Corrente
naturale
di ellephedre
Febbraio 1998 - Lettera d'amore
«Un ragazzo ti ha mai scritto qualcosa,
Shori?»
Sua sorella stava sistemando i capelli davanti allo specchio e
si
fermò nell'atto di allacciare la coda, alta sulla nuca.
«Perché me lo chiedi?»
«Per sapere» rispose Gen. Si stava
scervellando da giorni su cosa scrivere a Makoto, faticando
non solo a scegliere le parole, ma persino gli argomenti.
Shori era sospettosa, non era da lui farle simili domande.
«A che ti serve?»
Confessare era l'unica opzione. «Sto
cercando di
capire cosa vuole leggere Makoto. Mi ha chiesto di scriverle
una
lettera.»
Il sorriso di sua sorella si allargò fino a
tagliarle in due la faccia. «Scriverai una lettera d'amore
per San
Valentino?»
Lui cercò di non imbarazzarsi: non era certo il
primo a fare qualcosa di sciocco per la propria ragazza.
«Allora?
Da donna, cosa vorresti leggere in una lettera del
genere?»
«Be', i tuoi sentimenti.»
Era un suggerimento troppo generico. «Makoto li
conosce
già. In che modo dovrei infiocchettarli? Serve che parli di
episodi specifici o...?»
«Se pensi che dire cose romantiche equivalga a
infiocchettare,
parti già col piede sbagliato.» Shori
incrociò le braccia, dandosi l'aria di donna saggia. Adorava
mettersi sul suo stesso piano, le volte che Gen lo concedeva.
«Mi piacerebbe istruirti, ma non sono la
persona adatta: io sono come te, mi vergogno persino a
sentire 'mi piaci'. Chiedi a Miki. Lei ha già
ricevuto qualche
lettera d'amore.»
Lui cercò di non trasalire. Stavano parlando di sua
sorella di quindici anni, che la sera indossava
ancora il pigiama con gli orsetti?
Shori capì il proprio errore. «Ops. Non
dovevo dirlo?»
Nessuno lo aveva informato di possibili pretendenti, di sicuro
di proposito. Sospirò e prese la via delle scale, diretto al
foglio bianco
che lo attendeva sulla scrivania.
Shori lo chiamò dal basso. «Non rovinare
la festa a Miki! Ha dei piani per San Valentino!»
«Non farò niente»
dichiarò rassegnato.
Non si sarebbe neppure confrontato con Miki sulle sue
preferenze in materia di lettere d'amore. Aveva già fatto un
grande sforzo per parlarne con Shori, davanti a sua sorella minore si
sarebbe sentito
troppo stupido. Doveva conservare un minimo di
autorità. Restava il problema: mancavano un paio di
giorni a San
Valentino. Forse doveva andare in qualche biblioteca, a cercare esempi
di missive romantiche.
Nella sua stanza ricadde col sedere sulla sedia, abbandonando
la testa
all'indietro.
Tutti quegli sforzi stavano rendendo l'intera
operazione troppo costruita. Ormai non aveva problemi
a dire a Makoto 'ti amo', tutte le volte che lei voleva
ascoltare quella
dichiarazione. Ma si
sentiva
ridicolo a scrivere su carta simili parole, per di più
elaborando sul concetto. Aveva provato ad andare a braccio, ma
ne era saltato fuori un
testo penoso.
"Da quando ti conosco, sto bene ogni giorno con te.
Ti scrivo questa lettera per farti un regalo di San Valentino,
perché voglio farti felice.
Non so bene cosa dire, ma... mi piaci. Mi piace tutto di te.
Ti amo - ormai riesci a farmelo dire senza problemi -
al
punto che te lo sto scrivendo in una lettera..."
Rileggendo le quattro righe, si era reso conto che sembrava
venisse costretto a buttare giù quel testo, come se non ne
avesse alcuna voglia. In parte era la verità, ma persino lui
capiva che non era il caso che trasparisse. Perché
poi si stava impegnando tanto?
Probabilmente Makoto si era già dimenticata della piccola
promessa che gli
aveva estorto. Di certo non se la aspettava come regalo di San
Valentino. In teoria lui avrebbe potuto rimandare, ma... tergiversare
era contro la sua natura. Non serviva a nulla e non faceva che
nascondere il pensiero che aveva rimandato in un angolino della
mente. Poi se lo
ritrovava in testa nei momenti più inaspettati, a
ossessionarlo. Meglio
liberarsene e basta.
... liberarsene? Era proprio l'emblema del romanticismo.
D'impulso iniziò una nuova lettera. "Non sono un
romantico" scrisse.
Alla nuova riga rimase con la penna sospesa per aria, non
sapendo come proseguire.
Shori aveva detto che una ragazza in una lettera voleva
leggere i suoi sentimenti. I suoi veri sentimenti - lasciando stare
l'imbarazzo che lui provava all'idea di metterli per
iscritto. Pertanto la domanda che doveva farsi era solamente... 'Cosa
provo per Makoto?'
Aveva una risposta ben definita in testa, articolata in impeti
ed
ansie che non erano adatti ad una lettera
d'amore. Chissà
come mai Makoto voleva vedere i suoi pensieri impressi in un
foglio. Forse per leggerli, rileggerli e... Intuendo la
verità, Gen
appoggiò la punta della penna sulla carta.
Le parole aleggiavano nell'aria, transitorie. Gli scritti
invece rimanevano eterni, ad imperitura memoria. Dunque, era
questo? Makoto continuava a pensare a un
periodo in cui non
sarebbero più stati insieme?
Avrebbe potuto andare da lei a dirle di smetterla con quelle
paure, ma non ne aveva diritto. 'Per sempre' era una promessa che non
riusciva
a esprimere a fronte della vita che Makoto avrebbe condotto. A volte
si convinceva che, se si fosse trattato solo di lui...
Ma aveva delle
persone per cui era responsabile. Sua madre, Shori e Miki. In
qualunque cosa si fosse invischiato rimanendo con Makoto, avrebbe
trascinato la sua famiglia con sé - anche se si fosse
allontanato da loro. Non poteva prendere una simile decisione per altre
tre persone.
