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Autore: lady lina 77    16/05/2019    3 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non era lunedì ma mercoledì. E Lady Alexandra si era straordinariamente offerta di portare i gemelli a una festa di compleanno mentre Jeremy e Clowance studiavano col precettore prima del pomeriggio, che avrebbero trascorso nei giardini di Kensington a giocare. E il Parlamento era chiuso per dei lavori interni di ristrutturazione dopo una perdita del soffitto che aveva allagato il salone principale.

Non era lunedì ma entrambi liberi e per tutto il giorno, Demelza e Ross si erano rifugiati nel cottage, senza limiti di tempo in cui concedersi l'uno all'altra.

Avevano fatto l'amore, ancora, anche se qualcosa era cambiato rispetto ai loro primi incontri. La fame di contatto e l'urgenza di possedersi si erano trasformati in qualcosa di più dolce, romantico, gentile... La passione era la stessa ma i loro gesti e le loro carezze erano più tenere e meno disperate e frettolose. C'era anche spazio per momenti di dolcezza e coccole, per riscoprirsi, per essere qualcos'altro che soli amanti...

Demelza dormicchiava a pancia in giù, col lenzuolo che le copriva a malapena le gambe e le natiche. Si era addormentata dopo aver fatto l'amore con lui e ora nel dormiveglia, la brezza che proveniva dalla finestra aperta sul giardino le accarezzava la schiena nuda, facendola sentire in pace col mondo.

Ross le sfiorò il collo, prima di coprire la linea della sua colonna vertebrale con una serie di piccoli baci che la fecero rabbrividire e svegliare del tutto. "Ross!".

Lui fece un sorriso furbo. "Scusa, non volevo svegliarti" – disse, mentre le cingeva la vita con le braccia e prendeva a baciarla sul collo.

Lei rise, cercando di spingerlo via. "Sì che volevi svegliarmi! Dannazione, ci sei anche riuscito!". Si mise di lato, poggiando il viso contro la mano. "Visto che sono sveglia e non ho idea di quanto abbia dormito, mi dici che ore sono?".

"Credo sia passato da poco il mezzogiorno".

Demelza si stiracchiò, a quelle parole, sprofondando nel cuscino. "Ho ancora tempo. Abbiamo tempo...".

"Tutto il giorno!".

Lei sospirò, guardandolo. "No, non tutto. Ho promesso ai bambini di andare a prenderli al parco alle sei. E prima di andare a Kensington, devo andare dal restauratore a recuperare un piccolo quadro di Lord Falmouth finito nelle manine artistiche di Demian... Fra dieci giorni tornerà dal Portogallo e saranno guai se si accorge che mio figlio ha disegnato di nuovo sopra ad una delle sue opere d'arte. Ho sborsato una fortuna per far sistemare il dipinto per tempo e oggi vado a ritirarlo".

Ross si addolcì. "Lo avevo già visto, Demian, che 'abbelliva' i dipinti di Falmouth".

Demelza sospirò. "Non me ne parlare! Non la smetterà mai di combinare guai!".

"Però lui e Daisy sono bambini molto particolari e unici nel loro genere. Alla festa sono stati un'ottima compagnia... Non sembrano nemmeno figli di...".

Demelza si accigliò, guardandolo con una strana curiosità per ciò che aveva quasi detto. Ross aveva usato un tono leggero ma la conversazione, iniziata in modo allegro, poteva incamminarsi su sentieri sconnessi se non stava attenta. "Non sembrano figli di Hugh? Volevi dire questo? In realtà Demian lo sembra eccome, ha il suo stesso amore per l'arte! E Falmouth si danna per questo, come si dannava con Hugh quando alla politica, preferiva le poesie". Con un sospiro decise di tagliar corto, però, anche se la voglia di controbattere la spinse ad andare oltre quanto avrebbe voluto. "Pure Valentine è talmente galante e carino da non sembrare figlio...".

Ross la bloccò. "Mio?".

E a quella domanda, Demelza per un secondo tremò. No, non si stava riferendo a lui ma qualcosa in lei la stava spingendo, senza quasi che se ne accorgesse, a pronunciare il nome di una persona che non voleva ricordare e che per anni l'aveva fatta sentire una nullità e assolutamente inadeguata. Faceva male, ancora. Avrebbe sempre fatto male, anche se lei era morta! Che senso aveva ora, parlarne? "Lascia perdere..." - sussurrò, adombrandosi.

Ross la fissò preoccupato, captando benissimo il cambio del suo tono di voce e comprendendone il motivo. "Elizabeth? Stai parlando di lei?".

"Non sto parlando di niente" – rispose Demelza, secca, comprendosi col lenzuolo.

"Demelza...".

