Non
era lunedì ma mercoledì. E Lady Alexandra si era
straordinariamente
offerta di portare i gemelli a una festa di compleanno mentre Jeremy
e Clowance studiavano col precettore prima del pomeriggio, che
avrebbero trascorso nei giardini di Kensington a giocare. E il
Parlamento era chiuso per dei lavori interni di ristrutturazione dopo
una perdita del soffitto che aveva allagato il salone principale.
Non
era lunedì ma entrambi liberi e per tutto il giorno, Demelza
e Ross
si erano rifugiati nel cottage, senza limiti di tempo in cui
concedersi l'uno all'altra.
Avevano
fatto l'amore, ancora, anche se qualcosa era cambiato rispetto ai
loro primi incontri. La fame di contatto e l'urgenza di possedersi si
erano trasformati in qualcosa di più dolce, romantico,
gentile... La
passione era la stessa ma i loro gesti e le loro carezze erano
più
tenere e meno disperate e frettolose. C'era anche spazio per momenti
di dolcezza e coccole, per riscoprirsi, per essere qualcos'altro che
soli amanti...
Demelza
dormicchiava a pancia in giù, col lenzuolo che le copriva a
malapena
le gambe e le natiche. Si era addormentata dopo aver fatto l'amore
con lui e ora nel dormiveglia, la brezza che proveniva dalla finestra
aperta sul giardino le accarezzava la schiena nuda, facendola sentire
in pace col mondo.
Ross
le sfiorò il collo, prima di coprire la linea della sua
colonna
vertebrale con una serie di piccoli baci che la fecero rabbrividire e
svegliare del tutto. "Ross!".
Lui
fece un sorriso furbo. "Scusa, non volevo svegliarti" –
disse, mentre le cingeva la vita con le braccia e prendeva a baciarla
sul collo.
Lei
rise, cercando di spingerlo via. "Sì che volevi svegliarmi!
Dannazione, ci sei anche riuscito!". Si mise di lato, poggiando
il viso contro la mano. "Visto che sono sveglia e non ho idea di
quanto abbia dormito, mi dici che ore sono?".
"Credo
sia passato da poco il mezzogiorno".
Demelza
si stiracchiò, a quelle parole, sprofondando nel cuscino.
"Ho
ancora tempo. Abbiamo tempo...".
"Tutto
il giorno!".
Lei
sospirò, guardandolo. "No, non tutto. Ho promesso ai bambini
di
andare a prenderli al parco alle sei. E prima di andare a Kensington,
devo andare dal restauratore a recuperare un piccolo quadro di Lord
Falmouth finito nelle manine artistiche di Demian... Fra dieci giorni
tornerà dal Portogallo e saranno guai se si accorge che mio
figlio
ha disegnato di nuovo sopra ad una delle sue opere d'arte. Ho
sborsato una fortuna per far sistemare il dipinto per tempo e oggi
vado a ritirarlo".
Ross
si addolcì. "Lo avevo già visto, Demian, che
'abbelliva' i
dipinti di Falmouth".
Demelza
sospirò. "Non me ne parlare! Non la smetterà mai
di combinare
guai!".
"Però
lui e Daisy sono bambini molto particolari e unici nel loro genere.
Alla festa sono stati un'ottima compagnia... Non sembrano nemmeno
figli di...".
Demelza
si accigliò, guardandolo con una strana curiosità
per ciò che
aveva quasi detto. Ross aveva usato un tono leggero ma la
conversazione, iniziata in modo allegro, poteva incamminarsi su
sentieri sconnessi se non stava attenta. "Non sembrano figli di
Hugh? Volevi dire questo? In realtà Demian lo sembra eccome,
ha il
suo stesso amore per l'arte! E Falmouth si danna per questo, come si
dannava con Hugh quando alla politica, preferiva le poesie". Con
un sospiro decise di tagliar corto, però, anche se la voglia
di
controbattere la spinse ad andare oltre quanto avrebbe voluto. "Pure
Valentine è talmente galante e carino da non sembrare
figlio...".
Ross
la bloccò. "Mio?".
E
a quella domanda, Demelza per un secondo tremò. No, non si
stava
riferendo a lui ma qualcosa in lei la stava spingendo, senza quasi
che se ne accorgesse, a pronunciare il nome di una persona che non
voleva ricordare e che per anni l'aveva fatta sentire una
nullità e
assolutamente inadeguata. Faceva male, ancora. Avrebbe sempre fatto
male, anche se lei era morta! Che senso aveva ora, parlarne? "Lascia
perdere..." - sussurrò, adombrandosi.
Ross
la fissò preoccupato, captando benissimo il cambio del suo
tono di
voce e comprendendone il motivo. "Elizabeth? Stai parlando di
lei?".
"Non
sto parlando di niente" – rispose Demelza, secca, comprendosi
col lenzuolo.
"Demelza...".
"No
Ross, NO! Fa finta che non abbia detto niente".
