Quell'estate era
già calda, calda,
troppo
calda.
Vera avrebbe potuto giurare di non aver mai sudato
tanto come in quegli ultimissimi giorni di giugno: quel giorno in
particolare, poi, nonostante fosse ormai pomeriggio inoltrato,
minuscole gocce salate le scorrevano sul volto e lungo il collo.
La venticinquenne salì l'ultimo gradino
e lanciò un'occhiataccia all'ascensore del palazzo, sulla
cui porta era attaccato un cartello con la scritta
“GUASTO” che sembrava sbeffeggiarla. Sbuffando
inferocita, infilò la chiave nella serratura ed
entrò nell'appartamento di Vittorio.
«Ehi». Vittorio mise fuori la
testa dalla porta della cucina e le scoccò uno sguardo
perplesso. «Tutto bene, Gamba Bionica?»
«Non chiamarmi così,
non chiamarmi così»
ringhiò Vera; si buttò a peso morto sul divano e
chiuse gli occhi, le mani strette intorno alla coscia sinistra.
Il carabiniere si pulì le dita sul
grembiule da cucina che indossava e la raggiunse. «Ti fa male
la gamba?»
«Sì, dannazione,
sì»
sibilò lei in risposta. «Mi faceva male
già prima, e arrampicarmi su per tutte quelle stramaledette
rampe di scale non mi ha aiutata per niente!».
Sbatté la testa contro i cuscini dello schienale.
«La casa al
quarto
piano doveva prendere, proprio quella!»
mugugnò tra sé.
Vittorio inarcò le sopracciglia.
«Quindi immagino sia colpa mia» replicò
pungente.
Vera lo guardò mentre ci rifletteva
sopra. «In parte» confermò infine.
Il carabiniere alzò gli occhi al cielo.
«È bello sapere che qualsiasi cosa io dica,
qualunque cosa io faccia, avrò sempre la colpa di ogni
evento negativo che ti capita» dichiarò,
sarcastico. «In fondo, avere dei punti saldi, nella vita,
è importante».
«Piantala di fare la vittima: non ti si
addice» rispose secca Vera. «E poi, non ho voglia
di discutere».
«Sarebbe una novità
assoluta». Vittorio ignorò lo sguardo rabbioso
della sua fidanzata e le staccò le mani dalla gamba.
«Se la protesi ti fa così male, toglila»
le suggerì.
«E poi come cammino? Saltellando su un
piede solo?» domandò Vera, sarcastica quanto lo
era stato Vittorio poco prima.
Per tutta risposta, lui si alzò
sbuffando e sparì verso nella zona notte della casa per
tornare un minuto più tardi con un paio di stampelle.
«To'» disse scocciato.
«Le ho prese un po' di tempo fa perché ho pensato
che non si sa mai, magari un giorno ti sarebbero potute servire mentre
eri da me. E adesso piantala con tutto 'sto malumore»
aggiunse prima di andare in cucina.
La ragazza grugnì un assenso;
arrotolò completamente la gamba del pantalone, poi si
sfilò la protesi e l'appoggiò con malagrazia
accanto a sé; Estia, curiosa, saltò sul divano e
prese a osservare e annusare l'oggetto.
«Ti piace, Estia? Perché se
la vuoi, te la regalo».
«Non penso se ne farebbe
granché; Efesto, invece, potrebbe apprezzare
l'offerta» commentò Vittorio, tornando a sedere
accanto a Vera. «Per la cena manca ancora un po', se ti va
puoi riposarti».
«Voglio una gamba nuova!»
Il carabiniere allungo una mano verso la protesi,
ma si fermò prima di afferrarla. «Posso?»
Vera sghignazzò suo malgrado.
«Quando si tratta di altre parti di me, il permesso non lo
chiedi mica».
«Sulle altre parti non sei
così suscettibile». Vittorio schivò il
pugno di Vera e prese la gamba artificiale per studiarne l'interno
della cuffia in silicone. «Sei sicura che questo affare vada
bene, per te? Va bene tutto, ma non so se sia normale che tu abbia
tutti questi dolori».
«Me lo sono chiesto anch'io»
ammise lei.
«E...?»
«E niente, Vittò. La uso da
otto mesi, con un po' di tempo in più potrei avere meno
problemi» rispose Vera, massaggiandosi il moncone con fare
distratto.
«Mhhh» mugugnò
l'uomo, poco convinto, mentre metteva la protesi su una sedia.