"No Ross, NO! Fa finta che non abbia detto niente".

Ross stavolta però non era d'accordo. Erano tornati a parlare e a scherzare ma fra loro c'era e sempre ci sarebbe stata una lastra sottile a dividerli, creatasi col la frattura del loro matrimonio, il tradimento e lo scioglimento di ogni loro legame. Mai avevano affrontato quell'argomento ed era ora di farlo. Ora erano pronti e anche se avvertiva le reticenze di Demelza e la sua paura, sapeva anche che dovevano affrontare insieme quel passato da cui lei fuggiva, abbracciati e stretti, pronti a urlarsi in faccia il loro dolore e poi il loro amore. Tante cose non erano state dette e ciò che fin'ora era stato taciuto, era la causa vera e propria dell'impossibilità ad iniziare una vita vera anche fuori da quel cottage. "Demelza guardami!".

Lei tremò ancora, spaventata. E forse arresa al fatto di non poter scappare. Perché, PERCHE' aveva nominato Valentine? "Ross, davvero... Lascia perdere".

"No!".

Lo guardò, smarrita e arresa. Se Ross si metteva in testa qualcosa, sapeva essere più testardo di lei. Non avrebbe arretrato, stavolta non poteva sfuggirgli e in cuor suo sapeva anche che lui aveva ragione, ma... Ma come aprire il suo cuore all'inferno, a quell'inferno da cui era scappata sette anni prima, in una vita che non sembrava nemmeno più sua? "Cosa vuoi, Ross? Cosa vuoi che ti dica?".

"Parla! Guardami negli occhi e parlami! Di qualsiasi cosa tu voglia! Di Nampara, del nostro matrimonio, dei bambini, di Elizabeth. Di noi e di ciò che eravamo. Io l'ho fatto, io ti ho parlato di cosa ho provato allora ma tu no, non hai mai voluto! Fallo, FALLO Demelza! Picchiami se vuoi, urla, dimmi come ti sei sentita allora e come ti senti adesso quando ci pensi. Sei quì, una parte di te mi ama in questo cottage. Ma è come se mancasse una tua parte, la parte che ti tiene lontana e ti impedisce di fare altri passi verso di me. Verso noi...".

Demelza deglutì. "Lady Boscawen non ha necessità di dire ciò che è stato quando era un'altra!" - rispose, nascondendosi dietro al suo nuovo nome, in un ultimo tentativo di fuga da lui.

Ross la guardò, penetrò il suo sguardo con i suoi occhi scuri. Le prese i polsi, li strinse e poi lasciò che le sue mani le accarezzassero i palmi. "Parla, Demelza. Lady Boscawen ora non c'entra, non ha nulla da dire. Ma Demelza Poldark sì, giusto?".

Demelza sentì gli occhi pungerle. Anche a Demelza Poldark era successo spesso mentre a Lady Boscawen non capitava quasi mai... Si arrese, avvicinandosi a lui e picchiando i pugni sopra il suo petto. Fu come se una valanga di emozioni a lungo represse la seppellisse... Le lacrime presero a scenderle come una cascata, proprio come era successo quando era nata Clowance e le aveva trattenute a lungo, per poi esplodere in un pianto a dirotto davanti a Prudie e ai bimbi, per fortuna troppo piccoli allora, per accorgersi di quanto stava succedendo. "Solo una cosa, Ross".

"Cosa?".

Picchiò ancora il pugno contro il suo petto. "Perché? Perché quel giorno mi hai spinta a farlo? Me lo sono sempre chiesta, più di ogni altra cosa".

Ross la osservò senza capire. Erano successe cose orribile allora, a cosa si stava riferendo in particolare? "Parli di quella notte?".

Demelza scosse la testa, esasperata, continuando a versare quelle lacrime tanto a lungo trattenute. Erano così salate, mentre le scorrevano sulle guance... Santo cielo, faceva così male! Perché Ross voleva parlarne? E perché, nonostante tutto, sentiva che era giusto così? "Non parlo di quella notte... Sapevo che sarebbe successo, prima o poi".

Ross impallidì. "Era così evidente...? Io non ho mai voluto, consciamente, che succedesse qualcosa del genere".

Lei sorrise, nonostante tutto. "Una parte di te, quella che era ancora legata ad Elizabeth e mai era riuscita ad averla, la ESIGEVA ancora! Non il Ross che mi aveva sposato, il Ross padre di Julia e Jeremy. Ma il Ross che era partito per la guerra con la speranza di sposarsi al suo ritorno, la voleva ancora! Esisteva ancora quel Ross che amava Elizabeth quando ancora io non ero che una bambina".