Ross
stavolta però non era d'accordo. Erano tornati a parlare e a
scherzare ma fra loro c'era e sempre ci sarebbe stata una lastra
sottile a dividerli, creatasi col la frattura del loro matrimonio, il
tradimento e lo scioglimento di ogni loro legame. Mai avevano
affrontato quell'argomento ed era ora di farlo. Ora erano pronti e
anche se avvertiva le reticenze di Demelza e la sua paura, sapeva
anche che dovevano affrontare insieme quel passato da cui lei
fuggiva, abbracciati e stretti, pronti a urlarsi in faccia il loro
dolore e poi il loro amore. Tante cose non erano state dette e
ciò
che fin'ora era stato taciuto, era la causa vera e propria
dell'impossibilità ad iniziare una vita vera anche fuori da
quel
cottage. "Demelza guardami!".
Lei
tremò ancora, spaventata. E forse arresa al fatto di non
poter
scappare. Perché, PERCHE' aveva nominato Valentine? "Ross,
davvero... Lascia perdere".
"No!".
Lo
guardò, smarrita e arresa. Se Ross si metteva in testa
qualcosa,
sapeva essere più testardo di lei. Non avrebbe arretrato,
stavolta
non poteva sfuggirgli e in cuor suo sapeva anche che lui aveva
ragione, ma... Ma come aprire il suo cuore all'inferno, a
quell'inferno da cui era scappata sette anni prima, in una vita che
non sembrava nemmeno più sua? "Cosa vuoi, Ross? Cosa vuoi
che
ti dica?".
"Parla!
Guardami negli occhi e parlami! Di qualsiasi cosa tu voglia! Di
Nampara, del nostro matrimonio, dei bambini, di Elizabeth. Di noi e
di ciò che eravamo. Io l'ho fatto, io ti ho parlato di cosa
ho
provato allora ma tu no, non hai mai voluto! Fallo, FALLO Demelza!
Picchiami se vuoi, urla, dimmi come ti sei sentita allora e come ti
senti adesso quando ci pensi. Sei quì, una parte di te mi
ama in
questo cottage. Ma è come se mancasse una tua parte, la
parte che ti
tiene lontana e ti impedisce di fare altri passi verso di me. Verso
noi...".
Demelza
deglutì. "Lady Boscawen non ha necessità di dire
ciò che è
stato quando era un'altra!" - rispose, nascondendosi dietro al
suo nuovo nome, in un ultimo tentativo di fuga da lui.
Ross
la guardò, penetrò il suo sguardo con i suoi
occhi scuri. Le prese
i polsi, li strinse e poi lasciò che le sue mani le
accarezzassero i
palmi. "Parla, Demelza. Lady Boscawen ora non c'entra, non ha
nulla da dire. Ma Demelza Poldark sì, giusto?".
Demelza
sentì gli occhi pungerle. Anche a Demelza Poldark era
successo
spesso mentre a Lady Boscawen non capitava quasi mai... Si arrese,
avvicinandosi a lui e picchiando i pugni sopra il suo petto. Fu come
se una valanga di emozioni a lungo represse la seppellisse... Le
lacrime presero a scenderle come una cascata, proprio come era
successo quando era nata Clowance e le aveva trattenute a lungo, per
poi esplodere in un pianto a dirotto davanti a Prudie e ai bimbi, per
fortuna troppo piccoli allora, per accorgersi di quanto stava
succedendo. "Solo una cosa, Ross".
"Cosa?".
Picchiò
ancora il pugno contro il suo petto. "Perché?
Perché quel
giorno mi hai spinta a farlo? Me lo sono sempre chiesta, più
di ogni
altra cosa".
Ross
la osservò senza capire. Erano successe cose orribile
allora, a cosa
si stava riferendo in particolare? "Parli di quella notte?".
Demelza
scosse la testa, esasperata, continuando a versare quelle lacrime
tanto a lungo trattenute. Erano così salate, mentre le
scorrevano
sulle guance... Santo cielo, faceva così male!
Perché Ross voleva
parlarne? E perché, nonostante tutto, sentiva che era giusto
così?
"Non parlo di quella notte... Sapevo che sarebbe successo, prima
o poi".
Ross
impallidì. "Era così evidente...? Io non ho mai
voluto,
consciamente, che succedesse qualcosa del genere".
Lei
sorrise, nonostante tutto. "Una parte di te, quella che era
ancora legata ad Elizabeth e mai era riuscita ad averla, la ESIGEVA
ancora! Non il Ross che mi aveva sposato, il Ross padre di Julia e
Jeremy. Ma il Ross che era partito per la guerra con la speranza di
sposarsi al suo ritorno, la voleva ancora! Esisteva ancora quel Ross
che amava Elizabeth quando ancora io non ero che una bambina".
