendo Gustav ogni due per tre mentre Daisy era come
una bestiolina in gabbia che, appena cessata la febbre da cavallo,
era difficile tener ferma.
"Mamma...
ora che si fa?" - chiese Jeremy mentre lei riponeva un libro che
aveva appena letto loro.
"Volete
dormire un pò?".
"No,
vogliamo fare l'albero di Natale!" - insistette Jeremy, di
nuovo, mentre il suo cagnolino Fox gli faceva da eco, abbaiando
allegramente mentre saltellava sul letto. "Dai, ti prego! E'
autunno per davvero adesso, piove pure e fra poco avremo tanta
nebbia! E papà sarebbe contento, amava gli alberi di
Natale!".
"Sì
dai mamma!" - insistette Clowance mentre accarezzava il pelo
bianco di Queen, stesa accanto a lei sulle coperte. "Se vai a
comprare gli addobbi nuovi, poi facciamo l'albero insieme. E mentre
ti aspettiamo, riposiamo! Giuro!".
Daisy,
seduta sulle sue gambe, la tirò la stoffa della manica. "Ce
lo
hai promesso. Mi hai promesso anche che in autunno andavamo allo zoo
a comprare il mio orso!".
Demelza
rise, baciandola sulla fronte. Nonostante la varicella, era e
rimaneva una piccola e furba canaglia. "Piccola orsetta, non ti
ho mai promesso nulla del genere! Ti ho promesso solo che saremmo
andati allo zoo a VEDERE gli orsi! Ci andremo, appena sarai guarita".
"E
gli addobbi?" - insistette di nuovo Jeremy.
Demelza
sorrise, in fondo perché no? Ci tenevano tanto e quel rito
che ormai
si ripeteva ogni anno, rendeva lei e i bambini uniti nella
costruzione di una favola e l'idea di passare le serate successive
con loro accanto all'abete addobbato, sorseggiando cioccolata calda e
raccontandosi storie davanti al camino, metteva di buon umore anche
lei. "Dormirete, mentre esco a comprare gli addobbi?".
I
tre bimbi annuirono, eccitati e contenti. "SIIIIIII!!!".
Demelza
mise Daisy sul letto, rimboccandole le coperte. "E allora,
aspettatemi quì e dormite un pò! Esco, compro una
montagna di
addobbi bellissimi e poi quando torno, tiriamo fuori dalla soffitta
le sfere di vetro colorato e rendiamo questa casa, una vera casa di
Natale".
Gli
occhi dei bimbi brillarono dalla contentezza. E lei sentì il
cuore
gonfiarsi di gioia...
Li
mise a letto e poi, dopo aver indossato un caldo mantello di lana
verde, chiese a un domestico di procurare un grosso abete da mettere
nel salone, predispose la servitù affinché
preparasse l'occorrente
e infine uscì di casa, decisa a fare una passeggiata fino al
vicino
negozio di addobbi dove si riforniva ogni anno.
Pioveva,
ma trovò la passeggiata piacevole e quando giunse alla sua
meta,
comprò ogni cosa attirasse la sua attenzione e tutto
ciò che ai
bambini sarebbe piaciuto. Poi, dopo aver pagato e chiesto di
recapitare a casa sua gli oggetti più pesanti, con due
grosse borse
piene di decorazioni, uscì per fare due passi e vedere se
trovava
qualcos'altro in giro.
E
fu allora che, di nuovo, il destino la fece quasi scontrare con Ross.
Letteralmente, all'angolo fra due vie, per poco non rischiarono di
darsi una sonora testata.
Doveva
essere una maledizione quella, pensò sconsolata.
Demelza
lo guardò spalancando gli occhi, lui fece altrettanto,
evidentemente
sorpreso quanto lei di trovarsi in giro in un pomeriggio di pioggia.
Il mondo era davvero un posto piccolo... E ancor più lo era
il
centro di Londra, evidentemente...
"Demelza?".
"Ross?".
Demelza lo osservò, accorgendosi subito che era pallido e
preoccupato. "Che ci fai quì? Stai venendo a casa mia per
vedere Lord Falmouth?". Non era usuale vederlo da quelle parti e
di solito l'aveva incontrato lì solo quando si era recato a
casa sua
per delle visite di lavoro. Ma quel pomeriggio Falmouth era fuori
Londra per degli affari e quindi...?
"No...
No, sono stato a cercare il dottor Wilson ma purtroppo il suo studio
è già chiuso e sto tornando a casa".
Demelza
sentì una strana ansia attanagliarle lo stomaco. Ansia che
non
voleva provare, accidenti! "Stai male?".
Lui
sembrò in imbarazzo, davanti a quella domanda. "No, non io"
– rispose, frettolosamente, come a voler tagliare quel
discorso.