"Mi dispiace" – sussurrò lui, in un soffio. "Non volevo farti del male... Volevo essere un buon marito anche se sapevo di non poter essere perfetto. Non ho mai pensato che cercando di ritrovare ciò che sembravo esigere, facevo del male a te. Era come se esistessero due Ross, quello che ti aveva sposato e quello che come dici tu, aveva ancora vent'anni e sognava una vita idilliaca accanto a una donna che vedeva come illusoriamente perfetta. Non ho capito, finché non te ne sei andata, che il mondo non aveva posto per due Ross Poldark. E di certo non c'era posto nel nostro matrimonio".

"Me lo hai già detto, le so queste cose..." - rispose lei. "Non parlavo di quella notte..." - ripeté, ancora.

"E di cosa parlavi?".

Le lacrime presero ancora a scorrerle con forza, dopo che per un attimo si erano attenuate. Era un ricordo che sempre l'aveva corrosa di nascosto in quegli anni, era la cosa più difficile che aveva affrontato allora. "Dal notaio, quel giorno... Perché non ti sei fermato?". Picchiò ancora contro il suo petto, singhiozzando. "Perché NON MI HAI FERMATA? Perché avevi fretta che firmassi? Perché non vedevi l'ora di correre da lei? Perché... Perché hai poggiato la mano sulla mia, illudendomi che volessi portarmi via da quell'incubo?". Ecco, quello era il ricordo più bruciante per lei! La freddezza di quello studio, di quella firma, delle parole che si erano rivolti fra loro. La fine di tutto, di ogni sua ragione di vita, del suo domani. Ed era avvenuto con un semplice autografo su un foglio di carta, veloce e senza appello.

Ross la strinse a se, tentando di calmarla.

Demelza lo fece fare e lui pian piano le accarezzò i capelli. "Demelza, non è così. Non avevo fretta, non ho sfiorato la tua mano per spingerti a firmare. Avevo bisogno di sentirti, di toccare la tua pelle... Di coraggio! Ero spaventato quanto te e forse per la prima volta stavo accorgendomi che non c'era via di ritorno!".

Lei sollevò lo sguardo, i suoi occhi rossi e disperati come allora. "Lo avrei fatto, sai?".

"Cosa?".

"Quel giorno... Ti avrei seguito, ovunque. Se tu mi avessi chiesto di andarcene lontano, ovunque, solo noi e i nostri bambini... Io lo avrei fatto, avrei scelto di darti ancora fiducia e sarei scappata con te lontano da quell'incubo. Non mi importava del dove... E lo avremmo superato, saremmo stati capaci insieme, di ripartire da zero. Solo noi e i nostri bambini. Ogni angolo remoto del mondo sarebbe andato bene... Lo avrei fatto, Ross! Ma tu non me l'hai chiesto".

Ross strinse con forza il lenzuolo fra le mani, annientato, schiacciato dal peso di quelle parole e dal dolore dei ricordi. Poi la abbracciò ancora più forte, provando esso stesso il desiderio di piangere, pur sapendo di non averne il diritto. "Anche io lo avrei fatto. Se solo quel giorno avessi avuto il coraggio di essere ancora una volta egoista e fare ciò che volevo per me, io lo avrei fatto. Ma ero così...".

"Cosa?".

Lui scosse la testa, schiacciato dai sensi di colpa. "Avevo distrutto la vita di Elizabeth, Valentine sarebbe nato e l'avrebbe trascinata nell'inferno e io non potevo andarmene e far finta di niente, vivendo felice e contento accanto alla donna che avevo capito di amare. Non potevo più permettermi di essere felice! L'unica possibilità che avevo era fare ammenda, facendo quello che meno avrei desiderato: privarmi di te e prendermi le mie responsabilità... E facendo questo, ti ho condannata e assieme a te, ho condannato i nostri figli. E ora sono quì e non me lo merito. E mi merito l'odio di Clowance e Jeremy. Non c'erano strade accettabili da percorrere, per me. Ma per quanto ti riguarda, anche se all'inizio ero arrabbiato e confuso nel vedere che ti eri ricostruita una vita, sono felice che tu abbia trovato poi una tua strada per tornare a vivere e che assieme a te, l'abbiano fatto anche i nostri bambini. Anche se lontano da me, come meritavo che succedesse... Amati da un altro, come voi meritavate che fosse. Per anni ho pensato a voi, a te e Jeremy. E a Clowance, non riuscendo a darle un volto e un nome perché da vigliacco, non ero venuto a conoscerla. Ma una cosa mi consolava perché voi avevate voi stessi e il vostro amore, che vi donavate l'un l'altro. Sapevo che tu avresti fatto in modo che tutto andasse bene. E io sapevo che per me, tutto era giusto così. Vivere per sempre senza sapere nulla di te e dei miei figli ed essere condannato per sempre a non avere alcun ricordo della nascita di Clowance, dei suoi primi passi, delle sue prime parole, del piacere di passeggiare tenendola per mano... In fondo è giusto così, forse è una consolazione sapere che questa è la mia punizione, che mi accompagnerà per sempre: essermi perso sei anni di vita di mia figlia, dei miei figli. Tu li hai avuti, io non li recupererò mai".

