"Io
questo NON lo mangio!". Daisy picchiò la forchetta sul
tavolo,
incrociò le braccia, dondolò le gambine dalla
sedia e si imbronciò,
decisa a portare a termine quel suo proponimento.
Falmouth
sospirò, Ross osservò in silenzio la scena, i
bambini restarono
concentrati a guardare come andava a finire e Demelza sudò
freddo,
osservando ciò che aveva nel piatto. In effetti quello
strano
polpettone dall'indubbia farcitura, non attirava nessuno di loro. E i
gemelli, con cui bisognava faticare anche per il dolce, di certo non
ne avrebbero messo in bocca nemmeno un pezzetto. La cucina scozzese
era stata decisamente bocciata dal clan Boscawen e a giudicare dalle
facce di Ross e Dwight, anche dai Poldark e dagli Enys!
L'addetta
alle cucine, una donna scozzese sulla sessantina dai capelli biondi
ormai tendendi al bianco, la pelle chiara e cosparsa di lentiggini e
il viso pieno di chi apprezza il cibo locale, guardò storto
la
bambina. "Haggis... Una delle prelibatezze della regione! Ci
sono bambini che ruberebbero, per poterlo mangiare".
"Regalalo
a loro!" - ribattè Daisy, spostando di lato il piatto.
Falmouth,
che di solito interveniva quando si verificavano quei capricci,
stavolta rimase silenzioso. Quel piatto non attirava nemmeno lui...
"Haggis... E di cosa sarebbe fatto questo... cibo...?".
La
cuoca annuì, orgogliosa della sua opera. "E' lo stomaco di
pecora ripieno di frattaglie, appunto, della pecora: interiora,
cuore, polmoni, fegato, cipolla, farina d'avena e spezie!".
Clowance,
a quella spiegazione, impallidì ed imitò la
sorella, spostando il
piatto. "Nemmeno io lo voglio!".
E
ancora, nessuno osò darle torto.
Falmouth
tossicchiò mentre anche Demelza e Ross, dopo essersi
guardati negli
occhi, decidevano che per quella sera era meglio digiunare. In fondo
Demelza non si sentiva così affamata, aveva un pochino di
nausea e
difficilmente questo 'Haggis' gliel'avrebbe fatta passare.
Demian
si alzò dal tavolo, avvicinandosi a Dwight. "Vero che se
mangio
questa cosa, poi mi viene mal di pancia? Vero che se mi danno il
pasticcio di patate è meglio?".
Dwight
sudò freddo, facendo correre lo sguardo fra il bambino,
Falmouth e
infine Demelza, in cerca d'aiuto. "Ecco...".
Prudie,
seduta in disparte accanto ai bambini, annuì. "Stavolta sono
d'accordo con le bestioline!" - borbottò, mentre la cuoca
scozzese se ne usciva dalla stanza indispettita.
L'unico
fino a quel momento rimasto in silenzio, si fece sentire. Valentine
tagliò un pezzo di Haggis, se lo portò alla
bocca, lo masticò
mentre Ross lo guardava disgustato e poi sorrise. "E' buono! Dai
papà, provalo!".
"NO!"
- ribattè Ross secco e stizzito quanto Daisy poco prima,
provocando
una risata di Demelza.
E
Jeremy colse la palla al balzo, passandogli il suo piatto. "Sei
esile Valentine, ti regalo anche il mio!".
Demelza
lo fulminò con lo sguardo, non aveva ancora dimenticato lo
scherzetto delle mance e non apprezzava nemmeno quando Jeremy faceva
il furbo, anche se era per una giusta causa. "Jeremy".
"Non
lo voglio, mamma!" - ribattè il bambino.
Falmouth
si alzò in piedi, picchiando le mani sul tavolo per attirare
l'attenzione. "Su, un pò di dieta non farà male a
nessuno e
purtroppo dovremo adattarci! Difficilmente questa gente sarà
in
grado di fare piatti per popolazioni civilizzate e non è
nemmeno
giusto chiederglielo! Non ne sono in grado!".
