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Autore: Sandie    07/06/2019    3 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XX

 

Soltanto un mese

 

 

 

«Pensi che questo sia più adatto a illustrare la leggenda di Tanabata

Taro inforcò gli occhiali ed esaminò il disegno che Kumi gli aveva appena passato.

Era uno degli ultimi che, seduti sul letto di lui, stavano scorrendo per scegliere quali versioni proporre per il nuovo numero della rivista con cui la ragazza aveva iniziato a collaborare.

Era stato abituato a essere obiettivo fin dalla più tenera età, con suo padre che gli aveva insegnato a non temere di criticare i suoi quadri e a indicargli schiettamente quello che non lo convinceva.

Il suo parere era imparziale ma non vincolante e alla fine Kumi decideva sempre in completa autonomia, anche se più di una volta i consigli del suo ragazzo si erano rivelati preziosi.

Lei lo osservò, per cercare di intuire cosa ne pensava, certo … ma anche perché quella montatura gli dava un'aria da giovane professore che avrebbe fatto breccia in molte studentesse, se avesse intrapreso quella strada anziché quella calcistica.

«Secondo me, il più rappresentativo è questo, ma quest'altro» disse, riprendendone in mano uno passato in rassegna poco prima «è più di impatto.»

Kumi prese i disegni dalle sue mani e li confrontò, un po' indecisa.

«A me questo piace di più ...» commentò infine, increspando un po' le labbra.

«Sono belli entrambi, Kumi. Tu porta a Fuji questi due e magari ne discuterai con i redattori e con il direttore.» le suggerì. «Potrebbe pure succedere che te li scelgano tutti e due.» ammiccò.

«Non sono la loro unica illustratrice.» rise, seppur compiaciuta.

Posò i fogli sul letto, afferrando poi un altro disegno.

«Questo voglio regalarlo a Elena. Che ne dici?» gli chiese, mostrandogli un ritratto della bionda insegnante in un'elegante posa ginnica.

«Dico che ne sarà felice.»

«Sai … stamattina mi ha telefonato. Lei e Wakabayashi si sono dichiarati e si sono anche baciati. E passeranno gran parte di questi due giorni insieme.» disse, con un sorriso raggiante.

«Sì, anche Wakabayashi me l'ha raccontato, addirittura ieri sera. Era appena tornato a casa. Quel ragazzo è riservato e sembra un blocco di granito tra i pali di una porta, ma quando prova dei sentimenti è come la lava di un vulcano.»

«Sono felice per loro. Sembra quasi voluto dal destino. Entrambi sono venuti qui dopo che il mondo era crollato loro addosso, e ora possono cominciare la loro nuova vita, insieme.»

Taro sorrise, perfettamente concorde.

«Posso provare i tuoi occhiali?» gli chiese dopo alcuni attimi di silenzio, tendendo le mani.

«Va bene.» rispose, togliendoli e dandoli alla ragazza che li prese con cautela e li indossò.

«Ah, non vedo niente! Ma quante diottrie ti mancano, Misaki?» rise, guardandosi intorno tenendo le dita premute sulle stanghette della montatura.

«Ma smettila, ragazzina insolente che non sei altro!» esclamò, afferrandole i fianchi e buttandola di peso sul letto, facendole emettere un gridolino divertito.

Si ritrovò sopra di lei, le mani appoggiate sul materasso.

Rimasero a guardarsi.

Il respiro di Kumi era accelerato, come dimostrava il rapido alzarsi e abbassarsi del suo petto.

Le sfilò gli occhiali dal viso e li posò sul comodino accanto.

Lei allungò una mano ad accarezzargli una guancia, raggiungendo l'attaccatura dei capelli.

Taro la guardò. Era sempre più bella … aveva lasciato crescere ancora i suoi capelli, che ora superavano di poco le spalle e la luce del sole vespertino si riverberava sui suoi occhi attraverso la finestra aperta, rendendoli di un bellissimo colore ambrato.

Si chinò e lambì piano le sue labbra, facendo una lieve pressione per indurla a schiuderle.

Lei sollevò le braccia e gliele mise attorno al collo, lasciando che il ragazzo si stendesse su di lei e rendesse più intimo il loro contatto, tenero dapprima, poi sempre più intenso.

