Capitolo XV
Tra passato e futuro
Taro
terminò di vestirsi, prese una giacca, il portafoglio e un borsone, e
uscì dalla sua stanza.
«Papà,
io
vado.» disse, affacciandosi al vano della porta della cucina,
dove Ichiro era
intento a prepararsi del riso al curry.
«Va
bene,
Taro. Ci vediamo domani, divertiti!»
D'accordo
con Urabe e Ishizaki, sarebbe andato a prenderli davanti al piccolo
supermercato dell'ex capitano della Ootomo, che da negozio in cui si
vendeva
prevalentemente tofu
aveva allargato la
sua attività, proponendo un vasto assortimento di prodotti
alimentari.
Avevano
deciso di andare a vedere la partita tra lo Jubilo Iwata e il Vissel
Kobe.
La
loro squadra seguiva
a due punti di distanza l'Urawa Red Diamonds e una vittoria era
fondamentale
per rimanere nella scia.
«Così
ti
diverti a fare lo spaccone con la macchina nuova, eh?» lo
punzecchiò Hanji.
«No,
è
solo che me la voglio godere il più possibile.»
sorrise, invitando i due amici
a salire con un gesto della mano.
Dei
flash,
dei frammenti dei mesi vissuti a Iwata si susseguirono nella sua mente.
Come
in
una rassegna, gli tornò alla mente il suo primo giorno da
giocatore dello
Jubilo, in cui aveva ritrovato i suoi amici dai tempi della Nankatsu e
aveva
conosciuto Gon Nakayama.
Era
da
poco arrivato allo Yamaha Stadium, dove lo Jubilo Iwata stava ultimando
la
preparazione alla partita d'esordio nel secondo stage di J League.
Ishizaki
e Urabe stavano correndo alle spalle dell'attaccante e colonna della
squadra,
Gon Nakayama, che si stava rapidamente dirigendo verso il pallone da
lui appena
calciato.
«Se
raggiungete il pallone prima di me, vi offrirò un gigantesco
yakiniku
per cena!»
«Yakiniku?!»
gridarono all'unisono i due
difensori, increduli.
«Proprio
così! E ora provate a impedirmi di segnare, se ci
riuscite!» gridò, correndo
nel contempo velocissimo verso la porta.
Non
capivano dove Nakayama trovasse tutto quel fiato, per correre e per
parlare
contemporaneamente.
L'attaccante
arrivò per primo sul pallone e calciò. La sfera
tuttavia, non finì dentro la
rete, perché un piede fermò la sua corsa.
Taro
Misaki si chinò per raccoglierla con una mano e stringerla
al petto, guardando
i tre calciatori con un sorriso accennato e un lampo determinato negli
occhi
nocciola.
«Misaki
… sei proprio tu?» disse Ryo, incredulo, correndo
verso di lui, seguito da
Hanji.
«Significa
che giocherai nello Jubilo Iwata?»
Taro
annuì con un cenno del capo, incontrando lo sguardo
compiaciuto di Gon
Nakayama.
«Perché
non stasera?» protestò Hanji.
«Perché
stasera ho già un impegno.» rispose prontamente
Gon, come se si trattasse della
cosa più ovvia del mondo.
Avevano
appena terminato di vestirsi e l'attaccante aveva messo la mano sulla
maniglia
dello spogliatoio.
«Ma
avevi detto che ci offrivi lo stesso la cena!» intervenne Ryo, in
supporto all'amico.
Gon
sogghignò «Sì, ma non ho detto che ve
l'avrei offerta questa
sera. Quindi dovrete pazientare un paio di
giorni.» disse
voltandosi e salutandoli con un gesto della mano, prima di uscire e
avviarsi
verso il garage dov'era parcheggiata la sua macchina.
«Comincio
a odiarlo.» sibilò Ishizaki, con Urabe che
annuiva, altrettanto contrariato.
«Signor
Mizuno, la sua cucina è semplicemente
superlativa!» Ryo diede ulteriore
eloquenza al suo elogio riempiendosi per la terza volta il piatto di
carne.
Alla
fine, dopo due giorni Gon, prima di lasciare il centro sportivo dopo un
altro
estenuante allenamento, aveva dato appuntamento ai tre nuovi acquisti
all'izakaya gestito
da Danjuro Mizuno, un uomo
segaligno dalla statura poco superiore alla media, e soprattutto un
vero mago
ai fornelli. Mizuno-san.
«Grazie
ragazzi, ma il merito va diviso con la mia splendida aiutante, Kinuyo
Harada.»
disse, indicando con un gesto della mano la giovane donna che stava
raggiungendo il loro tavolo.
I
ragazzi si voltarono verso di lei, e quando la sua figura sottile si
fermò
accanto a Danjuro, i loro volti si illuminarono per l'ammirazione.
«Ero
curiosa di conoscere i tre nuovi calciatori del nostro amato Jubilo.
Molto
piacere, ragazzi.» esordì. Aveva i capelli neri
raccolti in una coda, a far
risaltare il bellissimo viso dalla pelle candida e liscia. Due
brillanti occhi
neri spiccavano in quell'incarnato di porcellana.
Taro
la
guardò come incantato, al punto che anche i suoi compagni se
ne accorsero.
«Hai
già
conquistato il nostro nuovo campione, Kinuyo.»
sghignazzò Gon, seguito dalle
risate di Hanji e Ryo, che davano di gomito al povero Taro, che
arrossì come un
pomodoro ma si guadagnò l'interesse della donna, che ne fece
il principale
destinatario delle sue domande.
Kinuyo
partecipò alla conversazione tra i giocatori della squadra,
rispondendo con
puntuta ironia alle battute di Nakayama e intervenendo con
considerazioni
pertinenti sulle partite dello Jubilo e sulla J League.
Taro
si
ritrovò spesso a guardare verso di lei, e i suoi sguardi
furono altrettanto
spesso ricambiati.
Quella
scena si ripeté altre volte, nelle settimane successive.
Finché
una sera, il centrocampista decise che non era più capace di
accontentarsi di
quegli sguardi e di brevi dialoghi scambiati sempre nell'ambito di una
conversazione generale.
Voleva
vederla da solo … si vestì con cura nella sua
camera da letto, arrivando
persino a spruzzarsi del profumo di muschio bianco.
«Io
esco.» annunciò, infilandosi una leggera giacca di
jeans.
«D'accordo,
Misaki.» gli rispose Urabe, spaparanzato sul divano con le
braccia allungate
sullo schienale.
Come
immaginava e sperava, né Ryo né Hanji lo
avrebbero seguito. Quando c'era il
loro programma preferito in tv, nulla poteva smuoverli.
Uscì
dal
palazzo e diresse i suoi passi verso l'izakaya,
sulla strada illuminata dalle luci dei lampioni. Ogni tanto transitava
qualche
auto, incrociò poche persone, perlopiù impiegati
di ritorno dal lavoro o coppie
e gruppi di amici che rientravano a casa.
C'erano
poche luci accese e nessuna voce proveniva dall'interno, segno che
l'orario di
apertura era terminato.
Entrò e si sedette.
Sentì dei rumori provenire dalla cucina.
Acqua
che scorreva, acciottolio di piatti, bicchieri, recipienti e utensili
vari.
Poco
dopo, il rumore cessò e venne sostituito da quello dei passi
leggeri di Kinuyo.
