7
«Alec?»
— sussurra una voce, scuotendogli leggermente il braccio. Alec
vorrebbe interrompere il suo sonno, ma non ce la fa. E non riesce
nemmeno a dare un cenno di vita, se non emettendo dei respiri regolari.
Le palpebre sono pesanti e la sensazione di dormire ancora un altro po'
lo rasserena tremendamente, nonostante effettivamente non ci stia
capendo niente visto che sta solo dormendo. — «Alec,
svegliati. Sembri il Gobbo di Notre Dame»
— continua la voce, stavolta un po' più alta, continuando
ad esercitare una pressione sul suo braccio. Alec non sa se è
arrivato il momento di alzare gli occhi, o se la sua mente si è
leggermente spaventata a sentire quella frase fuoriuscire dalla bocca
di sua sorella. E prima Leopardi, ora il Gobbo di Notre Dame. Deve
essere proprio messo male. Fatto sta che comincia a smuoversi e ad
aprire lentamente gli occhi. Li riapre e li richiude, sbattendo le
ciglia più volte, per cercare di mettere a fuoco quello che
c'è davanti a lui. È curvo sulla sedia, e il suo cervello
finalmente gli permette di collegare il motivo per cui Izzy lo abbia
paragonato a quel personaggio della Disney che, per carità e con
tutto il rispetto, ma non ama particolarmente essere paragonato a lui.
Gli fa tanta tristezza quel personaggio. Si volta, un po' stordito e
con la schiena che chiede pietà, verso sinistra, e incrocia lo
sguardo di Isabelle. Riabbassa le palpebre, sentendole pesanti, e poi
le riapre ancora una volta. Finalmente l'ossigeno sembra arrivargli al
cervello, e mette a fuoco il fatto che si sia addormentato su un
quaderno aperto, con qualche penna e appunti sparsi per il tavolo.
«No, porca troia!» — urla, passando una mano nel ciuffo moro, leggermente stizzito dalla cosa. Il No e
la parolaccia gli escono così forte dalla bocca, che Isabelle
non può fare a meno di sobbalzare. — «Mi sono
addormentato come un cretino» — risponde afflitto, gettando
la testa sul suo quaderno di preparazione agli esami. Quello che mi salva il culo, pensa nella sua mente. Ed effettivamente è così.
«Mi
sembrava anche il caso che ti addormentassi un po'. Ti rendi conto che
non sei una macchina?» — lo rimprovera Isabelle,
costringendo suo fratello ad alzarsi per sedersi sul divano. Che sia
chiaro, non che Izzy sia super Hulk e per questo riesce a trascinare
Alec con la semplicità di questo mondo. Izzy è forte,
senza ombra di dubbio, ma l'altezza di Alec e il fatto che, quando
riesce, dedichi un'oretta del suo tempo per far visita a Jace in
palestra e dedicarsi alla boxe o al tiro all'arco, non permette ad
Isabelle di prendere il fratello come se niente fosse. Se ci riesce,
è solo perché Alec è ancora sotto i postumi del
sonno e non ha le forze né la voglia di controbattere.
«Non
urlare, ti prego» — lo supplica lui, portando
istintivamente una mano sulla fronte. — «Ma così,
non sono andato avanti con l'argomento» — continua,
appoggiando la schiena allo schienale del divano. Isabelle si siede
accanto a lui, poggiando la mano sulla sua spalla.
«Hai
l'esame tra più di venti giorni e ti stai portando avanti
già da un po'. Non puoi smettere di campare solo per prendere un
trenta, Alec» — gli dice la sorella, stavolta più
calma. Il ragazzo alza gli occhi al cielo, storcendo le labbra in
un'espressione alquanto contorta. Fa spallucce.
«Non si tratta di prendere solo un
trenta, Izzy» — tenta di spiegare lui, grattandosi
leggermente il mento. — «Si tratta del sentirmi soddisfatto
di me stesso, pensare "Cazzo, qualcosa di buono nella mia vita lo sto
facendo". L'università è l'unica strada che riesce a
farmi sentire per una volta soddisfatto e in pace con me stesso»
— confessa, continuando a torturarsi il mento.