"Un
tuo servo?".
Ross
sospirò. "No, mio figlio. Ha la febbre e dolori forti alle
gambe e continua a piangere. Scusa, non voglio annoiarti con queste
cose".
Demelza
avvertì in lui una sorta di ritrosia a parlare di Valentine
e
apprezzò che volesse in un certo senso proteggerla dalla
presenza di
quel bambino che tanto aveva influito sulla sua vita. Ma si
sentì di
tranquillizzarlo, almeno su questo. "Mi dispiace. Purtroppo il
dottor Wilson fa orari di visita risicati e anche io in questi giorni
son stata costretta a rivolgermi a lui per necessità visto
che il
mio medico di fiducia è fuori città, e ho fatto
fatica a trovarlo".
A
questo punto anche Ross parve preoccupato. "Sei stata malata?".
Lei
sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Gustav... E la
varicella...".
Ross
spalancò gli occhi. "Ha contagiato qualcuno?".
"Jeremy,
Clowance e Daisy".
Lui
parve andare in ansia a quella notizia. "Jeremy e Clowance?!
Come stanno adesso?".
Demelza
si irrigidì, non voleva che lui chiedesse di loro. Non era
necessario, non ci era abituata e non desiderava che sapesse
più del
necessario delle loro vite. "Stanno bene, sono in via di
guarigione" – disse, frettolosamente. "Scusa, ma non sono
abituata a parlare dei bambini con...".
"Con?".
"Con
qualcuno che non fa parte della famiglia" – rispose. Sapeva
di
fargli male ma Ross non aveva mai fatto parte della vita dei bambini
e anche a Nampara non si era mai preoccupato per Jeremy, quindi era
assolutamente inutile che fingesse di farlo ora per farle piacere.
Ross
assunse un'aria colpevole e fu come se percepisse i suoi pensieri.
"Scusa, non volevo essere invadente ma loro sono...".
"Sono
a casa, accuditi e tranquilli! Va tutto bene" – decise infine
di dire, per rassicurarlo ma soprattutto per chiudere il discorso.
Ross
cercò di sforzarsi di apparire sereno e di assecondarla.
"Pure
Daisy? Pure quella piccola peste è ammalata?" - chiese, per
smorzare la tensione.
Demelza
sorrise dolcemente a quella domanda. "Daisy è tremenda ma,
assieme a Jeremy, è per ora la più delicata di
salute. Clowance e
Demian invece sono due rocce, difficilmente si ammalano e se lo
fanno, guariscono prima degli altri".
Ross
rispose al sorriso, anche se sul suo viso comparve una smorfia di
dolore. "Jeremy ha problemi di salute?".
"No,
certo che no! Ma è quello che, semplicemente, si becca
più
facilmente raffreddori e mal di gola! Niente di grave, crescendo si
rinforzerà. Era così anche a Nampara".
Ross
abbassò lo sguardo. "Non lo ricordo... Non ricordo che si
sia
mai ammalato".
E
a quel punto, per un attimo, il gelo calò su di loro. E a
Demelza
venne voglia di fargli del male, ricordando il passato che li aveva
divisi. "Non lo ricordi perché non c'eri mai e se c'eri, non
lo
degnavi di uno sguardo. Non ti importava molto di lui e l'unico
bambino che avevi a cuore, non viveva a Nampara".
Come
punto sul vivo, Ross alzò lo sguardo su di lei, penetrando i
suoi
occhi azzurri coi suoi, scuri come la pece. "Non è
così... Se
solo mi lasciassi spiegare...".
"No,
non voglio!" - lo stoppò lei, colpita dal tono doloroso e
colpevole della sua voce. "Non ha più importanza ora,
scusami
per averne parlato". Non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe
dovuto cedere alla tentazione di rinfacciargli quanto fosse stato
anaffettivo e disinteressato verso Jeremy, non aveva più
senso ormai
ed erano discorsi pericolosi quelli, fra loro. Da evitare.
Ross
annuì, ferito. Abbassò lo sguardo e
fissò le borse che portava fra
le mani. "Cosa sono? Vuoi una mano a portarle?".
"No,
non sono pesanti, son solo addobbi di Natale per i bambini. Non so
come tenerli tranquilli e quindi ho ceduto al loro desiderio di
decorare la casa per le prossime festività, già
adesso".
Ross
annuì. "Beh, sono sicuro che vi divertirete e ne
uscirà
qualcosa di bello anche se, onestamente, non ho idea di cosa abbiate
in mente".
Demelza,
vedendolo così confuso, rise. Nonostante tutto,
riuscì a trovarlo
buffo... In effetti in pochi conoscevano le tradizioni natalizie dei
regni di Germania che le aveva insegnato Hugh e che erano diventate
una tradizione a casa sua ed era normale che Ross non sapesse di cosa
stesse parlando. "Ah, ho in mente cose grandiose per questo
Natale! Ormai sono diventata un'esperta di questa festa".