«Ehi,
ciao!» esordì lei con vivacità,
comparendo sul vano della porta, asciugandosi
le mani con uno strofinaccio.
«Ciao.»
replicò lui, con il suo sorriso gentile.
«Kirin Ichiban, come
al solito?»
Taro
annuì.
Kinuyo
sparì per pochi istanti in cucina, per poi ricomparire con
due bottiglie di
birra.
Le
appoggiò sul bancone e tolse il tappo a entrambe con uno
sturabottiglie.
Ne
afferrò una, nello stesso momento in cui Taro prendeva in
mano l'altra.
Fecero
cozzare le due bottiglie, prima di bere parte del contenuto,
guardandosi negli
occhi.
«Scusami
se ti sembrerò indiscreto, ma per caso Nakayama è
innamorato di te?» chiese
lui, all'improvviso, con una curiosità che suonava insolita
perfino a sé
stesso.
Kinuyo
sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere,
mettendosi una mano davanti alla bocca.
«Innamorato
di me, Gon? Figurati, siamo come un fratellone con la sua sorellina. E
poi lui
è felicemente sposato con una cugina di Danjuro.»
«Sul
serio? Non credevo. Ecco perché è così
legato a questo posto.» rispose Taro, un
po' stupito.
Passarono
almeno un'ora a chiacchierare, al punto che le birre erano diventate
più che
tiepide e si erano nuovamente messi a ridere.
Kinuyo
sfilò dai suoi capelli il fermaglio che li tratteneva e si
passò una mano sul
viso per ravviare alcune ciocche.
«Avevo
proprio bisogno di una pausa. Ora sarà meglio che torni a
casa.»
«Posso
accompagnarti?»
«Certo.»
Lei
aprì
la porta, entrò e mantenne la mano sulla maniglia,
ricambiando il suo sguardo.
Rimase
fermo ad aspettare sulla soglia, senza staccarle gli occhi di dosso.
Al
suo
cenno, Taro avanzò, entrando in casa.
Kinuyo
gli chiuse la porta alle spalle.
Il
centrocampista fu sicuro di aver avvertito una scossa elettrica, quando
la
giovane donna gli si avvicinò, accarezzandogli il viso
glabro e posando le
labbra sulle sue.
Fece
scivolare la giacca dalle sue spalle e gli passò le braccia
attorno al collo,
mentre dischiudeva le labbra, invitandolo ad approfondire il contatto.
Gli
prese le mani e le posò sui suoi fianchi,
affinché le facesse scorrere sul suo
corpo.
Taro
non
aveva mai provato un simile grado di eccitazione. Si rese conto che
fino ad
allora non aveva saputo cosa significasse toccare una donna con ardore,
baciarla con passione.
Dopo
alcuni momenti di iniziale impaccio, il desiderio e l'istinto presero
il
sopravvento, e presto si ritrovarono nudi e avvolti nelle lenzuola del
letto di
lei, a riempire la stanza dei loro gemiti e sospiri.
«Sei
un
ragazzo speciale, Taro. Mi sei piaciuto subito, fin dal primo
momento.»
mormorò, adagiando la testa sul suo petto nudo e
sfiorandogli l'addome con
delle lievi carezze.
Lui,
troppo inebriato per poterle rispondere, le passò le dita
tra i capelli di seta
e sulla schiena.
Erano
stati mesi favolosi.
Lui,
sempre presente in campo con lo Jubilo Iwata, stava trascinando la
squadra
verso la conquista del secondo stage, e si stava imponendo e facendo
notare
anche all'estero per la bellezza dei suoi gol e per la precisione dei
suoi
passaggi. Prestazioni che confermava anche nelle amichevoli con la
Nazionale
Under 23, contro due selezioni più collaudate a livello
internazionale come la
Danimarca e la Nigeria.
Kinuyo
assisteva sempre alle partite giocate nello Yamaha o nell'Ecopa
Stadium, e
seguiva in tv tutte le trasferte, facendo un'eccezione se queste erano
previste
nella prefettura di Shizuoka.
Taro
disertava sempre più spesso l'appartamento preso in affitto
con Ishizaki e
Urabe, per passare le notti e a volte anche le giornate a casa di
Kinuyo.
Lei
gli
insegnò a cucinare alcune pietanze tipiche della cucina
giapponese, e finivano
sempre per punzecchiarsi e ridere, tra un'effusione e l'altra.
Era
troppo bello … sembrava una favola. Di più, un
sogno.
E
infatti, si era interrotto bruscamente.
Pochi
giorni dopo l'amichevole vittoriosa contro il Paraguay, Kinuyo gli
aveva
sbattuto in faccia quella rivelazione, e nel momento peggiore: dopo
aver fatto
l'amore.
«Ho
incontrato un uomo, Taro. Ha ventotto anni, lavora da cinque come
assicuratore
per la Nomura, ha una carriera ben avviata. È serio e
gentile. Ci ha presentati
mio zio e …»
«Un
omiai?»
chiese Taro, un'espressione
indecifrabile sul volto.
«Taro,
io ho già ventisei anni. Tutto quello che desidero
è un matrimonio stabile e
costruire una famiglia. Con te ora è tutto meraviglioso, ma
chi ci dice che
durerà? Hai solo vent'anni, dei sogni che ti porteranno
lontano dal Giappone e
io non voglio chiederti cose che non puoi o non ti senti di
darmi.»
«Puoi
sempre venire con me.» replicò, con un'espressione
che sembrava chiederle quale
fosse il problema.
«Io
qui
ho un lavoro, i miei genitori, la mia vita. Non potrei mai
lasciarli.»
«Ma
tu
non ami quell'uomo.»
«Lo
stimo e lo rispetto. So che mi renderà felice, che mi
darà un futuro sereno e
senza problemi.»
«Io
invece non sono in grado di darti garanzie, non è
così?» aveva alzato la voce,
al colmo dell'incredulità e della delusione.
Kinuyo
lo guardò con un sorriso triste «Rimarrai uno
splendido ricordo, che porterò
sempre con me. Certe storie sono belle e intense ma non sono fatte per
durare.
E tu hai bisogno di una ragazza disposta a condividere con te il tuo
sogno. Io
non ci riesco.»
Taro
non
rispose nulla. Chiuse gli occhi, si alzò dal letto e si
rivestì, senza neppure
andare in bagno. Prese i suoi pochi effetti personali e uscì
dall'appartamento,
per non tornarci più.
Arrivarono
allo Yamaha Stadium e presero posto in zona centrale.
Alcuni
tifosi li riconobbero e li circondarono, alla ricerca di autografi,
strette di
mano e fotografie.
La
loro
presenza venne salutata dall’entusiasmo dei
supporter e sottolineata
dai cronisti.
Lo
Jubilo
Iwata batté il Vissel Kobe per 2-0, con una doppietta di
Nakayama.
E
una
notizia splendida arrivò da Saitama, dove grazie ai brasiliani Pepe e
Leo, il Kashima Antlers a
sorpresa aveva battuto in casa la capolista Urawa Red Diamonds.
Risultato
fondamentale perché valse il sorpasso dello Jubilo, che ora
si trovava in
vetta.
«Fantastico!»
Ryo era in visibilio «Speriamo succeda qualcosa di simile
anche a noi tra
qualche giorno!»
«E
ora,
tutti a festeggiare da Mizuno-san!»
gridò Gon, da poco uscito dallo stadio, nel piazzale dove,
insieme ad altri
giocatori, lo avevano atteso i suoi tre giovani compagni di squadra.