Finalmente con le mani libere, si appoggiò al bracciolo del
divano e trascinò Vera tra le proprie gambe, allungate sui
cuscini. «Vieni qui».
La donna ridacchiò. «Non hai
caldo?»
«Nah» replicò
Vittorio. «E tu?»
Vera si sistemò meglio con la schiena
contro il petto di lui. «Non abbastanza da
spostarmi».
«Ottimo». Il carabiniere le
baciò una tempia. «Adesso che siamo belli comodi e
pronti a una sudata da record, ti va di parlarmi di qualcosa in
particolare?»
«Tipo cosa?»
«Non lo so. Tipo il processo che
dovrebbe iniziare a giorni?»
Vera batté rapidamente le palpebre e si
contorse nel suo abbraccio per tentare di guardarlo in volto.
«E tu come...»
Vittorio inarcò le sopracciglia.
«Casa di mia madre?»
«Ah, già. Stupido
telegiornale» sbuffò Vera. Si grattò
l'attaccatura dei capelli, lo sguardo fisso sulla libreria che aveva di
fronte. «Sì, be', la prima udienza è
tra una decina di giorni e l'idea non mi fa impazzire, quindi penso...
penso che non ci andrò» disse. «Giulia
vuole andarci, e se ci va lei, ci va anche Tiziano; i genitori e il
fratello di Noemi ci saranno di sicuro, ma io... io non so se ce la
faccio».
L'uomo tacque per un
istante. «Di cos'hai paura,
Vè?» chiese lentamente.
Lei
deglutì. «Dovrò andarci
comunque, più avanti, per testimoniare su...
sull'incidente» sussurrò. «Non lo posso
evitare, non posso scappare, e allora... allora ho pensato che forse
è meglio se... se non ci vado, in aula, prima di quel
giorno. Ho paura, Vittò» disse con voce
tremante. «Che succede se quando sono lì
non riesco a parlare? Che succede se ci vado già dalla prima
udienza e poi non riesco a sedermi su quella sedia e dire
com'è stato quando... quando quella macchina ci è
venuta addosso, quando mi sono svegliata senza una gamba, quando
continuavo a cercare Noemi perché ero abituata a condividere
tutto con lei e mi dimenticavo che non c'era più?
Come...»
La voce di Vera si spezzò.
Vittorio sospirò e le
accarezzò i capelli. «I giudici non ti
mangiano, tesoro» la rassicurò. «Forse
l'avvocato del ragazzo potrebbe provarci, ma dopo quello che hai
passato, penso che sarebbero i giudici stessi a dirgli di darsi una
calmata, se si agita troppo. E comunque, se ci vai tu, allora ci vado
anch'io». Tacque per un istante. «Se tu mi vuoi
lì con te».
Nonostante il pensiero del processo le gravasse
sul petto come un macigno, Vera ridacchiò di nuovo.
«Stai dicendo che te la senti di affrontare i miei
genitori?»
«Non mi sembra di aver avuto problemi,
due mesi fa» ribatté Vittorio in tono spavaldo.
«No, ma due mesi fa non stavamo
insieme» sogghignò Vera prima di tornare seria.
«Comunque, se non ti crea problemi con il lavoro, io... io ti
vorrei in aula con me, sì».
«Non ti preoccupare del mio lavoro: a
quello ci penso io».
«Io...». Vera
deglutì un paio di volte prima di riuscire a parlare di
nuovo. «Grazie, Vittorio» sussurrò.
La risposta dimessa di Vera punse Vittorio come
una vespa feroce: era così poco da lei da farlo vibrare
dalla testa ai piedi in modo negativo. Dopo aver spinto la
venticinquenne in posizione seduta si alzò di scatto,
afferrò la protesi e gliela porse. «Sai che ti
dico? Possiamo cenare più tardi. Adesso rimettiti la gamba:
usciamo».
Vera lo guardò, incuriosita.
«E dove andiamo?»
«Aspetta e vedrai».
******
Vittorio portò indietro il braccio e lo spinse in avanti con
un movimento simile a un colpo di frusta.
«Avanti, Hermes, prendila!»
Il pastore tedesco partì
all'inseguimento della pallina che l'uomo aveva appena lanciato verso
Vera; la ragazza scoppiò a ridere e l'afferrò al
volo mentre il cane si bloccava di fronte a lei, in attesa.