Ross
le sorrise, capendo che non voleva parlare d'altro che del presente e
che forse per ora era meglio così. Non era pronta... "Beh,
ti
lascio alle tue faccende. Torno a casa e vedo che posso fare per
passare in maniera decente la notte".
Demelza
lo guardò, pensierosa. Non avrebbe dovuto preoccuparsene,
non erano
affari suoi, non avrebbe dovuto immischiarsi nella vita di Ross, si
era ripromessa di non farlo, non avrebbe dovuto farsi impetosire da
un bambino, doveva ricordare a se stessa cosa quel bambino aveva
fatto alla sua vita...
Ma
il suo cuore di madre cedette, all'idea di un bambino lasciato a
piangere dal dolore di notte e di un padre che non sapeva che fare,
come pareva evidente. "Piange perché ha male? Cos'ha?".
Ross
parve sorpreso da quella domanda e si trovò in
difficoltà a
rispondere. "Ecco... da piccolo soffriva di rachitismo e anche
se ora è in via di miglioramento, ogni tanto ha delle
ricadute. Si
spaventa, piange soprattutto per quello più che per il
dolore a cui
comunque è abituato e che è sempre più
raro e meno intenso ad ogni
attacco, man mano che cresce".
Demelza
sospirò, era ancora presto dopo tutto e forse... Dannazione,
non
voleva farlo ma d'istinto sentì che doveva aiutarlo. Aveva
quattro
figli e sapeva come i bambini avessero bisogno di essere rassicurati
quando stavano male, sapeva quanto questo influisse positivamente
sulle loro condizioni e sapeva anche che Ross in queste cose era poco
portato... "Vuoi una mano? Vuoi che venga a dare un'occhio al
bambino?".
"Cosa?".
Lei
alzò le spalle, come giustificandosi innanzitutto verso se
stessa.
"So come trattare coi bambini, quando sono malati... Magari
posso tranquillizzarlo, credo di essere abbastanza brava in questa
cosa".
Ross
spalancò gli occhi. "Davvero lo faresti?".
"Davvero...
Non lo faccio per te, lo faccio per il bambino, sia chiaro".
Ross
guardò le borse che teneva fra le mani. "E gli addobbi?".
"Li
farò coi bambini, appena arriverò a casa. Ora
riposano e mi va bene
che lo facciano il più a lungo possibile". E così
dicendo gli
si affiancò, maledicendosi e allo stesso tempo
giustificandosi. Non
poteva far finta di nulla, non poteva davvero e dopo tutto, pochi
giorni prima, Ross era stato davvero carino e gentile a prendere le
difese di Daisy. Doveva restituirgli il favore, DOVEVA. "Su,
portami a casa tua".
...
Quando
arrivò a casa di Ross ed entrò nel suo
appartamento, si sentì
spaventata come la prima volta che, tanti anni prima, aveva varcato
le porte di Nampara. Ed era così stupido sentirsi
così. Non era
venuta per restare, sarebbe stata lì pochi minuti e basta,
non era
per sempre, non era come allora...
Ross
le disse che aveva assunto una coppia di domestici, due brave persone
che si prendevano cura di lui, del bambino e della casa e Demelza lo
ascoltò in silenzio per essere preparata a cosa avrebbe
trovato, ma
quando la porta si aprì e la serva di Ross li fece entrare,
fu colta
da un brivido.
Era
nella casa di Ross e dopo tanto tempo stava toccando con mano la sua
vita...
“La
signora è un dottore?”.
Demelza
guardò di sbieco i due domestici di Ross e poi
l'appartamento. Era
pulito, ordinato, dal mobilio decoroso anche se meno elegante
rispetto a casa sua e della grandezza giusta per un uomo solo con suo
figlio e due servitori al seguito. C'erano un salottino, una cucina,
una sala da pranzo e tre stanze da letto lungo il corridoio.
Nient'altro, a parte un minuscolo giardinetto sul retro.
Non
era una casa piccola ma le sembrava tale, da quando si era sposata
con Hugh. Tutte le case le sembravano piccole, da allora... E per un
attimo si chiese se, in quegli anni, fosse diventata viziata e troppo
pretenziosa.
Ross,
con lo sguardo cupo, le sfiorò la spalla. “No, ma
credo che
potrebbe aiutarci. Lei è...”.
