ReggaeFamily
Essendo
questa una sorta di song-fic, vi consiglio l'ascolto di questo brano
durante la lettura:
System
Of A Down – Roulette
Left
a message
«Vieni,
posa la testa sul mio petto, ed io t'acquieterò con baci e
baci.» Lord Byron
Il
mio corpo era in fiamme, potevo avvertire un rivolo di sudore dietro
l'altro scorrermi lungo la pelle. Ancora inebriato dall'ultima ondata
di piacere, rotolai di schiena sul materasso e mi immobilizzai, con
il cuore che mi martellava nel petto e gli occhi sgranati. Il
contatto con il cotone fresco mi fece subito rabbrividire.
Daron,
con il fiato corto, si accostò a me senza smettere di darmi le
spalle e fece aderire la schiena al mio petto, in cerca di calore. Io
carpii subito il tacito messaggio che mi stava inviando e lo strinsi
tra le braccia, affondando il viso nei suoi capelli. Feci scorrere
una mano lungo il suo braccio fino a trovare la sua mano e far
intrecciare le nostre dita.
“Joe,
sei meraviglioso” mugolò Daron tra un respiro affannoso
e l'altro, gettando indietro la testa per poterla posare sulla mia
spalla.
Non
risposi, non sapevo bene che significato attribuire a quelle parole,
non riuscivo a capire cosa provocassero in me.
Rimanemmo
in quella posizione per quelli che mi parvero minuti, in cui io mi
lasciai sfuggire qualche carezza sui fianchi di Daron e lui rispose
con qualche piccolo e leggero bacio sul collo; poi si mise lentamente
in piedi e si diresse verso il bagno, muovendosi per l'oscurità
della camera.
Una
volta solo sul materasso matrimoniale, mi lasciai avvolgere dal
lenzuolo e da un turbine di pensieri. Eppure non sarebbe dovuta
andare così, non sarei dovuto essere così malinconico
dopo un momento di passione con Daron; io e lui ormai ci conoscevamo
da mesi e tra noi era subito scattata una scintilla, qualcosa di
impossibile da ignorare che ci impediva di stare lontani ogni volta
che capitavamo nella stessa stanza. Non avevamo mai avuto occasione
né motivo di parlarne, i nostri erano incontri saltuari e
clandestini, ma mi era parso di capire che per Daron le cose
andassero bene così.
Forse
me ne sarei semplicemente dovuto fare una ragione e accettare la
cosa, ma per me non era così semplice: Daron era stato il mio
primo uomo, mi aveva aiutato a scoprire quel nuovo aspetto della mia
sessualità, le prime volte era stato paziente e dolce quando
gli avevo manifestato le mie paure e le mie insicurezze, aveva
imparato a prendersi cura di me e mandarmi in estasi con ogni suo
gesto, ma anche nei momenti più passionali non perdeva
occasione per riservarmi dolci attenzioni e coccole. E questo suo
atteggiamento mi destabilizzava, mi confondeva e non sapevo nemmeno
io il perché.
Sbuffai
sonoramente e decisi che ne avevo abbastanza di quel letto, su cui
era impresso l'odore di Daron; mi misi a sedere sul materasso e,
ancora avvolto nel lenzuolo, setacciai la penombra con lo sguardo
sperando di individuare i miei vestiti. Trovai miracolosamente i miei
boxer e li indossai, poi raccattai dal tappeto davanti al letto una
t-shirt color senape, probabilmente di Daron, e infilai anche quella.
Dal
momento che il chitarrista si era chiuso in bagno e non sembrava
ancora intenzionato a uscire, decisi di recarmi in terrazza per
fumare una sigaretta e prendere una boccata d'aria; in effetti avevo
bisogno di stare da solo e meditare, anche perché Daron si
sarebbe subito insospettito vedendomi così imbronciato e
avrebbe iniziato a fare domande.
Nel
raggiungere la portafinestra, afferrai anche una custodia viola in
cui – lo sapevo – era conservata la chitarra acustica di
Daron. Forse mettersi a strimpellare a quell'ora della notte poteva
sembrare folle, ma ne sentivo il bisogno.
