Capitolo XX
Soltanto un mese
«Pensi
che
questo sia più adatto a illustrare la leggenda di Tanabata?»
Taro
inforcò gli occhiali ed esaminò il disegno che
Kumi gli aveva appena passato.
Era uno degli ultimi che, seduti sul
letto di lui, stavano
scorrendo per scegliere quali versioni proporre per il nuovo numero
della
rivista con cui la ragazza aveva iniziato a collaborare.
Era
stato abituato a
essere obiettivo fin dalla più tenera età, con
suo padre che gli aveva
insegnato a non temere di criticare i suoi quadri e a indicargli
schiettamente
quello che non lo convinceva.
Il
suo parere era
imparziale ma non vincolante e alla fine Kumi decideva sempre in
completa
autonomia, anche se più di una volta i consigli del suo
ragazzo si erano
rivelati preziosi.
Lei
lo osservò, per
cercare di intuire cosa ne pensava, certo … ma anche
perché quella montatura
gli dava un'aria da giovane professore che avrebbe fatto breccia in
molte
studentesse, se avesse intrapreso quella strada anziché
quella calcistica.
«Secondo
me, il più
rappresentativo è questo, ma quest'altro» disse,
riprendendone in mano uno
passato in rassegna poco prima «è più
di impatto.»
Kumi
prese i disegni
dalle sue mani e li confrontò, un po' indecisa.
«A
me questo piace di
più ...» commentò infine, increspando
un po' le labbra.
«Sono
belli entrambi,
Kumi. Tu porta a Fuji questi due e magari ne discuterai con i redattori
e con
il direttore.» le suggerì. «Potrebbe
pure succedere che te li scelgano tutti e
due.» ammiccò.
«Non
sono la loro
unica illustratrice.» rise, seppur compiaciuta.
Posò
i fogli sul
letto, afferrando poi un altro disegno.
«Questo
voglio
regalarlo a Elena. Che ne dici?» gli chiese, mostrandogli un
ritratto della
bionda insegnante in un'elegante posa ginnica.
«Dico
che ne sarà
felice.»
«Sai
… stamattina mi
ha telefonato. Lei e Wakabayashi si sono dichiarati e si sono anche
baciati. E
passeranno gran parte di questi due giorni insieme.» disse,
con un sorriso
raggiante.
«Sì,
anche Wakabayashi
me l'ha raccontato, addirittura ieri sera. Era appena tornato a casa.
Quel
ragazzo è riservato e sembra un blocco di granito tra i pali
di una porta, ma
quando prova dei sentimenti è come la lava di un
vulcano.»
«Sono
felice per loro.
Sembra quasi voluto dal destino. Entrambi sono venuti qui dopo che il
mondo era
crollato loro addosso, e ora possono cominciare la loro nuova vita,
insieme.»
Taro
sorrise,
perfettamente concorde.
«Posso
provare i tuoi
occhiali?» gli chiese dopo alcuni attimi di silenzio,
tendendo le mani.
«Va
bene.» rispose,
togliendoli e dandoli alla ragazza che li prese con cautela e li
indossò.
«Ah,
non vedo niente!
Ma quante diottrie ti mancano, Misaki?» rise, guardandosi
intorno tenendo le
dita premute sulle stanghette della montatura.
«Ma
smettila,
ragazzina insolente che non sei altro!» esclamò,
afferrandole i fianchi e
buttandola di peso sul letto, facendole emettere un gridolino divertito.
Si
ritrovò sopra di
lei, le mani appoggiate sul materasso.
Rimasero
a guardarsi.
Il
respiro di Kumi era
accelerato, come dimostrava il rapido alzarsi e abbassarsi del suo
petto.
Le
sfilò gli occhiali
dal viso e li posò sul comodino accanto.
Lei
allungò una mano
ad accarezzargli una guancia, raggiungendo l'attaccatura dei capelli.