Sussultò quando avvertì le mani di lui scendere lentamente e infilarsi sotto la sua maglietta, accarezzandole i fianchi. Quasi contemporaneamente le sue labbra lasciarono la bocca di Kumi e scesero sulla morbida pelle del collo, facendola sospirare e socchiudere gli occhi.

Con una mano intanto prese ad accarezzarle una gamba e risalendo sfiorò l'inguine, e lei si lasciò sfuggire un gemito.

«Taro … io non …» mormorò.

Lui seppure riluttante, sollevò la testa, sorrise e le accarezzò il viso. La desiderava, ma ancor di più la rispettava. Non l'avrebbe mai forzata a fare un passo per cui non si sentiva pronta.

«Non ti preoccupare. Aspetterò … l'importante è che non sia per colpa di quel bastardo.» aggiunse, guardandola attento.

Kumi sgranò gli occhi, poi scosse la testa sorridendo.

«No, assolutamente. Non potrei mai confonderti con quel tipo.»

Lui si sollevò e lei si mise a sedere raccogliendo le gambe tra le braccia.

«Sai, qualche mese fa mentre guardavamo in tv la partita contro la Thailandia, Elena mi disse che eri un ragazzo sensibile e le veniva naturale fidarsi di te. Aveva ragione.»

Taro sorrise.

«Mi ha anche detto che quando vi siete conosciuti, si è presa una cotta per te.»

Il giovane increspò le labbra in una smorfia divertita. «L'avevo sospettato. Certo lei era molto carina e simpatica, e aveva molta grinta. Era una via di mezzo tra te e Sanae ai tempi in cui era capotifosa della Nankatsu. Una "Anego" più femminile. Ma aveva solo tredici anni e io stavo per tornare in Francia. E poi la consideravo un'amica.»

«L'hai sempre considerata solo un'amica? Anche quando l'hai vista anni dopo?»

«Sì. Ma perché tanta curiosità? Pensavi anche tu che fossi innamorato di lei?»

Kumi sorrise e assentì.

«Eri sempre così premuroso nei suoi confronti. Dopo le partite chiacchieravate sempre insieme, sembrava quasi che vi deste appuntamento.»

«Erano semplici scambi di parole tra amici.»

«Sai … io ero gelosa.»

Taro spalancò gli occhi. «Già allora?»

La ragazza fece un cenno d'assenso, arrossendo leggermente. «Da quando sono venuta a trovarti con gli altri ragazzi al Centro di Medicina Sportiva, a Gotenba. Stavi affrontando una riabilitazione durissima dopo due gravi infortuni e tu eri così sereno e determinato. Mi è scattato qualcosa dentro e da allora non ho più potuto pensare a te come facevo prima.»

«Non mi hai mai fatto sospettare niente …» replicò, stupito.

Kumi allargò le braccia «Perché avevi sempre qualcun'altra. All'epoca stavi con Hayakawa, poi sei andato a Iwata e ti sei messo con quella giovane cuoca. E in questi mesi ho frainteso il tuo rapporto con Elena. Ho cercato di farmela passare, per non soffrire. Poi la nostra passione in comune ci ha fatti avvicinare e proprio a Sydney, ho capito che forse avevo delle possibilità.»

Taro strinse le labbra. «Quella sera ero irritato con me stesso, per non averti invitata prima di quello schifoso. E non solo per quello che ha cercato di farti.»

«Oh, ma allora ero riuscita a farti ingelosire!» gioì come se quella scoperta avesse avuto il potere di lenire almeno in parte la pena di quel ricordo, avvicinandosi a lui e assumendo una posa da gattina maliziosa.

Taro ridacchiò «Mettiti composta, Sugimoto. Quella è una posizione pericolosa.»

«Guarda che voler aspettare un po' prima di concedersi non significa essere frigide.» ribatté lei imperturbabile, avvicinandosi con un tono da tentatrice, cui rispose abbrancandola e baciandola di nuovo, mentre i pochi fogli rimasti sul letto caddero sparsi sul tappeto.  

 

Elena uscì dalla sua stanza con passo lento e lievemente ciondolante.

Non aveva neppure sentito il suono della sveglia ed era stata la voce di Carlo a destarla.

