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Autore: portamjviadate    02/07/2019    3 recensioni
Alexander Lightwood ha ventidue anni e vive a Brooklyn. È iscritto ad un'università telematica della facoltà di Psicologia e, nel contempo, per pagare i suoi studi, lavora in un bar.
Magnus Bane ha ventitré anni e vive nella medesima città di Alec. È un imprenditore e frequenta un’accademia di moda insieme ad Isabelle Lightwood.
«But there'll be oceans for us to tread
There'll be bridges for us to mend
But I'll stick through it
Oh, I swear».
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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7

«Alec?» — sussurra una voce, scuotendogli leggermente il braccio. Alec vorrebbe interrompere il suo sonno, ma non ce la fa. E non riesce nemmeno a dare un cenno di vita, se non emettendo dei respiri regolari. Le palpebre sono pesanti e la sensazione di dormire ancora un altro po' lo rasserena tremendamente, nonostante effettivamente non ci stia capendo niente visto che sta solo dormendo. — «Alec, svegliati. Sembri il Gobbo di Notre Dame» — continua la voce, stavolta un po' più alta, continuando ad esercitare una pressione sul suo braccio. Alec non sa se è arrivato il momento di alzare gli occhi, o se la sua mente si è leggermente spaventata a sentire quella frase fuoriuscire dalla bocca di sua sorella. E prima Leopardi, ora il Gobbo di Notre Dame. Deve essere proprio messo male. Fatto sta che comincia a smuoversi e ad aprire lentamente gli occhi. Li riapre e li richiude, sbattendo le ciglia più volte, per cercare di mettere a fuoco quello che c'è davanti a lui. È curvo sulla sedia, e il suo cervello finalmente gli permette di collegare il motivo per cui Izzy lo abbia paragonato a quel personaggio della Disney che, per carità e con tutto il rispetto, ma non ama particolarmente essere paragonato a lui. Gli fa tanta tristezza quel personaggio. Si volta, un po' stordito e con la schiena che chiede pietà, verso sinistra, e incrocia lo sguardo di Isabelle. Riabbassa le palpebre, sentendole pesanti, e poi le riapre ancora una volta. Finalmente l'ossigeno sembra arrivargli al cervello, e mette a fuoco il fatto che si sia addormentato su un quaderno aperto, con qualche penna e appunti sparsi per il tavolo.

«No, porca troia!» — urla, passando una mano nel ciuffo moro, leggermente stizzito dalla cosa. Il No e la parolaccia gli escono così forte dalla bocca, che Isabelle non può fare a meno di sobbalzare. — «Mi sono addormentato come un cretino» — risponde afflitto, gettando la testa sul suo quaderno di preparazione agli esami. Quello che mi salva il culo, pensa nella sua mente. Ed effettivamente è così.

«Mi sembrava anche il caso che ti addormentassi un po'. Ti rendi conto che non sei una macchina?» — lo rimprovera Isabelle, costringendo suo fratello ad alzarsi per sedersi sul divano. Che sia chiaro, non che Izzy sia super Hulk e per questo riesce a trascinare Alec con la semplicità di questo mondo. Izzy è forte, senza ombra di dubbio, ma l'altezza di Alec e il fatto che, quando riesce, dedichi un'oretta del suo tempo per far visita a Jace in palestra e dedicarsi alla boxe o al tiro all'arco, non permette ad Isabelle di prendere il fratello come se niente fosse. Se ci riesce, è solo perché Alec è ancora sotto i postumi del sonno e non ha le forze né la voglia di controbattere.

«Non urlare, ti prego» — lo supplica lui, portando istintivamente una mano sulla fronte. — «Ma così, non sono andato avanti con l'argomento» — continua, appoggiando la schiena allo schienale del divano. Isabelle si siede accanto a lui, poggiando la mano sulla sua spalla.

«Hai l'esame tra più di venti giorni e ti stai portando avanti già da un po'. Non puoi smettere di campare solo per prendere un trenta, Alec» — gli dice la sorella, stavolta più calma. Il ragazzo alza gli occhi al cielo, storcendo le labbra in un'espressione alquanto contorta. Fa spallucce.