Quando Vittorio le aveva proposto di uscire,
l'ultima cosa che Vera si sarebbe aspettata era un'uscita al parco con
Hermes. Sulle prime era stata scettica: fosse stato per lei, si sarebbe
parcheggiata di fronte al ventilatore dopo una bella doccia fredda e, a
giudicare da come Hermes stava spalmato in un angolo d'ombra sul
pavimento del giardino, il suo cane aveva più o meno gli
stessi progetti.
Vittorio, invece, li aveva trascinati per strada
incurante della loro pigrizia, sordo all'ansimare di Hermes e al
mugugnare incessante di Vera; aveva rallentato solo quando si erano
inoltrati lungo i viali del parco, e per quel momento sia il cane che
la donna si erano rassegnati all'inevitabile.
In quel momento, però, mentre una
brezza appena accennata dava loro un po' di respiro, Vera non
poté fare a meno di essere contenta che il carabiniere li
avesse portati lì contro la loro volontà:
nonostante la gamba le facesse ancora male, nonostante la sua pelle
fosse appiccicaticcia a causa del sudore e il suo stomaco brontolasse
per la fame, le corse disperate di Hermes alle calcagna della pallina e
la risata ricca e profonda di Vittorio la facevano sentire
infinitamente più leggera.
Vera agitò la palla colorata sotto il
naso di Hermes e la scagliò lontano, gli occhi fissi sul
cane che galoppava, prima di spostare lo sguardo su Vittorio.
«Un po' mi scoccia ammetterlo, ma hai
fatto bene a trascinarci qui» commentò, con un
sorriso sul volto.
Vittorio la fissò con tanto d'occhi.
«Le mie orecchie mi ingannano o hai appena detto che ho fatto
bene? Che
io
ho fatto bene qualcosa?». Si coprì la testa con le
mani. «Presto, corriamo al riparo prima che si scateni una
bufera di neve!»
Hermes tornò da Vera giusto due secondi
più tardi e lei ne approfittò per prendere la
palla dalla sua bocca e lanciarla dritto in faccia a Vittorio; e anche
se in condizioni normali il carabiniere quel colpo l'avrebbe schivato a
occhi chiusi, in quel momento era troppo impegnato con la sua scena da
melodramma greco per muoversi con la consueta prontezza di riflessi.
La pallina, coperta di erba e bava di cane, si
spiaccicò sulla guancia sinistra dell'uomo.
«Centro!» esultò
Vera, alzando le braccia al cielo.
Vittorio si ripulì col dorso della mano
ed emise un verso disgustato. «Quando fai così, ti
odio! Sei persino peggio di mia sorella!»
«Perché? Che fa tua
sorella?» indagò la venticinquenne, curiosa.
«L'ultima volta che le ho tappato la
bocca con la mano, me l'ha leccata» grugnì
Vittorio.
Vera scrollò le spalle.
«Capirai! Chissà che m'immaginavo!»
«
Capirai?»
le fece eco lui, incredulo. «Ti pare una cosa normale?
Valeria...». S'interruppe, improvvisamente cereo, gli occhi
fissi su un gruppo di quattro persone che avanzava a passo di marcia
alle spalle di Vera, dritto verso di loro. Fece un movimento come per
fuggire. «Valeria!»
Vera si voltò verso il punto fissato da
Vittorio appena in tempo per vedere una donna, con un caschetto di
capelli scuri e mossi, fare un gesto ai due bambini che le
camminavano accanto e puntare il dito verso il carabiniere.
«All'attacco, piccoli mostri!»
I ragazzini partirono urlando e si scagliarono su
Vittorio; l'uomo barcollò vistosamente e cadde all'indietro
sull'erba. Senza perdere un istante, i due bambini gli saltarono
addosso e lo sommersero proprio come aveva fatto Hermes qualche
settimana prima, e che in quel momento girava intorno al groviglio
umano che si agitava a terra, annusando curioso.
«Cristo santo...» gemette
Vittorio, tentando invano di liberarsi. Cercò Vera con lo
sguardo. «Aiutami!»
L'ex ginnasta inarcò le sopracciglia.
«Non so se voglio farlo. Insomma, non è che hai
una doppia vita e un paio di figli e adesso hai paura di essere
ammazzato di botte da me e dalla loro madre?»
«Figli? Con 'sto qui?» disse
l'altra donna, che finalmente li aveva raggiunti. «Per
carità!»
Vera la scrutò attentamente.