«Volentieri!»
esultò Ishizaki «Ho proprio voglia di mangiare la
famosa grigliata di Danjuro!»
«Misaki,
te la senti di venirci?» chiese poi, guardando attentamente
l'amico.
«Certo,
perché non dovrei?» rispose con aria affabile,
anche se dentro di sé provava
una leggera apprensione … l'avrebbe rivista dopo cinque
mesi. Come avrebbe
reagito?
Era
curioso e inquieto allo stesso momento.
Il
primo
sentimento prevalse, così come i ricordi felici delle serate
passate in quel
locale con gli amici e i compagni di squadra.
All'interno
dell'izakaya,
Danjuro accolse tutti con
l'entusiasmo di sempre e si illuminò quando si accorse della
presenza della
nuova stella dello Jubilo.
«Ehi,
guarda chi si rivede! Misaki! Da quanto tempo non venivi qui?»
«Da
gennaio, poco dopo i festeggiamenti per la vittoria del secondo
stage.»
«Certo,
e
come dimenticare? Una festa per i nostri campioni … ora sono
tutti impegnati
con il campionato e dopo aver superato l'Urawa Red Diamonds in
classifica,
speriamo di poterci confermare in questo stage.»
«Lo
spero
anch'io. Tiferò sempre per lo Jubilo!»
Il
gestore
aggrottò le sopracciglia «Che significa? Non mi
starai dicendo che ci lasci?»
Taro
sorrise «Per ora no, ma se dovessi disputare una buona
Olimpiade, non
disdegnerò l'interessamento delle squadre europee.»
Danjuro
alzò le spalle «Beh, del resto tu sei un grande
giocatore. Non ho mai visto
fare ad altri giocatori qui in Giappone quello che hai fatto
tu.»
Stavano
mangiando, chiacchierando e ridendo da mezz'ora quando Danjuro
raggiunse
nuovamente il loro tavolo.
«Ragazzi,
siete venuti appena in tempo per salutare Kinuyo. Tra un mese si
sposerà e
andrà a vivere a Osaka.» annunciò.
Urabe
e
Ishizaki si girarono istintivamente verso Taro, che mantenne
un'espressione
impassibile. Entrambi sapevano che non significava nulla in
sé … Misaki era
sempre stato bravo a nascondere i suoi sentimenti, quando non voleva
lasciarli
trasparire.
Dopo
pochi
minuti, la donna comparve nella sala da pranzo con altri piatti pieni
di carne
da arrostire, salutata dagli applausi e dalle grida dei clienti.
«Ehilà,
ragazzi! Sono felice di rivedervi, mi siete mancati!»
esclamò entusiasta, non
appena riconobbe i tre giocatori ex Nankatsu.
«Ciao,
Kinuyo! Allora è vero che ti sposi e te ne vai?»
le chiese subito Urabe.
La
ragazza
annuì.
Incrociò
gli occhi di Taro, che la guardava con un leggero sorriso, senza
parlare.
«Ciao
Taro. Ti ho visto alle qualificazioni, sei sempre più
bravo.»
«Grazie,
Kinuyo.» rispose il centrocampista, afferrando il suo boccale
di birra e
bevendone alcuni sorsi.
La
serata
passò in goliardia, tra battute, scherzi, risate, aneddoti
dei mesi passati
tutti insieme a Iwata e racconti del periodo più recente, il
primo stage della
nuova stagione per chi stava ancora giocando in J League, le partite
delle
qualificazioni per i tre nazionali.
All'uscita
del locale, ignorando lo sguardo di rimprovero di Gon, Kinuyo si
avvicinò a
Taro, quasi furtiva e gli sfiorò una spalla.
«Ti
va di
accompagnarmi a casa?» sussurrò.
Il
suo
respiro gli sfiorò il lobo dell'orecchio provocandogli un
brivido, suo
malgrado.
Qualche
nuvola rischiarava il blu oltremare del cielo, velando di tanto in
tanto la
luna e le stelle.
«Sono
in
auto con Ishizaki e Urabe.» obiettò.
«Non
ti
preoccupare, Misaki.» intervenne Hanji, addirittura prima che
potesse terminare
la frase. «Possiamo anche tornare a piedi, vero
Ishizaki?» disse, dando di
gomito al compagno.
«Sì,
certo. Dopo questa mangiata, fare quattro passi e prendere una boccata
d'aria
fresca è quello che ci vuole.»
«Va
bene,
ti accompagno.» rispose allora Taro, incontrando
l'espressione lieta di lei.
Lasciò
l'auto a pochi passi dal palazzo in cui abitava Kinuyo.
Dopo
aver
percorso pochi gradini di scale, la seguì nel suo piccolo
appartamento, che si
trovava al primo piano.
Quell'abitazione
adatta a una donna single, sarebbe presto rimasta vuota e data in
affitto ad
altri inquilini.
«Ti
rimane
poco tempo per vivere qui.» disse, tanto per rompere il
silenzio caduto tra
loro quando erano entrati.
«Già.
Sai,
un po' mi dispiace. Mi ero affezionata a questa casetta. La prima in
cui ho
vissuto da donna indipendente.»
Taro
sorrise, con lieve ironia.
«La
tua
relazione con l'assicuratore della Nomura va bene, allora.»
La
ragazza
gli si avvicinò. Giunse a pochi centimetri da lui e gli
diede un lieve bacio
sulle labbra «Lui non è come te, Taro
…» mormorò, guardandolo con un mesto
sorriso.
«Hai
fatto
la tua scelta, Kinuyo …» rispose lui.
«Lo
so.»
disse, guardandolo con occhi malinconici «Prima era diverso.
Quando lo
frequentavo, sapevo che poi qui c'eri tu. Ma ora
…» continuò languida, posando
le mani sul suo petto.
Per
un
momento, Taro fremette a quel contatto. Non aveva dimenticato la sua
relazione
con lei, quello che c'era stato fra loro.
Conosceva
bene il suo corpo. Lo aveva esplorato tante volte, senza stancarsi, nei
mesi in
cui aveva vissuto e giocato a Iwata.
Ricordava
ogni momento del loro primo incontro, della loro prima notte insieme.
Era
stata
la prima donna con cui si era lasciato andare completamente, con cui
aveva
fatto l'amore, mettendo da parte ogni inibizione. L'aveva amata, in
modo totale
e forse ingenuo da ventenne, ma si era sentito pronto a costruire un
futuro,
con lei.
Taro
chiuse gli occhi ed espirò, con un mezzo sorriso.
«Cosa
vorresti dirmi, ora? Che sei pentita, che non lo ami veramente, che ti
sono
mancato?» chiese, in tono beffardo.
Lei
trasalì, non aspettandosi di udire tanta durezza nella sua
voce. Così tanta da
sembrare, in lui, innaturale.
«Fammi
sognare un'ultima volta, Taro …» lo
abbracciò, certa di ispirargli ancora quei
sentimenti che li avevano legati mesi prima, e gli afferrò i
polsi per fargli
posare le mani sui suoi fianchi. Aveva fatto così la loro
prima volta insieme …
aveva guidato le sue mani lungo tutto il suo corpo, per poi lasciare
che
seguisse il suo istinto.
Taro
strinse i denti dietro le labbra serrate, avvertendo l'eccitazione
crescere,
suo malgrado.
