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La compagnia si allarga -
Avanza
a passi cauti e leggeri nel corridoio in ombra, notando che con il
procedere nell’addentrarcisi esso si fa di momento in momento
più buio; ha la niente affatto piacevole sensazione che fin
troppo presto non sarà più in grado di distinguere
un’ombra dall’altra, neppure da sé stesso.
«In
che guaio sto andando a infilarmi?» riflette cupo fra sé.
Nonostante
le sue preoccupazioni non arresta i propri passi e prosegue invece
con decisione, risoluto a fare la sua parte, non potendosi però
impedire di voltare lo sguardo di tanto in tanto per accertarsi che
alle sue spalle la luce di Arawn ancora brilli fioca, anche se sempre
più distante.
Un
lieve baluginio nell’oscurità attira la sua attenzione e
il suo sguardo si fa più affilato. Affretta il passo, appena
sfiorando il suolo, e presto, con sua somma sorpresa, raggiunge il
punto che ha attirato il suo interesse, scoprendo trattarsi di una
roccia rialzata e levigata, sulla quale sono state deposte bracciate
intere di armi dalle fogge più disparate e completamente alla
rinfusa. Qualcuna di quelle creature al servizio di Nemain deve avere
la direttiva di trasferire in quel punto le eventuali armi sottratte
alle prede notturne. Piacevolmente rinfrancato da quella vista,
scopre che in mezzo al mucchio sono presenti anche le sue due spade,
delle quali si appropria rapace e senza indugio alcuno. Un sorriso
spontaneo, seppur striminzito e un poco malato, spunta sulle sue
labbra nell’osservare le lame riflettere la scarsa luce di quel
sottosuolo. Fa scorrere l’occhio sul corridoio che più
avanti diviene cunicolo, rinserra la presa sull’elsa delle
spade e riprende lesto il cammino.
Non
troppi passi dopo è però costretto a incurvarsi
seguendo il volere della strada davanti a sé, il cui soffitto
si fa inesorabilmente più accosto al pavimento. Se da un lato
i suoi piedi sono occupati a scansare spaccature nelle pietre appena
abbozzate e la sua bocca è parimenti impegnata a formulare
borbottii e imprecazioni, tuttavia i suoi occhi rimangono attenti e
lo mettono in allerta su una nuova presenza. Questa volta si vede
costretto a arrestare bruscamente la propria avanzata, lo sguardo
fisso su altri due occhi, più grandi e cupi, che rifrangono a
stento l’ormai quasi assente luce lontana. Un basso ringhio lo
avvisa che deve essersi appena inoltrato in territorio ostile (per lo
meno, più ostile del precedente). Osserva con una certa
inquietudine mista a curiosità quei due occhi fissi nei suoi
fino a che li nota spostarsi impercettibilmente indietro. Il pensiero
ha appena il tempo di raggiungere la sua mente quando la creatura cui
appartengono gli occhi balza scattante in avanti per ghermirlo,
mancandolo di un soffio poiché Pitch ha saggiamente seguito
l’esempio facendo a sua volta un balzo indietro; poi scarta
bruscamente di lato, per quanto glielo permetta la parete, così
da scansare di stretta misura gli artigli affilati della creatura; un
leopardo indiano, nota con la coda dell’occhio mentre è
impegnato a schivare una nuova zampata diretta al suo inguine. Il
felino appiattisce le orecchie sul cranio e tenta un affondo con le
zanne, ma la mascella schiocca a vuoto nell’aria dal momento
che Pitch è scattato all’indietro e lo tiene a
rispettosa distanza con le spade.
«Hai
fame, micetto?» mormora con delicatezza, tenendolo
costantemente d’occhio. «Non sono molto ospitali da
queste parti, vero?».
Il
ringhio del felino diventa un cupo borbottio mentre le sue orecchie
sfarfallano su e giù, intente ad ascoltare la voce vellutata
di Pitch.
«Sono
ragionevolmente sicuro di poter ritrovare la via per tornare là
fuori, sai? Se lo vuoi, posso mostrarla anche a te» tratta,
continuando a parlare con tono pacato e a muovere le spade in sinuose
curve davanti a sé.