Inoltre lui amava Makoto - da morire
- ma non era sicuro che avrebbe amato l'esistenza eterna e impostata in
cui lei lo avrebbe costretto a vivere. Non era nemmeno certo che
l'avrebbe amata Makoto stessa, ma... se era Giove, col tempo lei si
sarebbe
adattata.
Quindi la lettera poteva servirle come ricordo?
Se lui fosse stato codardo - o sensato, doveva ancora capirlo
- un giorno lontano, molti anni dopo che si fossero separati, Makoto
avrebbe riletto quella lettera, ricordandosi del ragazzo che tanto
aveva
amato in passato. Solo pensarci gli comprimeva il petto.
Non voglio lasciarti.
Con quelle parole lui avrebbe espresso un sentimento
onesto,
ma
contraddittorio se in futuro avesse finito con l'interrompere
la loro relazione.
O magari sarebbe stata Makoto a mollarlo. Era innamorata di
lui,
ed
era estremamente paziente con la sua indecisione, ma tra qualche tempo
poteva stufarsi di non avere un responso chiaro sul loro
futuro insieme.
Il foglio con un'unica riga lo guardava di rimando, carico di
significati che solo lui poteva assegnargli.
Non gli andava più di partire con 'Non
sono un romantico'. Appallottolò quell'ennesima
prova e fece scivolare sulla scrivania un
foglio nuovo, intonso, deciso a scrivere poche affermazioni chiare -
senza contesto, giusto per cominciare.
Ti amo.
Banale, ma vero.
Amo ogni giorno che passo
con te.
Sempre banale e ancora più sdolcinato, ma
altrettanto vero.
Cercò di farsi venire in mente dei momenti a cui
fare
riferimento, delle sensazioni... Qualcosa che gli permettesse di
scrivere ciò che provava senza esprimere concetti
conflittuali.
Non potevano esserci 'se' o 'ma', né promesse che non era
certo di poter mantenere o
cose dette a metà.
Adoro i tuoi occhi verdi.
... era uno scrittore patetico. Ma già che c'era...
Vorrei guardarli per il
resto della mia vita.
Rileggendo, rallentò il respiro. Quel
desiderio non era una specie di
promessa? No. Se
voleva guardare gli occhi di Makoto per il
resto della sua vita, non gli bastava chiederlo a lei. Era
possibile che un giorno Giove non
avrebbe più voluto essere legata a un misero
essere umano.
Lui non si figurava in testa una Makoto
crudele, che di punto in bianco gli diceva che tra loro era finita. Lo
immaginava accadere lentamente. Lei che si prendeva sempre
più
responsabilità di governo. Lei che si occupava di
cose più
grandi di loro, accorgendosi col tempo che un ragazzo che voleva solo
una vita comune non era la persona adatta a stare al suo fianco.
Nel proprio futuro Gen aveva immaginato la rincorsa verso il
sogno di diventare
architetto. Col tempo, una famiglia. Quando si fosse sentito pronto,
dei figli, perché no? Tutto ciò mentre
continuava a lavorare ai propri
progetti. In quello scenario riusciva a vedere Makoto accanto a
sé, con la sua pasticceria. Ma lei avrebbe
abbandonato il negozio tra non più
di tre anni. Avrebbe
detto addio a tutti gli sforzi che stava facendo in quei mesi per
dirigersi verso una vita che le richiedeva responsabilità
immani. Lei non lo stava mettendo in dubbio: era serena,
sicura. Il problema era solo suo, che non riusciva a capire
la
determinazione con cui lei era disposta a rinunciare a tutto quanto.
Tuttavia, proprio per questo...
"Adoro i tuoi occhi verdi.
Vorrei guardarli per il resto della mia vita."
Era vero, no? Non era una promessa, era semplicemente quello
che provava.
Se avesse potuto, avrebbe scelto di guardare Makoto negli
occhi ogni giorno, per quel che rimaneva della sua semplice esistenza.
Makoto non stava più nella pelle: era arrivato San
Valentino! Lei e Gen erano in strada, davanti a un cinema, in fila per
comprare i biglietti di una pellicola che smaniava di vedere da
settimane. «Sicuro di voler vedere questo film
proprio oggi?»
Gen la teneva a braccetto, stringendosi nel cappotto nero che
aveva indossato - il più elegante che possedeva.
«Sono sicuro, ne parli
da settimane. Non
troviamo mai il tempo - o la voglia. Nel weekend ti ho fatto restare a
casa troppe volte.»
Come se lei avesse protestato. «Anche io ero stanca,
non mi
andava di uscire.» Nel giorno di pausa dal lavoro dedicava
volentieri quel poco di energia che aveva a lui.
«Di questo passo» ragionò Gen,
«il film sarebbe andato fuori programmazione.»
A lei non sembrava. «Titanic continua a incassare
tanto.
Sono curiosa! Ha fatto piangere persino Ami - e Rei, che è
un
cuore di pietra glaciale per queste cose. Dice sempre che non si fa
incantare
dalle sdolcinatezze, ma se questo film l'ha commossa...»
«Siamo già qui, non devi
convincermi.»
In un certo senso aveva cercato di convincere se stessa.
Adorava l'idea di vedere un film romantico col suo ragazzo, ma San
Valentino
per quanto la riguardava era un giorno dedicato a tutti e due. Voleva
che Gen se lo godesse almeno quanto lei e non le sarebbe dispiaciuto
troppo se lui avesse deciso di farla uscire da quella
fila, magari per portarla in una bella camera d'albergo. Lei avrebbe
pagato volentieri la metà, non era questione di soldi. San
Valentino era una notte magica. Ovviamente stare con Gen era
un'esperienza preziosa in ogni momento - soprattutto in frangenti come
quelli, in cui lui faceva di tutto per accontentarla.
Aggrappandosi al suo braccio lo tirò a
sé, per stampargli un bacio sulla guancia.
«Grazie.
Prometto che
dopo
non sarò troppo stanca per passare altro tempo insieme.
Domani
non
apro il negozio, ormai lo sanno tutti i miei clienti.»
«Fino ad oggi hai fatto gli straordinari.»
