CAPITOLO
1
-AL RIPARO DAL MONDO-
Guardò la radura.
Attorno a essa si estendeva il bosco da cui proveniva solo il
fruscìo del vento e il verso di qualche animale
ben nascosto nell'ombra.
Gli alberi,
così alti da sovrastarla più di qualche braccio,
lasciavano intravedere solo uno scorcio di cielo, di un celeste
così pallido e delicato da sfumare quasi nel bianco delle
nuvole.
Il potere che emanava da
quel suolo s'irradiava ovunque, sembrava persino filtrare attraverso le
suole dei suoi stivali; sapeva da dove proveniva tutta quell'energia.
Si girò verso
il centro esatto della radura e una folata di vento leggero le scosse i
lunghi capelli ramati. A pochi metri da lei vide il grande obelisco
stagliarsi nella fioca luce che filtrava; l'aura che lo circondava era
una prova di tutta la magia che doveva contenere.
Lungo la pietra che lo
formava si avvolgevano spirali, sette per la precisione. Si
avvicinò lentamente, quasi con religiosità, e ne
vide i colori.
All'interno di quelle
scanalature, modellate con chissà quale incanto, correvano
le scie di sei pietre. La ragazza le riconobbe.
L'agata muschiata,
intrisa di ogni sfumatura del verde ; il diamante, limpido e
cristallino, solido e invincibile;l'ametista, di quel viola
meraviglioso intriso di sfumature interne che si espandevano quasi come
volute di fumo; lo smeraldo, brillante, intenso e di quel verde che
trasmetteva una sensazione di profonda comunione con la linfa vitale
del mondo, della terra e della natura; il quarzo rosa, delicato e
profondo, con qualche sfumatura bianca a screziarne la superficie;
infine il rubino, rosso come la forza vitale, il fuoco interiore,
un'antica e inestinguibile fiamma.
Un solco vuoto
s'incrociava con i percorsi delle altre pietre, privo di qualsiasi
gioia e colore; nel vederlo, senza una precisa ragione, una profonda
tristezza la colse.
Le spirali
s'incrociavano tra loro come a simboleggiare un infinito intreccio di
destini.
Freya ne
seguì il percorso con lo sguardo, fino a vederle culminare:
lì, una luce più intensa colmò il suo
sguardo. La settima pietra brillava intensamente.
La luce del granato era
fulgida, sopra di lei, come la vedeva quasi ogni notte in quel sogno.
Solo quella pietra era in grado di mantenere l'equilibrio, solo essa
poteva bucare la corazza di oscurità che permeava la loro
terra. Quella consapevolezza l'attraversava ogni volta e ogni volta lei
non riusciva a comprendere da dove potesse venire.
Quella luce le dava
speranza, la sentiva crescere dentro di sé, anche se sapeva
che presto lo scenario della visione sarebbe mutato.
Così fu. Una
folata gelida le soffiò sulle spalle e con un tremito di
paura si voltò. Come tante altre volte in precedenza, lei
era lì.
Guardò la
figura ammantata che avanzava lentamente sul terreno muscoso, ma non
con il profondo rispetto che aveva avuto lei. In ogni suo passo c'era
brama, brama di conquista, come se il pilastro fosse la meta della sua
vittoria. E forse lo era.
Quella figura
trasmetteva un senso di paura sconcertante.
La sua lunga tunica nera
fluttuava nell'aria fredda e tetra; la ragazza poteva scorgere i suoi
occhi ridotti a due fessure sotto la maschera lucida e nera,
incorniciata dal cappuccio del mantello, nero anch'esso, un po' come lo
stava divenendo tutto.
Persino il cielo si era
coperto.
La studiava con una
calma apparentemente normale, mentre in mano stringeva uno scettro
sormontato da una grande prisma in pietra d'onice. Freya sapeva cosa
sarebbe accaduto ma non si mosse comunque, spinta dal desiderio di
proteggere quella gemma così importante per l'equilibrio del
loro mondo.
