I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
7 – Il destino di un uomo è
vergato fin dal
ventre materno
Il
sole aveva raggiunto il suo apice quando Harry uscì dalla
sua stanza
in cerca di Draco. Quella mattina aveva ricevuto, nascosta tra le
pieghe del giornale, una lettera di Hermione. Erano passati poco
più
di due anni dall’ultima volta che aveva visto, o soltanto
sentito,
i membri della sua famiglia. La signora Malfoy gli aveva spiegato che
c’era in corso un processo perché i Weasley non
avevano accettato
la versione del Ministero in cui veniva dichiarata accidentale la
morte di sua moglie. Di certo, Harry non aveva potuto biasimarli. Ma
vi era qualcosa in quella lettera, un dolore che traspariva dalle
parole scritte contro di lui, che l’aveva stupito e, allo
stesso
tempo, lasciato perplesso.
“…Non
credere che non sappia che è solo una sordida macchinazione,
Harry,
un modo subdolo e crudele per scampare al tuo destino…”
«Ma
di quale destino stava parlando?»
“…Sei
una creatura orrenda, come puoi permettere che un onesto padre di
famiglia finisca ad Azkaban al posto tuo? Come puoi anche solo
pensare che io possa ritenermi tua amica? Che possa essere fiera di
aver condiviso una parte della mia vita…”
«
Azkaban?»
“…So
tutto sull’uso
improprio dei ricordi, su come si
possano manipolare. E i tuoi sono solo carta straccia…”
«Ricordi?
I miei ricordi stavano bene, l’ultima volta che ho
controllato.»
Eppure,
nel momento stesso in cui aveva cercato di visualizzare il volto
dell’amico, Harry si era piegato in due dal dolore. Fitte
lancinanti avevano preso vita all’interno della testa,
facendogli
vedere il mondo a pallini neri. Il cuore aveva preso a battere
furioso, corroso dall’ansia di non riuscirci e dal dubbio che
Hermione avesse ragione. Dentro di sé, la magia stava
vagando
inquieta per mantenere una parvenza di equilibrio, indirizzando i
pensieri di Harry altrove. Seccato e impotente, stringendo tra le
dita la lettera, aveva attraversato il corridoio che lo separavano
dal resto della casa, pestando i piedi in terra come un moccioso.
L’atrio,
solitamente luminoso, sembrava un’anonima sala di un
mausoleo, con
tutti quei fregi sporcati dall’ombra; Harry aveva girato su
se
stesso un paio di volte, indeciso se fiondarsi prima nella biblioteca
o raggiungere lo studio privato di Draco salendo l’ampia
scalinata.
Presa una decisione, cautamente, tenendosi ancorato al corrimano, era
andato al piano di sopra. Stava per bussare alla porta in noce quando
tutti i suoi sensi si erano allertati. Si era voltato e, socchiudendo
gli occhi miopi, aveva scrutato tra le pieghe della luce che filtrava
dai tendaggi delle ampie finestre. Nel silenzio più
assoluto, da
qualche parte oltre il buio delle scale, gli era parso di sentire un
fruscio, lieve come un sospiro.
Qualcosa,
forse l’istinto non ancora assopito dell’Auror che
albergava in
lui, lo stava trascinando verso la semi oscurità dove era
ubicato
l’appartamento privato del padrone di casa. Poco
più in là,
investita dalla luce accecante del sole proveniente da un uscio
spalancato, una figura avvolta in un lungo mantello nero era
rannicchiata in terra. Sotto di lei, una pozza vermiglia si stava
schiudendo come una rosa appena baciata dall’aurora. Harry si
era
subito inginocchiato, riconoscendo in lei Astoria, la moglie di
Draco. Con delicatezza, le aveva voltato il capo e scostato i lunghi
capelli chiari dalla fronte di un pallore cadaverico. Stava
respirando a fatica, rantolando parole senza senso, ma la presa che
l’aveva stretto al polso era stata tenace, quasi disperata. I
suoi
occhi erano liquidi di dolore, di una consapevolezza che gli aveva
stretto il petto in una morsa ferrea.