Fu
tentato
di stringerla, spogliarla, accarezzarla in tutti i modi possibili, su
tutto il
corpo, e possederla con tutta la passione e la veemenza con cui sempre
lo aveva
implorato di fare, per alimentare in lei i rimpianti, per renderla
consapevole
una volta di più quello che stava perdendo.
Per
orgoglio personale. Perché era stato messo da parte,
declassato a eccitante
avventura in quanto senza laurea e senza un lavoro stabile, quindi
incapace di
offrirle garanzie per il futuro. Perché non lo amava al
punto da condividere i
suoi sogni, le sue aspirazioni, i suoi traguardi e le sue speranze.
Al
contatto con le labbra della giovane donna, le separò con la
lingua, esplorando
la sua bocca. Poi percorse quei centimetri di pelle che lei gli aveva
offerto,
reclinando la testa all'indietro. Ascoltò i suoi ansiti,
sentì la carotide
pulsare convulsamente sotto la pelle serica e contro le sue labbra.
Con
le
mani aveva preso ad accarezzarle le spalle, i seni, i fianchi,
strappandole
altri sospiri.
«Taro
...»
Il
gemito
della donna ruppe quell'incantesimo.
Sollevò
la
testa e la fissò dritto negli occhi.
Lei
lo
guardò, stupita e delusa dall’interruzione di quel
contatto prolungato che la
stava mandando in estasi, come quando stavano insieme.
Taro
sorrise.
No,
non
era più come prima.
L'aveva
illusa, come lei aveva fatto con lui, trattandolo come un giocattolo e
dando
per scontato che le sarebbe bastato ricomparire sulla sua strada, per
avere di
nuovo il dominio sui suoi sentimenti.
E
soprattutto, aveva scorto un barlume di chiarezza nel suo cuore.
Un
sentimento nuovo, all'orizzonte. E il volto di una ragazza dai vivaci e
brillanti occhi castani. Una per cui valeva la pena lasciarsi il
passato alle
spalle.
«Le
cose
cambiano, Kinuyo …» sibilò, scostandosi
da lei e voltandosi verso l'uscio.
Aprì
la
porta e scese i pochi scalini che portavano all'atrio del palazzo.
Gli
parve
di sentire un pianto sommesso, provenire dall'interno dell'appartamento.
Uscì
e
dopo pochi passi fu di nuovo sulla strada.
Rientrato
nel suo appartamento, trovò Urabe ancora seduto sul divano,
con una bottiglia
di birra vuota e l'altra piena per metà sul tavolino.
«Ehi
Misaki! Come mai già qui? Eravamo convinti che ti avremmo
rivisto domattina.»
disse, strizzandogli un occhio.
«Non
consolo le spose infelici.» replicò il giovane con
sarcasmo, passando dietro il
divano e dirigendosi verso la sua stanza.
Hanji
alzò
le spalle e bevve un altro sorso di birra. Poi sogghignò.
«Vuoi
vedere che quei due pettegoli di Ishizaki e Nishimoto hanno ragione
…»
Elena
si
guardò a lungo allo specchio, indecisa su come vestirsi.
Genzo non era certo
uno snob né un fanatico dell'etichetta, anzi non ostentava
per nulla la sua
ricchezza.
Ma
viveva
comunque in una villa enorme e lussuosa. Non poteva certo presentarsi
in jeans
e maglietta.
Indossò
così un lupetto smanicato azzurro e una gonna nera.
Infilò dei collant un po'
più scuri per coprire i lividi sulle gambe e ai piedi un
paio di sandali. Sul
viso, mise un ombretto color oro e un gloss rosa perlato.
Le
rimaneva da decidere come pettinarsi. Raccogliere i capelli nel
consueto
chignon, oppure lasciarli sciolti?
Alla
fine,
optò per una via di mezzo: afferrò due ciocche,
le portò all'indietro e le
fissò con un fermaglio.
Un
look
semplice ed elegante, con cui sperava di non far storcere il naso ai
domestici
della villa e agli ospiti di Genzo.
Arrivò
davanti all'alto cancello di villa Wakabayashi quando il sole
cominciava a
tingere il cielo di sfumature rosse. Suonò il citofono e
pronunciò il suo nome
quando sentì una melodiosa e garbata voce femminile
risponderle.
Il
cancello iniziò ad aprirsi ed Elena attraversò il
vialetto di ghiaia,
osservando l'enorme giardino che si estendeva ai lati. Le file di alti
sempreverdi, il prato all'inglese curatissimo, adornato da splendidi
fiori.
E
infine,
la facciata della villa, che sembrava ancora più ampia e
torreggiante, ora che
la guardava dal basso, a pochi metri di distanza.
Un
cane
bianco sbucò dal retro della villa e le corse incontro,
abbaiando.
Elena
sussultò, ma continuò a camminare senza fretta e
quando l'animale le si
avvicinò, tese una mano, per permettergli di annusarla.
Iniziò
poi
ad accarezzargli prudentemente la testa e il cane la lasciò
fare, continuando a
fissarla guardingo.
«Vedo
che
stai cominciando a fare amicizia con John.»
Elena
alzò
la testa e vide Genzo, a pochi passi da lei e dal suo amico a quattro
zampe.
Gli
sorrise, con una delle sue tipiche smorfie da monella.
«E
così
sei tu il famoso John.» disse poi rivolta al cane, che si
mostrò un po' più
espansivo, come se aspettasse una sorta di "nulla osta" da parte del
suo padrone.
«È
con noi
da quando avevo nove anni. È un vecchietto un po'
diffidente, ma pare che tu
gli stia andando a genio.» scherzò il portiere.
«Entriamo?»
le domandò poi.
Elena
annuì «Sono curiosa di vedere com'è
l'interno di una villa giapponese.»
Aveva
fatto bene a scegliere un abbigliamento più elegante. Genzo
era vestito con dei
pantaloni neri e una camicia bianca, i capelli leggermente arruffati.
Nell'ampio
vestibolo, li aspettava una donna di mezza età di bassa
statura e corporatura
minuta, con il volto delicato e segnato da poche rughe incorniciato da
corti
capelli neri tagliati a caschetto.
«Buonasera,
signorina Rulli. Cambi pure qui le sue calzature, queste devono essere
della
sua misura.»
«Lei
è
Hitomi Sakai, da vent'anni è la nostra governante.»
«Vent'anni?»
«Sì,
fui
assunta poco prima della sua nascita.» confermò
Hitomi.
«L'ha
visto crescere, quindi.» considerò, colpita subito
dopo dal pensiero che
avrebbe voluto farsi raccontare qualche aneddoto
sull’infanzia del portiere …
di certo quella donna ne conosceva moltissimi.
Hitomi
annuì e a Elena parve che stesse per dirle qualcosa, quando
Genzo si rivolse a
lei.
«Sei
la
prima. Mikami non è ancora arrivato.»
«Sei
solo?»
«Sì.
Hiroji e Annie, come ogni finesettimana, sono andati a Tokyo dai miei
genitori
e hanno portato con sé i bambini.»
«Sai
… ero
curiosa di vedere la piccola Aiko.»
«Sta
imparando a camminare, un po' alla volta.»
«Quella
bambina è deliziosa.» disse Hitomi, intenerita,
congedandosi dalla stanza per
ultimare i preparativi della cena.
Pochi
minuti dopo arrivò Tatsuo Mikami.