I
grandi e attenti occhi del leopardo, sempre occupati a controllare i
suoi movimenti, sembrano appannarsi per una frazione di secondo; la
lunga coda spazza il terreno una volta, poi si posa placida al suolo;
si accuccia, più calmo, e ruota la testa mostrando la sua
confusione.
Un
angolo delle labbra di Pitch si solleva appena, rilassa le spalle e
piega le ginocchia. «Bene così. Bravo micetto. Hai un
nome?» sussurra, posando una delle due spade a terra e
allungando la mano libera fino a raggiungere il pelo morbido sul
collo del felino. «Non importa, lo scopriremo in un secondo
momento. Ora esci con me, coraggio. Troverai di certo ciò di
cui hai bisogno, e forse molto di più» promette.
*
Rilascia
un lungo sospiro sollevato, ritrovando la pallida luminosità
creata da Arawn là dove l’aveva dovuta lasciare non
troppo tempo prima: all’incrocio dei corridoi. Nulla è
davvero andato come si aspettava, e di ciò dovrà in
qualche modo rendere conto alla divinità. Tuttavia le loro
possibilità di riuscita sono ancora intatte e questo dovrà
pur contare qualche cosa, giusto? D’accordo, forse no dopo
tutto, almeno a giudicare dall’occhiata allucinata di Arawn
alla sua ricomparsa.
«Quello
cosa sarebbe?» sibila, mostrando per la prima volta un tono
alterato.
Pitch
inarca un sopracciglio, scettico, si guarda un breve istante alle
spalle e si schiarisce la voce con discrezione. «Un gatto»
replica asciutto.
«Un
gatto di oltre settanta chili?» sbotta Arawn, sembrando appena
un filo isterico.
Pitch
lo fissa con intensità, poi ghigna malevolo. «Non me lo
dire: sei allergico al pelo di gatto?».
Lo
sguardo che gli indirizza Arawn fa pensare che sia in procinto di
ridurlo in polvere seduta stante. «Per tua fortuna, no. Ma
rammenta di consultarmi, la prossima volta, se mai deciderai di voler
adottare altre creature pelose».
«Farò
il possibile per tenerlo a mente» promette Pitch con falsa
solennità.
«Ottimo.
Qualche altra buona notizia?».
«In
effetti, sì: ho ritrovato le mie spade» annuncia con
visibile soddisfazione.
Gli
occhi impensieriti di Arawn si staccano a fatica dal grosso felino
acquattato accanto alle lunghe gambe dello spirito e scorrono sulla
nera figura di Pitch, notando solo allora le due lame scintillanti
strette saldamente fra le sue mani pallide.
«Vedo.
Se non altro questa è davvero positiva» recrimina
acido.
Pitch
dà un piccolo sbuffo. «Qual è il problema? Non li
avete gli animali nel vostro mondo?».
Arawn
pianta su di lui uno sguardo pensoso e un po’ seccato. «Sì,
li abbiamo. E di solito è un miracolo sopravvivervi dopo
averne incontrato uno. Sempre che, chiaramente, non si tratti del
proprio cavallo» racconta.
«Bel
posto» commenta Pitch con sarcasmo ben poco velato. «Ricordami
di non accettare mai un tuo invito a venire a trovarsi a casa tua.
Comunque, per tua informazione, era da sola e aveva fame; non mi
andava di lasciarla lì. È davvero un luogo orrendo, e
te lo dice qualcuno che di posti simili ne ha veduti fin troppi»
borbotta piccato.
Ad
Arawn sfugge un sorriso che è però presto costretto a
inghiottire, vista l’occhiataccia ammonitrice dello spirito.
«Che dolce» non riesce tuttavia a fare a meno di
considerare, mordendosi le labbra per non scoppiare a ridere. «Come
sai che si tratta di una femmina?» domanda quindi, incuriosito.
Nel
mentre fa un paio di passi avanti per accostarsi al duo e a quel
punto il felino decide che sono già troppi, levandosi lesto
sulle zampe robuste e scattanti e sibilandogli contro, mostrando con
orgoglio la candida e perfetta dentatura al completo.