Harry
non aveva la bacchetta, gli era stata portata via dalla signora
Malfoy quando aveva varcato per la prima volta la porta di quella
casa, ma la sua magia fremeva per essere liberata. Non v’era
tempo
per ragionare, pianificare, bisognava agire: il viso della donna era
diventato paonazzo e le dita si erano chiuse a riccio sulla veste da
camera del moro.
In
fretta, aveva strappato le vesti fino all’altezza del ventre
gonfio
e duro di Astoria e, ingoiando la propria vergogna, le aveva
gentilmente spalancato le gambe, intrufolando le mani tra le cosce
umide di sangue. Vagamente isterico – nella testa
scorrevano
immagini di un documentario visto anni addietro a casa degli zii
– aveva cercato di portare conforto alla donna raccontando,
in modo
approssimativo, ciò che si apprestava a fare. Erano stati
momenti
concitati, febbrili finché, dopo quelli che gli erano parsi
secoli,
si era ritrovato tra le braccia un piccolo esserino viscido di
sangue. Con immensa cura, l’aveva avvolto nel mantello della
donna
facendo apparire la culla che apparteneva da generazioni alla
famiglia Malfoy, vi aveva adagiato il corpo e, la sua magia,
l’aveva
rinchiuso in una teca riscaldata, come quelle Babbane viste in quel
lontano giorno.
Una
volta certo che il bambino fosse al sicuro, si era dedicato alla
donna che, ormai stremata, lo stava guardando riconoscente. Era stato
a quel punto che, preso dal panico, aveva urlato il nome del suo elfo
personale. «Wagner!» all’apparizione
dell’esserino, senza
lasciargli il tempo di fare altro, l’aveva spedito a cercare
aiuto.
Pochi istanti dopo, Astoria aveva rilasciato il suo ultimo respiro:
«Prenditi cura di Draco e sii un buon padrino per Scorpius,
come lo
sei per Teddy.» Con ancora l’ombra di un amorevole
sorriso sulle
labbra pallide, la donna l’aveva lasciato da solo a piangere
lacrime amare.
Più
tardi, la stessa sera, mentre svogliatamente stava rigirando la
forchetta nel pasticcio di carne, Draco si era presentato alla sua
porta. «Mi spiace,» si era affrettato a dirgli
mestamente senza
avere il coraggio di guardarlo, «avrei dovuto salvare
entrambi.» Il
biondo era rimasto a lungo fermo sull’uscio, lo sguardo
assente
rivolto alle vetrate irrigate dalla pioggia battente. Poi, a grandi
falcate, si era diretto verso un mobile incastrato nel muro,
l’aveva
spalancato e si era versato una dose generosa di un liquore pastoso,
il cui aroma zuccherino gli aveva fatto storcere il naso.
«Si
era affezionata a te,» Harry aveva sussultato sorpreso quando
Draco
si era finalmente deciso a parlare, «e, contro la mia
volontà, ti
ha nominato padrino di mio figlio,» i suoi occhi erano
diventati
scuri dal disappunto. «Un Grifondoro che si prende cura di un
Malfoy? Giù in galleria, i ritratti dei miei antenati si
staranno
strappando i capelli!» aveva detto oltraggiato.
«Che sarà mai,»
gli aveva risposto a tono Harry, l’ombra di un sorriso a
sporcare
la malinconia, «Teddy è cresciuto bene, no? Un
vero Black,
malandrino al punto giusto.» Draco aveva arricciato il naso,
posando
il bicchiere su un vassoio apparso dal nulla.