Taro
la guardò. Era
sempre più bella … aveva lasciato crescere ancora
i suoi capelli, che ora
superavano di poco le spalle e la luce del sole vespertino si
riverberava sui
suoi occhi attraverso la finestra aperta, rendendoli di un bellissimo
colore
ambrato.
Si
chinò e lambì piano
le sue labbra, facendo una lieve pressione per indurla a schiuderle.
Lei
sollevò le braccia
e gliele mise attorno al collo, lasciando che il ragazzo si stendesse
su di lei
e rendesse più intimo il loro contatto, tenero dapprima, poi
sempre più
intenso.
Sussultò
quando
avvertì le mani di lui scendere lentamente e infilarsi sotto
la sua maglietta,
accarezzandole i fianchi. Quasi contemporaneamente le sue labbra
lasciarono la
bocca di Kumi e scesero sulla morbida pelle del collo, facendola
sospirare e
socchiudere gli occhi.
Con
una mano intanto
prese ad accarezzarle una gamba e risalendo sfiorò
l'inguine, e lei si lasciò
sfuggire un gemito.
«Taro
… io non …»
mormorò.
Lui
seppure
riluttante, sollevò la testa, sorrise e le
accarezzò il viso. La desiderava, ma
ancor di più la rispettava. Non l'avrebbe mai forzata a fare
un passo per cui
non si sentiva pronta.
«Non
ti preoccupare.
Aspetterò … l'importante è che non sia
per colpa di quel bastardo.» aggiunse,
guardandola attento.
Kumi
sgranò gli occhi,
poi scosse la testa sorridendo.
«No,
assolutamente.
Non potrei mai confonderti con quel tipo.»
Lui
si sollevò e lei
si mise a sedere raccogliendo le gambe tra le braccia.
«Sai,
qualche mese fa
mentre guardavamo in tv la partita contro la Thailandia, Elena mi disse
che eri
un ragazzo sensibile e le veniva naturale fidarsi di te. Aveva
ragione.»
Taro
sorrise.
«Mi
ha anche detto che
quando vi siete conosciuti, si è presa una cotta per
te.»
Il
giovane increspò le
labbra in una smorfia divertita. «L'avevo sospettato. Certo
lei era molto
carina e simpatica, e aveva molta grinta. Era una via di mezzo tra te e
Sanae
ai tempi in cui era capotifosa della Nankatsu. Una "Anego"
più femminile.
Ma aveva solo tredici anni e io stavo per tornare in Francia. E poi la
consideravo un'amica.»
«L'hai
sempre
considerata solo un'amica? Anche quando l'hai vista anni
dopo?»
«Sì.
Ma perché tanta
curiosità? Pensavi anche tu che fossi innamorato di
lei?»
Kumi
sorrise e
assentì.
«Eri
sempre così
premuroso nei suoi confronti. Dopo le partite chiacchieravate sempre
insieme,
sembrava quasi che vi deste appuntamento.»
«Erano
semplici scambi
di parole tra amici.»
«Sai
… io ero gelosa.»
Taro
spalancò gli
occhi. «Già allora?»
La
ragazza fece un
cenno d'assenso, arrossendo leggermente. «Da quando sono
venuta a trovarti con
gli altri ragazzi al Centro di Medicina Sportiva, a Gotenba. Stavi
affrontando
una riabilitazione durissima dopo due gravi infortuni e tu eri
così sereno e determinato.
Mi è scattato qualcosa dentro e da allora non ho
più potuto pensare a te come
facevo prima.»
«Non
mi hai mai fatto
sospettare niente …» replicò, stupito.
Kumi
allargò le
braccia «Perché avevi sempre qualcun'altra.
All'epoca stavi con Hayakawa, poi
sei andato a Iwata e ti sei messo con quella giovane cuoca. E in questi
mesi ho
frainteso il tuo rapporto con Elena. Ho cercato di farmela passare, per
non
soffrire. Poi la nostra passione in comune ci ha fatti avvicinare e
proprio a
Sydney, ho capito che forse avevo delle
possibilità.»