"Mi
dispiace" – sussurrò lui, in un soffio. "Non
volevo
farti del male... Volevo essere un buon marito anche se sapevo di non
poter essere perfetto. Non ho mai pensato che cercando di ritrovare
ciò che sembravo esigere, facevo del male a te. Era come se
esistessero due Ross, quello che ti aveva sposato e quello che come
dici tu, aveva ancora vent'anni e sognava una vita idilliaca accanto
a una donna che vedeva come illusoriamente perfetta. Non ho capito,
finché non te ne sei andata, che il mondo non aveva posto
per due
Ross Poldark. E di certo non c'era posto nel nostro matrimonio".
"Me
lo hai già detto, le so queste cose..." - rispose lei. "Non
parlavo di quella notte..." - ripeté, ancora.
"E
di cosa parlavi?".
Le
lacrime presero ancora a scorrerle con forza, dopo che per un attimo
si erano attenuate. Era un ricordo che sempre l'aveva corrosa di
nascosto in quegli anni, era la cosa più difficile che aveva
affrontato allora. "Dal notaio, quel giorno... Perché non ti
sei fermato?". Picchiò ancora contro il suo petto,
singhiozzando. "Perché NON MI HAI FERMATA? Perché
avevi fretta
che firmassi? Perché non vedevi l'ora di correre da lei?
Perché...
Perché hai poggiato la mano sulla mia, illudendomi che
volessi
portarmi via da quell'incubo?". Ecco, quello era il ricordo
più
bruciante per lei! La freddezza di quello studio, di quella firma,
delle parole che si erano rivolti fra loro. La fine di tutto, di ogni
sua ragione di vita, del suo domani. Ed era avvenuto con un semplice
autografo su un foglio di carta, veloce e senza appello.
Ross
la strinse a se, tentando di calmarla.
Demelza
lo fece fare e lui pian piano le accarezzò i capelli.
"Demelza,
non è così. Non avevo fretta, non ho sfiorato la
tua mano per
spingerti a firmare. Avevo bisogno di sentirti, di toccare la tua
pelle... Di coraggio! Ero spaventato quanto te e forse per la prima
volta stavo accorgendomi che non c'era via di ritorno!".
Lei
sollevò lo sguardo, i suoi occhi rossi e disperati come
allora. "Lo
avrei fatto, sai?".
"Cosa?".
"Quel
giorno... Ti avrei seguito, ovunque. Se tu mi avessi chiesto di
andarcene lontano, ovunque, solo noi e i nostri bambini... Io lo
avrei fatto, avrei scelto di darti ancora fiducia e sarei scappata
con te lontano da quell'incubo. Non mi importava del dove... E lo
avremmo superato, saremmo stati capaci insieme, di ripartire da zero.
Solo noi e i nostri bambini. Ogni angolo remoto del mondo sarebbe
andato bene... Lo avrei fatto, Ross! Ma tu non me l'hai chiesto".
Ross
strinse con forza il lenzuolo fra le mani, annientato, schiacciato
dal peso di quelle parole e dal dolore dei ricordi. Poi la
abbracciò
ancora più forte, provando esso stesso il desiderio di
piangere, pur
sapendo di non averne il diritto. "Anche io lo avrei fatto. Se
solo quel giorno avessi avuto il coraggio di essere ancora una volta
egoista e fare ciò che volevo per me, io lo avrei fatto. Ma
ero
così...".
"Cosa?".
Lui
scosse la testa, schiacciato dai sensi di colpa. "Avevo
distrutto la vita di Elizabeth, Valentine sarebbe nato e l'avrebbe
trascinata nell'inferno e io non potevo andarmene e far finta di
niente, vivendo felice e contento accanto alla donna che avevo capito
di amare. Non potevo più permettermi di essere felice!
L'unica
possibilità che avevo era fare ammenda, facendo quello che
meno
avrei desiderato: privarmi di te e prendermi le mie
responsabilità...
E facendo questo, ti ho condannata e assieme a te, ho condannato i
nostri figli. E ora sono quì e non me lo merito. E mi merito
l'odio
di Clowance e Jeremy. Non c'erano strade accettabili da percorrere,
per me. Ma per quanto ti riguarda, anche se all'inizio ero arrabbiato
e confuso nel vedere che ti eri ricostruita una vita, sono felice che
tu abbia trovato poi una tua strada per tornare a vivere e che
assieme a te, l'abbiano fatto anche i nostri bambini. Anche se
lontano da me, come meritavo che succedesse... Amati da un altro,
come voi meritavate che fosse. Per anni ho pensato a voi, a te e
Jeremy. E a Clowance, non riuscendo a darle un volto e un nome
perché
da vigliacco, non ero venuto a conoscerla. Ma una cosa mi consolava
perché voi avevate voi stessi e il vostro amore, che vi
donavate
l'un l'altro. Sapevo che tu avresti fatto in modo che tutto andasse
bene. E io sapevo che per me, tutto era giusto così. Vivere
per
sempre senza sapere nulla di te e dei miei figli ed essere condannato
per sempre a non avere alcun ricordo della nascita di Clowance, dei
suoi primi passi, delle sue prime parole, del piacere di passeggiare
tenendola per mano... In fondo è giusto così,
forse è una
consolazione sapere che questa è la mia punizione, che mi
accompagnerà per sempre: essermi perso sei anni di vita di
mia
figlia, dei miei figli. Tu li hai avuti, io non li
recupererò mai".