Di nuovo un pensiero che
non pareva proprio appartenerle.
Ancora qualche passo
verso di lei e la figura spalancò gli occhi.
La ragazza li vide
fissarsi nei suoi e fomentare il suo terrore, gelandola con quel colore
così chiaro da essere quasi più trasparente del
ghiaccio. Con un ampio movimento del braccio la sinistra presenza
portò lo scettro davanti a sé. Un'enorme sfera
violacea esplose dal grande onice.
Freya la
sentì colpirla al petto e inondarla di una scarica di
dolore. Mentre la vista le si annebbiava, pensò che avrebbe
dovuto assolvere meglio il proprio compito.
Sentendo un colpo al cuore, Freya si svegliò di soprassalto.
Non appena si fu messa a sedere le mancò il respiro e
dovette sforzare al massimo i polmoni per inalare aria. Si mise una
mano sul cuore e sotto il palmo lo sentì battere furioso.
Terrore. Era l'unica sensazione che provava mentre le scene di quel
sogno le ripercorrevano la mente, confuse, come sempre. La radura, un
pilastro intarsiato sormontato da un'immane bagliore, la figura nera,
la morte che sopraggiungeva rapida.
Tutto questo le appariva in una miriade di frammenti sconclusionati,
che lentamente andavano a ricomporre le immagini che avevano tormentato
il suo sonno. La sola cosa buona che restava alla sua anima era
l'immensa speranza provata, anche se tanto fugace.
Quello stesso incubo la perseguitava da fin troppo tempo per poter
ricordare, insinuandosi nella sua testa quasi ogni volta che chiudeva
gli occhi.
Riacquistò la percezione dell'ambiente circostante
bruscamente; solo a quel punto riuscì a udire il forte
ululato del vento all'esterno, che scuoteva il suo albero facendolo
dondolare paurosamente.
Piano si girò nel letto e non appena posò i piedi
a terra la sensazione del legno sotto le piante dei piedi le diede
sollievo. Si alzò e barcollò indolenzita verso la
porta; le bastò scostare la tenda ricamata che copriva
l'uscio per essere accolta da sprazzi del cielo pieno di stelle che si
mostrava attraverso le fronde dell'albero.
Una balconata di legno le si mostrò dinnanzi, sospesa fra i
rami di quell'enorme quercia secolare; avanzò a
piedi nudi, senza timore. Quella era la sua casa da tutta la vita.
Aveva sempre vissuto tra gli alberi della foresta che si estendeva
sotto i suoi occhi, protetta da tutto quello che infuriava all'esterno,
ma nemmeno quel luogo che tanto amava sembrava poterla difendere da
quelle assurde visioni.
Rabbrividì all'ennesima folata di vento che la
investì e scrutò il nero manto celeste attraverso
il fogliame che ombreggiava tutto intorno. Conosceva molto bene la
solitudine, era diventata la sua unica compagna da anni, ma era solo in
quegli istanti che tornava a pesarle come nei primi tempi. Solo in quei
momenti di profonda vulnerabilità scopriva di ricordare
nitidamente ogni singolo giorno che aveva passato aspettando sua madre.
Cercò disperatamente di rievocare il suo volto, ma come
sempre più spesso le accadeva l'immagine le apparve sfocata,
nascosta nelle pieghe del tempo che trascorreva inesorabile; quella era
la sofferenza più grande, l'idea di star dimenticando la
persona che più aveva amato in tutta la sua esistenza.
Riportando a galla quelle immagini non poté fare a meno di
ripercorrere ciò che era successo; lo sguardo corse
inevitabilmente alle proprie mani, intirizzite nel gelo della tempesta.
Erano state quelle stesse mani la causa della scomparsa di Eleana, o
almeno ciò che da esse scaturiva.
Non ne avrebbe mai potuto ricevere conferma né l'aveva mai
detto ad alta voce, ma sapeva che ciò che era successo quel
giorno di oramai sei anni prima era il fulcro di tutto ciò
che era accaduto in seguito.