«Hai
la reale necessità che ti risponda?» ribatte Pitch con
ironia.
Sospira
mesto, osservando il felino strusciarsi sfacciato contro il fianco
dello spirito, e scuote la testa. «No, suppongo di no. Vogliamo
andare, quindi?».
Pitch
annuisce e si mette in testa al terzetto, tallonato dal leopardo e
con Arawn nelle retrovie con l’inespresso compito di
controllare che nessuno di sgradito li segua. Lo spirito si sente un
poco più sicuro da quando può di nuovo contare sulle
sue armi materiali, spera solo di non doverle utilizzare troppo
presto; un poco di tranquillità non sarebbe una cattiva idea,
ma fintanto che si troveranno all’interno del territorio di
Nemain quella è per forza di cose una prospettiva lontana,
tanto da apparire quasi come un fioco miraggio.
Nel
frattempo hanno percorso un buon tratto della galleria in luce, senza
peraltro incontrare alcun genere di ostacolo. Se da un lato questo
può senz’altro essere annoverato fra i fatti positivi,
dall’altro preoccupa sia Pitch che Arawn poiché non
sanno cosa dovranno attendersi sulla strada che stanno percorrendo.
Di sicuro c’è che l’aria è diventata meno
pesante, così come la luce appare più vivida, ed
entrambi sperano che ciò significhi l’approssimarsi
dell’uscita.
Un
mugolio distrae i pensieri sia di Pitch che di Arawn.
«Il
tuo gatto deve essersi stancato di andare a zonzo per queste
gallerie» fa notare Arawn.
«Non
è mio» tiene a precisare Pitch. «Ma posso di certo
comprendere il suo stato d’animo, e condividerlo persino»
ammette.
«Vorrei
solo essere certo che non ci toccheranno spiacevoli incontri, una
volta fuori da qui» decide di esternare Arawn.
«Mi
trovi d’accordo. Al contempo sono nel dubbio se augurarmi che
sia giorno oppure notte, oltre queste spesse mura» considera
Pitch.
Arawn
osserva pensieroso la schiena dello spirito poco più avanti.
«Il giorno ti crea problemi?» indaga, incerto.
«La
luce del sole tende a indebolire i miei poteri, che appartengono
all’oscurità. Immagino succeda un po’ come i
luoghi chiusi e bui agiscono sui tuoi».
Le
labbra di Arawn si storcono in una smorfia che appare infastidita,
oppure preoccupata. «In questo caso speriamo che sia già
scesa la notte. Magari contornata da una luna piena».
Un
soffio stizzito scatena la perplessità della divinità,
la quale sposta alternativamente lo sguardo confuso da Pitch al
leopardo e viceversa, incerto sull’origine di quel suono.
«Erano
tue le rimostranze, questa volta?» decide quindi di sincerarsi.
«Lo
erano» conferma Pitch in tono polemico. «Ho un conto in
sospeso con la luna, o per meglio dire, con la creatura che in essa
dimora».
Arawn
socchiude le labbra, attonito e sorpreso. «C’è
qualcuno nella luna?» chiede incredulo.
«Purtroppo»
asserisce lo spirito. «Se dipendesse da me, potrebbe benissimo
essere vuota e gelida. Perderci non ci perderebbe, anzi».
Dopo
un lungo momento di silenziosa riflessione, Arawn si decide a farsi
avanti. «Dimmi, sono indiscreto se chiedo di che genere di
dissapore si tratta?» arrischia curioso.
«Tremendamente»
replica Pitch in modo succinto e molto definitivo.
Arawn
rinserra le labbra, un poco risentito, ma è presto costretto a
lasciare da parte il proprio disappunto e affrettare il passo, perché
non solo Pitch sta praticamente correndo, ora, ma anche lui ha
avvertito l’approssimarsi di una presenza e preferirebbe non
dover fare altri brutti incontri. Spalanca gli occhi e segretamente
prega che il suo compagno di fuga non abbia modo di percepire i suoi
sentimenti non propriamente edificanti, o di certo finirà nei
guai (più di quanti se ne trovi già fra i piedi).
«Non
distrarti» gli sibila Pitch, senza rallentare l’andatura
e stringendo con forza le spade.