Demelza
lo fermò, non voleva che lui dicesse il suo nome e nemmeno
quale
fosse il loro legame! Era lì – e ne era
già pentita – per cause
di forza maggiore ma non sarebbe successo di nuovo e la sua visita
doveva rimanere un segreto. “Sono una sua vecchia conoscenza
e la
parente di uno degli uomini che lavorano in Parlamento con il signor
Poldark. E sono madre di quattro bambini piccoli, ho una certa
esperienza in malanni infantili e siccome è pomeriggio tardi
e il
medico ha già terminato il suo servizio, sono passata per
vedere se
posso dare una mano”.
La
domestica, non molto convinta, li lasciò passare.
“Il signorino
Valentine è in camera, a letto. Continua a piagnucolare,
senza un
vero medico sarà una notte difficile”.
Demelza
prese un profondo respiro. Un bambino, stava per incontrare un
semplice bambino, Valentine era solo questo. Non avrebbe mai voluto
incontrarlo, non avrebbe mai voluto vedere il volto di colui che,
indirettamente, anni prima aveva distrutto la sua vita ma era una
donna e una madre che non sarebbe mai stata capace di rimanere
indifferente a un bimbo in difficoltà e dopo tutto Valentine
non
aveva colpe per quanto successo. Ed era malato per giunta... Su
questo doveva concentrarsi ed evitare di pensare che fosse figlio di
Ross ed Elizabeth... Lui era un bambino innocente, come i suoi. E non
meritava alcun sentimento negativo da parte sua.
“Vieni”
- le intimò Ross, piuttosto a disagio.
Lei
lo seguì in silenzio, chiedendosi perché si fosse
proposta di
andare in quella casa. Non era un medico, Dwight lo era ed era fuori
città con Caroline e la piccola Sophie! Che diavolo ci
faceva in
casa di Ross, cosa avrebbe potuto fare di utile, lì? Un
conto era
curare i suoi figli che conosceva ma Valentine...? Era una estranea
per lui, come avrebbe potuto tranquillizzarlo e distrarlo?
Perché il
caso e il destino le avevano fatto incontrare Ross quel pomeriggio?
Perché non aveva proseguito per la sua strada, alla ricerca
degli
addobbi da mettere sull'albero di Natale? Aveva un sacco di pacchi
con le decorazioni da portare a casa, avrebbe ritardato e i bambini
si sarebbero arrabbiati! E avrebbero avuto ragione!
Stava
per dire che non aveva molto tempo e che forse era meglio che se ne
andasse, quando Ross le spalancò la porta della camera.
E
lei non ebbe scelta se non quella di restare...
Era
una bella stanzetta per un bambino, con un letto, una scrivania, un
armadio bianco, un tappeto con dei giocattoli e una finestra che dava
sul giardinetto. Era tutto ordinato, era molto diverso dal caos che
facevano i suoi bambini nella loro stanza dei giochi.
Deglutì,
quando lo vide, prendendo poi un profondo respiro per non essere
vinta dalla fitta al cuore che la colpì appena lo ebbe
davanti. Quel
bambino era identico a Ross, il figlio che più gli
somigliava. Con
una enorme massa di riccioli neri, gli occhi penetranti e profondi,
le guance piene e un visino che poteva attirare chiunque. Ispirava
simpatia, gliene avrebbe fatta se non fosse che in un certo senso si
sentì di aver fallito. Elizabeth aveva dato a Ross un figlio
che gli
somigliava tantissimo mentre i suoi erano un miscuglio fra loro due.
E Ross doveva davvero essere fiero del figlio che gli aveva dato la
donna che aveva amato, un figlio tanto uguale a lui...
“Tu
non sei un dottore, tu sei una donna!” - disse il bimbo,
osservandola.
Ross
si avvicinò al letto, guardandolo con severità.
“Quando parli con
una persona che non conosci, devi essere educato”.
Valentine
abbassò lo sguardo, mortificato. “Scusate signora,
mi sono
dimenticato di darvi del voi. Sono capace, ma a volte mi
dimentico”.
Demelza
sorrise a lui e guardò storto Ross per il tono usato, mentre
per
Valentine sentì solo una grande tenerezza. Soprattutto
perché
rapportato a quei terremoti dei suoi figli, Valentine era decisamente
più posato ed educato di loro. “Non devi darmi del
voi, sei un
bambino. Il modo in cui mi hai parlato prima va bene”.
Valentine
guardò suo padre in cerca di un cenno di assenso, poi di
nuovo lei.
“Io ho bisogno di un dottore. Mi fanno male le
gambe” - disse,
piagnucolando.
Demelza
osservò lo sguardo di Ross incupirsi e decise che non andava
bene
che Valentine lo vedesse così turbato. “Io non
sono un dottore ma
ho quattro bambini piccoli che a volte si ammalano e quindi un po' me
ne intendo di mal di pancia, gambe, testa o di graffi e taglietti. E
di raffreddori e febbre. Il dottore a quest'ora non c'è ma
conosco
tuo padre da molto e mi ha chiesto un aiuto”.