Era stato solo un momento, una brevissima e quasi invisibile scintilla.
Stavano cogliendo erbe selvatiche nel sottobosco, quando senza sapere
come un potere sconosciuto era sgorgato dalla punta delle sue dita.
Rammentava ancora quale meraviglia le fosse cresciuta dentro nel
comprendere che era proprio lei la fonte di quel bagliore etereo, che
pareva provenire da un altro mondo; il suo primo pensiero era stato di
aver ereditato i poteri da Incantatrice di sua madre.
Poi Eleana le si era avvicinata e in un sussurro, quasi temesse di
essere udita da qualcuno, le aveva detto che era arrivato il momento di
tornare alla loro casa. Una volta al sicuro tra le fronde dell'albero,
le aveva fatto un lungo discorso su quanto fosse importante che questa
cosa la tenesse per sé e non la usasse come un gioco; Freya
aveva annuito alle parole della madre, chiedendosi a chi mai avrebbe
potuto rivelarlo se nella foresta non c'era mai stata anima viva
all'infuori di loro e qualche bestia selvatica. La sua reazione le era
sembrata insolita, ma si fidava di lei e e perciò si era
trattenuta dal far domande.
All'epoca non immaginava che stava per perdere la persona che
più amava al mondo; non l'aveva capito nemmeno quando, un
paio di giorni più tardi, Eleana le aveva detto che sarebbe
dovuta partire e che lei avrebbe dovuto cavarsela da sola per un po'.
Freya aveva nascosto alla madre la sua inquietudine perché
immediatamente aveva compreso che quel viaggio era davvero importante.
Aveva ascoltato con calma le ansiose raccomandazioni di Eleana, che le
aveva detto di preoccuparsi solo nel caso in cui fosse trascorsa una
luna dalla sua partenza e lei non fosse ritornata.
L'ultima immagine che aveva di lei era la sua esile figura che si
allontanava a piedi nel sottobosco, umido della molta pioggia caduta in
quei giorni, poi era iniziata la sua vita solitaria.
Quel mese era stato meno pesante di ciò che avesse creduto:
la madre le aveva lasciato tutti i viveri necessari, in modo da
costringerla a scendere dall'albero solo per procurarsi l'acqua
necessaria a lavarsi e a rifocillarsi; nella parte coperta della loro
dimora la ragazza aveva tutti i preziosi libri carichi di conoscenza
che la donna aveva posseduto fin da quando lei aveva memoria. Aveva
anche tutte le erbe necessarie a confezionare impacchi e infusi
medicamentosi e sapeva già come utilizzarle.
Ma quando quelle quattro settimane si erano trasformate in due cicli
lunari e poi in tre, lei aveva capito che la promessa che sua madre le
aveva fatto prima di andarsene, la promessa che presto sarebbe
ritornata da lei, non era stata mantenuta e non di certo per sua
volontà.
Doveva essere successo di certo qualcosa, ma lei non poteva far nulla
per sapere cosa o per cambiarlo. Quel senso d'impotenza era stato quasi
impossibile da sopportare e forse per quella ragione ora cercava sempre
una soluzione, qualcosa da fare, quando le si presentava un problema
dinnanzi.
Il dolore, misto a un acuto senso di perdita. l'aveva colta e da allora
l'aveva sempre accompagnata, anche se crescendo era diventato solo come
una spina che ogni tanto la pungeva quando faceva un movimento troppo
brusco. Aveva trascorso intere sere appollaiata sui rami della sua
quercia a scrutare il nord, l'orizzonte dal quale sarebbe dovuta
ricomparire sua madre, ma la foresta era rimasta muta di fronte alla
sua supplica silenziosa.
Le era sembrato di essere destinata a vivere così, sola e in
attesa, per un tempo eterno.
