Capitolo
Diciotto: Le battaglie giuste non sono facili.
« Ti dico che quel
fenomeno era strano. » commenta Anita, ed Esmeralda alza gli
occhi al cielo. Certo, erano passati diversi giorni da quello strano
fenomeno, e Anita sembrava non volersene più andare da casa
sua. Era a causa di Lucinda. Dopo il suo salvataggio la ragazza non
aveva un posto dove andare, la sua casa era un luogo troppo a rischio
ma metterla sotto la protezione della polizia sembrava esagerato.
Era stata
lei ad offrirsi di ospitarla, tanto la sua casa era grande e il
paesaggio di Giardinfiorito terapeutico. La primavera era nel suo pieno
splendore, e il paesino vantava un nutrito viavai di turisti.
Probabilmente era il luogo migliore per una persona che
doveva riprendersi da uno shock di quella portata. Lucinda non
provocava troppo disturbo, ed era continuamente seguita dal suo Piplup
– dal quale era stata a lungo separata –. Rose
adorava giocare con lei, e ben presto al loro gruppetto si era unita
anche Anita. La ragazza aveva accennato di aver esteso
l’invito anche a un ragazzo del primo anno che abitava dalle
loro parti, ma per fortuna lui aveva declinato e di questo Esmeralda
era grata. L’idea di avere un estraneo in casa non le piaceva
affatto.
Alla porta
bussano, e Lucinda scatta dal divano, dirigendosi alla porta per
aprirla. Era Paul. La ragazza sussulta, facendo un passo indietro, e
lui sembra quasi a corto di parole nel vederla.
«
Stai meglio. » non era una domanda, più una
constatazione. Lucinda annuisce, Esmeralda l’aveva
effettivamente rimessa in salute. Paul sembra esitare, per poi farle
cenno di uscire fuori. Lei esita, ma dopo decide di dargli retta e
attraversa la soglia della casa cercando di ignorare le due ragazze che
si lasciano andare a squittii divertiti al suo indirizzo.
«
Io non avrei voluto chiederti una cosa del genere. » inizia
Paul, scuro in volto. Per un attimo Lucinda teme che sia successo
qualcosa a sua madre. « Ma il professore, data la tua
prigionia, chiede la tua presenza al suo laboratorio. »
Lucinda lo osserva, perplessa, ma annuisce. Cambiare ambiente per
qualche ora le avrebbe fatto bene.
Con una
certa fretta torna dentro la casa, cambiandosi le scarpe e schivando le
domande incuriosite delle due ragazze, poi torna da Paul che la stava
già attendendo sul suo Pidgeot. Questa volta è
lei a sedersi dietro e ad aggrapparsi a lui, e nonostante il viaggio
breve Lucinda apprezza questo molto di più rispetto al primo
che avevano fatto.
Al
laboratorio il professore non bada ai convenevoli, sottoponendola
invece a diversi test. La ragazza non ha idea di quanto tempo passi tra
un esame e l’altro, ma una volta che i fogli con i risultati
sono nelle mani del professore questo non sembra molto contento di
ciò che ci è scritto sopra.
«
Io vorrei evitare questo, ma devo chiederti di venire con me.
» Lucinda impallidisce, ritirandosi, ma il professore torna
subito più rilassato. « Non voglio metterti ansia,
ma sappiamo tutti che il team Galassia ha fatto qualcosa in cima al
monte Corona. Oggi finalmente mi hanno concesso di raggiungere il
posto. »
«
E questo cosa c’entra con lei? » chiede allora
Paul, rimasto appoggiato al muro tutto quel tempo. Non se
n’era andato e non l’aveva persa di vista per un
momento, Lucinda percepiva continuamente il suo sguardo su di
sé.
«
Non voglio sembrare allarmistico, ma credo che abbiano fatto ingerire a
Lucinda qualcosa che ha legame con la rossocatena. » entrambi
i ragazzi sbiancano, ma il professore si affretta a rassicurarli.
« Siccome erano piccole dosi e le hai assunte per poco tempo,
non dovrebbero nuocere alla tua salute, ma siccome sei una persona
coinvolta credo sia meglio che tu venga con me. » Lucinda
guarda apprensiva Paul, poi abbassa lo sguardo. Il ragazzo le si
avvicina, rimanendo comunque a debita distanza.
«
Allora vengo anch’io. » Rowan lo guarda, ma non
obietta.
«
Tu sei riuscito ad entrare con le tue sole forze nel covo del team. Se
vuoi venire con noi renderai il nostro viaggio più sicuro.