Tremava al solo pensiero dell'orda di San Valentino che aveva
appena terminato di affrontare.
«È finita. Piuttosto, mi dispiace di non essere
riuscita a
prepararti un dolce più elaborato...»
Lui digrignò i denti. «Visitando il tuo
negozio mangio cioccolato da settimane. Sono pieno.»
Le uscì una risatina. «L'anno scorso
sono stata più brava.
Quest'anno il
nostro San Valentino è incentrato su te che mi porti a
vedere un
film che voglio io, ma il prossimo anno...» Si interruppe,
senza
volerlo. Presumere che sarebbero stati insieme tra dodici mesi era
azzardato.
Gen aveva voltato la testa nella sua direzione.
Legò gli occhi scuri ai suoi per qualche interminabile
secondo, senza sbattere le palpebre. Poi prese una
decisione. «Il
prossimo anno
organizzerò io qualcosa di speciale.»
Nel cuore di Makoto si diffuse un calore corroborante,
dilagante. Gli bastava una parola, un'intenzione, per renderla
completa, viva, una supernova di felicità e commozione.
«Va bene.» Nascose la faccia contro la sua spalla.
Gen la conosceva abbastanza da capire cosa stesse cercando di
nascondere. «Non piangere prima che sia iniziato il
film. Non ho portato abbastanza fazzoletti.»
Aveva ragione lui, non era tempo di lacrime. «Ne ho
portati io. Magari ne servirà qualcuno anche a
te.»
«Per il film? Non penso.»
Capiva la sua perplessità, ma... «Ami ha
detto che Alex si è
commosso.»
«Golden boy non fa testo.»
Oh, era il solito! «Anche Yuichiro è
rimasto colpito. E
Usagi ha detto che secondo lei persino Mamoru era strano dopo il
film.»
Messo davanti all'evidenza, Gen mostrò i primi
dubbi.
Lei era ansiosa di sapere come avrebbe reagito. Si sarebbe
girata a guardarlo in continuazione, per tutta la durata della
pellicola. Non
vedeva l'ora di entrare in sala.
Tre ore e mezza più tardi, la notte era calata su
Tokyo e il
viso di Makoto era rigato di lacrime appena asciugate. Tanta commozione
metteva Gen a disagio: gli faceva venire voglia di abbracciarla e
rattristarsi insieme a
lei. «Dài»
la incoraggiò, mentre si
muovevano verso la
macchina. «Quei due si sono ricongiunti nella morte,
no?»
Invece di consolarla, le sue parole la confusero.
«Ma Rose non
era morta.»
«Come no? Si addormentava e sognava il
tizio mentre
tornava giovane. Non è possibile solo
nell'aldilà?»
Makoto si perse in una breve riflessione. «Secondo
me era solo un sogno. Rose
ha
rivisto Jack da giovane perché si trovava sopra il Titanic,
nel
mare. Dopo il racconto che aveva fatto agli altri, i ricordi
erano freschi nella sua mente. Chissà quante volte era
tornata
indietro nel tempo, nei suoi sogni, con la speranza di rivivere quei
giorni lontani. Presto potrà ricongiungersi con Jack
nell'aldilà,
ma...
non so. Non mi era venuto in mente che fosse morta proprio in quel
momento, addormentata su quel letto. È troppo
deprimente.»
Gen non voleva rattristarla di
più, perciò non insistette con un'idea di cui
continuava a rimanere convinto.
Nell'aria frizzante di metà febbraio, Makoto rimase
aggrappata al suo braccio. «Sai che ti amo come Rose
amava Jack? Anzi, come
Jack amava Rose.»
Simili tenerezze erano proprio da Makoto. «Lo so.
Hai fatto l'impossibile per salvarmi
la
vita, mettendoti a rischio.»
Lei si sorprese, come se non si fosse aspettata un
riferimento
preciso al loro passato. «Già. Ma volevo dire
che...» Lo guardò in volto. «Mi rende
felice la sola
idea che tu sia vivo. Ora ti sono vicina, però... se fossi
lontano da me, mi
basterebbe sapere che tu stai bene. Penserei a te anche da morta,
vegliandoti.»
Abbozzò
un sorriso, rendendosi conto dell'esagerazione che le era uscita di
bocca. «Ti aleggerei intorno come un fantasma invadente!
Rimarrò viva, non preoccuparti, così non ti
infesterò la vita.»
Gen la strinse con più forza, involontariamente.
Non poteva
immaginarla morire prima di lui. «Tu vivrai per mille
anni.»
Makoto smise lentamente di camminare. «Me ne
basterebbero
altri cento.» Fece una pausa, più pregnante di
quello che
aveva inteso. «Anzi, me ne basterebbero cinquanta se
significasse che non vivrei un solo giorno più di
te.»
Come faceva a mandargli sempre in pezzi il cuore? Per rimanere
integro
Gen la strinse con entrambe le braccia, baciandola.
Continuò a respirare solo per l'ardore con cui
lei rispose
a ogni suo gesto, tenendogli la testa tra le mani, mentre lui affondava
le dita nei suoi capelli.
Non poteva darle proprio ora le tre righe strimizinte che
aveva
scritto
nella sua patetica lettera. Alla fine non era riuscito ad aggiungere
altro e le sue misere dichiarazioni sembravano ancora più
povere
dopo tutto il
romanticismo del film.
Staccandosi, Makoto respirò contro le sue labbra.
«Portami a casa prima che San Valentino finisca.»
A letto, dopo aver dissetato la loro passione, Gen non
riuscì a
rimanere sdraiato sulla schiena come suo solito. Avevano spento la luce
e avrebbe dovuto dormire, ma rimaneva sdraiato su un fianco,
con
una
mano che sfiorava la schiena di Makoto e l'altra che, dall'alto, le
muoveva indolentemente qualche filo di capelli. Lei aderiva al suo
corpo in
pace, le gambe intrecciate alle sue senza emettere suono.
Gen si concentrò sul calore della pelle sotto le
sue mani e a non
più
di un centimetro dalla bocca. L'odore dolce e inteso di Makoto
gli penetrava nelle narici. Non avrebbe potuto
percepirla maggiormente nemmeno se fosse riuscito a guardarla in
faccia, alla luce. Appoggiò le labbra sulla sua
fronte, piano. Scese sul naso, donando anche lì un
bacio. Lei emise un sospiro beato.