Taro
strinse le
labbra. «Quella sera ero irritato con me stesso, per non
averti invitata prima
di quello schifoso. E non solo per quello che ha cercato di
farti.»
«Oh,
ma allora ero
riuscita a farti ingelosire!» gioì come se quella
scoperta avesse avuto il
potere di lenire almeno in parte la pena di quel ricordo, avvicinandosi
a lui e
assumendo una posa da gattina maliziosa.
Taro
ridacchiò
«Mettiti composta, Sugimoto. Quella è una
posizione pericolosa.»
«Guarda
che voler aspettare un po' prima di concedersi non significa essere
frigide.»
ribatté lei imperturbabile, avvicinandosi con un tono da
tentatrice, cui
rispose abbrancandola e baciandola di nuovo, mentre i pochi fogli
rimasti sul
letto caddero sparsi sul tappeto.
Elena
uscì dalla sua
stanza con passo lento e lievemente ciondolante.
Non
aveva neppure
sentito il suono della sveglia ed era stata la voce di Carlo a destarla.
Si
sentiva
piacevolmente frastornata.
Genzo
…
Avvertiva
ancora il
suo sapore in bocca e la sensazione delle sue grandi mani che l'avevano
accarezzata, le braccia forti che l'avevano cinta e fatto aderire il
suo corpo
a quello di lui, i suoi occhi neri che la guardavano, fervidi.
Si
erano baciati a
lungo, ancora, prima di darsi appuntamento per la tarda mattinata.
«È
stato qui Genzo,
ieri sera?» esordì Carlo quando lei
entrò in cucina. Una frase che suonava più
come un'affermazione che come una domanda.
«Cosa
te lo fa
pensare?» chiese, in tono di finta noncuranza.
«Hai
lasciato due
bicchieri nel lavandino e il tuo fermaglio sul tavolo.»
rispose l'uomo, con un
sorriso malizioso.
Elena
non rispose e si
diresse verso il tavolo.
«Hai
anche
un'espressione da "Kiss me Licia".» insistette, decisamente
divertito.
«Non
è vero.» reagì
infine, arrossendo e voltandosi.
Carlo
rise. Le si
avvicinò e le afferrò le spalle.
«Guarda
che io sono
felice per te, Elena. Anzi, ero preoccupato dal fatto che sembravi
ammettere
solo il lavoro e gli amici nella tua vita. Mi chiedevo se avresti detto
di no a
tutti gli uomini che ti avessero corteggiata. Perché ce ne
saranno Elena, non
credere. Ma pare che Genzo sia riuscito a scalfire quella barriera che
avevi
eretto intorno al tuo cuore.»
Elena
sospirò e si
voltò verso di lui. «Come hai fatto a
capire?»
«Beh,
pochi giorni fa,
quando sono entrato in casa e voi vi siete spostati così in
fretta, mi è
sembrato chiaro che avevo interrotto qualcosa …
così quando è venuto in
palestra per allenarsi, l'ho pungolato un po'. Quel ragazzo
è innamorato di te.
Sapevo che ieri sera vi sareste rincontrati, così ho deciso
di rimanere a Kyoto
anche per la notte.»
«Vi
siete
messi d'accordo?» chiese, incredula.
«No,
lui
non sapeva nulla. Diciamo che ho voluto fare in modo che aveste un
luogo in cui
stare da soli.»
Elena
lo
guardò. I suoi occhi, così simili ai suoi, erano
illuminati da un'espressione
colma di affetto paterno.
«Io
sarei
felice se tra voi nascesse qualcosa di importante. Certo, è
presto per
parlarne, ma mi sento di dire che Genzo è un ottimo ragazzo
e con te intende
fare sul serio. Non farti bloccare dai sensi di colpa o dalla paura di
amare,
Elena.»
La
ragazza
abbassò un attimo gli occhi, facendo un breve sospiro
seguito da un lieve
sorriso.