» Paul annuisce, lasciando che Lucinda riceva tutto
l’occorrente dagli assistenti, ma non le rivolge mai
direttamente la parola. Per tutto il tragitto nessuno dei due parla, e
nemmeno Rowan, rendendo il percorso molto silenzioso. Lei era ancora in
apprensione per sua mamma. Molte domande affollavano la sua mente.
Chissà come stava, chissà se anche a lei avevano
somministrato sostanze particolari. Magari non sarebbe stata usata come
cavia, ma dentro il suo cuore c’era una forte fitta di paura.
Raggiunta
la vetta lo spettacolo che si presentava era insolito. Lucinda era
già stata lì e aveva i ricordi del posto molto
chiari, eppure ciò che si presentava davanti a lei non
coincideva con le sue memorie. Certo, i nastri della polizia saltavano
all’occhio, ma ciò che colpiva di più
era la completa mancanza delle colonne. Certo, erano antiche, ma le
basi che aveva di fronte sembravano indicare che fossero state
polverizzate nel giro di un istante. Era uno scenario spettrale.
Lucinda
cammina sulle mattonelle incrinate, respirando l’aria
rarefatta di quel luogo ormai sconsacrato. Aveva un sapore di bruciato,
come se ci fosse ancora il fuoco impresso nelle rocce. Qualsiasi cosa
fosse successo lì, aveva avuto effetti devastanti.
All’improvviso
sente dei passi, e si volta. Paul l’aveva raggiunta, e lei
gli sorride debolmente.
«
Non so che idee hai tu su questa cosa, ma io non ne ho nessuna. Sembra
un set costruito per un film dell’orrore. » Paul
non sembra troppo colpito dalla sua affermazione, e lascia che il suo
sguardo vaghi in direzione di Rupepoli. La giornata aveva il cielo
terso e dalla loro posizione potevano vedere tutta Sinnoh. Si riusciva
a scorgere persino il lago Arguzia, che scintillava sotto i raggi
solari.
«
Mi dispiace se non siamo riusciti a salvare anche tua madre.
» dice all’improvviso lui, cogliendola di sorpresa.
Lucinda si volta, per poi guardare anche lei la città.
«
Non fartene una colpa. »
«
Giorni fa non eri dello stesso avviso. » Lucinda si
irrigidisce, piccata.
«
Ero sconvolta, Paul. Sono un essere umano, sono stata tenuta in
ostaggio. » lui torna a fare silenzio, sotto i suoi occhi.
« Mia mamma è sempre stata il mio unico genitore,
è ovvio che io sia preoccupata per lei. » fa una
pausa. « Ma col senno di adesso, so che hai fatto la cosa
giusta. Se fossimo rimasti probabilmente anche tu saresti un
prigioniero, e magari anche tu saresti costretto a bere
chissà quali sostanze perché muori dalla sete.
» il suo viso si era rabbuiato un attimo, prima di tornare
normale. « Ma ti ringrazio per avermi salvata. Sono felice
che tu l’abbia fatto. » con una certa sorpresa Paul
si sente prendere la mano, e rimangono un po’ in silenzio per
un po’, guardando insieme il paesaggio. C’era pace
tra di loro e nessuno dei due sentiva il bisogno di dire qualcosa.
Avrebbe desiderato che quel momento non finisse mai.
Il
professore aveva fatto le sue rilevazioni, e poi erano tutti scesi
dalla montagna senza una parola. Rowan le aveva intimato di presentarsi
a degli esami ulteriori tra un paio di giorni per vedere se le sostanze
nel suo corpo fossero ancora presenti, e Lucinda aveva congedato con un
sorriso Paul. Le dispiaceva separarsi da lui, avrebbe tanto desiderato
tornare sulla cima se serviva a ricreare l’atmosfera che si
era creata tra di loro. Era invece tornata da Esmeralda, che era stata
felice di accoglierla. Nel pomeriggio avevano deciso di mettersi in
contatto con Natsumi.
La ragazza
era apparsa loro piuttosto affannata, ma contenta di vederle.
«
Non potete capire, ho perso il conto di quanti Poochyena ho dovuto
spazzare via! » esclama la ragazza, passandosi una mano tra i
capelli, mentre le altre due ridono divertite. « Per fortuna
le reclute del team Rocket stanno diminuendo, perché
rischiavo di far saltare in aria mezza isola. »
«
Non mi dispiace per loro. » commenta Esmeralda, provocando
una risatina a Lucinda. Anche Natsumi ridacchia, più
rilassata.