Aprii
un'anta della portafinestra e, dopo aver sceso un piccolo gradino, mi
ritrovai sulla piccola terrazza della stanza d'albergo, delimitata da
un possente parapetto in cemento. Per non dare troppo nell'occhio, mi
accomodai sul gradino e la prima cosa che feci fu accendere
freneticamente una sigaretta: speravo che mi aiutasse a calmarmi e
rilassarmi, ma ovviamente dovevo immaginare che non sarebbe servito a
nulla, perché il mio cervello continuava a galoppare e porsi
domande a una velocità impressionante.
Ero
confuso. Non sapevo definire cosa effettivamente provassi per Daron
e, in ogni caso, avrei dovuto reprimere qualsiasi sentimento, perché
lui non l'avrebbe mai ricambiato. Ma non era affatto semplice
controllare le mie emozioni quando mi baciava il viso e il collo,
quando mi implorava di farmi più vicino a lui, quando mi
sorrideva appena piegando la testa di lato.
Seguii
con lo sguardo una nuvoletta di fumo che, sfidando l'aria tiepida di
inizio estate, si sollevava leggera e conduceva i miei occhi verso la
lattiginosa luna, appesa e immobile nel cielo scuro. Era così
spavalda e quieta, la luna... sarei tanto voluto essere come lei.
Finii
di fumare la mia sigaretta e la schiacciai nel posacenere, poi presi
con impazienza tra le mani la chitarra e la accordai rapidamente. A
volte, quando ero in un momento di sconforto, riuscivo a portare
fuori qualche idea da proporre al resto della band; tanto valeva
approfittarne e, perché no?, chiedere anche un parere a Daron.
Ma,
mentre pizzicavo le corde senza impegno, mi venne in mente una frase,
come un fulmine a ciel sereno.
I
lack the reason why I should be so confused
Sapevo benissimo che
apparteneva a una canzone e anche a quale: si trattava di Roulette,
una canzone dei System Of A Down alla quale mi ero particolarmente
legato da quando avevo iniziato a frequentare Daron. Non gliene avevo
mai parlato per paura di sembrare sdolcinato e fuori luogo, ma
pensavo davvero fosse un capolavoro.
E poi mi sentivo così:
confuso senza una vera ragione.
Ripercorsi con la mente gli
accordi del brano – accordi che in quei mesi avevo imparato a
memoria, così come il testo e la melodia – e subito dopo
presi a suonarli dall'attacco del ritornello. Mi ritrovai a
sussurrare le parole del brano senza quasi rendermene conto.
I know, how I feel when
I'm around you, I don't know, how I feel when I'm around you
“Ehi.”
La voce di Daron alle mie
spalle mi fece sobbalzare e per poco non allentai la presa sulla
chitarra. “Ah, hai finito in bagno” commentai in tono
piatto, per poi mordicchiarmi il labbro inferiore con fare nervoso.
Daron aprì l'altra
anta della portafinestra e si accomodò sul gradino accanto a
me, per poi stamparmi un veloce bacio sulle labbra. “E tu non
mi hai aspettato per la sigaretta” constatò in tono
teatralmente offeso.
Complice la luna, osservai
il suo viso pallido e dai lineamenti ben marcati e definiti,
incorniciato da quei suoi adorabili capelli lunghi e sempre
scarmigliati. A giudicare dal profumo che emanava, doveva essersi
dato una rinfrescata e aver indossato degli abiti puliti.
Quasi mi vergognai di me
stesso, ancora scomposto e sudato.
“Che suonavi?”
mi domandò, porgendomi il suo pacchetto di sigarette. Optai
per fumarne un'altra e fargli compagnia.
“Mmh... nulla di che,
tentavo di comporre” buttai lì, evitando di incrociare
il suo sguardo.
“E sei riuscito a
combinare qualcosa?”
Scossi il capo e presi una
boccata di fumo, che però mi infastidì. Non avevo più
voglia di fumare, desideravo solo gettarmi tra le braccia di Daron e
godermi il suo profumo, che ogni volta mi inebriava. Stargli così
vicino senza sfiorarlo mi devastava.
“Ti sei messo la mia
maglietta” osservò lui con fare divertito, dopo circa un
minuto di silenzio.
Mi strinsi nelle spalle. “Se
vuoi te la rendo.”
Daron ridacchiò e
posò la testa sulla mia spalla. “La puoi tenere per
tutto il tempo che vuoi.”