«Sai
zio,
proprio adesso che ho deciso di buttarmi in una nuova storia, lui sta
per
andarsene.»
Carlo alzò le spalle.
«Viviamo in tempi in cui è possibile mettersi
in contatto in ogni momento e perfino vedersi mentre ci si telefona.
Una volta
al massimo ci si telefonava ogni tanto o ci si scrivevano lettere che
potevano
impiegare settimane o addirittura mesi prima di giungere a
destinazione. Ma i
legami autentici resistono alla prova del tempo.»
«Non
è come stare
faccia a faccia, non si può avere contatto fisico
… e siamo solo agli inizi,
non abbiamo ancora messo radici.» replicò.
«Avete
ancora questi
due giorni. Il mio consiglio non richiesto è di comportarti
come se non lo
fossero. Dovete divertirvi, passare ore spensierate, porre le basi
della vostra
relazione. È stata la tua spontaneità a
conquistarlo, Elena. Sei stata te stessa,
non avevi intenzione di sedurlo e così l'hai ammaliato senza
nemmeno
accorgertene.» ridacchiò, suscitandole un altro
sorriso lievemente imbarazzato.
«E in quanto alla mancanza di radici, non sono d'accordo. Il
vostro non è stato
un colpo di fulmine, ma un rapporto che si è evoluto nel
corso dei mesi.
Rendigli questi giorni indimenticabili e vedrai che quando vi
rincontrerete in
Spagna, non starà nella pelle dalla voglia di
riabbracciarti.»
Elena
gli accarezzò un
braccio. «Grazie zio. Farò come dici, a patto che
tu non racconti niente a
mamma e papà, e nemmeno ai nonni, agli zii o ad
Angelina.»
«Promesso.
E ora
forza, facciamo colazione che tra non molto dovrebbe arrivare Genzo, o
sbaglio?» rispose, facendole l'occhiolino.
Dopo
circa un'ora, la
Lexus con Genzo alla guida si fermò davanti al cancello.
Elena
aprì la porta di
casa e lo salutò con sorriso, e lasciò che
afferrasse la maniglia della sua
borsa da viaggio per caricarla nel baule.
Carlo
li salutò
rimanendo sul vano della porta, rivolgendo al portiere uno sguardo a
metà tra
l'approvazione e la raccomandazione.
Genzo
parcheggiò non
lontano dal grande parco pubblico del Castello Sunpu
a Shizuoka, una delle città dove Elena gli aveva chiesto di
portarla.
Aprì
il baule e
scaricò la sua borsa, mentre la ragazza scendeva dall'auto.
Si
guardò brevemente
attorno, poi la attirò a sé.
«Voglio
verificare se
ieri è stato soltanto un bellissimo sogno o se è
stato tutto vero …» le
sussurrò, cingendole un fianco con una mano.
«Stanotte
ho dovuto
prendere un tranquillante per riuscire a dormire … ti
basta?» chiese in un tono
malizioso che aveva dimenticato potesse appartenerle.
Un
lampo di
soddisfazione attraversò gli occhi del giovane.
«No.»
rispose, prima
di posare le labbra sulle sue.
Passarono
la mattinata e il primo pomeriggio nel capoluogo della prefettura, dove
visitarono l'area in cui sorgeva la fortezza voluta da Tokugawa Ieyasu,
il
fondatore dell'omonimo shogunato nel Seicento, e di cui era rimasto
solo
l'antico fossato.
Fecero
poi
una lunga passeggiata nel Momijiyama
Japanese
Garden, dove Elena si incantò a osservare la
riproduzione di alcuni dei
luoghi più suggestivi della prefettura.
Visitando
alcuni dei numerosi negozi della zona, si innamorò
letteralmente dei manufatti
e degli oggetti realizzati in legno e in bambù, e dei
portamonete, portafogli e
borsette fatte a mano con tessuto kuzufu,
e fece incetta di souvenir per i suoi familiari che ormai contavano i
giorni
che mancavano al momento in cui l'avrebbero riabbracciata.