«
Davvero, non mi ricordavo di quanto fossero fastidiose le reclute che
sbucavano da ogni posto. » bofonchia, e simile frase fa
pensare Esmeralda. Da quando c’era stato quel bagliore sul
monte Corona, non si registravano più problemi che quei
soggetti provocavano. Anche Giardinfiorito, meta delle reclute
più pigre e lavative, non ne vedeva da un po’.
Una cosa
simile era parecchio strana.
Natsumi
chiude la chiamata, un po’ più tranquilla.
Non pensava
che parlare con le sue compagne l’avrebbe risollevata
così tanto. Certo, il ritiro del team Rocket era una notizia
positiva, e Hoenn aveva adottato ottime misure di ricollocamento dei
rifugiati, quindi il suo umore era decisamente migliorato.
Certo, Idro
e Magma rimanevano comunque un grosso problema, ma togliendo i loro
capi, le reclute diventavano facili da spazzare via una volta che si
era preso il ritmo. La ragazza saluta Vera, scambiando due chiacchiere
con lei. Questa le sorride, la aggiorna sulle ultime novità
e prende la sua strada. E’ quasi saltellando che la ragazza
raggiunge Drew, picchiettandogli divertita la spalla. Lui si gira nella
sua direzione, sorridendole.
«
Sei di buonumore. » commenta, e Vera invece di rispondergli
mostra un fiore un po’ strano.
«
Me l’ha dato Syed, ti ricordi, la bambina
dell’altro giorno. L’ha fatto lei. » il
ragazzo osserva la manifattura, ora che lo guardava meglio vedeva che
era finto.
«
Lo ha regalato a te e non a me! » esclama, fintamente
piccato. « E dire che sono io che l’ho fatta
ridere! » Vera si imbroncia.
«
Non è vero, non prenderti meriti che non sono tuoi!
» sbotta, ma le torna subito il sorriso. « Che
stavi facendo? »
«
Io e Roselia stiamo controllando delle decorazioni, presto ci
sarà la festa di primavera e pensavo di farne una qui. Certo
non sarà grandiosa, ma almeno aiuterà a mettere
di buonumore la gente. » Vera sgrana gli occhi, stupita.
«
E’ vero! Me n’ero completamente dimenticata!
» Drew reprime una risata.
«
Magari potremo trovare qualcuno che è capace di cucinare del
pollo con spezie. » Vera sembra pensierosa, poi batte la mano
contro il palmo.
«
Ho conosciuto una famiglia che aveva un ristorante prima, potrei
chiedere a loro. » dice, entusiasta, poi si china verso Drew.
« Intanto prendo questo scatolone e ti aiuto. »
dice, prendendo l’oggetto, senza che Drew possa fermarla.
D’improvviso da essa esce Roselia, ovviamente stupito di
tutto quel movimento. Vera lo guarda, sguardo che il Pokémon
ricambia, e se ne stupisce.
«
Te l’avevo detto che Roselia mi stava aiutando con le
decorazioni. » commenta Drew, riprendendo la scatola nelle
sue mani. Ora che ci faceva caso, il Pokémon stava cucendo
delle ghirlande splendide.
«
Scusa Roselia. » mormora, ma questi non sembra prestarle
più attenzione, focalizzato sul suo compito. « Fa
sempre così? » chiede a Drew, indicandolo, e lui
annuisce.
«
Quando è serio sì, che si tratti di una gara o di
badare al resto della squadra, lui diventa sempre mortalmente serio.
» Vera sorride.
«
Meno male che non si prende cura della mia, di squadra. »
commenta, abbassandosi, e osservando meglio l’operato.
« Roselia è proprio bravo. » commenta, e
poi volge lo sguardo verso Drew. Il ragazzo aveva una tale fiducia nei
suoi Pokémon, e conosceva fin troppo bene le loro
abilità. Era per questo che, passati i loro iniziali
dissapori, lei lo aveva ammirato profondamente. D’improvviso
alla sua mente torna cosa fosse venuto dopo simile sentimento, e si
trova a scuotere la testa con energia. No, non doveva pensarci.
«
Io vado a tentare di convincere per la preparazione del pollo.
» dice, con un sorriso, cercando di non far arrossare troppo
le sue guance. Troppo tardi, pensa, mentre si trova a fuggire da
lì, cercando di mettere più distanza possibile.
«
Non posso credere che hai davvero ritirato le truppe da Hoenn.
» Daniel, ormai, sembrava una presenza fissa nella sua
stanza. Iniziava a credere che dormisse nel suo letto e che mangiasse
dal suo stesso piatto. Pensiero indecente, lo ammetteva, ma ormai era
abituato a vederlo così spesso che gli faceva strano non
trovarlo lì.