Eppure alla fine, in un modo o nell'altro, la vita era continuata: si
era alzata da quella maledetta balconata e aveva deciso che sarebbe
sopravvissuta a ogni costo, che in qualche maniera avrebbe dato un
significato alla sua esistenza. Fin da quel momento, le sue
mani non si erano mai più illuminate di nuovo e lei non
aveva mai più fatto nulla per tentare di evocare quei poteri
che evidentemente dimoravano in qualche profondo recesso del suo
essere; in lei era nata la convinzione che se a causa di quei poteri
sua madre era partita in cerca di risposte e non era mai più
tornata, non avrebbero mai potuto portare a nulla di buono.
Le sue stranezze, però, non terminavano lì. Fin
da quando era stata abbastanza grande per capire qualcos'altro aveva
popolato le sue notti, oltre a quella terribile visione. Non era un
incubo, al contrario, ma era qualcosa che non avrebbe potuto definire
nemmeno sogno; si trattava di null'altro che una voce. Una voce calda e
profonda, venata di una sfumatura mascolina e ancestrale, che sempre le
era venuta a parlare nel sonno, soprattutto nei momenti in cui aveva
pensato di non potercela fare.
Aveva creduto di stare impazzendo quando si era resa conto di udirla e
soprattutto quando aveva realizzato di non averla mai sentita durante
le ore da sveglia, ma quando l'aveva detto a Eleana lei aveva sorriso e
le aveva semplicemente risposto: “È solo il tuo
spirito guida. Hai una grande strada davanti a te e lui è
lì per aiutarti a percorrerla.”
Quella risposta enigmatica era riuscita in qualche strano modo a
chetare le sue paure e Freya aveva così accettato anche quel
piccolo particolare fuori dalla norma. Il suo Spirito Guida,
così aveva sempre continuato a chiamarlo, l'aveva salvata in
molte situazioni e le aveva impedito di perdere se stessa nel dolore e
nella rabbia; fosse reale o meno, le aveva costantemente salvato la
vita.
Lui, chiunque fosse, era sempre stato solo una voce, ma quando si
svegliava in quelle notti fortunate Freya continuava a sentire la sua
strana ed aleggiante presenza ancora per lunghi istanti e in qualche
modo la paura scivolava via.
Quella notte, però, lo Spirito Guida non si era fatto
sentire e lei era sola; studiò ancora per qualche lungo
istante le stelle prima di dirsi che stava inziando a rimuginare troppo
e decidersi a trovare un occupazione.
Sapeva già alla perfezione cosa avrebbe voluto fare in
attesa della luce dell'alba. Si diresse verso la casa e
rientrò, lasciandosi alle spalle il vento impetuoso e lo
scintillio delle stelle; oltrepassò la sua stanza, in cui la
luna gettava i suoi pallidi raggi di luce, ed entrò in
quella adiacente.
Lì, come l'aveva lasciata lei sei anni prima, c'era la
stanza di sua madre. Il suo letto semplice e ammantato solamente da una
coperta color bronzo, un cassettone abbozzato nel legno e uno scrittoio
perfettamente ordinato. Non aveva cambiato di posto nessun oggetto
appartenuto a lei, come se sperasse che questo l'avrebbe mantenuta
più viva nei suoi ricordi.
Con passi sicuri si diresse verso una lama d'ombra tra la parete in
legno e lo scrittoio e di lì trascinò fuori un
grande baule di legno chiuso da un chiavistello finemente lavorato;
lentamente lo aprì.
Era completamente occupato da libri di tutte le dimensioni, pergamene e
pile di fogli che la ragazza era certa di aver letto almeno una volta
ciascuno. Sua madre era una donna molto colta e le aveva insegnato
quanto il sapere e la conoscenza fossero fondamentali; erano le basi
della vera libertà, le diceva sempre.
Era per questo che nonostante vivessero in mezzo alle Foreste di
Confine le aveva insegnato a leggere, a scrivere e a far di conto; le
aveva anche parlato di canti e miti e le aveva insegnato un poco di
geografia, anche se davanti a una cartina aggiornata avrebbe
probabilmente perso l'orientamento. Solo sulla storia si era mantenuta
sempre piuttosto vaga, accennando a malapena qualche avvenimento di
scarsa importanza avvenuto secoli e secoli prima e tenendola lontana
dagli eventi più recenti, evitando le sue molte domande.