Demelza
non disse nulla, lo abbracciò, affondò il viso
nel suo petto e poi
pianse ancora, a lungo. Fra le sue braccia, spinta dal dolore che
aveva dovuto tirar fuori e dalla consapevolezza che lo amava e che
non poteva fare a meno di lui, avvertì anche il suo di
dolore,
profondo e lacerante. Era vero, lui era rimasto solo, lei no... Aveva
fatto tanto male allora, dal notaio. E per tanto aveva creduto che
Ross quel giorno non vedesse l'ora di correre, finalmente libero, fra
le braccia di Elizabeth. Ma ora sapere che non era stato
così,
rendersi conto che gli credeva e che il dolore che aveva provato lei
era stato anche il suo, rendeva quanto meno dolce-amaro quel ricordo.
Ross aveva ragione, a quel tempo non aveva molte altre strade da
percorrere rispetto a quella presa e in fondo lei lo aveva capito ben
prima di lasciare Nampara.
Nampara...
La
sua Nampara... "Ross...?".
La
baciò dolcemente, sulla nuca. "Dimmi".
"I
miei fiori... Esistono ancora, in giardino?".
Ross
sorrise. "Certo. E' uno dei compiti più importanti della
signora Gimlet occuparsene. E ora che siamo quì, questo
compito l'ho
lasciato alla morte di Zachy, dietro lauto compenso".
Demelza
alzò lo sguardo, esibendo finalmente un timido sorriso.
"Davvero?".
"Davvero.
Ho sempre sperato che tu tornassi e sapevo che se lo avessi fatto,
quella sarebbe stata la prima cosa che saresti andata a vedere".
"Davvero
avevi la speranza che sarei tornata?".
Ross
si rabbuiò. "No, non l'avevo. Ma fingere che esisteva quella
possibilità, mi ha aiutato ad andare avanti in questi anni.
Quando
te ne sei andata coi bambini, avevo perso tutto ciò che per
me
significava vivere. E da stupido, l'ho compreso solo dopo aver
rovinato tutto".
Demelza
lo baciò, sulle labbra. Dolcemente, a lungo, nonostante e
oltre il
dolore affrontato e quanto si erano detti. Era strano ma averne
parlato, aver urlato il suo dolore di quel giorno che mai aveva
raccontato a qualcuno, la faceva sentire incredibilmente leggera. "In
fondo noi siamo la dimostrazione che nulla è mai davvero
perduto,
finché si vive. Hai ragione, siamo quì e forse
non lo meriti. Ma
siamo quì ed io l'ho voluto".
Ross
annuì, accarezzandole piano il viso. "Se tornassi indietro,
farei tutto diversamente. Ma non si può e in fondo, da
quanto
successo, quanto meno tu puoi trovare motivi di gioia".
Lei
parve confusa da quelle parole. "A che ti riferisci?".
"Ai
gemellini. Non esisterebbero se io... se noi...".
Demelza
spalancò gli occhi, rendendosi conto che Ross aveva ragione
e che
non ci aveva mai pensato. Trovò dolce che lui lo avesse
detto... "E'
vero. Ma può essere per te, motivo di consolazione come per
me?".
Ross
prese un profondo respiro. "Quanto è successo, ha donato a
me
Valentine e a te i gemelli. Potresti vivere in un mondo senza di
loro?".
Demelza
sorrise, mentre le lacrime si cristallizzavano sul suo viso. "Credo
di no. No! Non potrei, non ora che sono la loro mamma!".
Ross
assunse un'espressione seria, come se quella conversazione non fosse
finita e mancasse ancora un tassello da mettere al giusto posto.
"Posso chiederti di parlarmi di un'altra cosa. Credo di essere
pronto ad affrontarla, ora".
"A
cosa ti riferisci?".
"Parlami
di Hugh!" - rispose, tutto d'un fiato.
Non
lo aveva mai chiesto e Demelza spalancò gli occhi e per un
attimo
tremò. Parlare del notaio era stato difficile ma questo
poteva
esserlo ancora di più, per un tipo orgoglioso e dal
carattere forte
come Ross. Ma era giusto, forse. Se dovevano parlare di quanto
successo, Hugh era un tassello fondamentale. "Non mi hai mai
chiesto di lui. Non così direttamente, almeno".
"Tu
Demelza hai vissuto a lungo coi tuoi fantasmi e Hugh è il
mio. E se
oggi sei stata tanto coraggiosa da parlarmi di noi e di cosa hai
provato quel giorno dal notaio, devo e voglio essere altrettanto
forte. Così, forse, il passato sarebbe superato e farebbe
meno male.