Il
leopardo corre agile fra di loro, senza produrre alcuno suono
percepibile, ma Arawn si accorge che neppure lo spirito sembra fare
rumore, quasi non respirasse nemmeno. Vorrebbe indagare sulla
stranezza appena constatata, ma comprende bene che quello non è
proprio il momento adatto per soddisfare le sue curiosità,
pertanto fa come gli è stato detto: si concentra sul percorso
e sul ritmo dei suoi piedi che toccano terra, attento a ogni altro
suono che possa risultare fuori posto.
*
Nessuno
dei due lo realizza appieno fino al momento in cui avvertono il
freddo del vento del nord sulla pelle: sono fuori, infine, ed è
ormai il crepuscolo, a giudicare dalle striature violacee che tendono
al blu del cielo. In realtà ad Arawn poco importa se non può
ancora rivedere il caldo sole sfavillante; ciò che invece
davvero conta è non trovarsi più nei claustrofobici
sotterranei dell’edificio che si sono appena lasciati alle
spalle. L’unico piccolo problema (che in effetti poi così
piccolo non è) lo nota solo in un secondo momento, ma riesce
comunque a far precipitare la sua ritrovata gioia iniziale sotto i
piedi: sono praticamente circondati; di fronte hanno decine di quegli
uomini che davvero umani non sono, alle spalle i cunicoli dai quali
proviene il sinistro scalpiccio di passi affrettati forieri di altri
guai in arrivo. Si lascia sfuggire un gemito di sconforto, al quale
risponde uno sbuffo da parte di Pitch che al contrario sembra molto
più seccato piuttosto che depresso.
«Avremo
un po’ da fare, temo» commenta piano lo spirito.
«Un
po’?» replica Arawn, abbastanza in disaccordo con la
linea d’azione che crede di aver intuito nelle intenzioni dello
spirito.
«Dubito,
in tutta onestà, che intendano lasciarci passare
indisturbati».
«Questo
l’avevo capito benissimo, grazie mille» borbotta Arawn un
po’ scontroso. «Mi serve del tempo per tirarci fuori da
questo pasticcio» esala angosciato.
«Per
l’appunto» conferma Pitch senza in apparenza condividere
la sua preoccupazione. «Ma ho le mie spade, ora. E, ammetto,
scarsa voglia di lasciarmi catturare una seconda volta. Pertanto
spero non abbia a dispiacerti se ci sarà qualche cacciatore in
meno su questa terra, a breve».
Quella,
pondera Arawn con una punta di amarezza e preoccupazione, pare
proprio una minaccia in piena regola. «Se lo credi necessario…»
tenta di mediare.
«Lo
credo» conferma succinto, avanzando al contempo di qualche
passo e variando di un soffio la presa delle dita sull’elsa.
E
davvero, l’ultima eventualità che auspica Pitch è
di tornare a marcire là sotto; una volta gli è stata
sufficiente per il resto dei suoi giorni che si augura siano ancora
molti e meno oppressivi; anche se, a giudicare dal numero in costante
aumento delle pedine in campo non ci giurerebbe affatto. Assottiglia
le palpebre, risoluto a non permettere loro di mettergli di nuovo i
piedi in testa.
All’ennesimo
passo avanti avverte una leggera pressione contro il proprio fianco e
con la coda dell’occhio individua l’ormai conosciuta
presenza del leopardo, il quale sembra intenzionato a rimanere
accanto a lui anche in quel frangente. Pitch si augura che sappia ciò
a cui sta andando incontro, poiché non crede affatto di poter
trovare il tempo materiale per badare anche alla di lei incolumità,
non in una situazione tanto sfavorevole.
Infine
il tempo per gli indugi volge al termine e i due gruppi di cacciatori
radunatisi fino a quel momento attorno ai tre fuggiaschi decidono di
porre fine al loro tentativo. Ma Pitch, consapevole del loro
svantaggio numerico, non si fa trovare impreparato di fronte al primo
attacco e, sotto il tiro incrociato di arcieri e balestrieri, muove
velocemente le labbra ergendo attorno al loro piccolo gruppo uno
scudo fatto di magia che brucia in volo ogni singolo dardo prima che
questi abbiano la possibilità di colpirli.