"E
il pasticcio di patate?" - chiese Demian.
"Lo
mangerai a Londra!" - rispose Falmouth. "Ma ora, ho cose
più serie di cui discutere! Ho organizzato una battuta di
caccia per
domani, con tanto di pranzo al sacco! Panini imbottiti, da Prudie e
Mary per fortuna nostra! Sarà una bella giornata di svago
per
tutti".
Demelza
guardò fuori dalla finestra, pensierosa. Il tempo era
orribile e
difficilmente sembrava votato al miglioramento. "Sta piovendo e
pioverà, dice la gente del posto!".
"Dove
dovremmo andare per questa battuta di caccia?" - chiese Dwight.
"Sui
monti Cullin! Luogo isolato, impervio, pieno di grotte e anfratti e
perfetto per stanare cervi, volpi e caggiagione di qualità"
–
rispose Falmouth – "E...".
Demelza
sbuffò. C'era altro sotto, lo sospettava fortemente. "E?".
Falmouth
sorrise, sornione. "E in quella zona c'è un castello che
potrebbe fare al caso nostro! Sorge su una piccola isola collegata
alla terra ferma da un ponte, è grande e maestoso, antico
quanto
basta ma in buono stato. Incute timore in chi lo guarda ed esprime la
potenza di chi lo possiede! Il castello di Eilean Donan, costruito
nel tredicesimo secolo da Alessandro II di Scozia per fronteggiare le
invasioni vichinghe, è perfetto per insediare i Boscawen in
queste
terre!".
"Forte!
Chi sono i vichinghi?" - chiese Valentine.
"Gente
più selvaggia persino degli scozzesi, ragazzo!" -
ribattè
Falmouth.
"Ohhh!
Papà, tu li conosci?".
Ross
sospirò, non sapendo se ridere o piangere per la piega che
aveva
assunto la cena. In realtà era strano, non erano cose a cui
era
abituato e che forse aveva sempre un pò evitato anche quando
il suo
casato era grande e si riuniva a Trenwith, ma quella strana
convivialità e condivisione di momenti 'di famiglia',
iniziava a
piacergli. Ed immaginava anche di capire perché piacesse a
Demelza,
nonostante le idee astruse ed antiquate di Falmouth: lei non aveva
mai avuto nulla da piccola, non pranzi insieme, non chiacchiere
davanti al camino, non momenti di condivisione. E nemmeno lui in
fondo, sempre alla ricerca di soluzioni ai problemi del mondo, le
aveva mai dato nulla del genere se non in rare occasioni. Ora ne era
coinvolto, ne sarebbe sempre stato coinvolto e... poteva dire di non
disprezzare la cosa. Valentine poteva mangiare circondato da
chiacchiere invece che dal silenzio, c'erano tanti bambini che
donavano allegria alla tavola e l'atmosfera era calda e piacevole
anche per gli adulti. "No, non conosco i vichinghi ma ne ho
sentito parlare. Guerrieri valorosi e imbattibili. E con una
società
di certo non antiquata ma anzi, guidata da idee moderne e eque, da
quanto dicono".
"Idee
selvagge ed incivili!" - lo rimbeccò Falmouth.
Demelza
gli diede un calcetto sulla gamba sotto il tavolo, consigliandogli di
non contraddire Falmouth oltre. Certi argomenti erano out a tavola e
Ross doveva cercare di sopravvivere a certe cose. Lei conosceva
Falmouth, percepiva a fiuto quando stava per inalberarsi ed
addentrarsi in un'infinita disquisizione sulla politica e sulla
superiorità degli inglesi e aveva, col tempo, imparato ad
evitare
con astuzia situazioni del genere. Ed era meglio che imparasse anche
Ross, per il suo bene!
Lui
si voltò verso di lei, sorridendole impercettibilmente e
strizzandole l'occhio. Aveva recepito il messaggio!