Ed è vero. Alec non sente il bisogno del trenta e lode per
vantarsi. Anzi, il vanto non è una caratteristica che gli
appartiene. Alec sente il bisogno del trenta come conferma al fatto che
lo studio sia l'unica cosa che gli viene bene. E il trenta è la
conseguenza di questo. Se studia bene, significa che una sola cosa la
sa fare. Isabelle lo guarda, con un leggero luccichio negli occhi, e
Alec non saprebbe dire se è un luccichio di commozione, o
è un luccichio di compassione.
«Alec,
tu non sei uno stupido trenta o uno stupido diciotto. Tu non sei un
voto» — dice Isabelle, mentre Alec emette una vocale per
interrompere la sorella. Izzy lo liquida con un gesto della mano, segno
che deve ammutolirai e lasciar parlare lei. — «Sei Alec,
mio fratello, e sei tu quando ti fai in quattro per aiutare ogni
singola persona che c'è al tuo fianco. Sei tu quando sbuffi, o
rispondi male perché hai la luna storta per motivi che nemmeno a
te stesso riesci a spiegare. Sei tu quando mi abbracci perché
non sai cosa dirmi, e a modo tuo mi dici che mi vuoi bene. Sei tu che
ti fai un culo ogni giorno, per conciliare lo studio con il lavoro,
nonostante tu faccia degli orari di merda» — Alec
sta per ribattere, ma Isabelle lo ferma nuovamente. — «E lo
so che lo pensi anche tu ogni tanto. Credi che io non ti abbia sentito,
qualche notte, reduce dal turno serale, in cui sbuffavi e ti lamentavi
per esserti rotto le palle?» — Alec sospira,
stropicciandosi l'occhio destro. Colto in flagrante. — «Sei
tu che dalla mattina alla sera, hai preso la decisione di sbattere la
porta di casa, con le cicatrici nell'anima di chi te l'ha scalfita, per
essere te stesso. E
non c'è niente di male nell'esserlo. Sei uscito di casa
consapevole che forse, lì fuori, avresti rischiato le botte. E
purtroppo le rischi ancora. Però sei te, sei Alec. E credimi, non c'è cosa più bella di essere come te»
— dice tutto d'un fiato Isabelle, mentre Alec cerca di assimilare
mentalmente tutto quello che la sorella gli ha sputato in pieno viso.
Gli occhi azzurri si volgono al soffitto, mentre la gola sembra
talmente secca da non riuscire ad emettere neanche un suono gutturale.
Si inumidisce le labbra con la lingua, e poi riporta il suo sguardo su
quello di Izzy, che le sorride, consapevole che suo fratello non abbia
nemmeno una parola e che la sua mente stia divagando del tutto.
«Isabelle»
— mormora, schiarendosi leggermente la voce. — «Ti...
ti voglio bene» — dice semplicemente. Forse un'altra
persona sarebbe rimasta male nel vedere la così poca
considerazione che hanno ricevuto le parole dette prima, ma Izzy no.
Izzy conosce suo fratello più di sé stessa e più
di quanto forse si conosce Alec stesso, e sa che anche un Ti voglio bene detto
da Alec contiene tante sfumature impercettibili che vanno colte
lentamente. Lo abbraccia, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre
Alec la stringe più forte, dandole un bacio tra i capelli.
«Vieni
con me?» — chiede Isabelle, sciogliendo l'abbraccio. Sul
volto di Alec si dipinge un'espressione interrogativa, con un
sopracciglio inarcato e la fronte corrugata.
«Dove?»
— chiede, non ricordando minimamente dove la sorella debba
andare. Izzy rotea gli occhi e scoppia a ridere. Tutto ciò,
continua ad alimentare le domande mentali di Alec.
«Clary ti sta così tanto simpatica che nemmeno la ascolti quando parla» — dice, continuando a ridere.
«Ma
Clary mi sta... simpatica» — cerca di controbattere lui,
leggermente offeso dall'accusa riguardante Clary, ma lo sguardo di
Isabelle gli fa capire che non sa neanche mentire. — «Okay,
uhm. Diciamo che non ci ritroviamo su alcune cose»
«Sì,
come il fatto di contendersi la stessa persona. Brutta storia»
— allude Isabelle divertita, mentre Alec quasi rischia di
strozzarsi con la sua stessa saliva.