Sono orgoglioso, lo sai, ma...". Ross
strinse convulsamente un lembo di lenzuolo nella mano. Era difficile
per lui ma era qualcosa che doveva affrontare e la pace di quel
momento e di quel giorno rubato alle loro vite, gli sembrava aver
dato il coraggio per chiedere. “Ora voglio mettere da parte
il mio
orgoglio per cercare di capire chi è questo fantasma che si
agita
nella mia testa. Jeremy, da come ne parla... Quando parlava con me,
ovviamente... Questo Hugh sembrava tanto perfetto... Come posso
competere?”.
Demelza
sospirò, colpita dal fatto che avesse parlato di orgoglio.
Orgoglio
ferito, sicuramente gelosia, dolore anche. Ma Ross fino a quel
momento aveva saputo star rispettosamente al suo posto e se ora
voleva delle risposte, era giusto dargliele e raccontare. Forse
sarebbe stato difficile, tante volte era sfuggita a quel momento ma
non poteva farlo in eterno. Sentì un groppo alla gola ma si
impose
di non farsene sopraffare e di essere finalmente forte per aprire del
tutto quei
dolorosi capitoli sul loro passato. “Non devi competere, tu
sei tu
e lui era lui. Troppo diversi per fare paragoni”. Si
fermò un
attimo a pensare a come fare, a come cercare le parole adatte per
raccontargli di lui. Ross era orgoglioso, lo aveva appena detto, uno
spirito caldo e sapeva che, anche se lui non aveva diritto di
replica, quella conversazione poteva tradursi in qualcosa di molto
sgradevole per entrambi. “Era un poeta, vedeva il bello in
ogni
cosa. Un sognatore, un idealista... Troppo giovane, troppo ricco,
troppo abituato ad ogni comodità per capire le brutture
della vita
ma questo non lo rendeva indifferente ma solo molto ingenuo e
sognatore. Una brava persona. Era dolce, mi amava sopra ogni cosa e
amava i bambini. Ha insegnato a Jeremy la bellezza della lettura e
Clowance era la sua principessa da viziare. Coi gemelli, quando sono
nati, era impacciato, come in molte cose pratiche che si trovava ad
affrontare per la prima volta. Loro erano piccoli, lui non aveva mai
avuto a che fare coi neonati e spesso era divertente osservarlo
mentre cercava di occuparsene... Li amava, li amava tutti i bambini.
Era... E'... il mio elfo della nebbia”.
“Elfo
della nebbia? Ci credi pure tu come Demian? E' una fiaba”.
“Hugh
mi ha insegnato a credere nelle fiabe e di questo lo
ringrazierò
sempre. Serve anche questo, nella vita. La nebbia aveva un grande
significato per noi... E' grazie ad essa che ci siamo conosciuti. E
ad essa ci lega una promessa...” - sussurrò,
ricordando quanto le
aveva detto prima di morire, di cercarlo nella nebbia ogni volta che
ne avesse avuto bisogno.
Ross
impallidì e Demelza
capì che doveva
fargli molto male sentirla parlare di Hugh in quel modo. Ma
non poteva evitarglielo, esattamente come lei non era potuta sfuggire
a quel dolore dell'annullamento del matrimonio e a quanto ne era
conseguito. Faceva tutto parte della medesima storia, cause ed
effetti che si rincorrevano da anni. Demelza
era stata sua moglie e
un mondo nascosto a tutti e conosciuto solo a loro, li univa anche
adesso. E ora
Ross capiva
che un altro mondo, stavolta a lui celato, l'aveva unita a Hugh. E
mai lui ne avrebbe fatto parte. “Tu lo amavi?”.
La
voce di Ross tremò, nel fare quella domanda. Demelza
deglutì e
tremò, come quando fu Hugh a porle lo stesso quesito.
“E' così
difficile da spiegare a parole, Ross. Pure lui mi ha fatto questa
domanda, dopo la nascita dei gemelli. E all'epoca non ero riuscita a
rispondergli e spiegargli appieno i miei sentimenti. Era tutto
così
difficile allora, in me e attorno a me. Mi ha toccato il cuore come
nessuno mai, ci è riuscito perché avevo bisogno
di sentirmi amata.
Ha saputo conquistarmi e onestamente non ho ancora capito come abbia
fatto perché
non ero assolutamente alla ricerca di qualcosa del genere.
Semplicemente ci sono caduta e una mattina ho capito che non volevo
perderlo, che avevo bisogno di lui e che ormai faceva parte della mia
vita di allora. Sapevo che non era come con te ma ho ceduto, lui pian
piano mi ha fatta cedere sempre più con dolcezza, pazienza,
calore.
Mi ha dato un tipo di attenzioni di cui avevo disperatamente bisogno
e che non avevo mai ricevuto da nessuno, mi ha sorretta quando non
riuscivo a fare altro che piangere, mi ha sedotta quasi senza che io
me ne accorgessi... Gli ho voluto bene, avrei dato tutto per salvarlo
dalla sua malattia ma...”.