Fermandosi, lui le scostò la frangetta.
«Non smettere.»
Era un ordine che lo rendeva felice. «Se fosse per
te,
dovrei baciarti sempre.»
«Hm-hm.»
Accontentarla era un piacere. Procedette con più
calma, quasi
cercando di infliggerle una piccola tortura. O forse, era
semplicemente bello prendersi il tempo di percepire appieno
ogni singolo
contatto di labbra, dal momento in cui appoggiava la bocca sulla
sua pelle fino a quando produceva quel piccolo suono bagnato,
separandosi
da lei.
«Gen?»
«Hm?»
Per lunghi secondi Makoto non proseguì, privando
l'aria persino del suono del suo respiro.
«Non lasciarmi andare finché
proprio non potrai.»
Lei doveva smetterla: con una sola frase era capace di
mandarlo in paradiso o gettarlo negli inferi della disperazione.
«Cosa vuol dire?»
«Solo... avrò sempre bisogno di un altro
di questi
baci.» Makoto si mosse contro il suo corpo, allungandosi,
baciandolo
sul mento, sulle labbra, con delicatezza infinita. Lo
abbracciò con la stessa cura.
«Non lasciarmi senza l'ultimo bacio. Mi farebbe male non
averlo
ricevuto.»
Il solo pensiero già gli generava dolore.
«E dopo
l'ultimo?»
Vi fu un lungo silenzio.
«Non lo so. A volte parlo senza pensare.»
A Gen non riusciva. Proprio perché non
sapeva cosa
dire - o promettere - riempì Makoto di baci e amore
disperato.
Nei due giorni successivi Gen percepì che Makoto si
comportava in maniera anomala. Strano, pensava che la loro serata di
San Valentino si fosse conclusa
bene. Alla fine si era lasciato sfuggire persino qualche dichiarazione
particolarmente romantica: era arrivato a citare il testo della
canzone finale di Titanic, traducendolo per Makoto, che non aveva la
sua stessa padronanza dell'inglese. Lei gli era parsa
serena la mattina dopo, ma nelle ultime due chiamate che si erano
scambiati aveva avuto poco tempo per parlargli e sempre
qualcos'altro da fare. A lui non sembrava casuale.
La chiamò di nuovo quella sera, per avvertirla che
sarebbe passato a trovarla al negozio, all'ora di chiusura. Lei lo
fermò subito. «Oggi ho una cosa da fare a casa di
Ami.»
«Ah... okay.»
«Possiamo vederci dopo?»
Rasserenato, lui annuì. «Passo a
prenderti,
fammi sapere
quando.»
Alle otto si trovava sotto casa Foster. Makoto era appena
uscita dal portone e stava correndo verso il suo furgone, raggiante.
L'ondata di allegria lo stranì. «Tutto a
posto?»
«Sì!»
«Come mai ridi in quel modo?»
Makoto si moderò. «Ecco... abbiamo
parlato del matrimonio di Ami! Ho avuto la conferma che farò
io la torta! Realizzerò anche delle statuine, come per
Usagi. Cercherò di farle ancora più carine e
precise ora che ho tempo!»
Se il suo entusiasmo era dovuto a quello, era comprensibile:
Makoto adorava creare con le mani, nei piccoli lavoretti metteva tutta
se stessa. Lui la
capiva: quando realizzava i propri disegni si impegnava allo stesso
modo.
Nel tragitto verso casa Makoto gli parlò per esteso
dei progetti che aveva per la torta. «Con cinquanta invitati
ci vorranno almeno cinque strati. Magari potrei fare una composizione
variegata... Sai, non una torta classica a piramide. Devo
chiedere cosa preferiscono.»
Arrivarono davanti al condominio in cui abitava.
«Sali?» gli chiese lei.
Gen si era dimenticato di precisare. «Domani devo
essere
in un posto alle sette e mezza. E mi sono dimenticato di portare
vestiti di ricambio.»
Lei si rammaricò con lui. «Sono a casa
tua, vero?»
Già. «Vorrei salire, ma se mi addormento
nel tuo letto...»
«Poi non ti svegli più.
Non preoccuparti, guarda che viso
stanco che hai. Cos'hai fatto oggi?»
«Gli altri mi hanno chiesto una mano per una
ristrutturazione.
Ne ho approfittato, mi hanno pagato bene.»
Makoto conosceva il vero motivo dei suoi sforzi. «Lo
hai fatto perché ti è piaciuto, non per i
soldi.»
Ebbene sì. Gli mancava il lavoro manuale. Ogni
tanto aveva bisogno di costruire qualcosa.
Sorridendo, lei decise di intrattenerlo con qualche
chiacchiera prima di salutarlo. «Ti confesso una
cosa. Andrò a rivedere Titanic con le ragazze.»
Gen cercò di non fissare il soffitto con troppa
esasperazione. «Ancora?»
«Tutte vogliamo guardarlo di nuovo, questa volta
insieme! Minako ha un sacco di commenti da fare ed Ami vuole vederlo al
cinema per la prima volta. Sullo schermo di un aereo non
rende.»
Titanic era proprio il film per ragazze perfetto: anche le sue
sorelle
ne erano state conquistate.
«Rei» gli raccontò Makoto, «ha
avuto l'ispirazione per un'altra canzone romantica.
Non
venderà come quella di Celine Dion, ma ho sentito qualche
strofa
ed è stupenda! Rei è bravissima con le parole,
butta lì tutti i sentimenti romantici che normalmente
nasconde.»
A proposito di quelli.... Gen ricordò che in
macchina
aveva ancora la busta con la lettera che
non era riuscito a consegnarle. Anche se era incompleta, magari a lei
avrebbe comunque
fatto piacere leggerla. «Senti...» Si
sporse ad
aprire il vano nel cruscotto, dal suo lato. «L'altro giorno
mi sono ricordato di una
cosa che mi
avevi chiesto. La stavo preparando per San Valentino, ma alla fine il
risultato non mi ha convinto. Non è una lettera
nel vero
senso della parola, sono appena tre righe... Prendila come una
prova, okay? Dammi dei suggerimenti, così potrò
scrivertene
una migliore.»