«Farò
finta di non aver capito» — borbotta. —
«Comunque, cosa c'entra Clary con il posto in cui dove dovremmo
andare?»
«C'è
una mostra dei suoi quadri. Jace ha perfino chiuso la palestra due ore
prima solo per andarci» — risponde Isabelle, alzandosi dal
divano. Alec si ritrova a scuotere il capo.
Ma cos'hai nel cervello, chiede nella sua mente, per chiudere un luogo di lavoro due ore prima solo per vedere qualche schizzo qua e là di una ragazza qualsiasi?
Si ritrova a passare ancora una volta la mano nel ciuffo. Cretino, la parte razionale gli dice, è la sua ragazza, non una qualsiasi. Anche tu lo faresti per amore.
Uhm, beh. Forse sì.
«Fantastico»
— risponde con una punta di acidità nella sua voce.
— «E io cosa c'entro con la coppietta felice e i quadri
della rossa?» — chiede, picchiettando ripetutamente
l'indice sul labbro. Isabelle alza gli occhi al cielo esasperata.
«Oddio
Alec, non è che per ogni cosa è necessario c'entrarci. Ti
distrai, stacchi un po' da quei quaderni e quei libri che ti stanno
fondendo il cervello, passiamo un po' di tempo insieme, e poi...»
— dice facendo una pausa di qualche secondo, mentre Alec si alza
per prendere una bottiglietta d'acqua naturale dal frigo e per portarla
alla bocca. — «E poi ho chiesto a Mags se volesse venire
anche lui» — conclude, e la reazione di Alec è quasi
immediata. L'acqua gli va di traverso e non può non iniziare a
tossire come un dannato. — «Oh, Alec» — dice
Isabelle, dandogli qualche pugnetto dietro la schiena. Alec sente che
l'acqua gli sia arrivata al naso. Soffia da quest'ultimo e cerca di far
prendere al suo viso il colore pallido che gli appartiene, e non questo
rosso dovuto ad un quasi strozzamento. — «La prossima volta
che devo dirti qualcosa su Mags, verificherò prima che non stai
né bevendo né mangiando» — commenta Isabelle
divertita dalla situazione.
«Magnus?» — chiede, schiarendosi la voce e riponendo la bottiglietta d'acqua al suo posto.
«Proprio lui» — conferma Isabelle, con un sorriso malizioso sul viso che Alec decide di ignorare.
«Ah,
uhm. E... e che fa?» — chiede. — «Cioè
non... non che mi interessi, ecco. Ma che fa? Viene?» —
chiede tutto d'un fiato e Izzy cerca con tutte le sue forze di mandare
giù la risata che si ostina a voler uscire per forza dalla sua
gola.
«Sì,
viene» — risponde. — «Quindi, tu che fai? Vieni
con me o vuoi continuare ad analizzare quante persone su cento hanno
problemi mentali?»
«Non sto studiando questo» — chiede Alec scettico.
«Vieni o no?» — ripete Isabelle, ignorando la risposta di suo fratello.
«Direi
di sì. Non sai che adoro i quadri di Clary? Mica me li ritrovo
in casa così, a caso. Sono il suo fan numero uno» —
risponde Alec ironico, correndo in bagno, mentre Isabelle scoppia in
una fragorosa risata.
«Idiota!» — urla il Messicano per la centesima volta in tre giorni nei confronti di Magnus.
«Oddio,
che palle. Qualcuno lo riprendi, per piacere» — sbotta
Magnus esasperato, andando avanti e indietro, infilando una gamba nei
pantaloni. — «Ti ho detto che è stata
un'emergenza!»
«Emergenza un cuerno! Ci
hai lasciati al locale per andartene con qualcuno» —
continua, mentre Magnus alza gli occhi al cielo sbuffando
rumorosamente. Raphael è piuttosto rancoroso, e questo è
un dato di fatto, ma possibile che non riesce a mettersi in testa che
quando Sabato è scappato dal locale senza avvisare è
stata per un'emergenza reale?
«Ti
ho detto che Isabelle è stata male e ho seguito lei e il
fratello» — dice, toccandosi istintivamente la punta del
naso — «Ragazzi, vi prego, mi aiutate voi a togliermi
questo deficiente dalle orecchie?» — supplica Magnus,
riferendosi a Ragnor e Catarina che se ne stanno beatamente sul divano
in pelle di Magnus a sentire i battibecchi dei due.