«Tu mi sei simpatica» decretò.
«Sempre che tu non sia davvero la compagna di Vittorio e la
madre dei due bambini che stanno tentando di soffocarlo».
«La madre dei due mostri, sì;
la compagna di quello sciagurato, no». La sconosciuta
sbuffò. «Sono sua sorella e fidati, se potessi
scegliere, al momento non lo sarei!»
La venticinquenne la guardò con una
nuova consapevolezza negli occhi. «Ah, sei quella che gli
lecca la mano quando prova a zittirti».
«E tu la sua nuova ragazza».
L'altra donna le porse la mano. «Valeria».
Vera l'afferrò e la strinse.
«Vera». Accennò all'uomo alle loro
spalle, che guardava Vittorio sogghignando. «Tuo marito,
immagino».
Valeria annuì. «E il padre
dei due mostriciattoli.
E
il cognato dell'imbecille lì per terra».
L'uomo tese la mano a Vera come aveva fatto
Valeria un minuto prima. «Simone; piacere di
conoscerti».
Vera accettò anche la sua mano.
«Vera: piacere mio».
«Avete finito di scambiarvi
piacevolezze?» sbraitò Vittorio, ancora impegnato
in quella sorta di incontro di wrestling. «Simò,
toglimi di dosso questi due bulldozer!»
Simone affondò le mani nelle tasche dei
bermuda e lo fissò impassibile. «Non ci penso
proprio» rispose. «È il primo di luglio
e ancora non ti sei degnato di venire a trovarci: ti meriti tutto
quello che ti faranno, e anche di più».
«
E
dai!» ruggì Vittorio.
L'altro scrollò le spalle.
«Nah. Cristian, Samuel, fatelo nero!»
Vittorio grugnì mentre i due bambini
gli saltavano sulle costole strillando eccitati e Vera, mossa a
pietà, decise di dargli una mano.
«Pssst! Cristian! Samuel!» li
richiamò, sottovoce e con un gesto cospiratore. I due, che a
occhio avevano sette e cinque anni, trotterellarono verso di lei,
tallonati da Hermes. «Vi va di giocare con il mio cane? Si
chiama Hermes, è buonissimo e adora rincorrere le
palline».
Cristian si girò verso il pastore
tedesco e lo guardò serio.
«Hermes» ripeté.
«Ti va di giocare?»
Il cane agitò freneticamente la coda.
«Prendete quella e vedrete come
scatta» gli suggerì Vera, indicando la pallina
abbandonata a poca distanza da un Vittorio dolorante e ancora intento a
rialzarsi.
«Credo di avere le costole
polverizzate» gnaulò il quarantenne.
«Sta’ zitto e aiuta i tuoi
nipoti a fare amicizia con Hermes» ordinò Vera,
mentre i bambini prendevano la palla e venivano rincorsi da Hermes.
Vittorio la ignorò e rimase dov'era,
gli occhi fissi sulla propria sorella. «Come hai fatto a
trovarmi?»
Valeria sbuffò. «Mamma mi ha
detto che hai una nuova ragazza e volevo conoscerla...»
«Non ti ho chiesto perché sei
qui, ma come hai fatto a trovarmi» la interruppe lui.
La trentacinquenne sbuffò una seconda
volta. «Ho chiesto a mamma, che ha chiamato il maresciallo,
che ha contattato il collega con cui sei sempre di pattuglia, che ci ha
dato il tuo indirizzo e ha detto che se non eri a casa, allora forse
eri qui perché ti piace venire a correre in questo
parco».
Vera scoppiò in una risata.
«Quindi è una cosa di famiglia, rintracciare la
gente per vie traverse!»
Simone sghignazzò qualcosa di
incomprensibile e Vittorio scosse la testa.
«Mi sa che hai ragione tu, Gamba
Bionica: sto meglio coi miei nipoti» commentò il
secondo, girando sui tacchi per raggiungere i due bambini.
Quando Vittorio fu fuori tiro d'orecchi, Valeria
soppesò Vera con lo sguardo. «Per caso tu sei la
stessa che ha provato a prendere a schiaffi la mia ex
cognata?»
L'altra sibilò un paio di imprecazioni.
«È solo colpa di tuo fratello e del suo vizio di
mettersi in mezzo, se non ci sono riuscita. E ti assicuro che lo volevo
proprio
tanto».