Jeremy
si tirò su, osservando il suo piatto ancora pieno. "Visto
che
non si mangia, io e Clowance possiamo andare in camera nostra?".
Demelza
sospirò. "Dovreste aspettare che ci alziamo tutti...".
Il
ragazzino si imbronciò. "Ti preeeego! Se mi fai andare,
faccio
fare i compiti a Clowance!".
La
sorella, lo guardò con malcelata voglia di picchiarlo. "E'?".
"Devi
fare i compiti, sei una somara!" - la rimbeccò il bambino
con
fare da saputello.
Falmouth
sospirò e Demelza, con un sonoro sospiro stanco,
annuì. "Andate!
Non voglio sentirvi litigare! E i compiti fateli sul serio,
ENTRAMBI!".
Jeremy
sorrise, soddisfatto. E poi sparì di corsa dalla sala da
pranzo,
seguito dalla sorella, prima che gli adulti cambiassero idea.
Demian,
imbronciato, si avvicinò a Valentine. "Giochi con me?".
"Sì.
Papà, posso?".
Ross
annuì. "D'accordo, ma rimanete al chiuso, fuori diluvia".
Falmouth,
a sua volta, si alzò. "E diluvierà anche domani!
Ma la pioggia
non fermerà il nostro spirito d'avventura, la caccia e
l'acquisto di
un castello". E con quelle parole uscì, seguito a ruota da
Demian e Valentine.
Dwight
sospirò. "Temo che domani sera dovrò curare il
raffreddore di
tutti".
Demelza,
alzatasi, si avvicinò a Daisy che, stranamente, si era
ammutolita ed
imbronciata dopo che i fratelli se n'erano andati. "Speriamo di
no" – sussurrò, preoccupata per la sua gravidanza
e per
qualsiasi ipotetico malanno.
Dwight
si alzò dalla sedia. "In fondo non possiamo obiettare, no?
Se
Falmouth ordina, noi si esegue! E' come la legge militare in
guerra!".
"Direi
di sì" – rispose Ross. "Hai voglia di bere del
buon
Scotch Whisky, Dwight? Gli scozzesi non sanno cucinare ma a livello
liquori, sono notevoli".
"Perché
no?".
Ross
si rivolse a Demelza. "Ti unisci a noi?".
Lei
sospirò. Dannazione, faceva freddo e ne avrebbe anche avuto
voglia,
ma la gravidanza gli sconsigliava di farlo. "La prossima volta!
Ora io e Daisy ci facciamo un giro per il maniero. Ti va, piccola?".
"Non
lo so!".
Ross
le si avvicinò, accarezzandole la testolina. "Sei
arrabbiata?
Stanca? O molto affamata?".
Lei
rimase in silenzio, poggiando la testolina sul tavolo, come se fosse
percossa da mille pensieri. "Non ho niente".
"Daisy..."
- la supplicò Demelza. "Non stai bene? Tesoro, dimmi cosa
c'è!".
Lei
si voltò piuttosto contrariata, spingendola via. "Non ho
niente! E non voglio fare un giro!" - urlò, stranamente
rabbiosa.
Demelza
e Ross si guardarono e anche Dwight si accigliò. Daisy era
spesso
capricciosa ed irritabile ma mai eccessiva e instabile nelle
reazioni. C'era qualcosa che non andava o la preoccupava.
"Daisy..."
- la implorò Demelza, cercando di prenderla per mano.
Ma
la piccola le sfuggì dalla presa, con gli occhi lucidi.
"Voglio
andare da Jeremy e Clowance! Da nessun'altra parte!".
"Va
bene, va da Jeremy e Clowance" – le rispose Demelza. Jeremy
era sempre stato bravissimo a calmarla e a trovare un modo per
comunicare con lei. Se Daisy aveva qualcosa e non voleva parlarne con
lei, sicuramente sarebbe stata capace di parlarne con lui. Si sentiva
un pò un fallimento come madre, quando Daisy faceva
così,
rendendosi conto che non riusciva mai ad infrangere del tutto quel
muro che la bimba a volte ergeva fra loro.