Quel contatto con lui, quel
gesto così affettuoso, mi scaldò subito il cuore, ma
qualche istante dopo mi stavo già maledicendo: non dovevo
prendere la cosa così seriamente, non potevo lasciarmi
trasportare da quelle emozioni sconosciute e indefinite che facevano
capolino dentro me.
Schiacciai con rabbia la
sigaretta ancora a metà nel posacenere e mi lasciai sfuggire
un pesante sospiro.
“Ehi Joe... tutto
bene?” domandò Daron titubante, senza sollevare il capo
dalla mia spalla.
In quel momento mi sentii
fortunato perché non poteva incrociare il mio sguardo.
“Sì. Perché
me lo chiedi?” Finsi tranquillità, ma i miei muscoli
erano tesi e rigidi.
“Oggi sei silenzioso.
E un po' nervoso.”
“Non è niente”
mi affrettai a dire.
Daron posò una mano
sul mio fianco e prese ad accarezzarlo piano. “Guarda che, per
qualsiasi cosa, puoi parlare con me. Siamo amici.”
Già, eravamo amici.
Mi venne quasi da ridere, ma non lo feci.
“Ti va di suonare
qualcosa per me?” cambiò discorso, dato che non mi
degnai di rispondergli.
Avvampai leggermente: non
ero abituato a richieste del genere, quando Daron mi sentiva suonare
era per caso o per mia spontanea volontà. In realtà mi
sentivo un po' in soggezione a esibirmi per lui, perché lui
era comunque Daron Malakian, un chitarrista di tutto rispetto e con
molta più esperienza di me.
“Joe, ci sei? Mi stai
ascoltando?”
“Sì, sto
pensando a cosa suonare.”
Le mie dita presero a
muoversi da sole e in maniera automatica sulle sei corde della
chitarra, non ebbi nemmeno il tempo di pensare a cosa suonare, perché
la canzone era come intrappolata nello strumento e nelle mie mani.
Daron sicuramente la
riconobbe dalla prima nota, ma non commentò e non si mosse,
restò appollaiato sulla mia spalla ad ascoltare.
I
have a problem that I cannot explain, I have no reason why it
should have been so plain, Have no questions but I sure have
excuse, I lack the reason why I should be so confused
Rimasi sorpreso da me
stesso: stavo davvero cantando un brano dei System Of A Down davanti
al loro chitarrista? Cantare non mi dispiaceva, durante i live dei
Nothing But Thieves ricoprivo il ruolo di corista e avevo perfino
registrato alcune parti in studio, ma mai mi sarei sognato di farlo
davanti a Daron.
Eppure ero lì, fuori
controllo, a soppesare ogni parola di quel testo e scandirla per
bene, come per evidenziare la sua importanza.
E per me era davvero così,
sentivo mie quelle frasi e volevo aprirmi con Daron, volevo che le
ascoltasse almeno una volta. Tanto non poteva immaginare che dietro
quel brano, da lui stesso composto, si celasse un fondo di verità.
I know, how I feel when
I'm around you, I don't know, how I feel when I'm around
you, Around you
Intonai il ritornello con
grande trasporto, sempre più consapevole che quelle frasi mi
rispecchiavano.
Daron si era raddrizzato per
potermi osservare e infatti sentivo il suo sguardo addosso, ma non lo
incrociai mai. In un certo senso avevo paura della sua reazione.
Left a message but it
ain't a bit of use, I have some pictures, the wild might be the
deuce, Today you saw, you saw me, you explained, Playing the
show and running down the plane
Ero così emozionato!
Non riuscivo a nascondere il leggero tremore nella mia voce,
addirittura sentivo gli occhi lucidi e brucianti. Daron sicuramente
mi trovava patetico, non stavo facendo una gran bella figura.
I
know, how I feel when I'm around you, I don't know, how I feel
when I'm around you
Lasciai fluire fuori le mie
emozioni insieme alle note dell'assolo, senza pensare più
all'opinione di Daron. Avevo bisogno di dar voce ai miei tormenti, lo
stavo facendo e questo mi faceva infinitamente bene. In questo io e
Daron eravamo simili: solo con la musica riuscivamo a esternare
pensieri e sentimenti, a parole non eravamo tanto bravi.