«Raphael, davvero, basta» — dice Catarina e Magnus sospira per esprimere un finalmente.
«Umani, razza che no puedo entender» — borbotta il Messicano, sbattendo la porta del loft di Magnus.
«Qualcuno mi spiega come faccia ad essere ancora amico nostro?!» — chiede Magnus esasperato.
«Dai,
Mags» — dice Ragnor ridendo e alzandosi per posargli una
mano sulla spalla. — «Sai che è fatto
così» — lo giustifica lui.
«Eh,
è fatto male» — borbotta l'asiatico. —
«Voi che fate?» — cambia discorso, aggiustandosi i
bracciali sul polso destro.
«Io mi preparo per il turno notturno» — risponde Catarina, sbadigliando.
«Io
contemplo Presidente Miao» — risponde Ragnor, e il gatto
— sentendosi interpellato — drizza le orecchie, per poi
abbassarle di nuovo. — «Grazie sempre per la
considerazione» — mormora Ragnor offeso dal trattamento
ricevuto da quella palla di pelo.
«Presidente
sembri Raphael!» — lo rimprovera Magnus, invano. —
«Vabbè, ci vediamo più tardi» —
continua, avviandosi verso la porta, non prima di essersi dato qualche
altra specchiata.
«Senti
un po'» — mormora Catarina, prendendolo sottobraccio mentre
si avvia alla porta. — «C'è pure il fratello di
Isabelle?» — ammicca lei.
«Non
so sinceramente. Isabelle mi ha detto che glielo chiedeva, ma non sono
così tanto sicuro» — risponde, sistemandosi l'helix.
«Fammi
sapere» — dice Catarina. Gli fa l'occhiolino e, senza
aspettare risposta, chiude la porta di casa. Magnus sorride divertito e
si affretta a scendere di casa. Si è dato appuntamento con
Isabelle alla fermata dell'autobus, ma rimane un po' scettico quando
nota un'auto parcheggiata proprio fuori il suo portone. E se la memoria
non lo inganna, riesce a ricordare il proprietario di quell'auto.
«Magnus!» — scende dall'auto Izzy, baciandogli la guancia.
«Ehi!
Non dovevamo vederci alla fermata dell'autobus?» — chiede
divertito, mentre anche Alec esce dall'auto. — «Ehi
Alec!» — si affretta a salutarlo Magnus.
E mo, che devo fare? Devo dare i baci sulle guance anche a lui, una pacca, o devo starmene impalato?, si chiede nella sua testa. Alec, probabilmente, si sta facendo le sue stesse paranoie.
«Ciao Magnus» — risponde Alec, avvicinandosi a lui per scoccare guancia e guancia.
Complimenti occhi azzurri, pensa nella sua mente, ottima mossa. Magnus
decide di ignorare la scossa che ha sentito nella spina dorsale nel
contatto con la pelle liscia dell'altro, perché non può
proprio permettersi di arrossire o di farsi venire uno scompenso
ormonale. Però deve ammettere che è piuttosto piacevole.
Deve essersi raso poco fa. I tre entrano nell'auto di Alec e, in
contemporanea, allacciano le cinture.
«Ma dov'è la mostra?» — chiede Alec improvvisamente, pensando al fatto che stia vagando senza una meta.
«Allo stesso posto dell'altra volta» — spiega Izzy.
«Perché
secondo te io mi ricordo i luoghi in cui Clary fa le mostre»
— mormora Alec, per niente ironico, poggiando un braccio sul
finestrino, mentre l'altra mano resta sul volante. Magnus ridacchia.
«Si
trova nei pressi del bar in cui lavori» — spiega Isabelle,
sistemandosi meglio sul sedile e Alec si ritrova ad annuire,
tamburellando le dita sul volante. — «Sai Magnus ha la
patente, ma non guida?» — dice Izzy ridendo, guardando
Magnus dallo specchietto in avanti. Alec sorride divertito, guardando
l'altro dallo specchietto retrovisore.
«Ehi, non c'è bisogno di sputtanarmi così tanto» — mormora l'asiatico, ridacchiando.
«Come mai non guidi?» — chiede Alec interessato.