Genzo
la
canzonò sul fatto che avrebbe dovuto procurarsi una valigia
solo per stiparvi i
numerosi ninnoli che aveva acquistato.
«Questo
lo
prendo per la mamma.» disse, prelevandoli dagli scaffali
l'uno dopo l'altro e
mettendoli con cura in un cesto «E quest'altro per Angelina.
E questi due li
regalo alla nonna e alla zia Inge. Poi devo prendere anche un regalo
per papà,
per il nonno e per mio cugino Sebastian.»
Genzo
la
guardò, sorridendo al pensiero di quanto gli sarebbe
piaciuto, in un futuro non
lontano, incontrare quelle persone che costituivano la famiglia di
Elena e fare
in modo che i loro rispettivi mondi si armonizzassero, anche se al
momento era
una strada in salita che ancora non voleva percorrere, desiderando
tenere la
ragazza per sé e proteggerla dalla probabile disapprovazione
dei suoi genitori.
Nella
seconda parte del pomeriggio si spostarono a Yaizu, altra bellissima
città che
si affacciava sul mare.
Trascorsero
la serata cenando in un ristorante sul porto e guardando al cinema uno
dei film
più pubblicizzati del periodo. Nulla di memorabile di per
sé, ma loro lo
avrebbero sempre ricordato come il primo film visto insieme.
Il
giorno
dopo, il cielo era illuminato dal sole ma attraversato da numerose nubi
e la
temperatura era più fredda di quanto ci si potesse aspettare.
Decisero
così non spingersi fino alla penisola di Izu e di andare a
Miho no Matsubara.
Dove tutto era cominciato …
Dovettero
rinunciare al costume da bagno e indossare lui una maglietta e un paio
di
pantaloni scuri, e lei una camicetta bianca e dei jeans.
Solo
poche
persone passeggiavano sulla spiaggia e nessuno faceva caso a loro.
Stavano
camminando affiancati a pochi metri dal bagnasciuga quando gli occhi di
Elena
individuarono un grosso e scuro tronco d'albero adagiato sulla sabbia.
Lo
raggiunse dopo una breve corsa, seguita da Genzo che si
fermò a pochi passi.
La
ragazza
si voltò verso di lui e alzò le braccia nel gesto
di saluto delle ginnaste,
strappandogli un sorriso divertito.
Poi
salì
sul tronco e cominciò a improvvisare un esercizio, muovendo
con grazia le
braccia e le mani, e compiendo alcuni movimenti coreografici con le
gambe.
Si appoggiò con le mani ed
eseguì una rovesciata in avanti.
Nel seguente tentativo di fare una piroetta, perse l'equilibrio e
scivolò, ma
venne prontamente afferrata da Genzo, che le cinse subito la schiena.
«Non
vale!» protestò, con un tono indispettito
più simulato che reale, mettendogli
le mani sulle spalle.
«Quel
tronco non è una trave e la sabbia non è una
pedana. Avresti potuto farti molto
male.» replicò lui, senza lasciarla.
Elena
gli
posò le mani sul petto e assunse un'aria imbronciata.
«Questa me la segno. Sei
saccente e paternalistico.»
Genzo
sollevò un sopracciglio e sorrise.
«"Paternalistico" non me l'aveva
mai detto nessuno.»
Elena
alzò
il mento e gli rivolse un sorriso da monella. «Sei incorso in
una penalità.»
«Credevo
fosse la ginnasta a perdere il punto.» ribatté,
mantenendo lo stesso tono.
La
ragazza
fece una piccola smorfia. «Ah, ma è possibile che
tu voglia avere sempre
l'ultima parola? E allora prova a prendermi, se ci riesci!»
disse, liberandosi
dalla sua presa, che lui aveva nel frattempo allentato.