Si sentiva piacevolmente frastornata.

Genzo …

Avvertiva ancora il suo sapore in bocca e la sensazione delle sue grandi mani che l'avevano accarezzata, le braccia forti che l'avevano cinta e fatto aderire il suo corpo a quello di lui, i suoi occhi neri che la guardavano, fervidi.

Si erano baciati a lungo, ancora, prima di darsi appuntamento per la tarda mattinata.

 

«È stato qui Genzo, ieri sera?» esordì Carlo quando lei entrò in cucina. Una frase che suonava più come un'affermazione che come una domanda.

«Cosa te lo fa pensare?» chiese, in tono di finta noncuranza.

«Hai lasciato due bicchieri nel lavandino e il tuo fermaglio sul tavolo.» rispose l'uomo, con un sorriso malizioso.

Elena non rispose e si diresse verso il tavolo.

«Hai anche un'espressione da "Kiss me Licia".» insistette, decisamente divertito.

«Non è vero.» reagì infine, arrossendo e voltandosi.

Carlo rise. Le si avvicinò e le afferrò le spalle.

«Guarda che io sono felice per te, Elena. Anzi, ero preoccupato dal fatto che sembravi ammettere solo il lavoro e gli amici nella tua vita. Mi chiedevo se avresti detto di no a tutti gli uomini che ti avessero corteggiata. Perché ce ne saranno Elena, non credere. Ma pare che Genzo sia riuscito a scalfire quella barriera che avevi eretto intorno al tuo cuore.»

Elena sospirò e si voltò verso di lui. «Come hai fatto a capire?»

«Beh, pochi giorni fa, quando sono entrato in casa e voi vi siete spostati così in fretta, mi è sembrato chiaro che avevo interrotto qualcosa … così quando è venuto in palestra per allenarsi, l'ho pungolato un po'. Quel ragazzo è innamorato di te. Sapevo che ieri sera vi sareste rincontrati, così ho deciso di rimanere a Kyoto anche per la notte.»

«Vi siete messi d'accordo?» chiese, incredula.

«No, lui non sapeva nulla. Diciamo che ho voluto fare in modo che aveste un luogo in cui stare da soli.»

Elena lo guardò. I suoi occhi, così simili ai suoi, erano illuminati da un'espressione colma di affetto paterno.

«Io sarei felice se tra voi nascesse qualcosa di importante. Certo, è presto per parlarne, ma mi sento di dire che Genzo è un ottimo ragazzo e con te intende fare sul serio. Non farti bloccare dai sensi di colpa o dalla paura di amare, Elena.»

La ragazza abbassò un attimo gli occhi, facendo un breve sospiro seguito da un lieve sorriso.

«Sai zio, proprio adesso che ho deciso di buttarmi in una nuova storia, lui sta per andarsene.»

Carlo alzò le spalle. «Viviamo in tempi in cui è possibile mettersi in contatto in ogni momento e perfino vedersi mentre ci si telefona. Una volta al massimo ci si telefonava ogni tanto o ci si scrivevano lettere che potevano impiegare settimane o addirittura mesi prima di giungere a destinazione. Ma i legami autentici resistono alla prova del tempo.»

«Non è come stare faccia a faccia, non si può avere contatto fisico … e siamo solo agli inizi, non abbiamo ancora messo radici.» replicò.

«Avete ancora questi due giorni. Il mio consiglio non richiesto è di comportarti come se non lo fossero. Dovete divertirvi, passare ore spensierate, porre le basi della vostra relazione. È stata la tua spontaneità a conquistarlo, Elena. Sei stata te stessa, non avevi intenzione di sedurlo e così l'hai ammaliato senza nemmeno accorgertene.» ridacchiò, suscitandole un altro sorriso lievemente imbarazzato. «E in quanto alla mancanza di radici, non sono d'accordo. Il vostro non è stato un colpo di fulmine, ma un rapporto che si è evoluto nel corso dei mesi. Rendigli questi giorni indimenticabili e vedrai che quando vi rincontrerete in Spagna, non starà nella pelle dalla voglia di riabbracciarti.»

Elena gli accarezzò un braccio. «Grazie zio. Farò come dici, a patto che tu non racconti niente a mamma e papà, e nemmeno ai nonni, agli zii o ad Angelina.»