Comprendendo cos'aveva in mano, Makoto sussultò.
«È una lettera d'amore?»
Sentir associate a lui quelle parole lo imbarazzò.
«Più o meno. È una bozza.»
Senza perdere tempo, lei estrasse il foglio dalla busta e
lesse.
"Ti amo
Amo ogni giorno che passo con te.
Adoro i tuoi occhi verdi.
Vorrei guardarli per il resto della mia vita."
Il silenzio che si diffuse nell'abitacolo durò a
lungo. A
disagio, Gen deglutì. Makoto
non stava reagendo in alcun modo. Guardava le parole della lettera e
non
diceva nulla.
Mantenendo un certo contegno, lui evitò di
incalzarla e si
mise a fissare il volante, in attesa. Non le avrebbe domandato se era
stato troppo sdolcinato. Non avrebbe denigrato ulteriormente la propria
incapacità di scrittura, né avrebbe detto o fatto
qualunque altra cosa
che lo facesse passare per uno stupido più grande di quello
che
già era.
Udì un rapido inspirare. Gli occhi di Makoto erano
diventati lucidi.
«Mako, non...»
A lei tremarono le labbra. Un singhiozzo improvviso la
costrinse a coprirsi la faccia.
«È bellissima! È perfetta
così,
la terrò per sempre!»
... quindi era come aveva creduto: la lettera era
pensata per diventare un ricordo.
Non riuscì a frenarsi; non ce la
fece proprio più. «Ci sarò io a dirti
queste cose di persona. Per sempre.»
Scoppiando a piangere, lei si arrampicò oltre il
cambio, salendogli in
braccio.
Lui cercò di non farsi travolgere dalla stessa
infelicità, o l'avrebbe stritolata. La consolò
strofinandole la schiena,
parlando anche a se stesso. «Basta. Basta.»
Lei annuì contro il suo collo, deglutendo e
tentando di respirare.
«Domani» le disse. «Domani
andiamo insieme da Ami, okay? Le chiediamo di studiarmi
col
suo computer. Così cominciamo a capire come funziona
questa cosa del... dell'immortalità.»
Con un sussulto, lei smise del tutto di singhiozzare.
«... Veramente?»
Sì, pensava di sì. E al diavolo
tutto il resto, almeno per il momento. Andando avanti con
quella incertezza si sarebbe distrutto da
solo.
Nemmeno la sua famiglia avrebbe voluto vederlo in quello
stato.
Makoto non si era ancora scostata per guardarlo. Dopo un po'
appoggiò il viso contro il suo collo. «Adesso non
credo di
riuscire a lasciarti andare.»
Andava bene lo stesso. «Dormo da te e mi sveglio
alle
cinque. Mi inventerò qualcosa.»
Le braccia di lei lo strinsero energicamente, con quell'ardore
che lui non si era concesso, per non scoppiare.
«Non so
se ti merito.»
Certo che sì. Dio, certo che sì.
Makoto avrebbe dovuto sentirsi felice. Era immensamente
felice, ma al
contempo era preoccupata. Cos'aveva fatto promettere a Gen?
In quei giorni, con tutti i suoi piagnucolii, lo aveva fatto
sentire in colpa. 'Non lasciarmi senza l'ultimo bacio' di qui,
'ti
amerò anche
da morta' di là... Lui teneva moltissimo a lei, per forza si
era
sentito in dovere di replicare a modo e di farla sentire
meglio. Makoto sapeva di esagerare riducendo le sue intenzioni in quel
modo
- c'era la lettera, dopotutto - ma...
Nel buio della notte, guardò il viso di lui senza
riuscire a
dormire.
Le sembrava di essere un'enorme egoista. Stava andando tutto
come
voleva lei: avrebbe avuto il suo potere, il suo destino Sailor e un
ragazzo che la amava così tanto da sacrificarsi pur di
starle accanto per l'eternità che doveva affrontare.
... non era giusto.
Dov'era il lieto fine di Gen? Non poteva incentrarsi
completamente su di lei, lui non era quel tipo di ragazzo.
Gen sarebbe stato felice rinunciando al suo sogno di
diventare
architetto? Oh, un giorno lontano avrebbe finito col progettare la
nuova Crystal Tokyo, ma ci sarebbe voluto molto tempo.
Come avrebbe
potuto acquisire esperienza rimanendo a fianco di una persona che
avrebbe messo in pericolo la sua vita? Sarebbe stato in grado di
trovarsi un lavoro? Sarebbe stato sicuro per lui muoversi per il mondo
senza un qualche tipo di protezione? Delle guardie del corpo lo
avrebbero soffocato. Magari, tutti insieme, sarebbero riusciti a
inventarsi uno scudo magico o qualcosa di simile per proteggere le
persone che amavano, ma non era una soluzione che poneva fine
a tutti i problemi. La
loro presenza sarebbe
stata ingombrante nelle vite di coloro che si sarebbero trascinati
dietro.
A Gen per esempio non sarebbe piaciuto quando, presentandosi
a
qualcuno, gli altri avessero visto prima di tutto il suo collegamento
con lei. Non sarebbe stato Gen Masashi, architetto, bensì
Gen, il compagno di Giove.
Per non parlare di tutto il resto. Per lui sarebbe stato
devastante
perdere
la sua famiglia. Sua madre, le sue sorelle... Miki e Shori,
lentamente, sarebbero diventate più vecchie di lui. Un
giorno
Gen sarebbe stato come lei, solo al mondo. Guardandosi attorno si
sarebbe accorto di
essere circondato unicamente di ricordi. Ecco cosa significava
per loro parlare insieme di
immortalità.
Per non svegliarlo, Makoto cercò di non
accarrezzarlo con troppa energia.
Voleva passare il resto della sua vita con lui, ma non avrebbe
mai dovuto accettare alcuna promessa da parte sua.
Il giorno dopo, l'aiutò molto che Gen avesse da
lavorare.