Dwight
tentò un ulteriore approccio. "Non vuoi venire con me e
Ross?".
"NO!".
Ross
tentò a sua volta di avvicinarla, capendo quanto fosse
stranamente
turbata. "Con me? Non vuoi farmi compagnia?".
Ma
stavolta, anche lui si vide rifiutato. "No! Voglio andare da
Jeremy e Clowance".
E
risoluta, lasciò mestaemente la sala da pranzo.
Ross
si avvicinò a Demelza, abbracciandola da dietro e cingendole
la
vita. "E' solo di cattivo umore, le passerà!".
Ma
Demelza non si sentiva tranquilla. "Non riesco mai ed essere io
quella che sa farla stare meglio. O ci riesci tu o ci riesce Prudie o
ci riesce Jeremy. Io non vado mai bene".
"Non
essere sciocca, Demelza" – intervenne Dwight. "E' piccola
e se la prende con chi la ama di più e la
perdonerà sempre. Siamo
in un paese straniero, in ambienti che non conosce, è
costretta a
seguire ogni giorno le idee bislacche di Falmouth, non dorme nella
sua casa e nel suo letto e questo influisce molto sull'umore di una
bambina tanto piccola. E' stanca".
Demelza
sospirò, cercando di far sue le parole consolatorie di
Dwight. "Non
saremmo mai dovuti venire quì e ho un cattivo presentimento".
Ross
la baciò sulla nuca, dolcemente. "Non ci pensare".
Ma
non pensarci, per lei era impossibile.
...
Appena
giunti in camera, Jeremy chiuse la porta e attirò a se
Clowance
prendendola per mano. "Domani, domani è il giorno giusto per
il
nostro piano!".
Clowance,
che fino a quel momento era stata la promotrice ufficiale
dell'impresa, spalancò i suoi occhi azzurri, con un'ombra di
terrore
sul viso. "Domani? Pioverà!".
"Viviamo
in un posto dove piove spesso, la pioggia sarà nostra
compagna di
gran parte di viaggio. E della nostra vita".
Ma
Clowance non pareva comunque troppo tranquilla. "Perché
domani?".
Jeremy
alzò gli occhi al cielo, non era molto acuta nelle faccende
pratiche. "Saremo in pochi, in un luogo isolato, lo zio e gli
altri uomini saranno a caccia e con la scusa di giocare, potremo
allontanarci senza essere visti. Prepariamo gli zaini, dichiamo a
mamma che ci portiamo abiti di cambio per la pioggia, qualcosa da
mangiare nascosto fra i vestiti e poi via, verso Londra. O domani, o
mai più!".
Clowance
sospirò. "Solo qualche abito di cambio? E il mio baule?".
Jeremy
scosse la testa, sarebbe stata una compagna di viaggio pessima,
lamentosa e poco utile. "Stai scappando, non stai facendo una
vacanza. Niente baule, niente nastri per i capelli, niente bambole!
Dormiremo nei prati, nei boschi, mangeremo ciò che capita e
avremo
dei passaggi solo se qualcuno sarà tanto gentile da darceli
col suo
carretto, ci laveremo nei ruscelli e non potrai cambiarti i vestiti
ogni giorno. Sarai un pò sporca, per un pò".
Gli
occhi di Clowance divennero lucidi. "Sono una lady..." -
sussurrò, spaventata.
"Stai
cambiando idea? Resti quì e lasci che mamma e il signor
Poldark...".
Ma
lei lo bloccò, nuovamente risoluta. "NO! Hai ragione, nelle
avventure ci si sporca, ci si deve sporcare! Domani, domani!!!".
In
quel momento la porta si aprì ed entrambi saltarono per aria
come
punti da uno spillo e con la paura che qualcuno, origliando, li
avesse scoperti. Chi diavolo...?