Si
mise a
correre, ma Genzo non impiegò molto a raggiungerla e
imprigionarla tra le sue
braccia.
«Ah,
e io
che pensavo che i portieri fossero più lenti degli altri
calciatori!» gridò
ridendo, mentre lui la faceva voltare verso di sé e le
scostava quelle fluenti
onde dorate che il vento le gettava davanti al viso.
Si guardarono, nero ardente contro
l'azzurro del mare e del
cielo.
Le
loro
labbra si toccarono e si unirono in un bacio lungo, tenero e
appassionato al
tempo stesso.
Quell'aria
un po' fredda l'aveva fatta rabbrividire, all'inizio.
Ma
ora
sentiva soltanto il calore della bocca di Genzo, che stava incendiando
ogni
fibra del suo corpo. E lei rispose con un fervore che fino a due sere
prima
aveva dimenticato di possedere, decisa a fargli provare le stesse
sensazioni.
Le
scostò
i capelli dal collo e dopo pochi istanti le sue labbra lasciarono
quelle delle
ragazza e andarono a posarsi su quella pelle serica, facendogli udire
per la
prima volta il suono dei suoi sospiri.
«Mi
stai
facendo il solletico.» mormorò, con un lieve
tremolio nella voce.
«È
una
protesta?» la stuzzicò.
Lei
accennò una risata, poi gli prese il viso tra le mani e
posò di nuovo le labbra
sulle sue.
Gli
accarezzò le spalle, il petto e le braccia, come a voler
imprimere nella mente
i contorni delle sue fattezze.
E
fargli
capire cosa fosse stato capace di fare risvegliando emozioni e
sentimenti che
credeva non sarebbe più riuscita a sentire.
Genzo
le
passò un braccio attorno alla schiena e la attirò
a sé.
Elena
gli
posò la testa su una spalla.
Lo
sciabordio delle onde che si rincorrevano sotto il sole pallido faceva
da
sottofondo, mentre il solenne Monte Fuji sembrava vegliare su quello
scorcio di
prefettura.
Chiuse
gli
occhi.
Gli
sarebbe mancato da impazzire.
Pensò
a
quanto avesse esitato anche dopo essersi resa conto dei suoi veri
sentimenti.
Era stata ricalcitrante e aveva rinunciato così a vivere
più momenti come
quello.
Aveva
persino pianificato di tornare in Italia senza dirgli nulla, rischiando
di
perderlo.
Non
voleva
sentirsi una di quelle eroine tragiche di certi romanzi rosa e soap
opera, ma
il pensiero di non vedere Genzo per tutto quel tempo le provocava delle
fitte
nello stomaco.
"Non
parte mica per la guerra!" avrebbe sbottato sua nonna Heike, che pure
di
quelle storie strappalacrime non se ne perdeva una, con un braccio
piegato e la
mano aperta a mezz'aria.
Tuttavia,
quell'attesa si annunciava lunga …
Non
si
poteva fermare il tempo e allora dovevano cercare di far durare quei
momenti il
più possibile.
Quella
splendida domenica stava per volgere al termine ed era arrivato il
momento di
tornare …
Elena
si
soffermò a osservare il profilo del ragazzo concentrato alla
guida.
Gli
occhi
attenti sulla strada, le grandi mani salde sul volante, le sue belle
labbra
distese in un'espressione identica a quella con cui si piazzava tra i
pali di
una porta.
Lui
le
lanciò una breve occhiata con la coda dell'occhio, piegando
le labbra in un
sorriso, facendole capire che si era accorto del suo sguardo prolungato.
Elena
sorrise di rimando e arrossì leggermente.
«Genzo
…
quando è cominciata? A Miho, o prima?» gli chiese
allora, facendogli per un
attimo spalancare gli occhi.
Si
concesse alcuni secondi prima di rispondere, per riordinare i suoi
pensieri e
richiamare alla mente i suoi ricordi dopo quella domanda inaspettata.