L'unica cosa che doveva sapere, le era stato risposto, era che il loro
era purtroppo un mondo di tirannia e che questa tirannia portava un
solo e unico nome: Mirea. Colei che con l'ausilio di sconosciuti poteri
oscuri stava soggiogando lentamente l'intera Finian.
Era proprio per la realtà del mondo in cui vivevano che
l'aveva istruita a combattere, contando soprattutto sull'arco che le
aveva fabbricato, anche se fino ad allora non aveva mai avuto motivo di
utilizzare quel tipo di abilità se non per procurarsi il
cibo. Il pericolo che Mirea rappresentava le era sempre parso nebuloso
e lontano, al sicuro fra le fronde delle sue amate Foreste.
Si sedette sul letto e prese il suo libro prediletto tra le mani; oltre
a libri di studio, Eleana aveva conservato romanzi e scritti di
leggende antiche, forse perdute, ma che lei oramai sapeva a memoria.
Il tomo che aveva tra le mani era il più elaborato e, con
tutta probabilità, prezioso contenuto lì dentro:
la copertina era rilegata in cuoio e su di essa correvano incise figure
di animali mitologici, che per quanto sapesse non si vedevano nelle
terre di Finian da almeno un secolo.
Era chiuso da una piccola serratura intagliata a formare un drago su un
lato e un grifone sull'altro. Le zampe delle due creature
s'incontravano sulla chiusura del chiavistello.
Prese una catenina che le pendeva al collo e una volta che se la fu
sfilata si ritrovò a stringere tra le dita una piccola
chiave non più grande del suo pollice. Ogni volta che la
prendeva ricordava l'istante in cui sua madre gliel'aveva lasciata,
l'ultima volta che le loro mani si erano toccate.
Con attenzione la mise nella serratura e la girò. Con un
piccolo scatto le zampe di drago e grifone si separarono, lasciandole
libero accesso alle pagine in pergamena ingiallita dal tempo.
Non appena sollevò la copertina sentì l'atmosfera
intorno a lei cambiare; quel libro era avvolto da un'aura particolare
che l'aveva sempre affascinata.
Non sapeva da dove venisse né dove sua madre fosse riuscita
ad averlo, perché il volume era davvero molto antico:
racchiuso lì dentro c'era tutto il loro mondo, la sua
descrizione più autentica, quella che la tiranna Mirea non
permetteva a nessuno di narrare da molto, troppo tempo.
Persino sua madre, sempre dolce e generosa, le aveva insegnato a non
fidarsi per nessuna ragione delle truppe della tiranna. Eleana aveva
ideato dei sistemi di copertura per la loro casa, atti a fare in modo
che non la notassero i soldati che viaggiavano attraverso le Foreste e
lungo il confine con quello che una volta era il grande Regno di
Emeral, il territorio degli elfi.
Rimase lì a sfogliare delicatamente le pagine, sorridendo di
tanto in tanto per qualche passaggio che amava particolarmente e
leggendo di tutti i popoli di Finian; lesse con avidità
soprattutto il capitolo riguardante i draghi. Apprendere dei loro
poteri e delle loro peculiarità era qualcosa che l'aveva
aiutata ad immaginare che, da qualche parte nella vastità
del loro mondo, quelle meravigliose creture esistessero ancora; non
sapeva per quale ragione, ma il solo pensiero che davvero fossero
definitivamente spariti la riempiva di una struggente malinconia che le
cresceva dentro come una marea che lentamente la soffocava.
Si ritrovava a vagare con la mente e a pensare quanto sarebbe stato
meraviglioso visitare le loro terre, ma da quando Mirea aveva preso il
potere non si sapeva nemmeno se la loro isola, Rubea, esistesse ancora
nell'immenso Oceano Norn.