«Ben
fatto» esclama Arawn in tono sorpreso e affascinato.
«Tsk!
Con che gente di poca fede mi tocca avere a che fare» borbotta
Pitch con fare bisbetico, in parte offeso dalla palese incredulità
dimostrata dall’altro.
Al
signore dell’Annwn sfugge un risolino, decisamente fuori luogo
dato il contesto, meritandosi infatti un’occhiata molto seccata
dallo spirito oscuro.
«Invece
di perderti in inutili ilarità, che cosa ne pensi di iniziare
a rimboccarti le maniche per toglierci da questa scomoda situazione?»
sibila Pitch.
Arawn
è indeciso se sentirsi o meno oltraggiato per aver ricevuto
quel palese ordine malamente mascherato da richiesta ben poco
cortese. Ma non gli occorre molto per comprenderne la validità:
è sufficiente dare uno sguardo a ciò che li circonda
per sapere con certezza che non resta loro molto tempo né
grandi possibilità. Annuisce, cercando come meglio può
di concentrarsi sui propri poteri e lasciare fuori ogni altra
questione, perfino l’ombra del timore che avverte agitarsi
dentro. Non ha affatto bisogno di complicarsi ulteriormente la vita
pensando a come la situazione potrebbe facilmente peggiorare, a loro
svantaggio naturalmente.
Mentre
raduna con attenzione forze e conoscenze in egual misura, i suoi
occhi scorgono ancora il conflitto che si sta svolgendo al di fuori
della sua mente; seppur tentando di non prestarvi eccessiva
attenzione, non può esimersi dal notare che la barriera magica
eretta pocanzi dallo spirito oscuro allo scopo di proteggerli
dall’offensiva dell’esercito di Nemain si sta
gradualmente sfilacciando, perdendo ogni momento di più un
poco della sua energia. Rinserra gli occhi, deciso a non lasciarsi
distrarre con il fondato rischio di commettere qualche errore e, nel
momento in cui avverte le energie collidere creando i giusti
presupposti, schiude le labbra e bisbiglia «È il
momento» sperando che lo spirito oscuro lo abbia sentito.
Pitch
ha raccolto le sue parole, ma non è così certo di poter
fare qualcosa in proposito. Sta consumando la propria magia per
permettere loro di sopravvivere ancora un poco e non crede affatto di
potersi permettere molto altro, sul momento. Un lieve gemito scivola
fra le sue labbra livide, attirando su di sé l’attenzione
della divinità.
Arawn,
suo malgrado, si vede costretto a riaprire gli occhi per accertarsi
dell’attuale situazione e, solo allora, nota lo stato dello
spirito oscuro e digrigna i denti. Ha compreso che dovrà con
tutta probabilità pensare egli stesso a mantenerli uniti.
L’idea, inutile sottolinearlo, non lo alletta in particolar
modo, eppure è anche consapevole che è davvero giunto
il momento, il suo turno di fare qualcosa di concreto per la loro
salvezza. Spera solo di riuscire a mantenere la propria
concentrazione ai livelli adeguati all’impresa che si accinge a
compiere. Ma, d’un tratto, non c’è davvero più
tempo di indugiare né gingillarsi con le domande, resta solo
quello appena sufficiente per prendere la decisione più
giusta.
Si
sporge, afferrando con una mano la spalla spigolosa dello spirito
oscuro, mentre affonda le dita dell’altra nella morbida
pelliccia del collo del leopardo, poi si riappropria di tutta la
concentrazione che è in grado di racimolare e sceglie: sceglie
di espandere il proprio potere lì, nel mondo degli esseri
umani, creando in esso una frattura sufficientemente ampia da
permettere loro di sfuggire alle pericolose grinfie di Nemain e del
suo esercito; sceglie di ignorare il proprio codice morale e fare
consapevolmente violenza su quella dimensione per portare in salvo le
loro effimere esistenze.
Un
momento dopo Arawn, Pitch e il leopardo svaniscono nel nulla sotto lo
sguardo attonito di qualche decina di cacciatori e della loro signora
del caos.
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