«Oh, non sei sola, fidati»
ribatté cupa Valeria. «Per fortuna si è
deciso a lasciarla e a trovarsi una ragazza normale».
Vera inarcò le sopracciglia.
«Grazie, credo».
La trentacinquenne agitò una mano con
fare noncurante. «Ti pare!»
Simone sghignazzò di nuovo e rivolse
un'occhiata eloquente a Vera. «Si somigliano un sacco, non
trovi?» commentò, accennando a sua moglie e a suo
cognato.
«Anche troppo»
soffiò Vera. «Io pensavo che un Valenti fosse un
cataclisma naturale, ma due potrebbero essere proprio
l'Apocalisse».
«Ehi!» insorse Valeria, in una
perfetta replica del tono più indignato di Vittorio, quando
gli altri due scoppiarono a ridere. «Io non sono pessima come
Vittorio! Neanche lontanamente!»
«Tu sei
peggio di Vittorio:
sei la sua versione riveduta e corretta» ribatté
Simone. «Ma molto più bella» aggiunse di
fronte all'espressione aggrondata di sua moglie. Tornò a
rivolgersi a Vera. «Però devo farmi spiegare da
Vittorio come ha fatto a trovarsi una fidanzata giovane, normale e pure
bella!»
Valeria gli rifilò un violento schiaffo
sulla nuca. «Perché? Devi fare
conquiste?» abbaiò.
«Gelosona» disse compiaciuto
suo marito; l'abbracciò stretta per impedirle di
schiaffeggiarlo ancora e le schioccò un umido, rumoroso
bacio sulla guancia. «Sono solo curioso. Tuo fratello
è un po' troppo burbero per il suo bene: ecco
perché mi chiedo come ci sia riuscito».
«Perché io sono peggio di
lui» rispose Vera con sincerità.
«Impossibile»
decretò all'istante Valeria.
«Questo...». S'interruppe e masticò un
insulto tra i denti. «
Questo»
riprese, con un gesto eloquente in direzione di suo fratello,
«ha una capacità mai vista nella storia del genere
umano, di far saltare i nervi alla gente: in parole povere, sa essere
irritante come una pianta d'ortica ficcata nelle mutande».
Vera sbottò in una via di mezzo tra una
risata e un grugnito.
«Quanta grazia in un corpo solo, amore
mio» esclamò sardonico Simone.
«Ho solo detto la
verità» replicò sua moglie.
«Ha quarant'anni – anzi, quarantuno, visto che tra
un paio di settimane è il suo compleanno – ma su
certe cose, è ancora un ragazzino!»
L'ex ginnasta drizzò le orecchie.
«Ah sì?»
Valeria sbuffò. «Ci stai
insieme: vorresti dirmi che non ti sei accorta che a volte Vittorio ha
la maturità di un bambino delle elementari?»
«Non parlavo di quello, ma del suo
compleanno» spiegò Vera. «Anzi, dimmi il
giorno preciso: fino a due secondi fa non avevo la minima idea sulla
sua data di nascita».
L'altra le rivolse un sorrisetto. «Tu
hai in mente qualcosa».
«Oh, è solo una cosetta... ma
forse mi puoi aiutare».
******
Vera non era mai stata meno convinta di una propria scelta,
benché in più di un'occasione si fosse pentita di
una decisione presa; sì, aveva avuto dei dubbi quando si era
iscritta all'università e per tenere il passo con le lezioni
e gli allenamenti aveva trascorso così tante notti insonni
da perdere il conto, e sì, aveva capito di aver commesso un
errore
madornale
quando, a sedici anni, aveva accettato di uscire con Daniele Terenzi
– non s'era mai annoiata tanto nella sua vita quanto in quei
tre mesi in cui era stata fidanzata col suo compagno di allenamenti in
palestra – ma assecondare la sua migliore amica e far sedere
Vittorio e Tiziano allo stesso tavolo... be', quella decisione le
batteva tutte.
Dall'altro lato del tavolo rettangolare, Giulia
sembrava di tutt'altro avviso: l'ampio sorriso soddisfatto che le
troneggiava sul volto la diceva lunga su come lei, invece, fosse
convinta che quell'uscita a quattro – o meglio, a cinque, se
si contava la piccola Ludovica inerpicata sul seggiolone a capotavola
– fosse una delle trovate più brillanti che avesse
mai avuto.