“Hai
quattro bambini?” - chiese Valentine, stupito.
“Sì,
due maschi e due femmine”.
Valentine
smise di piagnucolare e si sedette, incuriosito. “Come si
chiamano?”.
Demelza
sorrise. Ci aveva visto giusto, in fondo. Valentine era sicuramente
debole a causa del rachitismo ma molti dei sintomi che avvertiva
erano dovuti a solitudine e paura. Era lasciato troppo spesso solo
con se stesso e benché Ross e i due servi non gli facessero
mancare
nulla di materiale, era il contatto umano che a lui mancava. Ed era
evidente perché era bastato farlo parlare e distrarlo per
fargli
dimenticare i dolori alle gambe. “Jeremy e Demian i maschi. E
le
bambine Clowance e Daisy. Demian e Daisy son gemelli”.
Valentine
spalancò gli occhi. “Ohhh., forte! Non ho mai
visto i gemelli!
Come sono?”.
“Come
gli altri bambini. Anzi, peggio, sono vivaci, disubbidienti e
finiscono sempre in castigo”.
Valentine
rise, completamente catturato da lei. “Io non vado mai in
castigo!
Papà dice che non gli somiglio, che lui da piccolo ci si
trovava
spesso in punizione”.
Demelza
guardò Ross di sbieco. “Non ne dubito”.
“E
poi ho un cane di nome Garrick. E il mio bambino più grande,
Jeremy,
ne ha uno di nome Fox. Mentre la mia figlia maggiore Clowance ha una
lupa bianca di nome Queen”.
“Ohhh,
quattro bambini, due cani e un lupo. Deve essere bello abitare in
casa tua, signora. Qui non abbiamo neanche un animaletto, solo ogni
tanto gli scarafaggi che entrano dalla finestra e fanno urlare la
signore Gimlet che ha paura. A casa invece nella stalla abbiamo le
galline, i polli, una capra e dei maiali. Ma nemmeno un cane”.
Lei
gli sorrise, quasi percependo quanto fosse diversa e solitaria la
vita di quel bambino rispetto ai suoi. “Sì, lo
è. Con quattro
bambini, due cani e una lupa, sono sempre stanca e di corsa,
c'è
sempre rumore in casa e tanta confusione ma a me piace tanto”.
Ross
si allontanò, poggiando le mani contro il davanzale della
finestra.
Demelza leggeva in lui sofferenza e impotenza davanti a quella loro
conversazione, ai ricordi, al dolore che provava nel sentire delle
vite di persone che una volta erano state la sua famiglia mentre ora
non aveva che un figlio a cui non mancava nulla di materiale ma che
era affamato di calore famigliare e affetto che non sapeva dargli nel
modo giusto. Ma lei non poteva farci nulla, lui aveva scelto e quella
era la vita che Ross aveva voluto e doveva imparare a viverla al
meglio, come aveva fatto lei quando aveva incontrato Hugh.
Allungò
una mano a massaggiare il ginocchio di Valentine, piano. “Va
meglio?”.
Valentine
osservò le sue gambe. “Oh, sì! Mi ero
dimenticato che stavo male.
Signora, sei magica! Basta parlare con te e tutto passa!”.
“No,
non sono magica ma grazie ai miei bambini ho imparato che
chiacchierare e non pensare al fatto di essere malati, aiuta a stare
meglio. E quindi, quando starai male ancora, trovati qualcosa da fare
che ti piace e vedrai che ti sentirai più in forma. Puoi
farti
leggere una storia, puoi giocare a qualcosa, fare un disegno o tante
altre cose che ti fanno sentire sereno. E tutto passa!”.
Valentine
annuì. “Sì, ma...”.
Guardò suo padre, come in una richiesta
silenziosa di attenzioni ma Ross voltò il capo e si
appoggiò
nuovamente al davanzale della finestra. E il bimbo sospirò,
abbassando il capo. “Signora, come ti chiami? Non me lo hai
ancora
detto”.
“Demelza”.
“Demelza,
stai qui con noi a cena?”.
Ross
sussultò a quell'invito inaspettato uscito dalla bocca di
Valentine,
solitamente molto chiuso e timido, mentre Demelza spalancò
gli
occhi. “Mi dispiace, non posso fermarmi, devo tornare a casa
dai
miei bambini. Ma sono felice che tu stia meglio, davvero”.
“Dai
resta” - piagnucolò il bambino, aggrappandosi al
suo braccio.
Demelza
scosse il capo. Non poteva, non avrebbe mai potuto nemmeno
volendolo... E lei non lo voleva, si sentiva orribile ma non se la
sentiva di prolungare più del necessario quella visita!