Il ragazzo
lo aveva assistito in quei giorni, e con una certa stizza Silver doveva
ammettere che era uno stratega migliore di lui. Era meno impulsivo,
più calcolatore. Un leader perfetto a guidare delle truppe.
Era strano che non avesse mai tentato di avere un team tutto suo,
probabilmente sarebbe riuscito a soggiogare una regione o due.
«
Era la scelta migliore da fare. » Daniel gli sorride.
«
Non lo nego, ma mi sento offeso, avrei preferito saperlo da te e non da
Atena. » la sua espressione è quasi teatrale, ma
Silver non si scompone più di tanto. Ormai, vista la stretta
vicinanza, si stava abituando al suo carattere.
Si dirige
verso la scrivania, cercando di mettere distanza tra loro due, ma
Daniel sembra non capire l’antifona e lo segue mantenendo
sempre la stessa distanza.
«
Quindi, quale è il piano? » Silver si volta nella
sua direzione.
«
Piano? Pensi che rivelerei a te i miei piani? » replica,
scocciato, ma non sembra intaccare minimamente l’altro.
«
Dovresti. » risponde lui, avvicinandosi ancora di
più. « Tanto, ho i miei metodi per ottenere le
informazioni. » è terribilmente vicino, e lui
inizia a sentirsi soffocare.
«
Allora usali. » dice, guardandolo negli occhi. Daniel sembra
sorpreso dalla sua risposta, per poi allontanarsi da lui con uno sbuffo.
«
Non sei per niente divertente! » esclama. «
E’ una rottura andare a chiederlo ad Archer, con me parla
continuamente per enigmi! »
«
Non è un mio problema. » Daniel riprende la sua
compostezza, sistemandosi la giacca, e gli si avvicina di nuovo.
«
Presto lo diventerà. » mormora, a pochi millimetri
dal suo viso, per poi congedarsi lasciandolo completamente senza forze.
Non poteva certo permettersi di cedere a chissà quali
capricci dell’altro, aveva un piano da portare a termine.
Probabilmente avrebbe dovuto evitare di agire a Kanto, era un luogo
parecchio controllato. Johto gli sembrava la soluzione migliore.
Richiama
Milas, che si presenta alla sua porta con una velocità
incredibile.
«
Prendi metà delle tue reclute e dirigiti verso Amarantopoli.
» ordina, e l’altro lo osserva perplesso.
« Non mi hai sentito? » sibila, allora, e Milas
sembra sussultare.
«
Ho sentito, mi chiedevo il motivo di una simile mossa. »
Silver assottiglia lo sguardo. Cosa credevano, che fosse un bambino che
doveva rendere conto a loro di ogni mossa che faceva? No, aveva ragione
Daniel. I generali lo consideravano un bambino, un pupazzo da manovrare
a loro piacimento, lo dimostrava l’intervento a Hoenn. Ora,
però, avrebbe dimostrato quanto valeva. Era arrivato il suo
momento.
«
Milas, ti ho dato un ordine. Eseguilo, con partenza immediata.
» il suo tono di voce è più minaccioso
di quanto vorrebbe, ma rende il suo stato interiore.
Era
arrivato anche il loro momento.
«
Siete dei nostri? » Magdalena sussulta, indecisa. I
Capipalestra si erano presentati da lei, chiedendole attiva
partecipazione al contrattacco. L’idea la preoccupava, ma la
sua Espeon sembrava molto più combattiva di lei. Natsumi si
era già unita al gruppo, e sembrava determinata a fare tutto
il necessario.
Il pensiero
va alla sua casa, in chissà quali condizioni, e alla sua
famiglia ora al sicuro. C’erano altri allenatori, non avrebbe
certamente combattuto da sola. Si sentiva ispirata in un ambiente
simile.
«
Sì, vengo anch’io. » Pat e Tel le
sorridono lievemente, e lei prende la sfera di Lyph. Insieme si
dirigono verso il luogo della riunione, dove si sono già
radunati parecchi allenatori.
«
Il piano è semplice. » è Adriano a
prendere la parola, in sostituzione di Rocco. Questi era già
vicino alla base del team Magma a tenere d’occhio la
situazione. « Prenderemo la strada del passo selvaggio,
perché la funivia è stata nuovamente bloccata.
Arrivati sul monte Camino non potremmo fare altro che iniziare a
lottare con tutte le vostre forze, il team Magma è quello
più indebolito dalle ultime schermaglie, quindi
sarà quello da prendere di mira. » tutti
annuiscono e salgono sui loro Pokémon.