Jeremy
sbirciò dall'uscio che pian piano si apriva e
tirò un sospiro di
sollievo quando vide di chi si trattava. "Daisy!".
La
gemellina entrò di soppiatto e poi chiuse la porta dietro di
se.
Sembrava cupa e nervosa e il suo visino di solito giocoso, pareva
sparito. "Domani, Jeremy?" - chiese subito, senza giri di
parole.
"Domani"
– ribattè lui senza voglia di negare, stupendosi
ancora di quanto
fosse acuta nel capire le cose. Se Clowance fosse stata acuta anche
solo la metà, quel viaggio forse sarebbe stato meno duro.
Clowance,
dal canto suo, si imbronciò. "Lei che ne sa? Gliel'hai
detto?
Sei matto?! Lo dirà alla mamma!".
Jeremy
scosse la testa. "No, non lo dirà, lei sa mantenere i
segreti,
non è come Demian".
Daisy
prese un lungo respiro. "Sì, li mantengo! Però
questo segreto
non mi piace, mi fa venire paura". Si toccò lo stomaco,
singhiozzò e poi guardò implorante suo fratello.
"Ecco, quando
ho paura e sono preoccupata, mi fa male quì".
Jeremy
le diede un buffetto sulla guancia. "Ti fa male lì
perché hai
fame! Non abbiamo mangiato niente!".
"No,
mi fa male perché ho paura" – insistette la bimba.
"Jeremy,
non andare via, resta con me!".
"Devo
andare via, dobbiamo!" - rispose il ragazzino, dando un'occhiata
a Clowance in richiesta d'aiuto.
"Già,
dobbiamo andare!" - aggiunse Clowance – "E' per fare
andare meglio le cose dopo! E' per il bene di tutti".
"No,
non è vero!" - ribattè Daisy, picchiando in terra
il piedino.
"Scappate, fate spaventare tutti, mi fate venire mal di pancia,
fate piangere la mamma e il signor Poldark e se invece chiedete e
dite di cosa avete paura, sì che tutti starebbero bene.
Anche il mio
pancino!".
Jeremy
sbuffò. Gli spiaceva ferire Daisy e capiva che tanto piccola
com'era, doveva essere spaventata. Chissà come doveva
apparirgli
spaventosa quella loro fuga nell'ignoto...? Aveva paura anche lui
dopo tutto, ma che doveva fare? Forse non sarebbero riusciti nemmeno
ad andare troppo lontano, forse li avrebbero ritrovati subito e
quindi non c'era di che preoccuparsi. Forse lo sperava anche
perché
con quei pochi soldi che avevano, con Clowance che avrebbe frignato
tutto il tempo, con la pioggia e tutto il resto, difficilmente
avrebbero portato a termine il piano. Ma dovevano quanto meno
provarci e far capire alla loro madre e sì, anche a quel
padre
ricomparso dal nulla, cosa provavano. Non riuscivano a dirlo a parole
e a volte le azioni spiegavano meglio di mille discorsi.
Accarezzò
la testolina di Daisy, la prese per mano e la condusse alla sua
scrivania, mostrandole una piantina della Scozia che aveva trovato
nella biblioteca del maniero. "Vedi, siamo organizzati! Abbiamo
anche una mappa per non perderci!".
Ma
Daisy non sembrava ugualmente convinta. "Non mi piace lo
stesso!".
Clowance
si avvicinò loro, prendendo in mano la situazione. "Ma devi
stare zitta comunque, è un segreto, Jeremy te lo ha detto e
tu devi
mantenere la parola data. Anche se ti fa male la pancia!".
Daisy
abbassò lo sguardo, spaventata. E senza trovare parole per
ribattere, cosa stranissima per lei, mestamente lasciò la
stanza...
Jeremy
diede una botta in testa a Clowance, appena furono soli. "Non la
dovevi trattare così, ora piangerà e forse la
mamma...".
"No,
non piange! Daisy non piange mai!".