«Non si tratta di prendere solo un trenta, Izzy» — tenta di spiegare lui, grattandosi leggermente il mento. — «Si tratta del sentirmi soddisfatto di me stesso, pensare "Cazzo, qualcosa di buono nella mia vita lo sto facendo". L'università è l'unica strada che riesce a farmi sentire per una volta soddisfatto e in pace con me stesso» — confessa, continuando a torturarsi il mento.
Ed è vero. Alec non sente il bisogno del trenta e lode per vantarsi. Anzi, il vanto non è una caratteristica che gli appartiene. Alec sente il bisogno del trenta come conferma al fatto che lo studio sia l'unica cosa che gli viene bene. E il trenta è la conseguenza di questo. Se studia bene, significa che una sola cosa la sa fare. Isabelle lo guarda, con un leggero luccichio negli occhi, e Alec non saprebbe dire se è un luccichio di commozione, o è un luccichio di compassione.

«Alec, tu non sei uno stupido trenta o uno stupido diciotto. Tu non sei un voto» — dice Isabelle, mentre Alec emette una vocale per interrompere la sorella. Izzy lo liquida con un gesto della mano, segno che deve ammutolirai e lasciar parlare lei. — «Sei Alec, mio fratello, e sei tu quando ti fai in quattro per aiutare ogni singola persona che c'è al tuo fianco. Sei tu quando sbuffi, o rispondi male perché hai la luna storta per motivi che nemmeno a te stesso riesci a spiegare. Sei tu quando mi abbracci perché non sai cosa dirmi, e a modo tuo mi dici che mi vuoi bene. Sei tu che ti fai un culo ogni giorno, per conciliare lo studio con il lavoro, nonostante tu faccia degli orari di merda» — Alec sta per ribattere, ma Isabelle lo ferma nuovamente. — «E lo so che lo pensi anche tu ogni tanto. Credi che io non ti abbia sentito, qualche notte, reduce dal turno serale, in cui sbuffavi e ti lamentavi per esserti rotto le palle?» — Alec sospira, stropicciandosi l'occhio destro. Colto in flagrante. — «Sei tu che dalla mattina alla sera, hai preso la decisione di sbattere la porta di casa, con le cicatrici nell'anima di chi te l'ha scalfita, per essere te stesso. E non c'è niente di male nell'esserlo. Sei uscito di casa consapevole che forse, lì fuori, avresti rischiato le botte. E purtroppo le rischi ancora. Però sei te, sei Alec. E credimi, non c'è cosa più bella di essere come te» — dice tutto d'un fiato Isabelle, mentre Alec cerca di assimilare mentalmente tutto quello che la sorella gli ha sputato in pieno viso. Gli occhi azzurri si volgono al soffitto, mentre la gola sembra talmente secca da non riuscire ad emettere neanche un suono gutturale. Si inumidisce le labbra con la lingua, e poi riporta il suo sguardo su quello di Izzy, che le sorride, consapevole che suo fratello non abbia nemmeno una parola e che la sua mente stia divagando del tutto.

«Isabelle» — mormora, schiarendosi leggermente la voce. — «Ti... ti voglio bene» — dice semplicemente. Forse un'altra persona sarebbe rimasta male nel vedere la così poca considerazione che hanno ricevuto le parole dette prima, ma Izzy no. Izzy conosce suo fratello più di sé stessa e più di quanto forse si conosce Alec stesso, e sa che anche un Ti voglio bene detto da Alec contiene tante sfumature impercettibili che vanno colte lentamente. Lo abbraccia, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre Alec la stringe più forte, dandole un bacio tra i capelli.

«Vieni con me?» — chiede Isabelle, sciogliendo l'abbraccio. Sul volto di Alec si dipinge un'espressione interrogativa, con un sopracciglio inarcato e la fronte corrugata.