Elena
l'aveva intravisto durante le partite al National Stadium, accanto al
dirigente
più giovane con lunghi capelli scuri, Munemasa Katagiri, ma
non si erano mai
incontrati.
Genzo
li
presentò ed Elena fu sorpresa quando le disse che aveva
già sentito parlare di
lei.
«Sono
stato l'allenatore personale di Genzo qui in Giappone e, per un breve
periodo,
anche in Germania, prima che entrasse a far parte del settore giovanile
dell'Amburgo. So che Genzo si allena nella palestra dove
lavori.»
«È
più
corretto dire che mi allenavo …»
precisò il portiere, incrociando le braccia.
«Quando
il
tuo occhio sarà guarito completamente, potrai tornare a
farlo.» gli ricordò
Tatsuo.
Mikami
…
l'uomo che per primo aveva intuito il talento di Genzo.
Anche
lui
lo conosceva benissimo e chissà quanti episodi poteva
raccontarle, soprattutto
sui suoi primi anni in Germania, costretto a confrontarsi con una
lingua e una
cultura così diverse da quelle del suo Paese d'origine.
Una
voce
stentorea e gutturale riecheggiò nel vestibolo, in un
giapponese dalla
pronuncia un po' stentata.
Genzo
spalancò gli occhi, poi sbuffò, seccato.
Günther
Hoffmann aveva deciso di comparire al momento più opportuno
per sé stesso, ma
meno adeguato per lui.
«Buonasera,
signora Sakai. Le ho portato un mazzo di peonie, so che lei gradisce
moltissimo
questi fiori.» le disse in un tono talmente gentile da
rasentare lo svenevole.
Hitomi
lo
avrebbe trovato imbarazzante se non fosse stato un uomo di mezza
età, dal
fisico da granatiere e gli occhi azzurri che creavano un attraente
contrasto
con i capelli castano scuro un po' ingrigiti sulle tempie.
«Signor
Hoffmann, sono meravigliosi. Non sapevo fosse stato invitato anche
lei.»
«Anche?
Perché, ci sono altri ospiti?»
«Sì,
il
signor Mikami e la signorina Rulli.»
«Rulli?
Ma
non si chiamava Ujimori?» chiese, sorpreso.
«Asami
non
è qui. La signorina Elena Rulli è una mia amica,
la nipote del mio maestro di
kickboxing. Sarebbe dovuto essere anche lui qui stasera, ma
è ancora
convalescente dopo un intervento alla testa.» intervenne
Genzo, entrando nel
vestibolo togliendo così d'impaccio la governante, senza
preoccuparsi di
nascondere un'espressione contrariata.
«Buonasera
Herr Hoffmann. Lieta di conoscerla.» si fece avanti la
giovane.
«Buonasera
signorina. Il suo nome è italiano, ma dal suo aspetto e
dalla sua pronuncia
perfetta si direbbe che scorre anche sangue teutonico nelle sue
vene.»
«Non
sbaglia. La famiglia di mia madre vive in Germania.»
«In
quale
zona?»
«La
Baviera, non lontano da Monaco.»
«Bene
… io
vengo da Augsburg.»
Poi
si
rivolse al suo assistito.
«Che
si
tratti di fidanzate o amiche, caro Genzo, dimostri sempre un ottimo
gusto.» si
complimentò ammiccando, mentre Elena fece un blando sorriso
all’udire quelle
parole.
Il
ragazzo
alzò gli occhi al cielo e fece cenno a Hitomi di far servire
la cena il più
presto possibile.
Una
volta
seduti a tavola, il procuratore non perse tempo e riesumò
subito l'argomento
che in realtà più di tutti gli premeva trattare.
«Ti
avevo
detto che avremmo parlato del mio trasferimento soltanto dopo le
qualificazioni, Günther.» gli disse Genzo, senza
nascondere la sua irritazione.
«Certo,
e
se non ti fossi infortunato, avrei rispettato questa scadenza. Ma ora
la tua
prossima partita la giocherai alle Olimpiadi, se il Giappone si
qualificherà,
quindi preferisco portarmi avanti. Anche perché per
l'appunto, ora come ora
rischiate di non andarci, a Madrid.» disse, senza ironia.
Genzo
sospirò. La sola idea gli faceva gelare il sangue nelle
vene, ma Günther aveva
ragione: l'esclusione del Giappone dai Giochi era una minaccia concreta.
«Il
Bayern
ti vuole, è disposto a sborsare qualsiasi cifra. Li hai
letti i giornali? Sei
il portiere più seguito, per te spasimano tutti i grandi
club.»
«Lo
faccio
ogni giorno. Non mi hai detto nulla di nuovo.»
ribatté, in tono annoiato.
«Quello
che non sai, è che Zeeman molto probabilmente
andrà via dall'Amburgo, a fine
stagione. È richiesto dalla Dinamo Dresda, che sta per
essere promossa in
Bundesliga. Ed è stato contattato anche dal Rapid Vienna e
dal Losanna.»
«No,
non
lo sapevo, ma non mi stupisce. I risultati delle ultime due stagioni
sono stati
mediocri e comunque al di sotto delle aspettative.»
«Ma
tu
torneresti ad Amburgo se Zeeman andasse via?» lo
incalzò Günther.
Per
lo
spazio di un attimo, quella notizia colpì Genzo come se si
fosse aperta,
improvvisamente, una breccia. Ma preferì non sbilanciarsi.
«I
miei
rapporti si sono incrinati con lui, non ho avuto problemi né
con i miei
compagni, né con i dirigenti, né con gli altri
membri dello staff tecnico.»
Günther
sogghignò «Beh, non ti rivorranno comunque. Il
club ha grossi problemi
finanziari, fa fatica a mantenere i conti in pareggio e ha bisogno di
fare
cassa. E tu sei il pezzo più pregiato.»
Genzo
lo
guardò. Un lampo di disillusione passò nei suoi
occhi. Günther gli sorrise con
comprensione.
«Questa
storia dell'esclusione dall'undici titolare per fare posto ad altri tre
extracomunitari, tecnicamente non eccelsi per inciso, è
stata tutta una
pantomima, Genzo. Il direttore sportivo dell'Amburgo era convinto che
avresti
accettato il trasferimento al Bayern, invece sei rimasto e hai fatto
saltare un
affare che avrebbe rimpinguato le casse del club. E così
hanno aspettato
l'occasione giusta per portarti alla rottura. Senza saperlo, gliel'hai
servita
su un piatto d'argento.»
«Io
mantengo il mio proposito. Ci penserò solo dopo le
qualificazioni.» ribadì.
Günther
annuì, ma non rinunciò al suo ennesimo tentativo
di persuasione.
«Se
rimani
in Germania, hai il vantaggio di conoscere già la lingua,
così come se dovessi
andare in Inghilterra. L'unico inconveniente, chiamiamolo
così, di un
trasferimento al Bayern è che i tuoi attuali tifosi ti
bollerebbero come un
"traditore", specie dopo il tuo "assist" dell'andata.»
Genzo
lo
fulminò con lo sguardo, ma Hoffmann lo ignorò.
«Però,
e
questa è la cosa più importante, riempiresti
l'ultimo tassello che manca al
Bayern per poter prevalere sulle migliori d'Europa. E cominceresti
finalmente a
vincere, anche a livello di club, i titoli e i trofei che un portiere
del tuo
calibro merita di conquistare.» concluse serio.