I
know, how I feel when I'm around you, I don't know, how I feel
when I'm around you, Around you, Around you, Around you
Mi tremavano le mani e il
labbro inferiore, mentre le lacrime spingevano alla base degli occhi
per scivolare via.
Ero completamente sotto
shock.
Sollevai lo sguardo e
incrociai finalmente quello di Daron.
Non sapevo spiegarmi cosa
fosse successo di preciso. Pareva una nottata come tante altre, io e
Joe ci eravamo incontrati ed eravamo stati a letto insieme... poi lui
aveva imbracciato la mia chitarra e, con sguardo malinconico, aveva
cantato per me. Mai mi sarei aspettato di sentirgli eseguire Roulette
con tanta intensità e con la voce rotta dall'emozione, ma
soprattutto non avrei mai immaginato di trovare i suoi occhi lucidi e
cupi. Quando si scontrarono con i miei, notai subito una lacrima
scorrere lungo la sua guancia, lucente sotto il bagliore della luna.
Joe Langridge-Brown stava di
fronte a me, con la chitarra posata sulle ginocchia, in lacrime. E io
non sapevo assolutamente cosa fare, perché ero un coglione; io
non sapevo mai cosa fare, ero sempre il primo ad aver bisogno
di essere confortato. Ma quella scena mi spezzava il cuore, era
troppo doloroso vedere il biondo in quelle condizioni, dovevo
assolutamente fare qualcosa.
Per prima cosa gli sfilai
con delicatezza la chitarra dalle braccia e la posai a terra accanto
a me, poi gli afferrai una mano e la strinsi tra le mie. Tremava
appena.
“Ehi, che c'è?”
gli chiesi dolcemente, senza mollare un attimo il suo sguardo.
Lui in tutta risposta scosse
il capo, facendo oscillare i suoi capelli biondi e ondulati, e altre
lacrime rotolarono giù dai suoi occhi.
Okay, la situazione mi stava
decisamente sfuggendo di mano, Joe stava male e io dovevo capire
perché. Stavo per tempestarlo di domande, quando mi resi conto
che, fossi stato al posto suo, non avrei mai sopportato le insistenze
di un'altra persona. Così mi limitai a strattonarlo
delicatamente per un braccio e attirarlo a me, per poi stringerlo in
un abbraccio. Lo cullai, gli lasciai leggeri baci tra i capelli,
giocherellai con quelle ciocche dorate che mi piacevano così
tanto. Non fui capace di aggiungere altro, sarei stato capace solo di
portare fuori qualche fesseria e rovinare tutto.
Joe prendeva dei respiri
profondi per cercare di calmarsi, ma le sue lacrime continuavano
imperterrite a inondare la mia t-shirt.
Ero disperato, non sapevo
più che fare e che pensare; vederlo in quello stato e non
sapere il motivo mi faceva male, ero in ansia.
“Joe, ti prego, dimmi
qualcosa... sto impazzendo!” Alla fine non avevo resistito, ero
esploso.
“Non posso”
mugolò lui.
Con una smorfia di
disappunto, lo afferrai per le spalle e lo scostai da me in modo da
poterlo guardare in faccia. “Che cazzo dici? Andiamo, abbiamo
sempre parlato di qualsiasi cosa, non ti devi porre problemi!”
“Ma stavolta non
posso. Davvero, lascia perdere, ora mi passa. Che idiota sono
stato...” tentò invano di dissuadermi, passandosi una
mano sugli occhi con fare sprezzante.
“Pensi che io sia
scemo? O che mi arrenderò così facilmente? Non sei
l'unico testardo qui!” Tacqui per qualche secondo e frugai
nella mia mente in cerca delle parole giuste. “Davvero ti
senti... così?” formulai infine, leggermente a disagio.
Era sempre difficile
comunicare con Joe, per certi versi eravamo troppo simili e in alcuni
momenti mi pareva di avere a che fare con un me più giovane.
Lui sgranò gli occhi
– per un attimo mi ci persi, in quegli enormi pozzi liquidi.
“Così come?”
borbottò.
“Confuso. Come dice la
canzone, insomma” spiegai con fare impacciato.
“Io non ce la faccio
più” sbottò lui in maniera del tutto inaspettata,
staccandosi bruscamente da me. “Io mi sento esattamente come
recita il testo di Roulette, ho cercato di mandarti un
messaggio mentre cantavo quella canzone. Ma dimentica tutto ciò,
terrò per me queste...”
