Un
amore nato dal caso
Amare
è capire come orientarsi nella nebbia
Giovanni
prese il telefonino e, per la terza volta, controllò i
messaggi. Era
appena tornato dal lavoro e già l’ansia premeva
per uscire.
Alloggiava
in una modesta pensione nel cuore della città, in uno
stabile
immerso nel verde appartenuto a un nobile decaduto.
Giovanni
non aveva problemi con le persone perennemente in ritardo, ma quando
si trattava di Daniele la sua insicurezza emergeva.
Nervoso,
calciò una scarpa che finì sotto la scrivania.
Ci
teneva a Daniele, al loro rapporto fatto di timidi sguardi e sorrisi
sinceri. Si era abituato così tanto alla sua presenza da
riconoscere
le sfumature dietro le quali mascherava le emozioni. Stare con lui
era come vagare nella nebbia e riconoscere che un’ombra, come
un
suono improvviso o un colore sfocato, erano indizi che lo portavano
da lui.
Si
appoggiò alla finestra e iniziò a tormentare le
unghie. Aveva
ripreso a piovere.
Daniele
era bello, aveva fascino e tutti ammiravano la sua allegria. Invece
lui era schivo, gli piaceva fermarsi e contemplare, magari in
compagnia di una buona sigaretta.
Proprio
l’opposto, pensò mesto. Se non
cambio la situazione
qualcun altro me lo porterà via. Non sono abbastanza
interessante o
particolarmente carino per uno come lui.
In
quell’istante, oltre l’uscio, qualcuno
gridò: «Giovanni!
Giovanni! Scendi, c’è un tizio che ti aspetta
fuori in cortile.»
Senza
indugio, il moro caracollò giù dalle scale col
cuore che batteva
forsennato, le scarpe dimenticate, per catapultarsi fuori sotto la
pioggia.
Col
fiato in gola lo raggiunse e, prima che potesse dire
alcunché, gli
prese il viso tra le mani e lo baciò. Daniele, colto di
sorpresa,
fece cadere l’ombrello.
Fu
intenso e straziante.
Un
calore improvviso gli bruciò la pelle e gli parve che il
sangue
evaporasse all’istante quando Daniele rispose al suo assalto.
Così
gli affondò le dita nei capelli biondi e li
strattonò, piegandogli
il capo di lato.
Era
terribile e al contempo gustoso. Era come soffiare via la nebbia per
scoprire che esistevano davvero i colori.
Oh
santo cielo quanto lo amo.
Si staccò
da lui e prese un lungo respiro.
«Ti
amo,» gli disse con urgenza. «So di non essere
perfetto e non ho
molto da offrirti ma vorrei comunque provare a dimostrare che sei
speciale. Che sei unico.»
Daniele
fermò quel fiume di parole baciandolo con trasporto.
«Non
chiedo la luna, Giovanni. Desidero un compagno che mi comprenda, che
mi sopporti.» Sorrise alla smorfia buffa che fece.
«E tu sei
perfetto,» l’assicurò. Ripresero a
baciarsi lentamente.
«Ehi!
Voi due! Avete finito di fare le colombelle? Venite, ho appena
servito il tè.» Sulla porta si stagliava la figura
tonda della
cuoca.
I
due ragazzi sussultarono colti di sorpresa. «Non è
stata la più
eclatante delle dichiarazioni,» bisbigliò Giovanni
sulle sue
labbra.
Risero
impacciati, poi, prendendosi per mano entrarono nella pensione.
«Ah,
Giovanni. Poi assicurati di lavare il pavimento.»
proferì la cuoca,
indicando loro le evidenti tracce di umido che avevano lasciato;
erano bagnati come pulcini.
Note
dell’autrice: dove sta scritto che
dichiararsi l’amore
sia un evento straordinario? Giovanni e Daniele sono due pasticcioni
ma è indubbio che si amano davvero. Ciò non gli
impedirà di
causare qualche disastro.
Buona
lettura e i commenti sono graditi.
Questa
storia partecipa al contest ‘Il contest del
Simbolismo’ indetto
da Arianna.1992 sul forum con il prompt amore/colomba.
Disclaimer:
l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi
diritto.