Demelza non disse nulla, lo abbracciò, affondò il viso nel suo petto e poi pianse ancora, a lungo. Fra le sue braccia, spinta dal dolore che aveva dovuto tirar fuori e dalla consapevolezza che lo amava e che non poteva fare a meno di lui, avvertì anche il suo di dolore, profondo e lacerante. Era vero, lui era rimasto solo, lei no... Aveva fatto tanto male allora, dal notaio. E per tanto aveva creduto che Ross quel giorno non vedesse l'ora di correre, finalmente libero, fra le braccia di Elizabeth. Ma ora sapere che non era stato così, rendersi conto che gli credeva e che il dolore che aveva provato lei era stato anche il suo, rendeva quanto meno dolce-amaro quel ricordo. Ross aveva ragione, a quel tempo non aveva molte altre strade da percorrere rispetto a quella presa e in fondo lei lo aveva capito ben prima di lasciare Nampara.

Nampara...

La sua Nampara... "Ross...?".

La baciò dolcemente, sulla nuca. "Dimmi".

"I miei fiori... Esistono ancora, in giardino?".

Ross sorrise. "Certo. E' uno dei compiti più importanti della signora Gimlet occuparsene. E ora che siamo quì, questo compito l'ho lasciato alla morte di Zachy, dietro lauto compenso".

Demelza alzò lo sguardo, esibendo finalmente un timido sorriso. "Davvero?".

"Davvero. Ho sempre sperato che tu tornassi e sapevo che se lo avessi fatto, quella sarebbe stata la prima cosa che saresti andata a vedere".

"Davvero avevi la speranza che sarei tornata?".

Ross si rabbuiò. "No, non l'avevo. Ma fingere che esisteva quella possibilità, mi ha aiutato ad andare avanti in questi anni. Quando te ne sei andata coi bambini, avevo perso tutto ciò che per me significava vivere. E da stupido, l'ho compreso solo dopo aver rovinato tutto".

Demelza lo baciò, sulle labbra. Dolcemente, a lungo, nonostante e oltre il dolore affrontato e quanto si erano detti. Era strano ma averne parlato, aver urlato il suo dolore di quel giorno che mai aveva raccontato a qualcuno, la faceva sentire incredibilmente leggera. "In fondo noi siamo la dimostrazione che nulla è mai davvero perduto, finché si vive. Hai ragione, siamo quì e forse non lo meriti. Ma siamo quì ed io l'ho voluto".

Ross annuì, accarezzandole piano il viso. "Se tornassi indietro, farei tutto diversamente. Ma non si può e in fondo, da quanto successo, quanto meno tu puoi trovare motivi di gioia".

Lei parve confusa da quelle parole. "A che ti riferisci?".

"Ai gemellini. Non esisterebbero se io... se noi...".

Demelza spalancò gli occhi, rendendosi conto che Ross aveva ragione e che non ci aveva mai pensato. Trovò dolce che lui lo avesse detto... "E' vero. Ma può essere per te, motivo di consolazione come per me?".

Ross prese un profondo respiro. "Quanto è successo, ha donato a me Valentine e a te i gemelli. Potresti vivere in un mondo senza di loro?".

Demelza sorrise, mentre le lacrime si cristallizzavano sul suo viso. "Credo di no. No! Non potrei, non ora che sono la loro mamma!".

Ross assunse un'espressione seria, come se quella conversazione non fosse finita e mancasse ancora un tassello da mettere al giusto posto. "Posso chiederti di parlarmi di un'altra cosa. Credo di essere pronto ad affrontarla, ora".

"A cosa ti riferisci?".

"Parlami di Hugh!" - rispose, tutto d'un fiato.

Non lo aveva mai chiesto e Demelza spalancò gli occhi e per un attimo tremò. Parlare del notaio era stato difficile ma questo poteva esserlo ancora di più, per un tipo orgoglioso e dal carattere forte come Ross. Ma era giusto, forse. Se dovevano parlare di quanto successo, Hugh era un tassello fondamentale. "Non mi hai mai chiesto di lui. Non così direttamente, almeno".