Natsumi
sale in groppa al suo Salamence, sperando che il Pokémon non
le tiri nessun brutto scherzo, e tutti prendono la via verso
Cuordilava. Il paesino, nonostante i recenti conflitti, sembra essere
rimasto intoccato. D’altronde viveva alle pendici di un
vulcano attivo e probabilmente niente poteva turbarlo.
La salita
verso la cima era costellata di reclute che cadevano come birilli ad
ogni attacco. Farsi strada fino alla cima, a parte rari casi, non era
difficile e passa mezza giornata prima che tocchino tutti la vetta. I
restanti membri del team si erano chiusi dentro il loro rifugio insieme
al loro capo, e sembrava non ci fosse verso di farli uscire.
«
Questo è un bel problema. » sentenzia Rocco,
facendo rientrare nella sfera metà della sua squadra.
« Nessun attacco Pokémon sembra scalfire quelle
porte, e non ho idea di cosa tentare. » Petra e Rudi si
avvicinano entrambi al portone, incuriositi.
«
Magari una mossa combinata di tipo Lotta potrebbe funzionare.
» dice Rudy, tastando il metallo, ma Petra scuote la testa.
« Qui stiamo parlando di Max, per quanto ne so potrebbe aver
inventato un materiale nuovo e indistruttibile. » entrambi
sospirano, scoraggiati, tornando a parlare con gli altri allenatori
della faccenda.
«
Potresti chiamare Ester, magari con i suoi spettri riuscirebbe a far
aprire questa porta dall’altra parte. » Rocco
sospira.
«
Ester è rimasta ferita durante uno scontro con il team Idro
un paio di giorni fa, è ancora sotto cura. »
«
Peccato. » sospira Adriano, incrociando le braccia al petto.
Lui voleva sbarazzarsi in fretta del team Magma e poi passare subito al
team Idro, molto più pericoloso e minaccioso per la sua
città, ma quel contrattempo rallentava tutti i suoi
piani. « Hai altre idee? »
«
Forse dovrebbe tentare di intavolare nelle negoziazioni. »
mormora Rocco, ricevendo uno sguardo scocciato. « Almeno
questo li farebbe uscire da lì. »
«
Non ci pensare nemmeno! » sbotta.
«
Ehi, almeno la mia era un’idea. » replica Rocco,
tornando ad osservare quel portone. Sembrava un ostacolo alla pace e
alla tranquillità che tutta la regione stava desiderando da
parecchio tempo. Il sole stava iniziando a tramontare. Nonostante le
giornate si erano allungate, in situazioni simili sembravano molto
corte.
«
Non siamo attrezzati per passare la notte qui. » commenta
Rocco, osservando gli altri allenatori. « Io
rimarrò qui di guardia, gli altri dovrebbero tornare a casa
e riposarsi insieme alle loro squadre. » Adriano annuisce,
riferendo la sua decisione agli altri allenatori. Questi erano
ovviamente riluttanti ad abbandonare il campo di battaglia, ma con
pazienza Adriano li aveva convinti a tornare lì la mattina
successiva.
Solo dopo
essersi assicurato che tutti abbiano preso il volo, si volta verso
Adriano. « E tu non vai? » l’uomo lo
osserva per un lungo istante, inarcando il sopracciglio.
«
Ti sei già scordato che siamo venuti insieme
perché io non ho Pokémon che possono volare?
» Rocco batte gli occhi un paio di volte, confuso. Se
n’era completamente dimenticato. Prende la
Pokéball di Skarmory, e la passa all’amico.
«
Trattamelo non troppo bene o ti si affezionerà troppo.
» commenta con un sorriso, e Adriano non commenta,
richiamando il Pokémon e salendogli in groppa.
«
Se succede qualcosa contattami subito. » dice, facendo
annuisce l’altro. Rocco lo guarda spiccare il volo, e poi
torna a concentrarsi su quella insolita porta. Sembrava impossibile da
sorpassare.
Sospira,
pensarci lo avrebbe solo fatto sentire più stanco. Col calma
l’uomo cerca un luogo protetto tra le rocce vulcaniche e ne
fa un giaciglio. Non era il luogo più strano dove avesse
dormito, e il tepore delle rocce vulcaniche creava un tiepido rifugio.