«Promesso. E ora forza, facciamo colazione che tra non molto dovrebbe arrivare Genzo, o sbaglio?» rispose, facendole l'occhiolino.

 

Dopo circa un'ora, la Lexus con Genzo alla guida si fermò davanti al cancello.

Elena aprì la porta di casa e lo salutò con sorriso, e lasciò che afferrasse la maniglia della sua borsa da viaggio per caricarla nel baule.

Carlo li salutò rimanendo sul vano della porta, rivolgendo al portiere uno sguardo a metà tra l'approvazione e la raccomandazione.

 

Genzo parcheggiò non lontano dal grande parco pubblico del Castello Sunpu a Shizuoka, una delle città dove Elena gli aveva chiesto di portarla.

Aprì il baule e scaricò la sua borsa, mentre la ragazza scendeva dall'auto.

Si guardò brevemente attorno, poi la attirò a sé.

«Voglio verificare se ieri è stato soltanto un bellissimo sogno o se è stato tutto vero …» le sussurrò, cingendole un fianco con una mano.

«Stanotte ho dovuto prendere un tranquillante per riuscire a dormire … ti basta?» chiese in un tono malizioso che aveva dimenticato potesse appartenerle.

Un lampo di soddisfazione attraversò gli occhi del giovane.

«No.» rispose, prima di posare le labbra sulle sue.

 

Passarono la mattinata e il primo pomeriggio nel capoluogo della prefettura, dove visitarono l'area in cui sorgeva la fortezza voluta da Tokugawa Ieyasu, il fondatore dell'omonimo shogunato nel Seicento, e di cui era rimasto solo l'antico fossato.

Fecero poi una lunga passeggiata nel Momijiyama Japanese Garden, dove Elena si incantò a osservare la riproduzione di alcuni dei luoghi più suggestivi della prefettura. 

Visitando alcuni dei numerosi negozi della zona, si innamorò letteralmente dei manufatti e degli oggetti realizzati in legno e in bambù, e dei portamonete, portafogli e borsette fatte a mano con tessuto kuzufu, e fece incetta di souvenir per i suoi familiari che ormai contavano i giorni che mancavano al momento in cui l'avrebbero riabbracciata.

Genzo la canzonò sul fatto che avrebbe dovuto procurarsi una valigia solo per stiparvi i numerosi ninnoli che aveva acquistato.

«Questo lo prendo per la mamma.» disse, prelevandoli dagli scaffali l'uno dopo l'altro e mettendoli con cura in un cesto «E quest'altro per Angelina. E questi due li regalo alla nonna e alla zia Inge. Poi devo prendere anche un regalo per papà, per il nonno e per mio cugino Sebastian.»

Genzo la guardò, sorridendo al pensiero di quanto gli sarebbe piaciuto, in un futuro non lontano, incontrare quelle persone che costituivano la famiglia di Elena e fare in modo che i loro rispettivi mondi si armonizzassero, anche se al momento era una strada in salita che ancora non voleva percorrere, desiderando tenere la ragazza per sé e proteggerla dalla probabile disapprovazione dei suoi genitori.

Nella seconda parte del pomeriggio si spostarono a Yaizu, altra bellissima città che si affacciava sul mare.

Trascorsero la serata cenando in un ristorante sul porto e guardando al cinema uno dei film più pubblicizzati del periodo. Nulla di memorabile di per sé, ma loro lo avrebbero sempre ricordato come il primo film visto insieme.

 

Il giorno dopo, il cielo era illuminato dal sole ma attraversato da numerose nubi e la temperatura era più fredda di quanto ci si potesse aspettare.

Decisero così non spingersi fino alla penisola di Izu e di andare a Miho no Matsubara. Dove tutto era cominciato …

Dovettero rinunciare al costume da bagno e indossare lui una maglietta e un paio di pantaloni scuri, e lei una camicetta bianca e dei jeans.

Solo poche persone passeggiavano sulla spiaggia e nessuno faceva caso a loro.

Stavano camminando affiancati a pochi metri dal bagnasciuga quando gli occhi di Elena individuarono un grosso e scuro tronco d'albero adagiato sulla sabbia.