“Ma?”.
“Ma
io non ho mai saputo restituirgli l'amore che lui dava a me. Non
interamente, non come meritava... Il mio cuore, nonostante tutto,
apparteneva ancora a te. Sono stata felice con Hugh, lui mi ha dato
amore, una casa, una famiglia, dei figli e tante risate e
serenità
ma... Ma non mi sentivo completa e sapevo che quello non doveva
essere il mio posto. E' difficile da spiegare ed era difficile da
gestire. Lui lo sapeva, lo sapeva e non se ne è mai
lamentato! Siamo
stati felici, era il mio principe azzurro perfetto per quel tratto
della mia vita, ma sapevo anche che alla lunga, finita la magia,
finito il sogno, finita la favola... iniziata la vita vera,
né io né
lui ci saremmo sentiti a nostro agio davanti alla prospettiva di
vivere un'intera esistenza che non era nelle nostre corde. E' stato
qualcosa di magico con Hugh, magico forse perché limitato
nel tempo
e destinato ad essere breve, che ha raggiunto il culmine in una sera
invernale nei giardini dove ora giocano i miei bambini. Su una
panchina, tutti insieme, per la prima volta ho sentito che eravamo
una famiglia vera. Che non era quella che avevamo noi a Nampara dove
forse mai, io te e i bambini abbiamo trovato tempo solo per noi. E
qui in questa città, qualcosa che avrei voluto a Nampara e
che a
Londra non avevo cercato,
era diventata la mia ragione di vita. Ero
una sopravvissuta che sentiva di avercela fatta.
Lì in quel
parco, con le
nostre mani tutte una sopra l'altra, la mia, la sua, quelle dei
bambini e quelle minuscole dei gemellini che quella sera non volevano
dormire, forse per la prima volta ho sentito che dovevo considerare
quella, la mia nuova casa”.
Ross
abbassò lo sguardo, con gli occhi arrossati. “Fa
male sentirti
dire queste cose. Ma suppongo di doverne essere felice per te e di
doverle accettare come inevitabili, dopo quanto ho fatto”.
Demelza
gli strinse la mano. “Avresti preferito una bugia? Che ti
dicessi
che lo avevo sposato per bisogno o perché costretta dalla
gravidanza? Io volevo bene a Hugh, Ross... Come avevo detto a lui,
esistono tanti modi di amare e ognuno in fondo sa essere
meraviglioso. Ma non eri tu, Hugh non sarebbe mai stato come te ed
entrambi lo sapevamo. Ma ciò che avevamo, ci bastava per
essere
comunque felici”.
“Credo
di capire cosa intendi”. Ross alzò la mano e le
accarezzò la
guancia, fronteggiandola. “Sapere di essere sempre stato
altro ai
tuoi occhi, di essere il tuo rimpianto, in fondo è una
consolazione. E nemmeno questo merito.
E' difficile
comprendere che
lo hai amato, che
ha saputo
farsi amare da te. Era perfetto a
paragone con me
che
sono una persona pessima”.
Demelza
sorrise. “Abbastanza pessima, sì” -
disse, in tono leggero. “Ma
l'ho sempre saputo” - concluse, dolcemente.
“Era
un poeta, giusto? Ti scriveva poesie?”.
Demelza
annuì. “Sì, lo faceva”.
“Me
le faresti leggere?”.
“Qualcuna,
non tutte”.
Ross
si accigliò. “Perché?”.
Lei
arrossì, impercettibilmente. “Perché
alcune sono piuttosto intime
e private”.
A
quelle parole anche Ross arrossì, sentendosi in imbarazzo.
Eccolo
quel mondo e quella parte di Demelza che sarebbe sempre stata solo di
Hugh. E doveva rispettarlo e saperne stare fuori. Come Hugh
probabilmente aveva accettato la sua presenza nel cuore di Demelza,
nonostante tutto. “Scusa... Anche se, ora, forse dovrei
sentirmi
geloso”.
Demelza
sorrise, ancora. “Potresti scrivermi delle poesie pure tu! E
non le
farei leggere a nessuno” - disse, prendendo un cuscino e
tirandoglielo in faccia. Sentì
di non aver più voglia di piangere, ora.
Ross
scoppiò a ridere, lanciando il cuscino di lato.
“Vuoi davvero che
lo faccia?”.
Anche
Demelza rise, di gusto. “No, non credo di volerlo”.
“Per
fortuna... Mi ci vedresti a scrivere poesie?”.
“No,
assolutamente! Al
pensiero, sento che mi terrorizzerebbero i risultati”.
Ross
la guardò e improvvisamente tornò serio,
spezzando quel momento
leggero. Si avvicinò, poggiò la fronte contro la
sua e la sua
espressione tornò ad essere ferita. “E ora che si
fa? Vederti qui
è molto più di quello che avrei sperato ma... non
mi basta. Non
più”.