Jeremy
osservò nella direzione in cui era sparita la sorellina. Era
preoccupato pure per lei, ora. E forse quel segreto era troppo per
una di soli quattro anni. "Ha paura, è piccola".
"E
allora dovevi pensarci prima!" - rispose Clowance, risoluta.
"Ma
non ti spiace per lei?" - insistette Jeremy.
La
bimba abbassò lo sguardo. "Sì, certo! Ma se
scappiamo, è pure
per lei! E' nostra sorella e magari mamma, per stare col signor
Poldark, la lascia a Londra con Demian e noi non li rivediamo
più".
Jeremy
sussultò. Non ci aveva mai pensato ma in effetti era vero,
Daisy e
Demian erano figli di Hugh e non del signor Poldark. Perché
avrebbe
dovuto volerli con lui? E la determinazione, a quel pensiero,
tornò
in lui. Hugh aveva accolto con amore lui e Clowance, anni prima, ma
nessuno poteva garantire che il signor Poldark avrebbe fatto lo
stesso coi gemelli e di certo non era obbligato. "Hai ragione,
non dobbiamo ripensarci, dobbiamo andare".
"Sì,
dobbiamo andare!" - rispose Clowance, chiudendo il discorso.
...
Demelza
si era stesa, turbata da mille pensieri e preoccupazioni. I bambini
erano strani, era incinta e ancora nessuno lo sapeva e Daisy sembrava
così irritabile e turbata...
Eppure
quei giorni erano, per l'assurdo, fra i più belli della sua
vita! La
proposta di matrimonio di Ross così dolce e romantica,
l'essersi
ritrovati, aver superato un passato difficilissimo, l'amore senza
ombre e un futuro finalmente roseo davanti, avrebbero dovuto solo
scaldarle il cuore. Ma c'erano tante variabili che gravitavano
attorno a loro e i bambini ne erano parte fondamentale. Sarebbero
stati una grande famiglia allargata, forse... Avrebbero davvero, lei
e Ross, gestito tutto? Avrebbero davvero potuto dare e ricevere amore
da tutti quei bambini?
Coricata
sul letto, col rumore della pioggia battente che scuoteva le
finestre, si rannicchiò sotto la coperta per scaldarsi.
Aveva uno
strano gelo dentro le ossa e di certo la battuta di caccia con quel
tempo infame non avrebbe aiutato a scaldarla.
Demian,
dopo aver giocato con Valentine, era tornato alla chetichella in
camera alla sua ricerca e si era messo seduto sul letto accanto a lei
a disegnare e chiacchierare coi suoi pastelli a cera, riuscendo a
strapparle più di un sorriso coi suoi discorsi
sconclusionati e la
sua fantasia.
C'era
sempre bisogno di Demian e della sua visione incantata delle cose, in
momenti del genere...
D'un
tratto la porta di aprì e Daisy sgattaiolò in
camera,
sorprendendola. Mai veniva da lei di pomeriggio e raramente succedeva
di sera quando di solito Daisy e Clowance la aspettavano in camera
loro per la buonanotte.
Demelza
osservò la sua piccola, nervosa orsetta. La piccola sembrava
meno
arrabbiata di poco prima e il suo faccino pareva più che
altro
stanco e turbato, come se sulle sue spalle portasse chissà
quale
peso.
Preoccupata
si alzò dal letto, andando da lei. “Daisy,
tesoro...”.
Lei
dondolò il piedino a terra. “Posso stare con te un
pochino?”.
“NOOOO!”
- urlò Demian dal letto. “Devi andare nella tua
stanza, questa è
mia e della mamma!”.
Demelza
sospirò, con Demian era sempre la stessa storia e forse era
davvero
arrivato il momento di fargli capire che pure lui aveva una stanza
sua e non era quella dove abitualmente dormiva. “Certo che
puoi”.
Daisy
sollevò il visino, guardandola con quei suoi occhi azzurri e
trasparenti. “Posso stare in braccio?” - chiese,
sorprendendola.