"Tu Demelza hai vissuto a lungo coi tuoi fantasmi e Hugh è il mio. E se oggi sei stata tanto coraggiosa da parlarmi di noi e di cosa hai provato quel giorno dal notaio, devo e voglio essere altrettanto forte. Così, forse, il passato sarebbe superato e farebbe meno male. Sono orgoglioso, lo sai, ma...". Ross strinse convulsamente un lembo di lenzuolo nella mano. Era difficile per lui ma era qualcosa che doveva affrontare e la pace di quel momento e di quel giorno rubato alle loro vite, gli sembrava aver dato il coraggio per chiedere. “Ora voglio mettere da parte il mio orgoglio per cercare di capire chi è questo fantasma che si agita nella mia testa. Jeremy, da come ne parla... Quando parlava con me, ovviamente... Questo Hugh sembrava tanto perfetto... Come posso competere?”.

Demelza sospirò, colpita dal fatto che avesse parlato di orgoglio. Orgoglio ferito, sicuramente gelosia, dolore anche. Ma Ross fino a quel momento aveva saputo star rispettosamente al suo posto e se ora voleva delle risposte, era giusto dargliele e raccontare. Forse sarebbe stato difficile, tante volte era sfuggita a quel momento ma non poteva farlo in eterno. Sentì un groppo alla gola ma si impose di non farsene sopraffare e di essere finalmente forte per aprire del tutto quei dolorosi capitoli sul loro passato. “Non devi competere, tu sei tu e lui era lui. Troppo diversi per fare paragoni”. Si fermò un attimo a pensare a come fare, a come cercare le parole adatte per raccontargli di lui. Ross era orgoglioso, lo aveva appena detto, uno spirito caldo e sapeva che, anche se lui non aveva diritto di replica, quella conversazione poteva tradursi in qualcosa di molto sgradevole per entrambi. “Era un poeta, vedeva il bello in ogni cosa. Un sognatore, un idealista... Troppo giovane, troppo ricco, troppo abituato ad ogni comodità per capire le brutture della vita ma questo non lo rendeva indifferente ma solo molto ingenuo e sognatore. Una brava persona. Era dolce, mi amava sopra ogni cosa e amava i bambini. Ha insegnato a Jeremy la bellezza della lettura e Clowance era la sua principessa da viziare. Coi gemelli, quando sono nati, era impacciato, come in molte cose pratiche che si trovava ad affrontare per la prima volta. Loro erano piccoli, lui non aveva mai avuto a che fare coi neonati e spesso era divertente osservarlo mentre cercava di occuparsene... Li amava, li amava tutti i bambini. Era... E'... il mio elfo della nebbia”.

Elfo della nebbia? Ci credi pure tu come Demian? E' una fiaba”.

Hugh mi ha insegnato a credere nelle fiabe e di questo lo ringrazierò sempre. Serve anche questo, nella vita. La nebbia aveva un grande significato per noi... E' grazie ad essa che ci siamo conosciuti. E ad essa ci lega una promessa...” - sussurrò, ricordando quanto le aveva detto prima di morire, di cercarlo nella nebbia ogni volta che ne avesse avuto bisogno.

Ross impallidì e Demelza capì che doveva fargli molto male sentirla parlare di Hugh in quel modo. Ma non poteva evitarglielo, esattamente come lei non era potuta sfuggire a quel dolore dell'annullamento del matrimonio e a quanto ne era conseguito. Faceva tutto parte della medesima storia, cause ed effetti che si rincorrevano da anni. Demelza era stata sua moglie e un mondo nascosto a tutti e conosciuto solo a loro, li univa anche adesso. E ora Ross capiva che un altro mondo, stavolta a lui celato, l'aveva unita a Hugh. E mai lui ne avrebbe fatto parte. “Tu lo amavi?”.

La voce di Ross tremò, nel fare quella domanda. Demelza deglutì e tremò, come quando fu Hugh a porle lo stesso quesito. “E' così difficile da spiegare a parole, Ross. Pure lui mi ha fatto questa domanda, dopo la nascita dei gemelli. E all'epoca non ero riuscita a rispondergli e spiegargli appieno i miei sentimenti. Era tutto così difficile allora, in me e attorno a me. Mi ha toccato il cuore come nessuno mai, ci è riuscito perché avevo bisogno di sentirmi amata. Ha saputo conquistarmi e onestamente non ho ancora capito come abbia fatto perché non ero assolutamente alla ricerca di qualcosa del genere. Semplicemente ci sono caduta e una mattina ho capito che non volevo perderlo, che avevo bisogno di lui e che ormai faceva parte della mia vita di allora. Sapevo che non era come con te ma ho ceduto, lui pian piano mi ha fatta cedere sempre più con dolcezza, pazienza, calore. Mi ha dato un tipo di attenzioni di cui avevo disperatamente bisogno e che non avevo mai ricevuto da nessuno, mi ha sorretta quando non riuscivo a fare altro che piangere, mi ha sedotta quasi senza che io me ne accorgessi... Gli ho voluto bene, avrei dato tutto per salvarlo dalla sua malattia ma...”.