“No” lo
interruppi con voce ferma, incrociando le braccia al petto. “Ora
mi dici tutto, dall'inizio alla fine, perché voglio e devo
sapere. Cazzo, conosco ogni singolo millimetro del tuo corpo e
nemmeno una millesima parte della tua mente, e questa cosa non mi va
giù.” Lo inchiodai con lo sguardo, determinato come non
mai.
“Vuoi sapere tutto?
io... ci provo, ma ti avviso che dopo ciò non ci potremo più
vedere.”
Il mio cuore prese a fare le
capriole nel petto a quelle parole. Cosa stava blaterando? Non avrei
mai sopportato l'idea di non vederlo più, ormai era diventato
una parte di me.
Inizialmente mi ero imposto
di non lasciarmi coinvolgere dal punto di vista sentimentale, ma come
avrei potuto rimanere indifferente alla sua dolcezza, alla sua
intelligenza, al suo modo spontaneo e genuino di tirarmi su di morale
e farmi sorridere? Ormai ero fregato.
“Parla” lo
incitai, addolcendo un poco il tono della voce.
“Okay.” Prese un
profondo respiro, ma la sua voce non smise di tremare. “Io
non... non so di preciso cosa provo quando sto con te, ma... quello
che devi sapere è che non riesco a essere distaccato, per me
non è soltanto sesso.” Joe aveva ripreso a piangere e
sembrava gli mancasse il fiato. “Ho represso tutto ciò
per tanto tempo, perché so che a te non interessa. Ho cercato
scuse su scuse anche con me stesso, mi sono... convinto e ho convinto
anche te, recitando. Finché oggi non mi sono lasciato andare e
ti ho lanciato un messaggio, sperando che mi vedessi e capissi.”
Avevo spalancato occhi e
bocca, incredulo, mentre il cuore martellava furiosamente nel petto.
“Mi stai dicendo che... che ti sei innamorato di me?”
“Non lo so!”
ammise in tono esasperato, passandosi una mano tra i capelli
scompigliati.
Mi portai una mano sul
petto, all'altezza del cuore, poi mi morsi il labbro inferiore. Era
arrivato il mio turno di parlare.
Prima, però, non
resistetti e mi fiondai addosso a lui, intrappolandogli le labbra in
un bacio caldo e lento. Lui rispose immediatamente, affondando le
dita tra i miei capelli e tirandoli leggermente. Un brivido mi corse
lungo la schiena e d'istinto strinsi Joe ancora più forte.
Fu dura per me separarmi da
lui, quel semplice contatto mi aveva infuocato da capo a piedi.
Mentre riprendevo fiato
prima di parlare, lui si osservava le mani abbandonate in grembo.
“Okay. Joe, guardami e
ascoltami.” Gli sollevai il mento affinché mi fissasse
negli occhi, poi gli sistemai una ciocca di capelli dietro
l'orecchio. “Ti sei mai domandato di cos'avessi bisogno io? Ti
sei mai chiesto se davvero volessi una persona al mio fianco?
Chiariamoci: non saremo mai i fidanzatini perfetti, non andremo mai
in giro mano nella mano, non ti porterò mai a cena fuori per
San Valentino e non ti farò trovare i cornetti caldi al
mattino. Niente matrimoni, cene di famiglia e progetti da sogno...
perché io sono imperfetto, strano e anche infinitamente
stronzo, voglio che tu lo sappia e non ti faccia illusioni. Ma se c'è
una cosa su cui non devi mai dubitare è che per me sei...
speciale, molto più di un amico di letto, e mi troverai sempre
pronto ad accoglierti e ascoltarti quando ne avrai bisogno. Non so
come definire tutto ciò, ma... anche se sembro insensibile e
senza cuore... beh, a te ci tengo.”
Ero davvero stato io a
pronunciare quelle parole?
Joe aveva smesso di piangere
e mi scrutava con un'espressione indecifrabile. Rimase in silenzio
per diversi secondi, a meditare su cosa avrebbe potuto rispondermi,
poi le sue labbra si incresparono in un debole sorriso –
finalmente – e piegò la testa di lato. “Mi stai
forse dicendo che ti sei innamorato di me?”