Non ci aveva impiegato molto a prendere sonno, e non sa per certo
quanto tempo sia passato quando sente tanti passi avvicinarsi. Il
tepore del sonno svanisce presto, facendogli aguzzare le orecchie. La
sua posizione era piuttosto nascosta dalla visuale del sentiero
principale, ma gli permetteva di sbirciare chiunque si stesse
avvicinando.
Non ci
vuole molto perché Rocco veda il capo del team Idro, seguito
dalle sue reclute. Non riesce a capire ciò che dicono,
perché parlano in tanto e fanno parecchio rumore. Fa quasi
ironia a pensare come un simile gruppo possa passare inosservato. Ivan
sparisce dalla sua visuale, seguito dal resto del suo team, e Rocco si
affaccia abbastanza in tempo per vedere la porta di metallo chiudersi
silenziosamente dietro di loro. Una cosa simile era un problema.
Doveva
contattare Adriano al più presto possibile.
«
E’ parecchio strano. » commenta Aria, osservando il
campo di erba alta che si stagliava di fronte a lei. Certo, il percorso
che portava a borgo Foglianova non era il luogo più popolato
della regione, ma era abituata ai Sentret che sbucavano da ogni fruscio.
Era
già il secondo giorno che non ne vedeva nemmeno uno.
Un simile
pensiero la metteva in agitazione, ma cercava di calmarsi.
Probabilmente dovevano ancora uscire dal letargo, anche se erano a
primavera inoltrata. Aria ricordava di come il team Rocket facesse
bracconaggio con Pokémon selvatici, e visti i recenti eventi
si ipotizzava un loro ritorno. Certo, mancava solo quello.
La ragazza
sospira, facendo rientrare il suo Eevee nella sfera, e facendo rotta
verso casa. Borgo Foglianova non era cambiata molto nei mesi in cui
è stata via. Si era fatta dei nuovi amici, era migliorata
nella lotta. Le mancava così tanto studiare che aveva
ripreso il volume di storia Pokémon, e si era messa a
leggerlo la sera precedente. Le mancava stare in classe con i suoi
amici. Durante la sua passeggiata incontra Elis, che si era nuovamente
arrampicata su un albero. Nonostante la ragazza non lo ammettesse, era
il suo modo per rimanere vigile. Certamente dall’albero aveva
una visuale migliore che dalla sua a terra.
«
Tutto bene Elis? » la chiama, e ci vuole un po’
prima che l’altra ragazza le presti attenzione. «
Vuoi che ti porto qualcosa da mangiare? »
«
No. » brontola l’altra, sistemandosi meglio sul
ramo. Erano passate ormai tre settimane da quando erano tornate a casa,
e niente era successo. Sapeva da Aria che la situazione a Hoenn e Unima
fosse tutt’altro che rosea, invece da loro stagnava una noia
che finiva a soffocarla. Una parte di sé desiderava che
succedesse qualcosa, che iniziasse un qualche tipo di lotta
permettendole di sfuggire a quella routine odiosa. Sente lo sguardo di
Aria ancora su di sé, ma la ignora comunque. Non aveva
alcuna voglia di perdere tempo con lei, e certamente questa avrebbe
capito l’antifona. Di certo non era come Kotone, che vedeva
avvicinarsi sempre di più. Quella sì che era una
scocciatura.
«
Buongiorno Aria! » saluta infatti con entusiasmo questa,
saluto che viene presto ricambiato dall’altra ragazza.
« Come va? »
«
Bene. » replica Aria con un sorriso, nella speranza che
l’altra possa ravvivare un po’
l’atmosfera.
«
E tu, Elis?! » Kotone alza la voce per farsi sentire, e una
simile mossa nei confronti di una scontrosa come Elis sembrava
sbagliatissima, eppure ciò che riceve è una
risposta stizzita. Kotone sorride. « Non considerarla male,
è solo molto scontrosa, ma non è cattiva.
» Aria si lascia andare a un sorriso nervoso, Kotone aveva
una visione positiva di fin troppe cose.
Lascia che
l’altra ragazza intavoli una discussione, mentre si guarda
intorno. Sembrava una giornata come le altre, almeno finché
non vede una colonna di fumo levarsi nel cielo. Era piuttosto lontana,
ma la scia nera era visibile anche ad una simile distanza.
«
Elis! » urla, all’improvviso. « Lo vedi
il fumo? » l’altra ragazza la guarda per un attimo,
prima di muovere la testa in varie direzioni in ricerca di
ciò che lei le stava indicando. Una volta trovata, la
ragazza annuisce. « Da dove viene?! »
Elis si
concentra, aguzzando la vista. Avrebbe facilmente pensato Fiordoropoli,
ma il fumo era troppo distante dall’antenna della radio.