«Non
saresti stato in grado di salvarla,» il moro aveva guardato
con
stupore il volto pallido dell’altro, piegato in una amara
espressione, mentre cercava di tenere un tono di conversazione
blando. «Passeggiava per Diagon Alley con sua sorella quando
qualcuno l’ha urtata facendola ruzzolare malamente in
terra,»
Harry aveva trattenuto il fiato, una mano callosa a coprire la bocca
spalancata, sapendo bene la difficoltà di quella gravidanza
e la
fragilità della donna. «Daphne, vedendola sparire
sotto ai propri
occhi, ha pensato che si fosse smaterializzata al San Mungo, invece,
come ben sappiamo, è venuta qui. L’ultima cosa che
ricorda, oltre
al terrore e all’angoscia negli occhi della sorella,
è stato il
tuo nome, bisbigliato da Astoria prima di scomparire. Lei sapeva,
anzi, lei era certa che saresti stato in grado di salvare nostro
figlio.» Draco si era voltato bruscamente, le spalle
incassate e
lievemente tremanti, il capo chino. Eppure era stato con tono fermo
che aveva affermato: «Ti dobbiamo molto ed è per
questo che, tra
una settimana, una cerimonia ufficializzerà la tua entrata
nella
nostra famiglia come padrino di Scorpius. E che Salazar non mi
maledica,» aveva bisbigliato prima di uscire impettito dalla
stanza.
Fuori
dalla finestra, il primo spicchio di luna splendeva quieto nella
notte che avanzava. Harry si girò inquieto e, nel muovere il
braccio, urtò il telefono accanto, che iniziò a
brillare di una
luce sfocata. «Non avrò mai il coraggio di
guardarti in faccia e
confessarti che ho avuto una specie di cotta per Astoria,»
disse il
moro al nulla, le guance arrossate dall’imbarazzo.
«Era così
speciale, diversa da qualsiasi donna abbia mai conosciuto,»
sospirò
passando le dita tra i capelli ricci. «Mi piacque fin da
subito
perché dimostrò di avere molta pazienza nei miei
riguardi, non mi
giudicò mai. Sedeva lì, davanti alla scacchiera,
la fronte
graziosamente aggrottata e la mano delicata a sostenere il viso. Non
ha mai abbassato lo sguardo, davanti a me, nemmeno quando mi ha
confessato candidamente che tu non l’amavi.» La
voce del moro si
fece più sottile.
«Un
pomeriggio se ne era uscita dicendo: “Ho un
rammarico, Harry, a
mio figlio mancherà confrontarsi con un Potter. Dovrò
rimediare.” Io l’avevo guardata
stralunato, come se
all’improvviso le fosse cresciuta un’altra testa.
Credo fu in
quel momento che decise che, volente o nolente, avrei fatto parte
della famiglia.» Harry teneva gli occhi malinconici fissi su
una
macchia scura del soffitto.
«Era
molto intelligente, versatile direi, colta e aperta a ogni
cambiamento. Mi manca, sai? Passavamo ore a discutere su qualsiasi
argomento ci venisse in mente e dalle sue labbra spuntava sempre il
tuo nome. Ti intrufolava in ogni discussione,» Harry rise al
ricordo, sebbene a quei tempi ne fosse un po’ geloso.
«Ora che ci
penso, sembrava quasi che avesse fretta,» ragionò
il moro poco
dopo, «come se parlare continuamente di te, in qualche
maniera,
creasse un legame. Ti ho visto con i suoi occhi e mi sei piaciuto,
Draco. Così diverso dal ragazzino indisponente di Hogwarts,
dal
ragazzo messo all’angolo dalle proprie
responsabilità, dall’uomo
forgiato su stampo Malfoy. Mi ha mostrato quella parte nascosta di te
che ho solo potuto intuire, attraverso le microscopiche attenzioni
con cui ti sei preso cura di me. Per amore di due donne, e per motivi
diversi, siamo stati entrambi fortunati, perché se ora siamo
ciò
che siamo lo dobbiamo principalmente a loro, Draco,» il moro
si
stiracchiò la gamba, grattandosi distratto un orecchio.