Lo raggiunse dopo una breve corsa, seguita da Genzo che si fermò a pochi passi.

La ragazza si voltò verso di lui e alzò le braccia nel gesto di saluto delle ginnaste, strappandogli un sorriso divertito.

Poi salì sul tronco e cominciò a improvvisare un esercizio, muovendo con grazia le braccia e le mani, e compiendo alcuni movimenti coreografici con le gambe.

Si appoggiò con le mani ed eseguì una rovesciata in avanti. Nel seguente tentativo di fare una piroetta, perse l'equilibrio e scivolò, ma venne prontamente afferrata da Genzo, che le cinse subito la schiena.

«Non vale!» protestò, con un tono indispettito più simulato che reale, mettendogli le mani sulle spalle.

«Quel tronco non è una trave e la sabbia non è una pedana. Avresti potuto farti molto male.» replicò lui, senza lasciarla.

Elena gli posò le mani sul petto e assunse un'aria imbronciata. «Questa me la segno. Sei saccente e paternalistico.»

Genzo sollevò un sopracciglio e sorrise. «"Paternalistico" non me l'aveva mai detto nessuno.»

Elena alzò il mento e gli rivolse un sorriso da monella. «Sei incorso in una penalità.»

«Credevo fosse la ginnasta a perdere il punto.» ribatté, mantenendo lo stesso tono.

La ragazza fece una piccola smorfia. «Ah, ma è possibile che tu voglia avere sempre l'ultima parola? E allora prova a prendermi, se ci riesci!» disse, liberandosi dalla sua presa, che lui aveva nel frattempo allentato.

Si mise a correre, ma Genzo non impiegò molto a raggiungerla e imprigionarla tra le sue braccia.

«Ah, e io che pensavo che i portieri fossero più lenti degli altri calciatori!» gridò ridendo, mentre lui la faceva voltare verso di sé e le scostava quelle fluenti onde dorate che il vento le gettava davanti al viso.

Si guardarono, nero ardente contro l'azzurro del mare e del cielo.

Le loro labbra si toccarono e si unirono in un bacio lungo, tenero e appassionato al tempo stesso.

Quell'aria un po' fredda l'aveva fatta rabbrividire, all'inizio.

Ma ora sentiva soltanto il calore della bocca di Genzo, che stava incendiando ogni fibra del suo corpo. E lei rispose con un fervore che fino a due sere prima aveva dimenticato di possedere, decisa a fargli provare le stesse sensazioni.

Le scostò i capelli dal collo e dopo pochi istanti le sue labbra lasciarono quelle delle ragazza e andarono a posarsi su quella pelle serica, facendogli udire per la prima volta il suono dei suoi sospiri.

«Mi stai facendo il solletico.» mormorò, con un lieve tremolio nella voce.

«È una protesta?» la stuzzicò.

Lei accennò una risata, poi gli prese il viso tra le mani e posò di nuovo le labbra sulle sue.

Gli accarezzò le spalle, il petto e le braccia, come a voler imprimere nella mente i contorni delle sue fattezze.

E fargli capire cosa fosse stato capace di fare risvegliando emozioni e sentimenti che credeva non sarebbe più riuscita a sentire.

 

Genzo le passò un braccio attorno alla schiena e la attirò a sé.

Elena gli posò la testa su una spalla.

Lo sciabordio delle onde che si rincorrevano sotto il sole pallido faceva da sottofondo, mentre il solenne Monte Fuji sembrava vegliare su quello scorcio di prefettura.

Chiuse gli occhi.

Gli sarebbe mancato da impazzire.

Pensò a quanto avesse esitato anche dopo essersi resa conto dei suoi veri sentimenti. Era stata ricalcitrante e aveva rinunciato così a vivere più momenti come quello.

Aveva persino pianificato di tornare in Italia senza dirgli nulla, rischiando di perderlo.

Non voleva sentirsi una di quelle eroine tragiche di certi romanzi rosa e soap opera, ma il pensiero di non vedere Genzo per tutto quel tempo le provocava delle fitte nello stomaco.

"Non parte mica per la guerra!" avrebbe sbottato sua nonna Heike, che pure di quelle storie strappalacrime non se ne perdeva una, con un braccio piegato e la mano aperta a mezz'aria.