Ma?”.

Ma io non ho mai saputo restituirgli l'amore che lui dava a me. Non interamente, non come meritava... Il mio cuore, nonostante tutto, apparteneva ancora a te. Sono stata felice con Hugh, lui mi ha dato amore, una casa, una famiglia, dei figli e tante risate e serenità ma... Ma non mi sentivo completa e sapevo che quello non doveva essere il mio posto. E' difficile da spiegare ed era difficile da gestire. Lui lo sapeva, lo sapeva e non se ne è mai lamentato! Siamo stati felici, era il mio principe azzurro perfetto per quel tratto della mia vita, ma sapevo anche che alla lunga, finita la magia, finito il sogno, finita la favola... iniziata la vita vera, né io né lui ci saremmo sentiti a nostro agio davanti alla prospettiva di vivere un'intera esistenza che non era nelle nostre corde. E' stato qualcosa di magico con Hugh, magico forse perché limitato nel tempo e destinato ad essere breve, che ha raggiunto il culmine in una sera invernale nei giardini dove ora giocano i miei bambini. Su una panchina, tutti insieme, per la prima volta ho sentito che eravamo una famiglia vera. Che non era quella che avevamo noi a Nampara dove forse mai, io te e i bambini abbiamo trovato tempo solo per noi. E qui in questa città, qualcosa che avrei voluto a Nampara e che a Londra non avevo cercato, era diventata la mia ragione di vita. Ero una sopravvissuta che sentiva di avercela fatta.in quel parco, con le nostre mani tutte una sopra l'altra, la mia, la sua, quelle dei bambini e quelle minuscole dei gemellini che quella sera non volevano dormire, forse per la prima volta ho sentito che dovevo considerare quella, la mia nuova casa”.

Ross abbassò lo sguardo, con gli occhi arrossati. “Fa male sentirti dire queste cose. Ma suppongo di doverne essere felice per te e di doverle accettare come inevitabili, dopo quanto ho fatto”.

Demelza gli strinse la mano. “Avresti preferito una bugia? Che ti dicessi che lo avevo sposato per bisogno o perché costretta dalla gravidanza? Io volevo bene a Hugh, Ross... Come avevo detto a lui, esistono tanti modi di amare e ognuno in fondo sa essere meraviglioso. Ma non eri tu, Hugh non sarebbe mai stato come te ed entrambi lo sapevamo. Ma ciò che avevamo, ci bastava per essere comunque felici”.

Credo di capire cosa intendi”. Ross alzò la mano e le accarezzò la guancia, fronteggiandola. “Sapere di essere sempre stato altro ai tuoi occhi, di essere il tuo rimpianto, in fondo è una consolazione. E nemmeno questo merito. E' difficile comprendere che lo hai amato, che ha saputo farsi amare da te. Era perfetto a paragone con me che sono una persona pessima”.

Demelza sorrise. “Abbastanza pessima, sì” - disse, in tono leggero. “Ma l'ho sempre saputo” - concluse, dolcemente.

Era un poeta, giusto? Ti scriveva poesie?”.

Demelza annuì. “Sì, lo faceva”.

Me le faresti leggere?”.

Qualcuna, non tutte”.

Ross si accigliò. “Perché?”.

Lei arrossì, impercettibilmente. “Perché alcune sono piuttosto intime e private”.

A quelle parole anche Ross arrossì, sentendosi in imbarazzo. Eccolo quel mondo e quella parte di Demelza che sarebbe sempre stata solo di Hugh. E doveva rispettarlo e saperne stare fuori. Come Hugh probabilmente aveva accettato la sua presenza nel cuore di Demelza, nonostante tutto. “Scusa... Anche se, ora, forse dovrei sentirmi geloso”.

Demelza sorrise, ancora. “Potresti scrivermi delle poesie pure tu! E non le farei leggere a nessuno” - disse, prendendo un cuscino e tirandoglielo in faccia. Sentì di non aver più voglia di piangere, ora.

Ross scoppiò a ridere, lanciando il cuscino di lato. “Vuoi davvero che lo faccia?”.

Anche Demelza rise, di gusto. “No, non credo di volerlo”.

Per fortuna... Mi ci vedresti a scrivere poesie?”.

No, assolutamente! Al pensiero, sento che mi terrorizzerebbero i risultati”.

Ross la guardò e improvvisamente tornò serio, spezzando quel momento leggero. Si avvicinò, poggiò la fronte contro la sua e la sua espressione tornò ad essere ferita. “E ora che si fa? Vederti qui è molto più di quello che avrei sperato ma... non mi basta. Non più”.