Avrebbe dovuto essere un giorno di riposo per lei, ma siccome
la
sua testa era piena di pensieri, nulla le serviva più che
impegnare le mani, per distrarsi.
Pulì la casa da cima a
fondo,
in appena una mattinata. Il pomeriggio si diresse al negozio, decisa a
dare una pulita generale anche al locale. Lei e la sua assistente -
Eleonora-san - erano scrupolose in cucina, ma magari si erano fatte
sfuggire qualche angolino impolverato nella zona in cui sostavano i
clienti. Aveva dato una controllata al meteo: si prevedeva bel tempo,
pertanto avrebbe dato una ripassata alla vetrina esterna. La
sera
sarebbe tornata a casa in tempo per preparare a Gen una buona cena. Era
da un po' che non mangiavano qualcosa di elaborato.
Non si erano accordati per cenare insieme, ma dopo il loro
ultimo discorso era certa che lui sarebbe passato, per
discutere di quando andare trovare Ami. Lei però era sempre
più certa che fosse meglio aspettare.
Alle tre del pomeriggio, mentre era fuori dal negozio con
secchio e
stracci, fece un incontro che non si aspettava.
«Ami!»
La sua amica era avvolta in un cappotto rosso, un colore
inusuale per
lei. Al collo portava una sciarpa bianca e in testa indossava un
berretto di lana molto femminile, con una decorazione floreale. In mano
teneva un pacchetto. «Ciao, Mako-chan. Scusa la
sorpresa.»
«Come facevi a sapere che ero
qui?»
Con un po' di imbarazzo, Ami picchiettò la borsa
che le
pendeva dal braccio. «Ho controllato la tua posizione col
computer.»
Makoto cercò di non ridere troppo forte.
«Mi pedini!»
Ami accolse lo scherzo. «Non volevo disturbarti, ma
ero in giro e
volevo darti questo.» Allungò
nella sua direzione il pacchetto,
attendendo che
lei avesse le mani libere per riceverlo.
«Che cos'è?»
«Un libro di quelli che piacciono a te. Ho fatto
delle
ricerche, è un titolo valido. Se ce l'hai già
dimmelo,
ho conservato lo scontrino.»
Makoto non si era attesa un regalo. «Non
è il mio compleanno.»
«È solo un pensiero» si
giustificò Ami. «Per quello che hai
fatto per me e
Alex l'altro giorno. È grazie a te se ora posso parlare con
tutti del mio stato, senza ansie.»
La stava ringraziando per la previsione che lei aveva chiesto
a
Usagi
e Rei, con riguardo al suo futuro con Gen. Il rischio era stato quello
di ricevere una risposta che non le sarebbe piaciuta, ma per Makoto ne
era valsa la pena. Il suo scopo era stato quello di
capire se le loro amiche fossero in grado di vedere il futuro quando si
trattava di questioni molto personali, che riguardavano proprio i
membri del loro gruppo. Usagi e Rei avevano confermato di
non riuscire a prevedere se Gen sarebbe rimasto nella sua vita per
sempre e Makoto aveva avuto la prova che Ami poteva
raccontare a tutte della sua recente gravidanza, senza il timore di
ricevere brutte notizie
con riguardo al suo bambino.
Makoto era felicissima di essere stata d'aiuto e non si
pentiva di
nulla. Forse però quell'esperimento l'aveva resa
più
vulnerabile alle proprie paure, facendo reagire Gen di conseguenza.
Accarezzò il libro ancora avvolto nella carta da
regalo.
«Non dovevi.»
«Mi ha fatto piacere.» Ami notò
il palo lavavetri
che stringeva tra le dita. «Stai pulendo il negozio? Ti do
una
mano.»
«Oh no, ho praticamente finito! Sai, in
verità capiti a proposito.»
«Hm?»
Caricandosi del secchio, invitò Ami ad entrare nel
locale.
«Ieri
Gen è tornato a interessarsi al mio potere. Sai, a come
può influenzarlo per il futuro.»
Ami comprese subito. «Ykèos?»
«Già.» Cercò di
apparire noncurante, o almeno non eccessivamente preoccupata.
«Tu poi hai studiato più a fondo questo
legame?»
«No, ho solo le informazioni di base. Ti interessava
qualche aspetto in particolare?»
Non voleva che prendesse la domanda per il verso sbagliato,
ma...
«Mi chiedevo se secondo te esiste la possibilità
di...
rescindere l'ykèos.»
Ami sbatté più volte le palpebre.
Makoto agitò le mani in aria. «Amo Gen.
Lo amo
così tanto che vorrei lasciargli la
possibilità di scegliere.»
«Ma certo» comprese finalmente Ami. Si
sedette e
dedicò
grande attenzione al suo problema, riflettendoci su mentre Makoto
andava a
svuotare il secchio con l'acqua sporca.
Quando lei tornò nella parte anteriore del negozio,
Ami
aveva
elaborato una prima riflessione. «Non so se sia possibile
rescinderlo
volontariamente, se non smettendo di amare una persona. Ma non credo
che
questo legame sia stato pensato per essere una costrizione, sai? Se
qualcuno non volesse questo 'dono',
è
possibile che esista un meccanismo per non imporlo.»
Era una speranza. «Anche continuando ad amare la
persona?»
L'espressione di Ami non lasciò presagire una
risposta
positiva. Nel suo sguardo entrò una nota di pena. Stava
immaginando ciò che Makoto aveva in mente: lasciare libero
Gen, se necessario, pur faticando a dimenticarlo per anni - decenni
persino.
Makoto cercò di spiegarsi. «È
solo un'ipotesi, non so ancora cosa voglio. Cioè, so che vorrei
passare il resto della mia vita con Gen, come tu con Alexander.
Ma ci sono aspetti del nostro futuro su cui lui non ha
ancora riflettuto a sufficienza e...»
Nel volto di Ami si aprì un mondo di comprensione.
«So cosa vuoi dire.»
Giusto. «Avevi paura anche tu, per Alex.»