Tuttavia, quell'attesa si annunciava lunga …

Non si poteva fermare il tempo e allora dovevano cercare di far durare quei momenti il più possibile.

  

Quella splendida domenica stava per volgere al termine ed era arrivato il momento di tornare …

Elena si soffermò a osservare il profilo del ragazzo concentrato alla guida.

Gli occhi attenti sulla strada, le grandi mani salde sul volante, le sue belle labbra distese in un'espressione identica a quella con cui si piazzava tra i pali di una porta.

Lui le lanciò una breve occhiata con la coda dell'occhio, piegando le labbra in un sorriso, facendole capire che si era accorto del suo sguardo prolungato.

Elena sorrise di rimando e arrossì leggermente.

«Genzo … quando è cominciata? A Miho, o prima?» gli chiese allora, facendogli per un attimo spalancare gli occhi.

Si concesse alcuni secondi prima di rispondere, per riordinare i suoi pensieri e richiamare alla mente i suoi ricordi dopo quella domanda inaspettata.

«Forse è più corretto chiedersi quando me ne sono accorto.» cominciò, con una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Annie. «Quella domenica, quando sono venuto a Numazu con Arimi … all'inizio avevo pensato di accompagnarla al palasport e rimanere lì giusto il tempo di assicurarmi che rimanesse a seguire la gara. Ma poi … ho visto te che incitavi le ragazze, le consigliavi, assistevi agli esercizi con una partecipazione tale che sembrava ti immedesimassi nelle tue allieve. Sei riuscita a coinvolgere anche me che non mi sono mai interessato di ginnastica artistica e quasi non ti ho staccato gli occhi di dosso per tutta la gara.» ammise, provocandole un piacevole brivido. «Quando me ne sono andato, mi sono ripetuto che era stato perché mi ero preso a cuore la questione. Ma poi più ti incontravo e più mi rendevo conto che non era così. E a Miho ho avuto la conferma definitiva. Dalla tua espressione ho capito che provavi le mie stesse sensazioni.»

«Quella sera a Sydney ti ho detto che non ti avevo risposto perché era stato un periodo denso di impegni … in realtà, non l'ho fatto perché temevo ciò che avrei potuto provare nel sentire anche solo la tua voce.» ammise, sentendosi avvampare per quella rivelazione e nel ricordare quei giorni in cui aveva osservato, con un nodo alla gola, il ritmico illuminarsi del display del suo cellulare e la suoneria che la avvisava invano della chiamata in corso.

Genzo sorrise. «Avevo pensato subito che quella scusa non reggeva, visto che quando Arimi è rientrata nel gruppo della Shiroyama mi avevi chiamato addirittura al J-Village per ringraziarmi. Così ho cominciato a cambiare atteggiamento, ti ho invitata a ballare per vedere come reagivi a un contatto più prolungato di quello avuto a Miho. Il corpo non mente mai e ho capito che anche tu ti sentivi attratta da me. E questo, in seguito, è stato sempre più evidente.»

«Il fatto che io mi sentissi ancora in colpa per Gianluca non ti ha scoraggiato?»

Scosse la testa. «Sapevo che non avresti respinto me, ma l'idea di avere una storia con un altro uomo, specie se non danneggiato dalla sua disabilità.»

Elena sgranò gli occhi. Genzo aveva perfettamente reso in parole quello che l'aveva sempre spinta a mettersi sulla difensiva.

«Ma a darmi la spinta decisiva, è stato il pensiero che i giorni stavano passando e tu saresti tornata in Italia … mi sono reso conto che rischiavi di sparire dalla mia vita e non volevo che succedesse. Non mi era mai capitato.»

Erano le stesse sensazioni che aveva provato Hiroji quando si era innamorato di Annie.

Anche lui frequentava già un'altra ragazza e anche se non era un legame ufficiale, nelle loro famiglie e nell'alta società si dava per scontato il fidanzamento tra i due e ricordava perfettamente i timori del fratello riguardo un'accoglienza non favorevole per la bella studentessa inglese.

E ora stavano insieme da dieci anni, avevano due bambini e si amavano come e anche più di quando li aveva visti insieme per la prima volta.