«Non
so neanche perché mi abbiano dato la patente» —
risponde Magnus, visibilmente imbarazzato, e Alec preferisce non
aggiungere altro.
«Siamo arrivati, comunque» — annuncia Alec, parcheggiando di fronte alla struttura.
Magnus
scende dall'auto, seguito da Isabelle e poi Alec che inserisce
l'antifurto all'auto. I due fratelli camminano in avanti, e Magnus
cerca di non pensare al fatto che in quei pantaloni neri del ragazzo ci
sia nascosto un ben di Dio che tasterebbe volentieri. Si fermano
davanti alla struttura e vengono accolti da un ragazzo biondo, una
ragazza rossa e un ragazzo dai capelli mori con degli strani occhiali
da vista. Magnus può giurare di aver visto Alec alzare gli occhi
al cielo. Non che sia una novità, ma gli piacerebbe sapere il
motivo.
«Ciao
ragazzi! Benvenuti!» — esclama Clary, contenta nell'avere
qualcuno interessato ai suoi quadri. Alec saluta con un gesto veloce
della mano, mentre Isabelle spalanca gli occhi nel notare il ragazzo
con gli occhiali. — «Entriamo» — esorta Clary,
facendo strada nella struttura. Isabelle, Magnus e Alec rimangono per
un attimo fermi.
«Izzy,
c'è qualche problema?» — chiedono all'unisono Alec e
Magnus. Entrambi si guardano negli occhi, sorridendo di istinto per la
telepatia.
«Oddio
ora vi preoccupate insieme» — dice Izzy un po' scettica.
— «Comunque no, quello con gli occhiali è il ragazzo
che mi ha offerto da bere Sabato» — risponde, inumidendosi
le labbra. — «Ecco io ehm, vado a scusarmi con lui. Voi
girate, fate quello che volete» — si affretta a dire, prima
di correre all'interno della struttura. Alec e Magnus si guardano, un
po' scettici.
«Non penso fosse uno stronzo, no?» — chiede Alec, toccandosi la gote.
«No, anzi. Mi sembra a posto» — mormora Magnus. — «Mi sembra un po' troppo...»
«Nerd» — dicono all'unisono, per la seconda volta in neanche cinque minuti. Si guardano e scoppiano a ridere.
«Sì,
direi che sia il termine giusto» — risponde Alec,
ridacchiando. — «Entriamo? Non che ne abbia così
tanta voglia, ma non vorrei sentire Jace nelle orecchie» —
Magnus annuisce ed entrambi cominciano a camminare all'interno della
struttura. Non sanno dove siano finiti gli altri, e né ad Alec
né a Magnus interessa. Si guardano intorno, volgendo qualche
sguardo ai quadri che decorano le mura, e Magnus scatta qualche foto.
«Ti
piacciono i quadri?» — chiede Alec improvvisamente, nel
notare l'attenzione da parte di Magnus. Lui annuisce.
«Uhm
sì, mi piace quando sono particolari. E mi piace i significati
che possono celarsi dietro ognuno di esso» — risponde,
spostando lo sguardo su Alec. — «Clary è brava»
«Sì, lo è» — ammette Alec in maniera del tutto oggettiva, posando le mani dietro la schiena.
«Perché
ce l'hai con lei?» — chiede Magnus, stando al passo con
Alec. Quest'ultimo fa spallucce e si schiarisce la voce.
«Non...
non ce l'ho con lei. Ma non è una persona che mi dà
così tanta fiducia» — mormora, guardando in avanti,
arrossendo leggermente fino alla punta delle orecchie. Magnus schiocca
le labbra in un sorriso.
«E
io?» — chiede, mettendosi davanti a lui, per costringere
Alec a guardarlo. — «Io ti ispiro fiducia?» —
chiede ancora, stavolta con un leggero imbarazzo nella sua voce. Alec
lo guarda, e Magnus sente che all'interno di quegli occhi azzurri ci
sia un mondo da scoprire. Isabelle ha ragione. Alec sente la stessa
cosa. Gli occhi verdi, assottigliati, di Magnus, gli fanno bruciare
l'anima. Dopo qualche secondo sorride flebilmente e fa sì col
capo.
«Sì» — risponde. — «Mi ispiri fiducia»
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