Valentine
era un bimbo dolce e adorabile ma lei si sentiva come se stesse
facendo una violenza su se stessa a stare in quella casa... Ci
sarebbe voluto tempo per superare quei sentimenti, forse molto. O
forse non ci sarebbe riuscita mai, non sapeva dirlo. “Devo
andare
via, sono uscita per comprare degli addobbi per i miei bambini per
fare l'albero di Natale e ora sono a casa che mi aspettano. Sono
già
in ritardo”.
Valentine
spalancò gli occhi. “Ohhh, l'albero di Natale?
Forte, non lo
abbiamo mai fatto. Anzi, neanche so cos'è. Cos'è
papà?”.
“Non
ne ho idea...” - rispose Ross, con sincerità
disarmante,
guardandola in cerca di una spiegazione.
Demelza
sorrise, ricordando quando Hugh le aveva parlato di quella tradizione
così bella e radicata in Germania, che aveva scoperto alcuni
anni
prima che loro si conoscessero, durante un suo viaggio nel centro
Europa. “Ecco, qui da noi ancora non c'è questa
tradizione, che
invece è molto famosa in Germania. A Natale, ogni casa si
riempie di
addobbi e festoni, si mette il vischio sulle porte e si prepara un
albero di Natale per accogliere la nascita di Gesù Bambino.
Si
prende un grande abete, lo si mette nel salone principale della casa
e lo si addobba con tanti nastri colorati rossi e dorati, con le
candele e con delle piccole palline di vetro soffiato di mille
colori. E' un albero magico e i bambini, la mattina di Natale, ci
trovano sotto i doni che nella notte ha portato Babbo Natale per
loro. Mio marito era un navigatore e un viaggiatore prima che ci
conoscessimo e mi ha parlato di questa tradizione e abbiamo deciso di
farla diventare una tradizione anche nostra. E l'abbiamo insegnata ai
nostri bambini che ogni anno non vedono l'ora che arrivi l'autunno
per fare il loro albero di Natale nel salone. In Germania lo chiamano
'Tannenbaum' e quando diverrà tradizione anche qui in
Inghilterra,
anche noi gli troveremo un nome adatto”.
Valentine
l'aveva ascoltata con gli occhi lucidi ed emozionati, come se gli
avesse appena raccontato la più magica delle fiabe.
“Bello...
Papà, noi non facciamo mai niente a Natale. Neanche un
nastrino alla
porta... Ci proviamo anche noi quest'anno? Così
Gesù Bambino nasce
più contento e Babbo Natale trova la strada per portarmi i
doni”.
A
quelle parole, sorpresa dal fatto che per Natale in quella casa non
si facesse nulla di speciale anche se c'era un bimbo, Demelza si
voltò verso Ross fulminandolo con lo sguardo. Che razza di
padre
era? Qual'era il suo concetto di famiglia? E di padre? Cosa faceva
con Valentine, con quel bambino per cui aveva gettato via il loro
matrimonio? Era il bambino che gli aveva donato la donna che
più
amava e con lui stava ripetendo gli stessi sbagli commessi a suo
tempo con lei e Jeremy! Lo sguardo di Ross parve ferito e punto sul
vivo davanti alla sua espressione delusa che doveva aver ben
interpretato e Demelza si morse il labbro per non urlargli contro
cosa pensasse di lui. Sorrise, si sforzò di farlo per
Valentine.
“Beh, dovresti proprio provare ad addobbare un abete,
sai?”.
“Sì,
dovrei” - rispose il bimbo.
Lei
gli strizzò l'occhio. “Beh, quando avrai di nuovo
male alle gambe
e vorrai distrarti, allora dì al tuo papà di
prendere un abete e di
addobbarlo insieme. Vedrai che starai meglio”.
Lo
sguardo del bimbo si accese di speranza e contentezza.
“Sìììì!
Allora spero di avere mal di gambe ancora e presto”.
Lo
disse con leggerezza ma Ross parve ferito da quelle parole.
Esprimevano un grande bisogno e desiderio di averlo vicino e lui
sembrava incapace di accontentarlo. Sembrava bloccato e lei non ne
capiva il motivo e non si riusciva a capacitare del comportamento
scostante di Ross... Demelza non sapeva nulla di loro due, di quali
fossero i loro rapporti, di cosa fosse successo in quegli anni ma era
abbastanza sicura che lui amasse suo figlio anche se, per qualche
motivo, non era capace di esprimerlo. Certo, non era mai stato molto
espansivo nei sentimenti e di carattere era chiuso, però...
Doveva
amarlo, non poteva non amare Valentine! Glielo aveva lasciato
Elizabeth, la donna che amava! Quel bambino era nato dall'amore, non
come Jeremy e Clowance che lui aveva avuto da una donna che
considerava di poco conto e che non aveva voluto né amare
né avere
accanto.