Lei
si morse il labbro, provava le medesime cose. Essere amanti
clandestini aveva dato loro un brivido e una leggerezza che non gli
apparteneva da tanto, ma poi...? Poi erano soli e ad ognuno mancava
una parte dell'altro. “Non posso darti di più e lo
sai. Ci sono i
bambini, Jeremy non ne vuole sapere di te e io devo mettere loro al
primo posto”.
“C'è
una via d'uscita? Si può tornare indietro?”.
Demelza
lo baciò. “Non si può tornare indietro
ma forse si può andare
avanti. Dobbiamo solo capire come...”. Non era un no, era una
speranza quella che gli stava dando, un riaprirgli la porta come
aveva già fatto altre volte in quei mesi. Ma non sapeva come
fare e
sperava che, insieme, avrebbero trovato una soluzione. Si rese conto
che una soluzione la voleva, anche lei. La voleva sempre
più...
“Lo
faremo, come mi hai promesso al rinfresco dei Thompson.”
- disse lui, baciandola sulle labbra. “Insieme, come
sempre”.
“Come
sempre...” - mormorò lei, contro le sue labbra.
“Ross?”.
“Sì?”.
“Abbiamo
sempre saputo guardare avanti, noi due, quando c'erano problemi. Non
abbiamo mai avuto paura di farlo, insieme...”.
Ross
la baciò sulle labbra. “E' vero...”.
Ecco,
ora poteva spiegare appieno la differenza fra lui e Hugh, ora aveva
le parole giuste sulla punta della lingua. Parole che non sminuivano
nessuno dei due, rispettandone le variegate peculiarità
caratteriali. “Ed è questo che differisce, fra te
e Hugh. Proprio
quello che hai appena detto! Lui mi sarebbe stato accanto mentre
combattevo IO
le mie
battaglie, tu le hai sempre combattute con me invece...”.
Ross
spalancò gli occhi, rendendosi conto che in quella frase
c'era
tutto. Di lei, di lui, di loro e della loro storia... La
baciò, con
passione, catturato dalla sua presenza e dalle sue labbra.
“Demelza...”.
Lei
sorrise. “Non voglio più parlare, ora. Ho ancora
tempo prima di
tornare a casa e desidero solo... fare l'amore con te. Poi
andrò dal
restauratore, al parco a riprendere i bambini, sarò lady
Armitage e
penserò... a come uscire da tutto questo, con te”.
Ross
la baciò, impedendole di parlare. Si stese su di lei e
mentre la
brezza dell'aria quasi estiva accarezzava i loro corpi entrando dalla
finestra aperta, fecero di nuovo l'amore.
…
Il
sole stava calando quando arrivò ai giardini di Kensington,
pieni di
tate affaccendate e bambini schiamazzanti. Si sentiva stranamente
leggera e allo stesso tempo stanca, quel pomeriggio. Ma mentre
camminava, si rendeva conto anche che quelli erano forse i primi veri
passi verso una nuova vita. Ora sapeva cosa voleva, lo sapeva
davvero! Anche se trovare il modo per ottenerlo, sarebbe stato
complicato.
Col
quadretto restaurato in mano che era appena andata a recuperare dal
restauratore, si avvicinò al laghetto dove stavano giocando
Clowance
e Jeremy, intenti a lanciare dei chicchi di grano ai cigni.
“Mamma!”.
I
bimbi le corsero incontro appena la videro e lei sorrise loro,
accogliendoli fra le sue braccia. “Allora, come è
andato il
pomeriggio?”.
Jeremy
sospirò, come preoccupato da qualcosa. “E'
successa una cosa
strana! Catherine ha detto che ora vuol fidanzarsi con Lukas Smith.
Non mi ama più, ha detto”.
Demelza
alzò un sopracciglio, divertita. “Dovresti esserne
contento, no?”.
Jeremy
però, stranamente, sembrava contrariato.
“Sì! Però non si fa
così! Prima dice che ama me e poi solo perché io
non la guardo,
cambia idea! E' poco serio, no?”.
Lei
rise, abbracciandolo e scompigliandogli i capelli. Era decisamente
orgoglioso e contorto, come Ross, nei sentimenti.
“Sarà stata
stanca di sentirsi rifiutata! E tu non puoi pretendere che la gente
ti segua in eterno come un cagnolino. E che questo ti sia da
lezione”.
Clowance
sfiorò il quadretto che teneva fra le mani. “E' il
quadro
pasticciato da Demian?”.
“Sì,
tornato come nuovo! Non dite nulla allo zio, quando torna”.
Clowance
e Jeremy risero guardandosi negli occhi, divertiti da tutti quei
segreti fra loro. “Posso vederlo?” - chiese la
bambina.
Demelza
annuì, levando il piccolo involucro di stoffa che lo
proteggeva. Era
un quadretto piccolo, rappresentante delle scogliere sul mare.
“Eccolo”.
“Il
mare?!” - chiese Jeremy.
Gli
sorrise. “Sì. Questo posto somiglia molto a dove
siamo nati noi,
sapete?”.