Ami sorrise, come se il riassunto fosse un eufemismo. Smise di
preoccuparsi
di se
stessa e tornò a pensare a lei. «Non mi sono mai
concentrata sull'ykèos però. Pensavo che, col
tempo, se
Alexander avesse deciso di allontanarsi da me, avrei smesso di
trasmettergli una parte del mio potere.»
«Lo avresti dimenticato?»
Ami non disse niente.
«Avresti messo di amarlo?»
La sua amica diede voce alla desolazione che lei gli stava
trasmettendo. «Temi di non riuscire a dimenticare Gen anche
se
non lo vedessi mai più.» Non fu una domanda.
Sentire quelle parole ad alta voce mise Makoto in ansia.
«Sto solo ipotizzando, davvero. Non mi
piace l'idea di intrappolare Gen. Vorrei potergli dire che sarebbe
libero
di vivere una vita normale se scegliesse... un'altra strada, lontano da
me.»
Ami tirò fuori il computer della borsa.
«Non sono in
grado di dirti niente finché ne parliamo solo in teoria.
Inizio
ad immagazzinare dati.»
Era sensato, ma non mancava uno dei protagonisti principali
della ricerca? «Gen non è qui.»
«Oh, ecco io...» Ami dibatté
con se stessa prima
di parlare. «Non volevo farti preoccupare, ma dopo quello che
abbiamo scoperto su Yuichiro - e dopo che Alexander è stato
molto
male quel paio di volte, l'anno scorso... non ho voluto correre rischi
con Gen. Ho creato una scheda per lui sul computer, quindi adesso sono
in grado di rintracciarlo e studiarlo ovunque si trovi.»
«Oh.» Cielo, quanto era stata ingenua.
Si era
preoccupata solo del futuro, ma avrebbe potuto causare problemi a Gen
persino nel presente. «La volta che l'hai
studiato, cos'hai visto?»
Ami teneva gli occhi bassi, come se ancora si vergognasse
della
propria iniziativa. «Non l'ho propriamente studiato. Ho solo
impostato il computer affinché emettesse un suono di
avvertimento se gli fosse successo qualcosa. Una febbre alta per
esempio, come ad Alexander.»
Makoto rabbrividì in silenzio.
Ami digitò più lentamente sulla
tastiera. «Ho
creato una scheda per Gen verso la fine dell'estate, ma adesso che ci
penso...»
«Cosa?»
«Il tuo potere non aveva ancora dato via
all'ykèos allora.»
Makoto boccheggiò. «Ancora
no?»
«Ho pensato che fosse perché... c'era
ancora un pizzico di incertezza tra voi...»
Una nuova idea le entrò in testa a Makoto,
causandole
un
piccolo buco nel cuore. «Pensi che sia possibile per una
persona non accettare il legame, se non è convinta di volere
l'amore che sta ricevendo?»
«Non credo.» Ma nella voce di Ami si era
insinuato il
germe del dubbio. Tornò a dedicarsi al computer.
«Senza
fare altre ipotesi, basta vedere che invece ora...» Si
interruppe mentre il computer emetteva un suono.
Seduta accanto a lei, Makoto si mise sull'attenti.
«Cosa?»
Ami guardava lo schermo e rispose solo dopo aver trovato le
parole per comunicarle la notizia. «Su Gen non
c'è alcuna parte del potere
di
Giove.»
... non c'era?
Sotto choc, Makoto cercò di trovare la forza di
deglutire, di respirare.
Perché stava reagendo in quel modo?
... non era forse ciò che aveva
voluto? Gen era ancora libero di prendere tutte le decisioni
che voleva, in autonomia.
Ma perché non si era instaurato alcun
ykèos tra loro? Forse lei lo amava abbastanza da
non volerlo
ingabbiare? O magari il suo amore era sempre stato monco,
per paura. O forse ancora, nonostante tutto, la
verità era
solo che Gen aveva la
possibilità di rifiutare quel legame.
Inconsciamente, senza
neppure rendersene conto, magari lui aveva tenuto Giove lontano da
sè.
Oh, lei non lo avrebbe biasimato. Non lo avrebbe biasimato
affatto.
Di sera, Gen era più determinato che mai ad avere
delle risposte. Se Makoto non aveva già cucinato qualcosa,
pensava di portarla fuori a cenare, così magari
dopo potevano passare a casa Foster. La chiamò per
non intralciare i suoi piani. Lei rispose al primo squillo.
«Pronto?»
«Ciao, sono in macchina. Pensavo di stare insieme
anche
stasera - sono passato a prendere dei vestiti da casa. Vuoi mangiare
fuori per caso?»
«Ho già preparato qualcosa. Vieni da
me.»
«Okay. Senti, per quello che ho detto
ieri...»
«Dài, non al telefono!» Il
tono,
allegro all'improvviso, gli suonò... tirato. «Ne
parliamo durante la cena.»
C'era qualcos'altro di cui parlare? «Va bene. Arrivo
tra mezz'ora.»
«Ti aspetto.»
Trentacinque minuti dopo era nel suo
appartamento. Entrò in casa, deciso ad affrontare
subito
l'argomento, ma il profumino speziato della cena lo distrasse. Oh.
Ramen e tempura fumanti! Il suo stomaco cantò un inno alla
gioia.
La serenità di Makoto lo convinse che la
conversazione
poteva aspettare.
«Bentornato» lo salutò lei,
aiutandolo a togliere la giacca come una mogliettina premurosa.
Lui non riuscì a trattenersi dall'afferrarla in un
abbraccio
giocoso. Appoggiò sul suo collo un paio di baci veloci, che
la
fecero ridacchiare.
«Lasciami, altrimenti non riesco a servire la
cena!»
Gen tornò sull'ingresso, a liberarsi delle scarpe
Per
amor di ordine, aprì il borsone che aveva portato con
sé
e andò a riporre i vestiti nella parte di
cassetto che Makoto gli aveva offerto. Era meglio occuparsi subito di
quella piccola incombenza, così non ci avrebbe pensato lei.
Makoto era il genere di persona che accettava un po' di disordine in
casa, ma per via del poco spazio a disposizione aveva imparato a non
lasciare in giro neppure un po' di caos, pena l'esserne piano piano
sommersa.
Gen mangiò con gusto la cena di tre portate.