Lei si morse il labbro, provava le medesime cose. Essere amanti clandestini aveva dato loro un brivido e una leggerezza che non gli apparteneva da tanto, ma poi...? Poi erano soli e ad ognuno mancava una parte dell'altro. “Non posso darti di più e lo sai. Ci sono i bambini, Jeremy non ne vuole sapere di te e io devo mettere loro al primo posto”.

C'è una via d'uscita? Si può tornare indietro?”.

Demelza lo baciò. “Non si può tornare indietro ma forse si può andare avanti. Dobbiamo solo capire come...”. Non era un no, era una speranza quella che gli stava dando, un riaprirgli la porta come aveva già fatto altre volte in quei mesi. Ma non sapeva come fare e sperava che, insieme, avrebbero trovato una soluzione. Si rese conto che una soluzione la voleva, anche lei. La voleva sempre più...

Lo faremo, come mi hai promesso al rinfresco dei Thompson.” - disse lui, baciandola sulle labbra. “Insieme, come sempre”.

Come sempre...” - mormorò lei, contro le sue labbra. “Ross?”.

Sì?”.

Abbiamo sempre saputo guardare avanti, noi due, quando c'erano problemi. Non abbiamo mai avuto paura di farlo, insieme...”.

Ross la baciò sulle labbra. “E' vero...”.

Ecco, ora poteva spiegare appieno la differenza fra lui e Hugh, ora aveva le parole giuste sulla punta della lingua. Parole che non sminuivano nessuno dei due, rispettandone le variegate peculiarità caratteriali. “Ed è questo che differisce, fra te e Hugh. Proprio quello che hai appena detto! Lui mi sarebbe stato accanto mentre combattevo IO le mie battaglie, tu le hai sempre combattute con me invece...”.

Ross spalancò gli occhi, rendendosi conto che in quella frase c'era tutto. Di lei, di lui, di loro e della loro storia... La baciò, con passione, catturato dalla sua presenza e dalle sue labbra. “Demelza...”.

Lei sorrise. “Non voglio più parlare, ora. Ho ancora tempo prima di tornare a casa e desidero solo... fare l'amore con te. Poi andrò dal restauratore, al parco a riprendere i bambini, sarò lady Armitage e penserò... a come uscire da tutto questo, con te”.

Ross la baciò, impedendole di parlare. Si stese su di lei e mentre la brezza dell'aria quasi estiva accarezzava i loro corpi entrando dalla finestra aperta, fecero di nuovo l'amore.



Il sole stava calando quando arrivò ai giardini di Kensington, pieni di tate affaccendate e bambini schiamazzanti. Si sentiva stranamente leggera e allo stesso tempo stanca, quel pomeriggio. Ma mentre camminava, si rendeva conto anche che quelli erano forse i primi veri passi verso una nuova vita. Ora sapeva cosa voleva, lo sapeva davvero! Anche se trovare il modo per ottenerlo, sarebbe stato complicato.

Col quadretto restaurato in mano che era appena andata a recuperare dal restauratore, si avvicinò al laghetto dove stavano giocando Clowance e Jeremy, intenti a lanciare dei chicchi di grano ai cigni.

Mamma!”.

I bimbi le corsero incontro appena la videro e lei sorrise loro, accogliendoli fra le sue braccia. “Allora, come è andato il pomeriggio?”.

Jeremy sospirò, come preoccupato da qualcosa. “E' successa una cosa strana! Catherine ha detto che ora vuol fidanzarsi con Lukas Smith. Non mi ama più, ha detto”.

Demelza alzò un sopracciglio, divertita. “Dovresti esserne contento, no?”.

Jeremy però, stranamente, sembrava contrariato. “Sì! Però non si fa così! Prima dice che ama me e poi solo perché io non la guardo, cambia idea! E' poco serio, no?”.

Lei rise, abbracciandolo e scompigliandogli i capelli. Era decisamente orgoglioso e contorto, come Ross, nei sentimenti. “Sarà stata stanca di sentirsi rifiutata! E tu non puoi pretendere che la gente ti segua in eterno come un cagnolino. E che questo ti sia da lezione”.

Clowance sfiorò il quadretto che teneva fra le mani. “E' il quadro pasticciato da Demian?”.

Sì, tornato come nuovo! Non dite nulla allo zio, quando torna”.

Clowance e Jeremy risero guardandosi negli occhi, divertiti da tutti quei segreti fra loro. “Posso vederlo?” - chiese la bambina.

Demelza annuì, levando il piccolo involucro di stoffa che lo proteggeva. Era un quadretto piccolo, rappresentante delle scogliere sul mare. “Eccolo”.

Il mare?!” - chiese Jeremy.

Gli sorrise. “Sì. Questo posto somiglia molto a dove siamo nati noi, sapete?”.