Se non si era mai realmente innamorato di una ragazza, era perché lui aveva in mente quell'ideale incarnato alla perfezione da Hiroji e Annie. Nessuna gli aveva mai dato la sensazione di poter essere "la sua Annie". Finché non aveva cominciato a conoscere meglio Elena.

Avrebbe voluto dirle anche questo, ma la loro storia era appena agli inizi ed era forse precipitoso e prematuro.

Avevano ancora tante cose da scoprire l'uno dell'altra … un percorso che si annunciava intrigante e che non vedeva l'ora di intraprendere.

 

«Siamo arrivati.» disse, accostando l'auto davanti al cancello.

Elena guardò la facciata della casa di suo zio, illuminata solo dai lampioni.

All'interno, tutte le luci erano spente.

Esitò qualche secondo, poi si voltò verso il ragazzo.

I suoi occhi erano lucidi, le labbra distese in un sorriso.

«In bocca al lupo per le Olimpiadi, Genzo. Cerca di non lasciar passare nemmeno un gol.»

«Il Giappone arriverà in finale. Tu dovrai essere a Madrid, a vederci.»

Elena si sporse verso di lui e gli accarezzò piano una guancia, poi gli posò un lieve bacio sulle labbra.

«A presto, Genzo Wakabayashi.» disse prima di voltarsi, aprire la portiera e scendere.

Udì il motore dell'auto ripartire nello stesso momento in cui apriva la porta d'entrata.

Se la richiuse alle spalle, lasciando entrare anche Wilhelm.

Lo prese in braccio e lo coccolò, poi si sedette sul divano e appoggiò un gomito sul bracciolo, posando la testa su una mano.

Sentì gli occhi inumidirsi e pungere.

Prese lo smartphone dalla sua borsa e aprì la rubrica, cercando il nominativo di Kumi.

Anche lei era reduce da una domenica trascorsa interamente con Taro.

«Non ti rattristare più di tanto, Elena.» la confortò l'amica «Noi wags giapponesi ce ne intendiamo di lunghi periodi di lontananza. E comunque, a Orohime e Hikoboshi è andata molto peggio.» ironizzò, riuscendo a strapparle una risata.

 

 

 

 

 

***Note***

 

 

 

La festa di Tanabata ("settima notte") è una dei cinque gosekku, le più importanti festività del calendario giapponese.

Celebra il ricongiungimento delle divinità Orohime e Hikoboshi, rappresentanti le stelle Vega e Altair.

Secondo la leggenda, i due amanti vennero separati dalla Via Lattea potendosi incontrare solo una volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese del calendario lunisolare.

La scelta della data di questa festa, oltre ad avere una valenza simbolica e sacra per via del ripetersi  del numero 7, dipende dal fatto che, secondo gli studiosi, è questo il periodo di massima luminosità delle stelle; soprattutto all'inizio di luglio si può notare anche una maggiore vicinanza tra Vega e Altair rispetto al resto dell'anno.

Fonte: kitsunebi.it   

 

 Le informazioni sul Castello Sunpu e sul Momijiyama Japanese Garden sono tratte da questo sito: marcotogni.it

 

Kuzufu: tipo di tessuto realizzato intrecciando fibre di kuzu, una pianta selvatica rampicante.

In Italia è nota con il nome di pueraria montana e la polvere ottenuta dalle sue radici è usata a scopo terapeutico e curativo.

 

La frase con cui Genzo comincia a raccontare a Elena quando e come sono nati i suoi sentimenti per lei sarebbe piaciuta a Annie perché è ispirata al dialogo tra Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy tratto da "Orgoglio e pregiudizio", il celeberrimo romanzo di Jane Austen, pubblicato nel 1813.

Questa è la trascrizione:

«Come è cominciato?» chiese. «Posso capire che una volta nata, la cosa abbia preso piede, ma che cosa ti ha fatto innamorare all'inizio?»

«Non posso fissare né l'ora né il posto, o lo sguardo o le parole che furono il principio del mio amore. È passato troppo tempo. Ero già innamorato prima di accorgermene.»

 

 

 

Mi tocca ringraziare il da poco trascorso maggio anomalo dal punto di vista atmosferico, che mi ha ispirato le scene di questo capitolo. :-)

Grazie come sempre a tutti i lettori!

Sandie

  
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