Durante il pasto
finì col notare il modo in cui lo sguardo di Makoto vagava
nel
nulla.
«Pensi che Ami e Alexander» le
domandò, «siano tipi da accettare una piccola
visita serale?»
La frase focalizzò l'attenzione di lei.
«Gen.»
Lui rimase in attesa.
«Oggi Ami è passata a trovarmi al
negozio, per caso.»
«Ah.»
Il silenzio lo portò a formulare un'ipotesi.
«Le hai domandato di...?»
«Sì.»
... c'era un motivo per cui, invece di parlarne, lei esitava?
«Cosa ti ha detto?»
Makoto teneva gli occhi fissi sul tavolo. «Sappiamo
troppo
poco del legame di potere che fornirà la vita eterna alle
persone che scegliamo. Ora come ora, l'unica certezza è che
tra
noi due... non si è ancora formato.»
... cosa?
Lei incontrò il suo sguardo, con una
determinazione che
gli lasciò pensare che avesse riflettuto a fondo sulla
faccenda.
«È positivo. Non significa che io non ti ami - non
può
essere così - ma, se ancora non ti influenzo col mio
potere...
è meglio. Credo a quello che mi hai detto ieri. Non
c'è bisogno che me lo provi adesso, prendendoti degli
impegni.»
Come avrebbe potuto prenderne, se per lui fosse stato
impossibile
vivere mille anni? «Ci sono delle alternative? Usagi potrebbe
fare qualcosa?»
«Può darsi. Non stiamo a preoccuparcene
ora.»
Come poteva parlare così? «Non
è strano che le
altre tue amiche abbiano creato questo legame con i loro compagni, e tu
ed
io no?»
Makoto evitò a stento una smorfia.
«Magari dipende dal
fatto che loro non sono planetarie come me. Forse il mio potere
è
troppo forte per te e quindi... non so, magari ti sto proteggendo
evitando di apporlo sul tuo corpo. Inconsciamente» aggiunse,
come per
non fargli pensare che da parte sua vi fossero incertezze che potevano
avere causato il fenomeno.
Gen memorizzò l'istante di disagio. «Non
sei preoccupata?»
Makoto scosse piano la testa, affondando le bacchette nel
ramen che
non aveva ancora terminato. «Ieri sono stata una sciocca a
piangere in quel modo per la tua lettera. La faccio troppo tragica, per
tutto. So che sistemeremo in qualche modo se un giorno vorrai
vivere sempre con me. Ci penseremo quando sarà necessario.
C'è tempo.»
La tranquillità con cui lei stava accettando la
situazione gli fece pensare che, chissà come, ci avesse
ripensato.
... non aveva apposto quell'ykèos su di lui.
Significava che, nel profondo di sé, forse aveva dei dubbi.
Gen umettò le labbra secche.
«Ieri non ho detto quelle cose solo per far felice
te.»
Makoto si commosse - in una maniera compostae adulta.
«Lo
so.» Fece il giro del tavolo e si sedette sul pavimento, per
racchiudergli la testa tra le braccia. «Qualunque cosa ci
voglia
- Usagi o tutto il potere di Giove - io troverò il modo di
darti
una vita lunga mille anni, se vorrai. Ma ieri, anche se all'inizio ero
tanto felice, poi ho cominciato a pensare a che sacrificio sarebbe
stato
per te.»
Sapere che stava pensando a lui lo rilassò e lo
irritò
al contempo. «Sono decisioni che posso prendere da
solo.»
«Certo. Non arrabbiarti.»
«Non sono arrabbiato.» Era desolato.
Dopo che aveva finalmente trovato la forza di fare quel salto,
si ritrovava catapultato di dieci passi indietro, nel mare di
incertezze che
aveva deciso di ignorare per amore.
Si scostò lievemente, per cercare risposte nel viso
di lei.
Makoto non sfuggì al suo sguardo. «Non
importa cosa
dica il computer. Se dipendesse solo dai miei sentimenti,
egoisticamente ti avrei
già legato a me per il resto della nostra vita.»
Era ciò che lui aveva bisogno di sentire.
«Non
devo dare troppo peso a questo ykèos che non c'è,
quindi?»
Lei cercò di non implorare troppo.
«Sì, per favore.»
Non le avrebbe mai rifiutato nulla. Ricambiò il suo
abbraccio
con più forza, con Makoto che saliva sulle sue
gambe.
Ebbe sulle labbra un'altra promessa - una dichiarazione del
valore
che gli aveva offerto lei - ma non riuscì a farla.
Finché
non aveva la sicurezza di una vita lunga, non poteva promettere
niente.
Forse tutto sarebbe andato a posto, ma se non fosse stato
così...
Sarebbe finito dentro una tomba mentre Makoto era appena
all'inizio
della sua millenaria vita. A quel punto, qualunque frase, per quanto
bella e sentita, sarebbe stato solo il ricordo di una promessa che non
era riuscito a mantenere.
Febbraio 1998 - Lettera
d'amore - FINE
NdA:
Se avete seguito la
pubblicazione delle anteprime sul gruppo Facebook, avrete visto come
abbia faticato a venirmene fuori con l'ultimo pezzo del capitolo. Nella
mia testa era chiaro il sentimento che volevo trasmettere, ma dopo una
rilettura completa della prima parte mi sembrava che ci fossero troppe
smancerie. In seguito che lo stile fosse troppo povero. Ieri, grazie a
qualche lettura interessante, nella mia testa è spuntata
d'improvviso la consapevolezza di avere in mano gli strumenti
linguistici per terminare. Ho quindi aggiunto qualche dettaglio a
livello di descrizione - che arricchisse il testo - e sono riuscita a
terminare il capitolo senza colpo ferire.
Adoro sentirmi così, continuerò a
leggere il libro che
ho attualmente in mano - "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi -
sperando che mi vengano nuove ispirazioni. Ma credo di sì, a
volte mi manca davvero, solamente, la sensazione di essere capace di
trasmettere adeguatamente le idee che ho in testa.
Fatemi sapere come vi ha fatto sentire questo
capitolo!
Le tribolazioni di Makoto e Gen sono solo agli inizi.
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...