«Forse è
più corretto chiedersi quando me ne sono accorto.»
cominciò, con una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a
Annie. «Quella
domenica, quando sono venuto a Numazu con Arimi … all'inizio
avevo pensato di
accompagnarla al palasport e rimanere lì giusto il tempo di
assicurarmi che
rimanesse a seguire la gara. Ma poi … ho visto te che
incitavi le ragazze, le
consigliavi, assistevi agli esercizi con una partecipazione tale che
sembrava
ti immedesimassi nelle tue allieve. Sei riuscita a coinvolgere anche me
che non
mi sono mai interessato di ginnastica artistica e quasi non ti ho
staccato gli
occhi di dosso per tutta la gara.» ammise, provocandole un
piacevole brivido.
«Quando me ne sono andato, mi sono ripetuto che era stato
perché mi ero preso a
cuore la questione. Ma poi più ti incontravo e
più mi rendevo conto che non era
così. E a Miho ho avuto la conferma definitiva. Dalla tua
espressione ho capito
che provavi le mie stesse sensazioni.»
«Quella
sera a Sydney ti ho detto che non ti avevo risposto perché
era stato un periodo
denso di impegni … in realtà, non l'ho fatto
perché temevo ciò che avrei potuto
provare nel sentire anche solo la tua voce.» ammise,
sentendosi avvampare per
quella rivelazione e nel ricordare quei giorni in cui aveva osservato,
con un
nodo alla gola, il ritmico illuminarsi del display del suo cellulare e
la
suoneria che la avvisava invano della chiamata in corso.
Genzo
sorrise. «Avevo pensato subito che quella scusa non reggeva,
visto che quando
Arimi è rientrata nel gruppo della Shiroyama mi avevi
chiamato addirittura al
J-Village per ringraziarmi. Così ho cominciato a cambiare
atteggiamento, ti ho
invitata a ballare per vedere come reagivi a un contatto più
prolungato di
quello avuto a Miho. Il corpo non mente mai e ho capito che anche tu ti
sentivi
attratta da me. E questo, in seguito, è stato sempre
più evidente.»
«Il
fatto
che io mi sentissi ancora in colpa per Gianluca non ti ha
scoraggiato?»
Scosse
la
testa. «Sapevo che non avresti respinto me, ma l'idea di
avere una storia con
un altro uomo, specie se non danneggiato dalla sua
disabilità.»
Elena
sgranò gli occhi. Genzo aveva perfettamente reso in parole
quello che l'aveva
sempre spinta a mettersi sulla difensiva.
«Ma
a
darmi la spinta decisiva, è stato il pensiero che i giorni
stavano passando e
tu saresti tornata in Italia … mi sono reso conto che
rischiavi di sparire
dalla mia vita e non volevo che succedesse. Non mi era mai
capitato.»
Erano
le
stesse sensazioni che aveva provato Hiroji quando si era innamorato di
Annie.
Anche
lui
frequentava già un'altra ragazza e anche se non era un
legame ufficiale, nelle
loro famiglie e nell'alta società si dava per scontato il
fidanzamento tra i
due e ricordava perfettamente i timori del fratello riguardo
un'accoglienza non
favorevole per la bella studentessa inglese.
E
ora
stavano insieme da dieci anni, avevano due bambini e si amavano come e
anche
più di quando li aveva visti insieme per la prima volta.
Se non si era mai realmente innamorato
di una ragazza, era
perché lui aveva in mente quell'ideale incarnato alla
perfezione da Hiroji e
Annie. Nessuna gli aveva mai dato la sensazione di poter essere "la sua
Annie". Finché non aveva cominciato a conoscere meglio Elena.
Avrebbe
voluto dirle anche questo, ma la loro storia era appena agli inizi ed
era forse
precipitoso e prematuro.
Avevano
ancora tante cose da scoprire l'uno dell'altra … un percorso
che si annunciava
intrigante e che non vedeva l'ora di intraprendere.