«Non
vogliono semplicemente un portiere forte, vogliono te.»
Elena
aveva seguito con enorme interesse, al pari di Mikami, la conversazione
tra
Genzo e il suo procuratore.
Per
un
attimo le era balenata in testa l'idea che se il portiere si fosse
trasferito
al Bayern Monaco e lei fosse stata accettata alla Ludwig-Maximilian
Universität, avrebbero potuto rivedersi ancora, anche in
Germania. Non riuscì a
negare di considerarla una prospettiva tutt'altro che spiacevole.
Al
Mỹ Ðinh
National Stadium di Hanoi, i giocatori giapponesi arrivarono quasi
sempre al
tiro, trasformando presto la partita in un assedio per i loro avversari.
La
partita
si mise sul binario giusto dopo dieci minuti, grazie a uno splendido
destro di
Jun Misugi, che univa tecnica e potenza.
Al
venticinquesimo, Matsuyama segnò con uno dei suoi insidiosi
tiri rasoterra.
Al
trentesimo del secondo tempo, un potente tiro di sinistro di Misaki si
infilò
alle spalle del portiere vietnamita, senza che questi avesse mosso un
muscolo.
«Avevo
ragione a non essere preoccupato per la partita contro il Vietnam, la
stiamo
vincendo senza difficoltà. È il risultato di
Arabia Saudita-Australia che temo
… si può soltanto sperare che Al Owairan e Vulkan
abbiano giocato la loro
miglior partita, trascinando i loro compagni.»
«Certo,
non hanno più grandi motivazioni visto che sono
già eliminati.» obiettò Mikami.
«Ma
giocano in casa. Vorranno congedarsi dal loro pubblico con una
prestazione
dignitosa.» insistette Genzo.
Ripensò
a
quello che Misaki gli aveva detto al telefono, quando si erano sentiti
in
mattinata.
«Ho
parlato con Al Owairan al termine della partita contro l'Arabia Saudita
… mi ha
promesso che darà il massimo contro l'Australia. A noi, non
resta che vincere e
sperare in un risultato positivo per noi, a Riyad.»
Mancavano
pochi minuti al termine della partita e l'Australia stava conducendo
per 1-0.
Ma
Mark Al
Owairan ancora non si dava per vinto.
Era
sempre
stato convinto che nel calcio, con sufficiente tempo a disposizione,
poteva
accadere qualsiasi cosa e molte volte i fatti gli avevano dato ragione.
E
in tre
minuti l'Arabia Saudita avrebbe potuto pareggiare e forse anche vincere.
Aveva
fatto una promessa a Misaki ed era determinato a onorarla fino in
fondo.
Avrebbe tentato, tentato fino al fischio finale dell'arbitro.
Ide
Tamotsu raggiunse il campo in lacrime.
I
giocatori in campo e in panchina, Kira e il suo staff si voltarono
verso di
lui.
L’assistente
tecnico si fermò e si mise le mani sulle ginocchia, ansando
e continuando a
piangere.
«Ragazzi
…
a Riyad è finita … 1-1! Gol di Al Owairan al
quarantaquattresimo!» gridò,
alzando i pugni e liberando finalmente tutta la sua gioia.
Tutti
i
giapponesi, in campo, in panchina e sugli spalti dello stadio,
esultarono.
Il
boato
si diffuse in metà stadio.
I
giocatori levarono le braccia al cielo, si abbracciarono, saltellarono
sul
terreno in preda all'euforia.
Taro
strinse i pugni e si deterse il sudore dalla fronte e le lacrime di
felicità
dagli occhi.
Mark
aveva
mantenuto la sua promessa.
Schizzarono
tutti in piedi, saltando e alzando i pugni.
Elena
gettò le braccia al collo di Genzo, gridando felice.
«Oh
Genzo
è meraviglioso! Abbiamo di nuovo la qualificazione nelle
nostre mani!»
Sgranò
gli
occhi quando si accorse degli sguardi tra lo sconcertato e l'ironico di
Mikami
e Hoffmann, puntati su di lei. Genzo aveva un'aria sorpresa, mista a un
luccichio di gioia.
Si
slacciò
dal ragazzo e si ricompose.
«Oh,
scusami. Scusate. Ero … in preda all'entusiasmo.»
si giustificò, rivolta prima
al portiere e poi volgendosi verso l'allenatore e l'agente, i quali
risero
sotto i baffi nel vedere il suo volto in fiamme.
Approfittando
della momentanea assenza di Genzo, che si era trattenuto sulla porta di
casa a
parlare con Mikami appena congedatosi, Elena salì le scale e
percorse il
corridoio, con la sola intenzione di dare un’occhiata ai
quadri appesi alle
pareti, alcuni dei quali erano ritratti di membri della famiglia
Wakabayashi.
Giunse
davanti a una porta semiaperta, da cui si intravedevano fotografie,
trofei e
gagliardetti.
Doveva
essere la stanza di Genzo.
Si
guardò
intorno esitante, poi la curiosità ebbe la meglio ed
entrò.
Günther
Hoffmann se n'era andato da poco e nella villa, a eccezione dei
domestici,
erano rimasti soltanto loro.
Si
trovava
lì da pochi minuti, quando la voce del portiere la fece
sobbalzare.
«Ah,
eri
qui.»
Lei
si voltò e lo vide
fermo accanto a uno stipite della porta, le braccia incrociate ma il
suo tipico
sorriso sghembo sul viso.
«Scusami
…
è che la porta era aperta e ho intravisto le foto sulla
parete … e mi sono
incuriosita. Non ho toccato nulla.»
Genzo
scosse la testa «Non ti preoccupare. Sono legato a quelle
immagini, più che a
tutte le altre.» le confidò, entrando nella stanza
e affiancandosi a lei.
Le
mostrò
le fotografie e le descrisse gli eventi cui si riferivano, le
raccontò dei
tornei di Yomiuri Land, soprattutto quello vinto con la Nankatsu.
«Questa
è
stata scattata nella nostra villa di Londra, dopo la vittoria al
Mondiale Under
16 a Parigi.» continuò a elencare.
«E
questo
è il mio primo trofeo vinto nel campionato della prefettura,
con la Shutetsu.
L'uomo accanto a me è mio nonno.» le
spiegò, indicandole l'alto signore dai
capelli bianchi che gli teneva orgogliosamente una mano su una spalla.
Occhi
neri come l'ebano e sguardo fiero, lo stesso del nipote.
Elena
sorrise, intenerita.
«So
che
solitamente glissi su questo argomento, ma posso fartela una
domanda?»
«Dimmi.»
«Davvero
non hai nessuna idea di dove ti piacerebbe andare a giocare? Una
squadra
preferita, una situazione più stimolante rispetto alle altre
…»
Genzo
fece
un sorriso triste e diede un'alzata di spalle «È
difficile lasciare una città
in cui si è vissuto per tanti anni. Io credevo sarei rimasto
ad Amburgo per
tutta la carriera …» le confidò.
«Le
bandiere nel calcio sono sempre più rare. Le ultime si
stanno ammainando ed è
difficile che ci sia qualcuno pronto a raccogliere il
testimone.» replicò la
giovane «I club oggi preferiscono vendere i loro pezzi
migliori e incassare
quanti più soldi possibile, per far quadrare i conti e
acquistare altri
giocatori. Lo stanno facendo anche con te: come ha detto Herr Hoffmann,
la
vicenda con Zeeman è stata strumentalizzata e in
realtà cercavano soltanto una
scusa per cederti.»