L'ex ginnasta scoccò un'occhiata
preoccupata prima a Vittorio, seduto giusto di fronte a lei, e poi a
Tiziano, che le stava accanto. Loro non se ne accorsero nemmeno: erano
troppo occupati in una sfida di sguardi, e nessuno dei due sembrava
intenzionato a cedere. Nel momento in cui si erano accomodati al tavolo
del ristorante, Vera aveva considerato un successo essere riuscita a
farli sedere a una distanza sufficiente da impedire eventuali contatti
fisici tra i due, ma non aveva messo in conto la petulanza di entrambi:
iniziava a pensare che, di quel passo, i due uomini non avrebbero
spiccicato parola per tutta la sera.
Trascorse un'altra manciata di minuti senza che la
tensione che aleggiava sulla tavolata si allentasse; poi, senza
distogliere lo sguardo da Tiziano, Vittorio incrociò le
braccia al petto e rivolse un sorrisetto all'altro uomo.
«Puoi anche rilassarti,
juventino» disse il carabiniere, spezzando finalmente il
silenzio. «Il buongusto in fatto di calcio non si trasmette
per via aerea».
Per un attimo Tiziano boccheggiò,
indignato. «E ce l'avresti
tu, il buongusto in
fatto di calcio?»
Vittorio inarcò le sopracciglia.
«Visto che
io
non tifo per una squadra di ladri, direi proprio di
sì».
Vera si voltò verso Tiziano, allarmata:
provocarlo sulla sua squadra del cuore era un modo certo per farlo
infuriare. E infatti il suo migliore amico sembrava aver
temporaneamente perso l'uso della parola; il suo volto,
però, si stava chiazzando di rosso, segno che l'esplosione
era imminente. L'ex ginnasta lanciò uno sguardo fugace a
Giulia, che appariva altrettanto preoccupata.
«Ma... ma... ma pensa per te,
romanista»
replicò infine il trentenne, sputando l'ultima parola con
aria disgustata. «Tifi per una squadra che se vince uno
scudetto ogni vent'anni, è grasso che cola!»
Il ghigno sul volto di Vittorio si
allargò. «Almeno a noi gli scudetti non li
revocano».
Tiziano sbuffò. «E che vuoi
revocare, se non vincete nemmeno la coppa del nonno?»
«La differenza tra la mia squadra e la
tua si riassume in una sola parola» ribatté il
carabiniere. «
Calciopoli».
Tiziano fece per alzarsi, ma prima di poterci
riuscire, Giulia e Vera si dimenarono sulle sedie in un identico
movimento; i due uomini grugnirono di dolore quasi contemporaneamente e
assunsero un'espressione risentita.
«Ehi!» disse oltraggiato il
più giovane, guardando sua moglie, mentre si piegava per
massaggiarsi lo stinco. «Mi hai fatto male!»
Vittorio, invece, appoggiò la caviglia
destra sul ginocchio sinistro e se la strinse tra le mani.
«Non vale, prendermi a calci con la gamba finta» si
lagnò, fissando l'ex ginnasta.
«In realtà ho usato quella
vera» replicò lei, alzando gli occhi al cielo.
«Non vi sopporto più, voi due. Pensate di riuscire
a comportarvi da adulti almeno finché siamo qui?»
«Ha cominciato lui»
borbottò Tiziano, indicando il carabiniere; Giulia lo
guardò, in parte incredula in parte esasperata.
«Molto maturo»
commentò.
«Io volevo solo rompere il
ghiaccio» mugugnò Vittorio, accanto a lei.
«Visto che mi guarda storto da quando sono
arrivato...»
Giulia scosse la testa. «Siete
insopportabili. Ma
come
mi è venuto in mente, di organizzare questa cena?»
«Prenditela con te stessa: io ti avevo
detto che era una cattiva idea» replicò Vera.
«Scusa tanto se pensavo di andare a cena
con degli
uomini,
e non con due bambini dell'asilo!»
«Sono
maschi,
Giù: che ti aspettavi?»
Tiziano conficcò un dito tra le costole
di Vera per richiamare la sua attenzione. «Io e il coso
romanista siamo ancora qui, eh».
Sua moglie si portò una mano alla
fronte. «Non puoi chiamarlo “coso
romanista” e poi prendertela se ti provoca!»
Vera agitò un braccio per attirare
l'attenzione di un cameriere qualunque. «Scusi, ci porta il
menù dei bimbi?»
«Oh, ah ah, ma quanto sei
spiritosa!» grugnì Tiziano.