In
altri momenti quella richiesta tanto rara e preziosa, l'avrebbe
riempita di gioia. Ma ora
Daisy sembrava
talmente smarrita e prostrata, che non riuscì a non
preoccuparsi. Si
inginocchiò e la prese in braccio, stringendola a se.
“Certo
amore, certo che puoi stare in braccio!” - le
sussurrò, facendole
poggiare la testolina sulla sua spalla. “Cosa c'è
Daisy?”.
“Niente”.
“Non
è vero, c'è qualcosa che ti preoccupa e si vede.
E non puoi
nasconderlo alla mamma, le mamme queste cose le vedono
subito”.
Demian
saltò giù dal letto per pretendere a sua volta
attenzioni ma
Demelza questa volta tenne duro. Lui aveva già gran parte
del suo
tempo e della sua attenzione e se una volta Daisy chiedeva
apertamente altrettanto, sarebbe stata solo sua. Demian era sereno,
Daisy no! E in quel momento era lei che aveva bisogno. “Su,
continua a disegnare, tesoro! Fa un disegno bellissimo per me e tua
sorella”.
“Ma...”.
“Demian!!!”.
E
davanti al suo richiamo risoluto, il piccolo annuì.
“Va bene”.
Demelza
tornò a guardare Daisy, dondolandola fra le braccia. La
piccola si
era messa il pollice in bocca, come faceva quando qualcosa non andava
ed era nervosa, quindi qualcosa che la turbava c'era! Non aveva idea
di cosa fosse, probabilmente aveva ragione Dwight e la bimba aveva
semplicemente bisogno di tornare a casa, ma era comunque meglio
indagare. “Mi dici che cosa c'è?”.
“Mi
fa male il pancino”.
Demelza,
sorridendole, glielo massaggiò. “Va
meglio?”.
“Un
pochino...”.
Passeggiando
con la piccola per la stanza, con la pioggia che picchiava sui vetri,
Demelza ricordò i suoi primi mesi di vita quando le coliche
la
facevano da padrone e lei piangeva disperata, tenendo tutti svegli.
C'era Hugh allora, c'erano le passeggiate notturne nel parco e
sembravano passati secoli per quante cose erano cambiate in soli
quattro anni. “Sai che quando sei nata, avevi spesso mal di
pancia?
E io ti prendevo in braccio così, ti coccolavo, ti
massaggiavo il
pancino e passeggiavo con te nei corridoi o nel parco finché
non ti
addormentavi. Tu, papà, io e i tuoi fratelli. Tutti svegli!
E grazie
a te abbiamo passato delle serate tutti insieme al parco”.
Daisy
sollevò la testolina, sospirando, non molto in vena di
racconti e
ricordi romantici . “Era un mal di pancia diverso, mi
sa”.
“Vuoi
che chiami Dwight?”.
“No,
non sono malata, c'ho un po' paura, per questo mi fa male la
pancia”.
Demelza,
preoccupata sul serio ora, la sfiorò il mento.
“Paura? Di cosa?”.
Ma
Daisy volse il capo. “Non posso dirtelo!”.
“E'
successo qualcosa di brutto?” - insistette Demelza, entrando
in
allarme.
“No,
voglio tornare a casa però!”.
Quella
frase riuscì in parte a tranquillizzarla. Allora era davvero
solo
questo il problema?! E aveva ragione Dwight? Non avrebbe dovuto
portare i bambini in quel luogo tanto sconosciuto e lontano e anche
se a Clowance e Jeremy, quando ci erano venuti con Hugh, era
piaciuto, i gemelli erano diversi e quel cambiamento li rendeva
suscettibili e agitati. “Ma sai, se aspetti un po', magari
qui ti
piace e ne esce una bella vacanza”.
“No,
voglio andare a casa! Quando andiamo?”.