«Siamo
arrivati.» disse, accostando l'auto davanti al cancello.
Elena
guardò la facciata della casa di suo zio, illuminata solo
dai lampioni.
All'interno,
tutte le luci erano spente.
Esitò
qualche secondo, poi si voltò verso il ragazzo.
I
suoi
occhi erano lucidi, le labbra distese in un sorriso.
«In
bocca
al lupo per le Olimpiadi, Genzo. Cerca di non lasciar passare nemmeno
un gol.»
«Il
Giappone arriverà in finale. Tu dovrai essere a Madrid, a
vederci.»
Elena
si
sporse verso di lui e gli accarezzò piano una guancia, poi
gli posò un lieve
bacio sulle labbra.
«A
presto,
Genzo Wakabayashi.» disse prima di voltarsi, aprire la
portiera e scendere.
Udì
il
motore dell'auto ripartire nello stesso momento in cui apriva la porta
d'entrata.
Se
la
richiuse alle spalle, lasciando entrare anche Wilhelm.
Lo
prese
in braccio e lo coccolò, poi si sedette
sul divano e appoggiò un gomito
sul bracciolo, posando la testa su una mano.
Sentì
gli
occhi inumidirsi e pungere.
Prese
lo
smartphone dalla sua borsa e aprì la rubrica, cercando il
nominativo di Kumi.
Anche
lei
era reduce da una domenica trascorsa interamente con Taro.
«Non
ti
rattristare più di tanto, Elena.» la
confortò l'amica «Noi wags giapponesi ce
ne intendiamo di lunghi
periodi di lontananza. E comunque, a Orohime e Hikoboshi è
andata molto
peggio.» ironizzò, riuscendo a strapparle una
risata.
***Note***
La
festa
di Tanabata
("settima notte") è una dei cinque gosekku,
le più importanti festività del calendario
giapponese.
Celebra
il
ricongiungimento delle divinità Orohime e Hikoboshi,
rappresentanti le stelle
Vega e Altair.
Secondo
la
leggenda, i due amanti vennero separati dalla Via Lattea potendosi
incontrare
solo una volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese del
calendario
lunisolare.
La
scelta
della data di questa festa, oltre ad avere una valenza simbolica e
sacra per
via del ripetersi del numero 7, dipende dal fatto che,
secondo gli
studiosi, è questo il periodo di massima
luminosità delle stelle; soprattutto
all'inizio di luglio si può notare anche una maggiore
vicinanza tra Vega e
Altair rispetto al resto dell'anno.
Fonte: kitsunebi.it
Le
informazioni sul Castello
Sunpu
e sul Momijiyama
Japanese Garden sono tratte da
questo sito: marcotogni.it
Kuzufu:
tipo di tessuto
realizzato intrecciando fibre di kuzu,
una pianta selvatica rampicante.
In
Italia
è nota con il nome di pueraria
montana e
la polvere ottenuta dalle sue radici è usata a scopo
terapeutico e curativo.
La
frase
con cui Genzo comincia a raccontare a Elena quando e come sono nati i
suoi
sentimenti per lei sarebbe piaciuta a Annie perché
è ispirata al dialogo tra
Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy tratto da "Orgoglio e
pregiudizio", il celeberrimo romanzo di Jane Austen, pubblicato nel
1813.
Questa
è
la trascrizione:
«Come è
cominciato?» chiese. «Posso capire che una
volta nata, la cosa abbia preso piede, ma che cosa ti ha fatto
innamorare
all'inizio?»
«Non posso fissare
né l'ora né il posto, o lo sguardo
o le parole che furono il principio del mio amore. È passato
troppo tempo. Ero
già innamorato prima di accorgermene.»
Mi tocca ringraziare il da poco
trascorso maggio
anomalo dal punto di vista atmosferico, che mi ha ispirato le scene di
questo
capitolo. :-)
Grazie come sempre a tutti i
lettori!
Sandie