Avrebbe
voluto fargli mille domande ma si impose di stare zitta. Non erano
affari suoi e si era intrattenuta anche troppo. Accarezzò i
ricciolini neri del bambino, gli sorrise e poi si alzò dal
letto su
cui era seduta. “Ora devo andare”.
Valentine
annuì, un po' corrucciato. “Dai tuoi
bambini?”.
“Sì”.
“Tornerai
a trovarmi, Demelza?”.
Lei
volse il capo, non era mai stata brava a dire bugie ma non aveva
scelta. Valentine ora sembrava sereno e tranquillo e farlo agitare
non gli sarebbe stato di nessun supporto. “Certo, quando
riuscirò
a trovare tempo, verrò a trovarti”. Era una bugia,
la più palese
delle bugie. Non voleva tornare in quella casa e non voleva avere
rapporti con Ross che andassero oltre alla sua conoscenza con lord
Falmouth e il suo ingresso in Parlamento e doveva mantenere questo
proposito, a tutti i costi.
Ma
fu convincente e il bimbo sembrò crederle. “Buon
albero di Natale,
Demelza”.
“Grazie,
faremo del nostro meglio per farne uno bellissimo”. Lo
salutò con
un cenno del capo e Valentine rispose da ometto, stringendole la
mano. Dopo di che, Ross la riaccompagnò nel corridoio, verso
l'uscita.
“Come
ci sei riuscita? A farlo calmare intendo”.
Lei
lo fulminò con lo sguardo. “Gli ho parlato, l'ho
ascoltato, l'ho
fatto giocare. Non sono stata lì a guardarlo impalata come
fai tu,
con quella faccia da funerale. E' un bambino Ross, vuole giocare,
vuole essere ascoltato, vuole suo padre vicino. Un padre che ogni
tanto gioca e ride con lui... Sembri di ghiaccio, quando hai a che
fare con lui e mi auguro che tu non sia così tutto il
tempo”.
Ross
fece per ribattere ma poi abbassò il capo come se sulle
spalle
portasse un peso immenso. “Lo so, Valentine è
sempre stato...
complicato... per me”.
“E
allora, visto che lo sai, vedi di migliorarti! Ha solo te ed
è
debole e malato. Fai almeno l'albero di Natale con lui,
dannazione!”.
“Non
sapevo nemmeno che esistessero, questi alberi di Natale!” -
rispose, a tono. “Io non sono come il tuo Hugh, non sono
capace a
trovare e rendere mie delle tradizioni di famiglia... Anche se trovo
davvero bello quello che avete ideato per Natale”.
Demelza
sospirò. “Ross, non è l'albero di
Natale. E' fare qualcosa
insieme, qualcosa che sia solo vostro. Anche dei semplici addobbi da
mettere alla porta, andrebbero bene. Purché li facciate tu e
lui. Io
e Hugh non amavamo i grandi balli natalizi londinesi, a noi piacevano
le feste in famiglia e abbiamo trovato il nostro modo per renderle
speciali e nostre... Con la nostra impronta. E i bambini si sentono
parte di un progetto comune nato da noi e che loro portano avanti, di
una famiglia e nell'albero hanno il loro punto di riferimento e
simbolo per questo periodo dell'anno”.
Lui
sospirò. “Capisco cosa vuoi dire e... e lo so,
sono stupido a non
aver mai dato tanta importanza a cose del genere, cose che fanno di
un gruppo di persone una famiglia. Nessuno mi ha mai insegnato nulla
del genere, a casa mia ognuno viveva la sua vita quasi zingara, dopo
la morte di mia madre. Ma hai ragione, se per me è stato
così, non
necessariamente deve esserlo per Valentine.
Credo di non avere scelta ormai, visto cosa gli hai detto.
Probabilmente se lo inventerà il mal di gambe, ora, per
avere il suo
albero!” - concluse, sorridendo.
Demelza
scosse il capo. “E' suo diritto averlo, come è suo
diritto avere
un padre che gli sta vicino e lo ama”. Aprì la
porta, si mise la
mantella sulle spalle e si calò il cappuccio in testa, ma
poi la sua coscienza la costrinse a fermarsi perché in
effetti c'era
qualcosa di importante che poteva fare per Valentine, senza che lei
venisse coinvolta direttamente.
“Vorresti
che Dwight lo visitasse? Ti farebbe stare tranquillo?”. Non
sapeva
quanto Ross sapesse di Dwight, né se fosse a conoscenza
della sua
vita a Londra e del fatto che l'aveva aiutata appena giunta in
città
dopo aver lasciato la Cornovaglia, ma lui era un medico, un BRAVO
medico e di certo poteva fare per quel bambino molto più che
tanti
giovani dottorini del quartiere.