Scoppiai a ridere senza un
vero motivo, scaricando tutta la tensione che avevo accumulato, e
strinsi il mio adorato Joe in un abbraccio. Era magico quel ragazzo.
“Non lo so,”
sussurrai, “ma qualsiasi cosa sia, voglio che ti faccia stare
meglio. Allora?”
“Allora cosa?”
domandò, con il viso sepolto nell'incavo della mia spalla.
“Vuoi continuare a
vedermi anche dopo quello che ti ho detto?”
“Ma certo!”
pigolò, per poi lasciarmi una scia di baci sul collo. “Abbiamo
fatto bene a parlarne.”
“Serj dice che parlare
è sempre la soluzione migliore, ma a volte io e te siamo
troppo orgogliosi per farlo, eh?” commentai, poi presi a fargli
il solletico nella speranza di vederlo ridere.
Speranza che venne esaudita
subito: Joe cominciò a ridacchiare e si divincolò dalla
mia stretta. “Dai, smettila, che stronzo! E poi non ti faccio
schifo? Sono ancora sudaticcio, dovrei darmi una lavata.”
Risi a mia volta. “Ma
non dire cazzate, tu non vai da nessuna parte! Rientriamo, piuttosto,
che qui fuori comincia a fare fresco.”
Ci sollevammo a fatica dal
gradino, ridacchiando e rischiando di perdere l'equilibrio; recuperai
la mia chitarra, rientrai in camera e chiusi con malagrazia la
portafinestra.
Joe si guardava intorno
spaesato, indeciso sul da farsi, poi posò lo sguardo su di me
che nel frattempo sistemavo il mio strumento in un angolo della
stanza.
“Comunque Roulette
l'hai cantata da dio, non avevo mai ricevuto una serenata così
particolare” commentai con un sorrisetto e mi scaraventai sul
letto.
“Una serenata? Mah...
se la vuoi interpretare così” borbottò.
Osservai la sua figura
ancora in piedi al centro della stanza e, anche se l'oscurità
mi impediva di scorgere il suo viso, me lo immaginai con
un'espressione corrucciata e pensosa.
“Beh, che fai? Rimani
in piedi tutta la notte?” lo apostrofai con una punta di
ironia.
“Ah, scusa, mi ero un
attimo perso nei miei pensieri” ammise, per poi sedersi sul
bordo del letto.
“Non pensare, a volte
fa male” gli suggerii. “Vieni,
posa la testa sul mio petto.”
Joe si stese al mio fianco e
rotolò fino a me, allora lo trascinai sopra di me e lui posò
l'orecchio all'altezza del mio cuore.
Non era la prima volta che
ci scambiavamo effusioni e coccole, ma quella volta tra noi
intercorreva una nuova consapevolezza.
Mentre facevo scorrere le
dita sulla sua spalla e lungo la schiena, mi accorsi che i suoi
muscoli erano ancora tesi e tremavano appena.
“Hai freddo? Ti sei
tranquillizzato?” gli domandai con premura.
“Un po'.”
Pensai a un modo per
aiutarlo a rilassarsi, ma in realtà non c'era nulla su cui
riflettere: lo tempestai di baci tra i capelli, sul viso, ovunque.
Lui sospirava, finalmente
beato e tranquillo, e si aggrappava a me, ricambiando con dedizione
quelle attenzioni.
E, mentre inspiravo il dolce
profumo dei capelli soffici e dorati di Joe, pensavo che finalmente
avevo capito e sapevo come mi sentivo quando stavo con lui.
♥ ♥ ♥ ♥ ♥
Lo
so, lo so: ultimamente sto scrivendo solo storie struggenti e
malinconiche, ma giuro che è solo un periodo, passerà!
Anche perché non è da me, e i miei lettori abituali lo
sanno bene!
Che
dire? Questa coppia così particolare, la Joeron, mi prende un
sacco e la sto shippando da diversi mesi, ma solo ora ho avuto modo
di scrivere qualcosa da poter pubblicare qui su EFP. Spero che la
cosa non sia risultata troppo strana!
Ringrazio
la giudice del contest e i miei adorati lettori, sempre pronti a
supportarmi (soprattutto Kim, che in questo caso mi ha COSTRETTO a
scrivere una Joeron XD), ammiro e ringrazio chiunque sia giunto fin
qui :3
Alla
prossima!!! ♥
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