Genzo
piegò le labbra da un lato «Forse ero soltanto
presuntuoso. Pensavo che solo
con le mie parate, l'Amburgo potesse vincere la Bundesliga. Ci siamo
andati
vicini tante volte, ma poi arriva sempre primo qualcun altro.»
«È
qualche
anno ormai, che arriva primo sempre il Bayern.»
ribatté Elena, strizzandogli un
occhio.
Genzo
sorrise di rimando, poi replicò, serio in volto
«Come ha detto Günther, se
andassi a Monaco, specie dopo quanto accaduto a settembre, i tifosi
amburghesi
mi vedrebbero come un traditore, uno che è cresciuto nella
loro squadra per poi
andare a cercare vittorie e titoli con i loro rivali.»
Elena
scosse la testa «Non sei un traditore, ma un professionista.
Tra Amburgo e
Bayern ci sarà una rivalità storica, ma da anni
sono su due piani diversi,
quanto a competitività e obiettivi da raggiungere. Credo tu
sia abbastanza
onesto da ammetterlo.»
Genzo
la
guardò, poi abbozzò un sorriso e
assentì con il capo.
«Ho
passato un periodo fondamentale della mia formazione umana e calcistica
in
Germania.» affermò «Non so se limitarmi
a cambiare città, o se trasferirmi in
un Paese diverso addirittura e fare un'esperienza in un altro
campionato.»
«Come
ti
ho già detto, a me piacerebbe davvero vederti difendere la
porta del Bayern
Monaco.» ammise, con un leggero sorriso.
Genzo
la
guardò ancora. Un pensiero gli attraversò la
mente: se lei avesse scelto di
studiare a Monaco, lui avrebbe davvero potuto accettare l'offerta dei
bavaresi
… ma preferì non dire nulla. Era di nuovo vicina,
ma ancora non poteva
toccarla, e allora doveva evitare che si allontanasse.
«Ti
va di
bere qualcosa? Ho delle birre e altre bevande in frigo.»
«Una
birra
andrà benissimo.»
«Io
sono
giapponese fino al midollo, ma devo riconoscere che preferisco quella
tedesca.»
affermò, afferrando due bottiglie e posandole sul tavolo
della cucina, cui lei
si era seduta.
Hitomi
si
era già ritirata nella sua stanza.
Rimasero
lì fino a tardi, a parlare delle loro vite, a ridere, a
raccontarsi episodi
della loro adolescenza.
Genzo
non
aveva mai parlato di sé stesso con tanta
spontaneità a una ragazza.
Con
Elena,
sentiva di poter discorrere di qualsiasi argomento senza sentirselo
liquidare
con risposte banali. E alle sue battute, sapeva ribattere con
altrettanto
spirito.
Durante
la
partita, aveva sorpreso Mikami e Hoffmann con le sue osservazioni e
commenti
puntuali e appropriati sulle azioni e sulle caratteristiche dei
giocatori.
Gli
dispiacque e gli sembrò di risvegliarsi da un bel sogno,
quando lei si scostò
piano all'indietro, con la sedia.
«Si
è
fatto tardi. È meglio tornare a casa. Domani devo essere in
palestra.»
«Ti
accompagno.»
«Non
ce
n'è bisogno, non disturbarti a fare tutta la
strada.» obiettò.
Genzo
scosse la testa «Come hai detto tu, è tardi, e sei
anche un po' brilla.» le
fece notare.
«Brilla?»
ripeté, corrugando le sopracciglia, con un buffo broncio.
Genzo
ridacchiò e confermò la parola usata con un mezzo
sorriso «Esatto.»
Effettivamente,
non aveva certo perduto la lucidità, ma l'alcool e la
spensieratezza di quella
serata l'avevano un po' alterata. Si sentiva più leggera e
rilassata.
Si
affacciò alla finestra e osservò il cielo ormai
scuro.
«Mi
sono
dimenticata di portare una giacca con me.»
«Aspetta.»
Uscì
dalla
cucina e salì le scale, per poi tornare poco dopo con una
morbida giacca bianca
di cotone.
«Puoi
mettere questa. È di mia madre.» disse, aprendola
e adagiandogliela sulle
spalle, mantenendo per pochi attimi il contatto delle sue mani, divise
dalla
pelle nuda soltanto da quel leggero strato di stoffa.
Elena
si
voltò e incontrò il suo sguardo, premuroso come
al solito.
Non
poté
fare altro che sorridergli, in un muto ringraziamento.
Kumi
entrò
nel locale seguita da Madoka, Ikuko e Saya, e individuò
subito un tavolo
situato proprio dirimpetto al grande televisore fissato al soffitto
della
stanza.
Yukari
era
a Hanoi insieme ai supporter, mentre lei era rimasta in Giappone,
perché voleva
passare il finesettimana con il suo gruppo di amiche, cosa che non
accadeva da
molti mesi.
Aveva
invitato anche Elena, per dare la possibilità soprattutto a
Ikuko e Saya di
conoscerla meglio, ma l'insegnante aveva rifiutato, adducendo un
impegno già
preso in precedenza, senza specificare di cosa si trattasse.
Le
quattro
ragazze passarono così la serata in un famiresu,
a seguire la partita sul grande schermo, tifando ed esultando ai gol
della
Nazionale giapponese.
Persino
Ikuko e Saya si entusiasmarono, trascinate da Kumi e Madoka, e
impazzirono
letteralmente di gioia quando appresero del pareggio tra Arabia Saudita
e
Australia.
Al
termine
del match, le quattro ragazze lasciarono il locale tutte insieme e,
dopo aver
percorso un tratto di strada tra chiacchiere e risate, il gruppo si
divise a
metà.
Madoka
e
Kumi proseguirono verso l'abitazione dell'ex manager.
«Sai,
Shun
mi ha promesso che al termine delle qualificazioni andremo a Kyushu per
una
breve vacanza. Indipendentemente dal risultato.»
«È
molto
bello da parte sua … non vuole farti pesare un'eventuale
eliminazione.»
«Già
… è
presto per dirlo, ma forse la nostra storia può davvero
funzionare. Siamo
ripartiti con il piede giusto e io, giorno dopo giorno, mi sento sempre
più
innamorata.» affermò, con aria sognante.
Kumi
la
guardò con tenerezza e anche con un po' di invidia.
«A
proposito … che mi dici di Misaki? Vi siete
rincontrati?» Madoka sembrava
averle letto nel pensiero.
Lo
sguardo
di Kumi si illuminò «Sì.» e
le raccontò del loro breve incontro a Fuji.
La
sua
amica, dopo aver ascoltato con attenzione, annuì con
approvazione.
«Devi
cominciare a farglielo capire, Kumi. I segnali favorevoli ci sono
tutti.»
«Non
so se
li coglierebbe, ora come ora. Siamo nel momento della verità
… sta pensando
soltanto alle qualificazioni.»
Madoka
strinse le labbra «Già … anche Shun
ultimamente non parla d'altro. I Giochi
Olimpici sono una vetrina internazionale, non parteciparvi sarebbe
un'occasione
persa e una possibilità in meno per la loro
carriera.»