« Amarantopoli. » dice, irrigidendosi. «
Amarantopoli sta andando a fuoco. »
La
città si era incendiata in poco tempo. Nonostante
l’intervento tempestivo di Pokémon acquatici e di
professionisti, il fuoco si era propagato fino alla torre Campana che i
monaci stavano cercando disperatamente di salvare. C’erano
persone che fuggivano da tutte le parti, odore di bruciato e urla
disperate.
Angelo si
era messo in prima linea a coordinare le operazioni di soccorso e
contenimento del fuoco, e fortunatamente gli alberi inumiditi dalle
recenti piogge che circondavano la città erano di grande
aiuto. Certo avevano a che fare con quel terribile fenomeno da soli, ma
almeno non avrebbe intaccato altre zone.
«
Nicolas, prendi Feraligatr e unisciti ai monaci. Se perdiamo la torre
Campana la nostra città sarà perduta per sempre.
» suo fratello annuisce, e insieme al suo Pokémon
inizia a farsi strada tra cenere e fiamme. Avrebbe dovuto usare anche
Gible, ma nonostante fosse uscita dall’uovo già da
diversi mesi era ancora molto restio ad usarla.
«
Usa Idrocannone. » ordina al suo Pokémon, che
obbedisce senza problemi, aprendo loro un varco verso la torre.
L’incendio da quel lato della città sembrava
essere più contenuto grazie allo sforzo dei monaci, ma
c’erano ancora case che bruciavano. Al centro
dell’incendio c’era il teatro di danza, di cui
l’architettura tipica stava andando persa per sempre. Le
kimono girl avevano messo a disposizione le loro capacità e
stavano aiutando in diversi punti del posto.
«
Mi ha mandato qui Angelo per controllare la situazione. » il
monaco più anziano si inchina, per poi guardarlo.
«
Il peggio qui è passato, sarei morto dal dolore se anche
questo luogo sacro fosse stato ridotto in cenere. » Nicolas
era a conoscenza dell’importanza della torre, nonostante non
fosse benedetta dalla presenza di Ho-oh come quella bruciata, ma ormai
era diventata un luogo di culto e come tale andava rispettata.
«
Sono contento non sia successo niente. Sapete che potete rivolgervi
alla mia famiglia per qualsiasi necessità. » il
monaco si inchina nuovamente, raggiungendo poi gli altri, e Nicolas
osserva il teatro continuare a bruciare. Ormai era l’unico
luogo che ardeva, lì in mezzo, il che era molto strano. Con
una certa stanchezza Nicolas torna nei pressi della palestra, vedendo
Marina parlare col fratello. Doveva essersi preoccupata molto, ed era
coperta di cenere.
Non era il
momento per lui di intromettersi, quindi con calma il ragazzo si
incammina verso il teatro. Per fortuna la sua casa sembrava essere
rimasta intoccata, e quindi anche una parte degli esperimenti che
Yukiko aveva affidato a lui. Meno male, temeva che se fosse successo
qualcosa a loro, una volta tornata lei l’avrebbe ucciso
– e non ci sarebbe stato nessun assortimento di sushi che
l’avrebbe placata, temeva –. Le kimono
girl si erano riunite intorno alla loro casa, vedendola bruciare fino
alle fondamenta. Non poteva immaginare l’idea di perdere
tutto così velocemente e in quella maniera.
Certo,
Amarantopoli era fatta di legno e non era estranea agli incendi, ma
Nicolas non aveva mai vissuto l’esperienza di finire in mezzo
a uno di questi e perdere tutto. Avrebbe voluto offrire qualche parola
di confronto, ma si rendeva conto di non averne nessuna in un momento
del genere. Le ragazze, però, stavano prendendo la faccenda
con grande dignità. Nessuna di loro sembrava particolarmente
distrutta, anzi, tutte si erano impegnate a favore della
città più che della loro stessa casa. Il loro
spirito di sacrificio era incredibile.
Il rogo del
teatro, ora identificato come origine dell’incendio,
continuò fino a tarda sera. Le persone ferite e rimaste
senza casa erano state dislocate a Fiordoropoli e Olivinopoli. Anche
Mogania aveva offerto la loro disponibilità, ma la strada
verso quel paesino era troppo tortuosa per essere raggiunta facilmente.