«Ti
ha amato più di se stessa, Draco. Era convinta di non essere
all’altezza delle tue aspettative, benché tu
l’avessi sposata,
per questo ha voluto avere un figlio, nonostante la
gracilità del
suo corpo. Era l’unico modo con cui credeva di renderti fiero
di
lei. Voleva essere certa che tu la ricordassi e magari, un giorno,
riuscissi ad amarla un po’ attraverso il vostro
bambino.»
«Le
devo molto, più di quello che sono in grado di
ammettere,» disse
mesto. «È stata lei, complice tua madre, a farmi
prendere atto
dello stato della mia magia e, subdolamente, a fare in modo che
ciò
mi giovasse.»
«Un
giorno, con una scusa, mi avevano trattenuto al tavolo appena finita
la cena e, senza peli sulla lingua, Astoria mi aveva detto che era di
nuovo incinta. Sapevo, perché Narcissa mi aveva accennato
qualcosa,
che aveva avuto dei precedenti aborti, quindi mi supplicò.
Capisci?
Mentre tua madre mi squadrava con occhi glaciali, lei mi
implorò di
porre rimedio ai miei sbalzi d’umore, come se a quel tempo ne
fossi
capace. Mi hanno fatto sentire un verme, un piccolo scarafaggio
sfuggito alla ciabatta. Poi, come se nulla fosse, se ne erano uscite
dicendo che avevano bisogno di un manufatto, un oggetto pregno di
Oscurità al limite della legalità. Immagina la
mia faccia, cioè,
la mia solita faccia ebete ma alla massima potenza,» Harry
rise,
ancora incredulo dell’audacia delle due donne.
«Avevano
preteso che incantassi loro un orologio da taschino, una
preziosissima cipolla appartenuta a Enrico VIII.
Nel frattempo, avrei anche dovuto perfezionare il precario equilibrio
delle lancette. E l’ho fatto, per Salazar, e, mentre mi
tenevo
impegnato nei passaggi più minuziosi della ricostruzione
dell’orologio, la magia si assopiva.
Dopo
quello, che appresi in seguito essere un regalo destinato a te, mi
avevano proposto altri oggetti e sempre più complessi. Ora
ho
avviato una piccola attività: la NarRia
per l’appunto.»
In
quel momento, la casa era immersa nel buio, come unica luce il
bagliore lattiginoso del telefono. Harry sospirò, conscio
che quella
piccola confessione era arrivata anche a Draco, suo personale
tormento.
«Draco,
Astoria mi ha voluto nella vita di Scorpius e io, in nome
dell’affetto che è stata in grado di suscitare in
me, non posso e
non voglio venir meno a questo impegno. È un bambino in
gamba, e un
po’ invidio il tuo status di padre. In un altra vita magari
anch’io
ne avrei avuti un paio, anzi tre. Sì, tre mi sembra il
numero
perfetto. Invece mi ritrovo a mendicare alla tua porta, a elargire
attenzioni a un figlio che non è mio.»
«Sono
patetico, vero?» Harry si asciugò con rabbia una
lacrima solitaria.
«Non
hai idea della bolla di calore che scoppia nel mio cuore quando, con
quella sua vocina pallida, mi chiama ‘tioai’.
Oppure,
quando assonnato mi sussurra ‘tioioene’,
un attimo prima
di infilarlo sotto le coperte. Non immagini neanche l’amore
che
provo quando, tutto impettito, si pavoneggia davanti a te mentre
indossa la mia sciarpa rosso-oro. Devo aggiungere che poi, in gran
segreto, ridiamo delle tue facce buffe.» Harry
borbottò tra i
denti, le labbra piegate in un vago sorriso.
«Non
vado da nessuna parte, Draco, avevo solo bisogno di ritrovare il mio
equilibrio, di dire addio a Ginny, alla donna che ho amato ma,
soprattutto, perdonare il mostro che era diventata, prima di voltare
pagina definitivamente.»
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Disclaimer:
l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi
diritto.