Ross
spalancò gli occhi e poi divenne meditabondo, probabilmente
a causa
dei loro dissapori passati e per la sorpresa di sentir pronunciare
quel nome. Sapeva o non sapeva che viveva a Londra? L'espressione di
Ross non faceva trapelare alcuna risposta a questo quesito...
“Lo...
vedi?”.
“Sì,
certo, lui e
Caroline. Sono
stati la mia salvezza appena arrivata qui,
si sono presi cura di me e dei bambini per un anno e ho vissuto da
loro prima del matrimonio con Hugh.
Gli parlerò di te e di Valentine, se
ti fa piacere sentire un suo parere sui problemi del bambino”.
“E
credi che accetterebbe? Anche se si tratta di me?”.
Demelza
sospirò, guardandolo con biasimo. “Ross, Dwight
è un medico e
mette al primo posto il benessere del paziente! Sai che è
così, lo
conosci! Sai che non si tirerebbe indietro davanti alla malattia di
un paziente, nemmeno se tu ne sei il padre! Non mischia il lavoro...
la sua missione... con semplici questioni personali. So che la vostra
amicizia si è interrotta anni fa e so che in un certo senso
ne sono
responsabile, ma se gli chiedo di venire per visitare Valentine, lui
verrà”.
Ross
deglutì e le mani gli tremarono. “Ora?”.
“E'
fuori Londra con Caroline e Sophie per una breve vacanza di una
settimana... Sophie è la loro seconda figlia, nata la scorsa
primavera. La prima, Sarah, purtroppo è morta pochi mesi
dopo la
nascita, alcune ore prima che morisse Hugh. Fu un giorno terribile,
quello...”.
Lui
abbassò lo sguardo e gli occhi gli divennero lucidi ma
Demelza non
seppe dire se fosse per il dolore di sapere quanto era successo al
suo vecchio amico o perché la morte di una bimba piccola, in
un
certo senso riportava entrambi al giorno in cui persero Julia.
Julia...
Demelza deglutì, chiedendosi se Ross pensasse a lei ogni
tanto,
anche se non era la perfetta figlia avuta dal suo perfetto amore
Elizabeth. E quel pensiero la ferì e le fece venire voglia
di
scappare perché chiedersi certe cose, la riportava a un
passato che
non voleva più affrontare e ricordare. “Devo
andare, adesso. Che
faccio, con Dwight?” - disse, improvvisamente con tono freddo.
Ross
non capì il perché di quel cambiamento di voce ma
i Gimlet che
facevano avanti e indietro dalla stanza di Valentine, gli impedirono
di chiedere. “Sì... Sì, mi faresti un
favore”.
Lei
annuì. “Glielo dirò appena torna in
città, ti farò recapitare
un biglietto per farti sapere data e orario di visita”.
“Va
bene”.
Demelza
si voltò, aprì la porta di casa e fece per
uscire, ma Ross la
fermò, bloccandola per il polso.
“Aspetta”.
“Che
c'è?”.
“Volevo
ringraziarti per quanto hai fatto per Valentine oggi. Non eri
obbligata e so che per te non è facile...
vederlo...”.
Lei
scosse la testa. “Come non dev'essere facile per te vedere i
miei
due gemellini. Ma sono bambini, tutti loro. E non hanno colpe, vanno
solo amati e aiutati a crescere. Dovresti farlo, anche se la vita con
te ed Elizabeth non è stata generosa”.
“Ma...”.
Ross
fece per obiettare ma Demelza non gli diede tempo di dire o fare
qualcosa che avesse attinenza col passato. “Credi che per me
sia
stato facile? Che dopo quanto successo con te o dopo la morte di
Hugh, io avessi voglia di ridere o giocare o rotolarmi su un tappeto
coi bambini? No, non lo è stato, mi sono costretta a
scendere dal
letto per non affogare nelle mie lacrime per tante, tante mattine,
Ross! Ma i bambini c'erano, non avevano chiesto di venire al mondo e
io avevo il dovere di prendermi cura di loro! Io pretendo che siano
felici, che si sentano amati e che siano sereni! Dovresti pretenderlo
anche tu, da te stesso”.
“Ci
proverò! Ma io non sono come te, non ho la tua forza di
volontà
e...”.
“Vedi
di trovarla, Ross! Non hai scelta!” - rispose lei,
mortalmente
seria.
E
dopo aver detto ciò, prese le borse con gli addobbi in mano,
chiuse
la porta dietro di se e se ne andò, lasciando ancora una
volta Ross
con l'amaro in bocca per non essere riuscito a dirle la
verità sui
suoi sentimenti per lei.
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