«E
le
Olimpiadi capitano una volta sola nella vita. Perché per
loro non è solo
questione di essere notati da squadre europee e affermarsi in
campionati
prestigiosi, è anche il raggiungimento di una nuova tappa
verso la
realizzazione del sogno di portare il Giappone sul tetto del
mondo.» spiegò
Kumi.
Voltarono
l'angolo e Madoka notò due figure conosciute camminare nella
direzione opposta
alla loro.
«Ehi
Kumi!
Guarda.» le sussurrò, dandole di gomito e
attirandola dietro una cancellata.
La
ragazza
la guardò dapprima con aria interrogativa, poi diresse il
suo sguardo verso le
due persone e spalancò gli occhi.
Man
mano
che si avvicinarono, le due amiche distinsero anche le loro voci e
parte di ciò
che si stavano dicendo.
Wakabayashi
stava accompagnando Elena a casa e si erano fermati davanti al
cancello, uno di
fronte all'altra.
«Ti
restituisco la giacca.»
«Puoi
tenerla. Me la ridarai un'altra volta.»
«Ma
non è
giusto … e se tua madre volesse metterla?»
«Non
viene
spesso a Nankatsu. Lei e papà passano più tempo
nella loro casa di Tokyo, dove
c'è la sede della nostra holding.»
Genzo
riuscì, in tono divertito per quel buffo scambio di battute,
a convincerla.
«E
va
bene.» disse infatti, alzando gli occhi al cielo.
Prima
di
aprire il cancello, si voltò verso il ragazzo.
«È
stata
una bella serata, Genzo. Grazie.»
«Lo
è
stata anche per me, Elena.» rispose con una voce bassa e
calda, che le spedì
l'ennesimo brivido lungo la schiena.
Si
guardarono per un lungo attimo.
Lui
si
avvicinò e le sfiorò le braccia con le mani.
I
suoi
palpiti erano così frenetici che le sembrava di sentir
pulsare anche la testa.
I
loro
visi erano distanti ormai pochi centimetri … poteva sentire
il suo respiro.
Era
sempre
riuscita a distogliere in tempo lo sguardo dall'incredibile
intensità dei suoi
occhi.
Non
quella
volta.
Ipnotizzata
da quelle due iridi nere come l'ossidiana, chiuse gli occhi …
I
due
ragazzi sobbalzarono e si guardarono con un'espressione interdetta.
Wilhelm
abbaiava e saltava sulle sbarre del cancello, reclamando attenzione.
Elena
emise uno sbuffo e si voltò.
«Buono,
Wilhelm! Sveglierai tutti quanti!» lo rimproverò
severa, e il cane si acquietò,
emettendo un timido guaito.
«Ti
presento Wilhelm, il cane dello zio.» disse poi con un tono
più calmo, cercando
di recuperare un po' di scioltezza.
Genzo
assentì, con un mezzo sorriso.
«Beh
… ci
vediamo, allora.» proferì, incontrando il cenno
d'assenso di Elena.
Si
salutarono, e lui prese la strada di casa.
Nel
suo
animo si alternavano sentimenti di varia natura. Era contrariato
perché quel
cane aveva rovinato il loro momento, e lui desiderava ormai
più di ogni altra
cosa il contatto delle labbra di Elena, ma doveva ammettere che un
osservatore
esterno avrebbe trovato la cosa divertente. C'era però
un'altra sensazione … ed
era di speranza.
Perché
Elena aveva chiuso gli occhi … non l'avrebbe respinto.
Era
una
conferma di ciò che aveva sempre pensato: anche lei era
attratta, e i suoi
tentativi di tenersi a distanza non erano dovuti a un rifiuto nei suoi
confronti, ma ai sensi di colpa che nutriva nei confronti del suo ex
fidanzato.
Ma
prima
di chiedere a lei di provare a guardare avanti, doveva essere lui a
chiudere
una storia che ormai non lo coinvolgeva più. Non sapeva come
avrebbe fatto ad
affrontare Asami e a dirle che non se la sentiva di continuare la loro
relazione, ma non poteva nemmeno andare avanti così. Stare
con lei e pensare a
un'altra, era comunque una forma di tradimento. E lui provava rispetto
per
Asami e le voleva bene.
Doveva
affrontare un probabile scontro con la
sua famiglia, pur di evitare a lei e a sé stesso un futuro
infelice.
«Hai visto, Kumi?» sussurrò
Madoka, trattenendo a stento una risata.
«Sì …» rispose l'ex
manager. Allora le sue impressioni erano corrette: stava nascendo
qualcosa tra
Elena e Wakabayashi … non c'erano più dubbi,
almeno per quanto riguardava la
giovane italiana. Si chiese se Misaki sapeva o immaginava quello che
stava
accadendo tra i suoi due amici, e come l'avrebbe presa.
Era
l'unico dubbio che le rimaneva, prima di provare a fare il passo
decisivo.
Elena
sfilò il fermaglio dai capelli e si gettò a
sedere sul divano, per poi
reclinare la testa sullo schienale.
Stava
per
baciare Genzo …
Non
aveva
provato sollievo, ma disappunto quando Wilhelm aveva abbaiato,
spaventandoli e
interrompendo irrimediabilmente quel momento.
Dovette
ammetterlo.
Genzo
le
piaceva, si sentiva felice quando era accanto a lui e avvertiva un
senso di
vuoto quando se ne andava, dopo aver trascorso del tempo insieme.
Ma
nulla
sarebbe stato possibile tra loro, finché non si fossero
decisi a recidere i
loro legami già esistenti. E lei ancora non era disposta a
buttarsi alle spalle
il suo, senza sentirsi colpevole.
Per
tutta
la notte fu incapace di prendere sonno. Si rigirò nel letto,
alla ricerca della
posizione più favorevole, ma quei pensieri e dubbi non la
abbandonarono.
***Note***
Yakiniku: termine con cui
in Giappone si indica
una varietà di piatti a base di carne alla griglia. Prevede
che gli
ingredienti, diversi tagli di carne di manzo marinata (ma anche di
maiale,
cavallo o pollo) e verdure, vengano serviti crudi e poi cotti dai
commensali su
una griglia in comune posta in mezzo al tavolo. Carne e verdure vengono
poi
mangiati accompagnati da alcune salse tra le quali la più
famosa, chiamata tare, è
fatta con una base di salsa di soia, mirin, sake, zucchero, sesamo
e aglio.
Fonte: Ohayo.it
La birra Kirin Ichiban è una delle preferite dai
giapponesi. Viene prodotta
seguendo il metodo Ichiban
Shibori (tutti
gli ingredienti vengono
pressati una sola volta) e utilizzando solo malto della più
alta qualità
Viene
servita fredda, direttamente dal frigorifero.
Fonte: JapanCentre
Il
miai
o omiai
(nella sua forma
onorifica) è un'usanza tradizionale giapponese che consiste
nel far incontrare
due persone libere da legami sentimentali affinché prendano
in considerazione
la possibilità di sposarsi. Letteralmente significa
"guardarsi reciprocamente"
ma è traducibile come "colloquio formale a scopo
matrimoniale", per
questo non è corretto definirlo, come spesso avviene,
"matrimonio
combinato".
Una
figura
frequente, ma non indispensabile nell'organizzazione di un omiai è
il nakodo
("sensale di matrimoni") che svolge il ruolo di intermediario tra le
famiglie; solitamente viene scelto tra i componenti o gli amici di una
delle
famiglie oppure ci si affida a un professionista.
Fonte:
Wikipedia