Demelza
sospirò, scoraggiata. Ma anche piuttosto risoluta, visto
quanto quel
viaggio sembrava influire negativamente sui suoi bambini.
“Magari
cerco di convincere lo zio che per noi è meglio tornare
prima con
Dwight e i suoi cavalli, che ne dici? Questo ti farebbe stare
più
tranquilla e senza male al pancino?”.
Daisy
annuì. “Sì, a casa veloce
veloce!”.
La
baciò sulla fronte, dolcemente, cullandola.
“Veloce veloce, sì.
Ora va meglio?” - chiese, togliendole il dito di bocca, vizio
che a
Demelza non era mai piaciuto troppo.
Daisy
si accoccolò addosso a lei, anche questo stranissimo per il
suo
carattere. “Mamma...?”.
“Dimmi”.
“Scusa
per prima, se ho fatto la cattiva”.
La
strinse forte, era tremenda se voleva ma sapeva anche farsi perdonare
in modo magistrale. Daisy non era una ruffiana come Demian o Clowance
e nel bene e nel male era sincera, sempre. Soprattutto se chiedeva
scusa, erano scuse sincere! “Non importa, è
passato e sei qui. E
se sei qui con me e vuoi stare con me, allora sono contenta”.
“Sei
contenta adesso?”.
“Certo”.
“Voglio
che sei contenta anche domani, però!” -
ribatté la bimba, seria.
Demelza
rise, non capendo il senso di quella frase detta con una strana
gravità, come se Daisy temesse che non sarebbe stato
così. La
ribaciò sulla fronte, visto che era in vena di coccole, poi
la
dondolò più vigorosamente per farla ridere.
“Sarò contenta anche
domani, giuro!”.
Daisy
sospirò e in quel momento Demian corse da loro, stanco di
essere
lasciato in disparte. “Mamma, basta, ora tocca a me stare in
braccio!”.
Demelza
sospirò, il piccolo principe cercava di tornare ad essere il
suo
unico re ed era stato fin troppo tranquillo per i suoi standard.
Santo cielo, tutti e due in braccio non ce la faceva, ora che era
incinta. “Demian...” - lo implorò,
decisa a non mollare Daisy.
“Mammaaaaa”
- piagnucolò il bimbo.
E
in quel momento una figura entrò nella stanza, di soppiatto,
prendendo il bambino in braccio e mettendoselo sulle spalle.
Demelza,
colta di sorpresa, fulminò il nuovo arrivato con lo sguardo.
“Giuda
Ross! Mi stava venendo un infarto!” - borbottò,
anche se era
contenta di vederlo lì.
Lui,
con la sua faccia da malandrino, rise. “Ma ti ho salvata e
sono
arrivato al momento giusto” - ribatté, osservando
Daisy
accoccolata fra le sue braccia. Accarezzò i capelli della
bimba e
poi si rivolse a Demian. “Per oggi, dovrai accontentarti di
me!
Lascia la mamma anche agli altri!”.
Credeva
che Demian avrebbe piagnucolato e invece, resosi conto di quanto
fosse in alto, rise. “Se mi tiri un po' più su,
alla luna ci
arrivo davvero!”.
“Ci
alleneremo per questo!” - rispose Ross, divertito.
“E tu?” -
chiese, osservando Daisy. “Va meglio?”.
Daisy
guardò sua madre e anche se sembrava ancora turbata da
chissà quali
pensieri, annuì. “Sì, un
pochino”.
Demelza
la strinse a se, cercando di darle calore e conforto. Le mancava la
sua orsetta vivace e furba, con la risposta sempre pronta! E anche se
potersela coccolare la rendeva felice, lo era meno se pensava al
fatto che qualcosa in lei non andasse e stesse soffrendo.
“Vuoi
fare una passeggiata? Solo io e te?”.
“Sì!”.
“E
dopo cena, vuoi dormire con me?” - azzardò.
E
Daisy la sorprese ancora. “Sì, voglio dormire con
te” - mormorò,
affondando il viso nel suo collo.
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