Giulia gemette sconfortata. «Una serata
tranquilla, volevo solo una serata
tranquilla...»
L'ex ginnasta premette i palmi delle mani sulla
tovaglia e guardò prima il suo migliore amico, poi il
proprio fidanzato. «Fatemi il favore,
tutti e due, di
dimenticarvi che esiste il calcio e comportarvi da persone adulte che
parlano senza guardarsi male, senza provocarsi e senza azzuffarsi,
sennò prendo Giulia e Ludovica e ce ne andiamo a cena per
conto nostro» sibilò.
I due uomini si scrutarono torvi per qualche
istante; poi sospirarono e scrollarono le spalle.
«Immagino che per una sera, si possa
fare» mugugnò Tiziano.
«Purché non diventi
un'abitudine» brontolò Vittorio.
Giulia guardò Vera a bocca aperta,
scuotendo lentamente la testa.
«Sono
impossibili»
commentò. «Però hanno fatto un passetto
in avanti, dai».
«Sì, ma sbrighiamoci lo
stesso a ordinare: mentre mangiano non possono azzuffarsi»
sospirò Vera.
Fatta la loro ordinazione, Vera e Giulia si misero
a chiacchierare tra di loro ignorando platealmente i rispettivi
compagni e i loro tentativi di inserirsi nella conversazione. Alla
fine, i due si rassegnarono ad ascoltarle in silenzio; continuarono
così fino al momento in cui furono portati via i piatti
degli antipasti, poi Vittorio scoccò un'occhiata furtiva
all'altro uomo.
«Insomma...»
mugugnò.
«Be'...» rispose Tiziano, poco
convinto.
Il carabiniere alzò le braccia al
cielo. «Ce l'avremo pure qualcosa in comune di cui parlare,
no?» sbottò. «Sono stanco del gioco del
silenzio».
«Sì, anch'io»
convenne l'altro.
«Allora... allora...».
Vittorio si frugò il cervello alla ricerca di qualcosa da
dire che non scatenasse una miccia. «Quest'inverno ci saranno
i Metallica in concerto in Italia e io non sono riuscito a procurarmi i
biglietti!»
Il volto di Tiziano s'illuminò.
«Anche tu fan dei Metallica?»
Il carabiniere annuì vigorosamente.
«Sono andato al DatchForum per il World Magnetic Tour otto
anni fa... una roba pazzesca, sono stato senza voce per due
settimane!»
«Me lo ricordo, quello! L'unica altra
data oltre a Milano è stata a Roma due giorni dopo, ci sono
andato con degli amici» rispose Tiziano. «Quel
palco al centro coi fan tutto intorno... grandioso, veramente! Pensavo
che il Palalottomatica sarebbe venuto giù!»
«Eh, i Metallica»
sospirò affettuosamente Vittorio. «Ho provato in
tutti i modi a trovare i biglietti per Torino, l'anno prossimo, ma non
c'è stato verso».
Tiziano puntellò i gomiti sul tavolo e
appoggiò il mento sui pugni chiusi.
«Sì, ma ci sono anche due
date a Bologna» commentò. «Secondo me,
se teniamo d'occhio la situazione tutti e due, un paio di biglietti
riusciamo a rimediarli... tanto c'è sempre qualcuno che
finisce fregato per un imprevisto o per l'altro e si rivende i
biglietti».
«Bologna si può fare: da qua
è pure abbastanza comodo arrivarci, sia con la macchina che
con il treno...» rimuginò il carabiniere a mezza
voce. «Sì, ci sto. Senti un po', dei Kasabian che
dici?»
«Che mi piacciono»
replicò il trentenne.
«Perché?»
«Perché possiamo vedere se
riusciamo a trovare i biglietti per il loro concerto al Rock in Roma.
È il ventuno di questo mese, magari anche qua, qualcuno che
li rivende perché non ci può più
andare lo troviamo».
Fu la volta di Tiziano di annuire.
«Andata!»
I due uomini continuarono a fare progetti,
dimentichi di avere compagnia.
Vera guardò Giulia, le sopracciglia
inarcate e l'espressione beffarda. «Hanno protestato fino
allo sfinimento e adesso già parlano di andare ai concerti
insieme».
L'altra fece una smorfia. «E ci voleva
tanto, no, a trovare un punto d'incontro?»
Le due amiche si guardarono per un istante.
«
Maschi!»
sbottarono in perfetta sincronia.