Clowance osservò il quadro, assorta. “E' così grande, il mare? Più grande di questo laghetto nel parco?”.

Infinitamente più grande, non se ne vede la fine”.

Jeremy e Clowance si guardarono negli occhi e per la prima volta, Demelza scorse in loro un po' di curiosità per le loro origini. Li prese per mano e li invitò a sedersi con lei, nell'erba. Era il momento, forse, di parlare con loro, anche se di certo doveva prendere l'argomento molto alla larga per non farli chiudere in se stessi. Doveva approfittare di quel momento nel modo giusto, pensò. “Se fossimo rimasti a vivere lì, vi avrei portati al mare ogni giorno. Avremmo camminato nell'acqua e sareste stati felici di correre sulla sabbia, avreste visto i mille colori dei pesci che popolano il mare e avreste imparato a riconoscerne le diverse specie”.

Ti piaceva il mare, mamma?” - chiese Jeremy.

Certo. E amavo anche pescare! Ero brava, sai? Tanto brava che quando stavi per nascere tu, ero in barca con la canna da pesca in mano”.

Jeremy e Clowance spalancarono gli occhi. “Tu mamma, pescavi? Col pancione?”.

Demelza annuì, ricordando quel giorno in cui aveva disubbidito a Ross, si era messa nei guai e lui l'aveva salvata, portandola a casa per partorire mentre per strada litigavano furiosamente. “Certo che lo facevo! E sapevo andare in barca più che bene! Ma quel giorno ho esagerato e ho messo in pericolo me e te, mio povero piccolo Jeremy... Tuo padre, ci ha salvati... E' corso in acqua, in mezzo alle onde molto alte, mi ha tirata a forza fuori dalla barca e mi ha portata a casa, dove Dwight ti ha fatto nascere”.

Al sentire parlare di Ross, Jeremy abbassò lo sguardo ma non si ritrasse come le volte precedenti. La curiosità parve vincerlo. “Lui è venuto a salvarci? Davvero?”.

Lo accarezzò sul viso. Quel giorno aveva ricordato fatti orribili ma ora i suoi figli le stavano facendo rivivere anche momenti bellissimi e purtroppo lontani, che a lungo aveva rimosso da mente e cuore. “Davvero... Eravamo bagnati come pulcini, entrambi. E lui era arrabbiato per il fatto che fossi uscita... Mi disse che avremmo continuato a litigare dopo la tua nascita”.

Jeremy si accigliò. “E lo avete fatto?”.

No. Quando sei nato siamo stati ore ad osservarti, innamorati di te. E ci siamo dimenticati che dovevamo litigare”.

A quel racconto Clowance si alzò, prendendo un sassolino che poi lanciò nel laghetto. “Allora solo io non ho avuto il papà vicino, quando son nata. Era pure inverno e nemmeno è venuto a vedere se avevo freddo e doveva accendere il camino”.

Jeremy abbassò lo sguardo, forse sentendosi in colpa per non poterla aiutare e consolare. Era confuso in quel momento, si vedeva che il racconto della sua nascita lo aveva colpito e comprendeva anche lui che per Clowance doveva essere difficile sapere di non avere avuto il medesimo trattamento. E Demelza sentì di dover agire, ricordandosi proprio delle parole di Ross di poche ore prima. Si avvicinò alla sua bimba, la abbracciò e poi la baciò sulla fronte. “Ti avrebbe amata, si sarebbe innamorato di te all'istante. Non ha potuto esserci ma sai che vuol dire, per lui?”.

Cosa?”

Che ti ha lasciata con chi sapeva che ti avrebbe voluto bene. E che per sempre si è privato di ogni tuo ricordo di quando eri piccola. Soffrirà per tutta la sua vita per questo, te lo assicuro. Io lo conosco e so che non aver potuto amarti e starti vicino sarà una condanna eterna per lui, che lo farà star male sempre”.

Clowance non rispose subito, ma lasciò che la abbracciasse. “Era meglio se decideva di soffrire meno e veniva. No?” - sussurrò.

Certo. Ma non si può tornare indietro e lui è un uomo con tanti pregi ma che sbaglia, come tutti. Ma lo ha capito, sai? E questa è una gran cosa, molti non sanno capire i propri errori. Sa che ha sbagliato molto e che noi abbiamo pagato per lui... Ma so che ti avrebbe regalato il mondo se avesse potuto, Clowance. Lo so per certo”.

La piccola non rispose più. Si rannicchiò fra le sue braccia, coprì con la stoffa il quadro che raffigurava il mare e poi chiese di tornare a casa.

E Demelza in cuor suo sperò di aver scalfito, almeno in parte, qualche crepa nel suo animo.




  
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