Altrettanto affascinante era il capitolo dedicato ai grifoni che, al
pari dei draghi, sembravano appartenere a un passato lontano che mai
sarebbe potuto tornare.
C'era solo una cosa che non era mai riuscita a capire di quel libro:
alla fine di ogni sezione faceva puntualmente capolino una serie di
pagine completamente bianche, apparentemente prive di alcun senso. Non
era mai riuscita a comprenderne l'utilità, ma le piaceva
credere che potessero celare in realtà un qualche mistero.
Spaesata da quelle strane emozioni scosse il capo, cercando di
scacciare quei pensieri in grado di portare la sua mente alla deriva.
La luce più intensa dell'alba la investì e si
rese conto solo in quell'istante di avere mani e piedi intorpiditi. A
malincuore richiuse il libro a chiave, lo ripose con cura nel baule che
rimise al suo posto. Poi, gettando un ultima occhiata alla stanza,
uscì richiudendosi la tenda alle spalle.
Rientrò nella sua camera e si tolse di dosso la camicia e le
braghe di lana che usava per dormire così da potersi
vestire. Anche gli abiti che indossava abitualmente di giorno non erano
particolarmente femminili, ma con la vita che conduceva non si poteva
certo permettere di indossare fronzoli che l'avrebbero solo
intralciata. Indossò così un paio di calzoni
resistenti, una camicia e una giacca di pelle scura di cui
allacciò le fibbie per proteggersi dal freddo della mattina.
Infilò poi i suoi stivali, in pelle anch'essi, raccolse la
parte superiore dei capelli per levarseli dalla faccia e prese l'arco e
la faretra posati in un angolo, mettendoseli a tracolla.
Infine, uscì a grandi passi che rimbombarono sulle assi
inchiodate all'albero e non appena fu al limitare della lunga
balconata, spiccò un balzo verso il ramo più
basso che trovò davanti alla sua vista. Lo
afferrò saldamente e in meno di un respiro fu in equilibrio
di su di esso: era così che preferiva muoversi, passando al
di sopra di qualunque pericolo potesse presentarsi a terra.
Già la sera prima, preparando uno dei suoi soliti pasti
frugali, si era resa conto che le scorte scarseggiavano: aveva quindi
deciso che il mattino seguente sarebbe andata a pesca. Si era allenata
a compiere anche quell'operazione usando il suo arco, perciò
non le serviva altro, e sin da piccola aveva imparato come rendere
conservabile il cibo che si procacciava. Spendeva molte giornate in
quelle attività, tanto che oramai scandivano la sua vita
più dell'alternarsi del giorno e della notte: erano
ciò che le aveva garantito la sopravvivenza e la giovane
aveva fatto in modo di affinarle quanto più possibile.
Senza esitazione, si avviò al fiume. La tempesta si era
chetata e finalmente il cielo si stava schiarendo, ma un delicato
sentore di pioggia saliva ancora dal sottobosco, molto più
in basso. Era uno dei profumi che più amava; forse, per
quella ragione si accorse subito che un'altro odore, molto
più deciso, si stava facendo strada alle sue narici.
Si arrestò e, seguendo il proprio naso, guardò
davanti a sé: un sottile filo di fumo si stagliava contro il
cielo limpido d'estate. Come in risposta a quella vista, i suoi muscoli
s'irrigidirono. Quasi sicuramente erano soldati di Mirea: non era raro
che drappelli dei suoi uomini viaggiassero attraverso le Foreste di
Confine. Piuttosto strana era invece la loro posizione: nessun
contingente si era mai accampato tanto vicino al suo albero.
Assalita dal dubbio, Freya tentennò. Andare a controllare
avrebbe potuto rivelarsi una follia, lo sapeva bene; eppure, qualche
istinto misterioso le diceva che doveva farlo. Fosse
curiosità o semplice desiderio di anticipare un possibile
pericolo, non avrebbe saputo dirlo. Spinta da quella forza sconosciuta,
iniziò a seguire quella traccia evanescente.
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