Erano
rimasti solo lui e Angelo, insieme ai monaci e ai poliziotti, in tutta
la città. Certo, Amarantopoli non era mai stata un luogo di
divertimento sfrenato, ma quella sera aveva un’aria molto
spettrale. Certo, la sua famiglia si specializzava nel tipo e lui
stesso era cresciuto tra i fantasmi, ma non negava che
l’atmosfera che permeava la città gli dava i
brividi. Non c’erano le fiamme, certo, ma rimaneva ancora la
tensione di tutta la giornata.
La polizia
aveva riferito di aver trovato delle bombe incendiarie al teatro, che
ovviamente avevano causato l’incendio, ma ancora non erano
risaliti al colpevole. Angelo aveva contattato gli altri Capipalestra
per sapere se avessero notato eventi strani, ma tutti gli avevano
risposto negativamente. La routine delle loro città era
intoccata.
«
E’ un bel problema. » dice Angelo, guardando fuori
dalla finestra. Avevano finito di cenare e stavano facendo una
valutazione sommaria dei danni. Per fortuna nessuna vittima, ma
parecchi feriti tra persone e Pokémon. « Al teatro
non sembra ci fossero materiali facilmente infiammabili. »
torna a dare un’occhiata alla lista del magazzino, forse gli
era sfuggito qualcosa. Nicolas, seduto al pc a scrivere, alza il suo
sguardo su di lui.
«
Allora l’hanno appiccato. » dice, massaggiandosi
una tempia. « Ma chi? » i due fratelli rimangono in
silenzio, prima di riprendere le loro mansioni. Nonostante fosse
impegnato a fare una lista di ipotetici danni, la mente di Nicolas
vorticava furiosa. Anche se l’incendio fosse stato doloso,
qualcuno avrà notato gente sospetta aggirarsi nei dintorni.
Voleva credere che nessun abitante di Amarantopoli fosse
così malvagio da distruggere la sua stessa città.
Una volta
terminato con quel compito avrebbe dovuto consegnare alla polizia
l’elenco degli abitanti, nella speranza che almeno uno di
loro avesse visto qualcosa. Dal canto suo la mente di Angelo era spinta
verso un’altra direzione.
Quello era
sicuramente un attacco ai danni della città, probabilmente
per mano di qualche team. Non si spiegava perché proprio
Amarantopoli, però. Fiordoropoli aveva
un’importanza molto più strategica. Il flusso dei
suoi pensieri viene interrotto dal bussare alla porta, e uno dei suoi
Haunter la va ad aprire. Entra un poliziotto con in mano una busta.
«
Scusate l’ora tarda, Capopalestra Angelo. » dice,
ma l’altro gli fa segno di non perdersi in
formalità. « I primi rilevamenti al teatro sono
stati completati e qui ci sono le prime analisi. »
l’uomo fa una pausa. « Non sono buone notizie.
»
Angelo
prende in mano la busta e la apre, venendo presto raggiunto da Nicolas.
I due fratelli leggono velocemente le informazioni, che non fanno altro
che confermare i loro sospetti, poi l’attenzione di entrambi
cade sulle foto successive ai risultati.
La
fotografia ritraeva i resti del teatro, ma si focalizzava su dei
particolari ordigni che a fuoco ormai domato spiccavano tra i resti,
scintillando alla luce del tramonto. Sembravano fatte di acciaio, e
portavano tutte un segno, in molti casi non molto integro. I due
ragazzi si guardano, sapendo di aver pensato la stessa cosa. Era
impossibile non riconoscere quel marchio.
«
Non voglio crederci. » mormora Nicolas, sedendosi, e anche
Angelo prende un lungo respiro, portando il suo sguardo sul poliziotto
che li osserva serio.
«
Purtroppo pare sia così. Quelle bombe portano il marchio del
team Rocket. Sono tornati in azione. »
Mamma miaaaa,
here we go again!
Commenti
sul capitolo:
Sta andando
tutto a schifio, ne sono consapevole. E non è manco la cosa
peggiore che accade.
La Ikari
è salpata e credo non la rivedremo mai più, ma la
sottotrama delle sostanze serve solo a mettere un po' di tensione alla
faccenda, non ci morirà nessuno. Per il resto a Hoenn la
situazione si sta scaldando (ah ah è perché
stanno su un vulcano quanto sono simpy) e nonostante il team Rocket non
c'è più avranno la loro fetta di problemi.
E poi
c'è Amarantopoli. Mi è pianto il cuore a scrivere
di un incendio di un posto storico, e spero di non doverlo fare mai
più, ma era purtroppo necessario come prova di potere. Ora
che Silver sta nei giochi soprattutto.
Ringraziamenti:
Ringrazio un
sacco quelli che leggono e che in un modo o nell'altro piacizzano
questa storia ~
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