Clowance
osservò il quadro, assorta. “E' così
grande, il mare? Più grande
di questo laghetto nel parco?”.
“Infinitamente
più grande, non se ne vede la fine”.
Jeremy
e Clowance si guardarono negli occhi e per la prima volta, Demelza
scorse in loro un po' di curiosità per le loro origini. Li
prese per
mano e li invitò a sedersi con lei, nell'erba. Era il
momento,
forse, di parlare con loro, anche se di certo doveva prendere
l'argomento molto alla larga per non farli chiudere in se stessi.
Doveva approfittare di quel momento nel modo giusto, pensò.
“Se
fossimo rimasti a vivere lì, vi avrei portati al mare ogni
giorno.
Avremmo camminato nell'acqua e sareste stati felici di correre sulla
sabbia, avreste visto i mille colori dei pesci che popolano il mare e
avreste imparato a riconoscerne le diverse specie”.
“Ti
piaceva il mare, mamma?” - chiese Jeremy.
“Certo.
E amavo anche pescare! Ero brava, sai? Tanto brava che quando stavi
per nascere tu, ero in barca con la canna da pesca in mano”.
Jeremy
e Clowance spalancarono gli occhi. “Tu mamma, pescavi? Col
pancione?”.
Demelza
annuì, ricordando quel giorno in cui aveva disubbidito a
Ross, si
era messa nei guai e lui l'aveva salvata, portandola a casa per
partorire mentre per strada litigavano furiosamente. “Certo
che lo
facevo! E sapevo andare in barca più che bene! Ma quel
giorno ho
esagerato e ho messo in pericolo me e te, mio povero piccolo
Jeremy... Tuo padre, ci ha salvati... E' corso in acqua, in mezzo
alle onde molto alte, mi ha tirata a forza fuori dalla barca e mi ha
portata a casa, dove Dwight ti ha fatto nascere”.
Al
sentire parlare di Ross, Jeremy abbassò lo sguardo ma non si
ritrasse come le volte precedenti. La curiosità parve
vincerlo. “Lui
è venuto a salvarci? Davvero?”.
Lo
accarezzò sul viso. Quel giorno aveva ricordato fatti
orribili ma
ora i suoi figli le stavano facendo rivivere anche momenti bellissimi
e purtroppo lontani, che a lungo aveva rimosso da mente e cuore.
“Davvero... Eravamo bagnati come pulcini, entrambi. E lui era
arrabbiato per il fatto che fossi uscita... Mi disse che avremmo
continuato a litigare dopo la tua nascita”.
Jeremy
si accigliò. “E lo avete fatto?”.
“No.
Quando sei nato siamo stati ore ad osservarti, innamorati di te. E ci
siamo dimenticati che dovevamo litigare”.
A
quel racconto Clowance si alzò, prendendo un sassolino che
poi
lanciò nel laghetto. “Allora solo io non ho avuto
il papà vicino,
quando son nata. Era pure inverno e nemmeno è venuto a
vedere se
avevo freddo e doveva accendere il camino”.
Jeremy
abbassò lo sguardo, forse sentendosi in colpa per non
poterla
aiutare e consolare. Era confuso in quel momento, si vedeva che il
racconto della sua nascita lo aveva colpito e comprendeva anche lui
che per Clowance doveva essere difficile sapere di non avere avuto il
medesimo trattamento. E Demelza sentì di dover agire,
ricordandosi
proprio delle parole di Ross di poche ore prima. Si avvicinò
alla
sua bimba, la abbracciò e poi la baciò sulla
fronte. “Ti avrebbe
amata, si sarebbe innamorato di te all'istante. Non ha potuto esserci
ma sai che vuol dire, per lui?”.
“Cosa?”
“Che
ti ha lasciata con chi sapeva che ti avrebbe voluto bene. E che per
sempre si è privato di ogni tuo ricordo di quando eri
piccola.
Soffrirà per tutta la sua vita per questo, te lo assicuro.
Io lo
conosco e so che non aver potuto amarti e starti vicino sarà
una
condanna eterna per lui, che lo farà star male
sempre”.
Clowance
non rispose subito, ma lasciò che la abbracciasse.
“Era meglio se
decideva di soffrire meno e veniva. No?” -
sussurrò.
“Certo.
Ma non si può tornare indietro e lui è un uomo
con tanti pregi ma
che sbaglia, come tutti. Ma lo ha capito, sai? E questa è
una gran
cosa, molti non sanno capire i propri errori. Sa che ha sbagliato
molto e che noi abbiamo pagato per lui... Ma so che ti avrebbe
regalato il mondo se avesse potuto, Clowance. Lo so per
certo”.
La
piccola non rispose più. Si rannicchiò fra le sue
braccia, coprì
con la stoffa il quadro che raffigurava il mare e poi chiese di
tornare a casa.
E
Demelza in cuor suo sperò di aver scalfito, almeno in parte,
qualche
crepa nel suo animo.
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