«Dove?» — chiede, non ricordando minimamente dove la sorella debba andare. Izzy rotea gli occhi e scoppia a ridere. Tutto ciò, continua ad alimentare le domande mentali di Alec.

«Clary ti sta così tanto simpatica che nemmeno la ascolti quando parla» — dice, continuando a ridere.

«Ma Clary mi sta... simpatica» — cerca di controbattere lui, leggermente offeso dall'accusa riguardante Clary, ma lo sguardo di Isabelle gli fa capire che non sa neanche mentire. — «Okay, uhm. Diciamo che non ci ritroviamo su alcune cose»

«Sì, come il fatto di contendersi la stessa persona. Brutta storia» — allude Isabelle divertita, mentre Alec quasi rischia di strozzarsi con la sua stessa saliva.

«Farò finta di non aver capito» — borbotta. — «Comunque, cosa c'entra Clary con il posto in cui dove dovremmo andare?»

«C'è una mostra dei suoi quadri. Jace ha perfino chiuso la palestra due ore prima solo per andarci» — risponde Isabelle, alzandosi dal divano. Alec si ritrova a scuotere il capo.
Ma cos'hai nel cervello, chiede nella sua mente, per chiudere un luogo di lavoro due ore prima solo per vedere qualche schizzo qua e là di una ragazza qualsiasi? 
Si ritrova a passare ancora una volta la mano nel ciuffo. Cretino, la parte razionale gli dice, è la sua ragazza, non una qualsiasi. Anche tu lo faresti per amore. 
Uhm, beh. Forse sì.

«Fantastico» — risponde con una punta di acidità nella sua voce. — «E io cosa c'entro con la coppietta felice e i quadri della rossa?» — chiede, picchiettando ripetutamente l'indice sul labbro. Isabelle alza gli occhi al cielo esasperata.

«Oddio Alec, non è che per ogni cosa è necessario c'entrarci. Ti distrai, stacchi un po' da quei quaderni e quei libri che ti stanno fondendo il cervello, passiamo un po' di tempo insieme, e poi...» — dice facendo una pausa di qualche secondo, mentre Alec si alza per prendere una bottiglietta d'acqua naturale dal frigo e per portarla alla bocca. — «E poi ho chiesto a Mags se volesse venire anche lui» — conclude, e la reazione di Alec è quasi immediata. L'acqua gli va di traverso e non può non iniziare a tossire come un dannato. — «Oh, Alec» — dice Isabelle, dandogli qualche pugnetto dietro la schiena. Alec sente che l'acqua gli sia arrivata al naso. Soffia da quest'ultimo e cerca di far prendere al suo viso il colore pallido che gli appartiene, e non questo rosso dovuto ad un quasi strozzamento. — «La prossima volta che devo dirti qualcosa su Mags, verificherò prima che non stai né bevendo né mangiando» — commenta Isabelle divertita dalla situazione.

«Magnus?» — chiede, schiarendosi la voce e riponendo la bottiglietta d'acqua al suo posto.

«Proprio lui» — conferma Isabelle, con un sorriso malizioso sul viso che Alec decide di ignorare.

«Ah, uhm. E... e che fa?» — chiede. — «Cioè non... non che mi interessi, ecco. Ma che fa? Viene?» — chiede tutto d'un fiato e Izzy cerca con tutte le sue forze di mandare giù la risata che si ostina a voler uscire per forza dalla sua gola.

«Sì, viene» — risponde. — «Quindi, tu che fai? Vieni con me o vuoi continuare ad analizzare quante persone su cento hanno problemi mentali?»

«Non sto studiando questo» — chiede Alec scettico.

«Vieni o no?» — ripete Isabelle, ignorando la risposta di suo fratello.

«Direi di sì. Non sai che adoro i quadri di Clary? Mica me li ritrovo in casa così, a caso. Sono il suo fan numero uno» — risponde Alec ironico, correndo in bagno, mentre Isabelle scoppia in una fragorosa risata. 


«Idiota!» — urla il Messicano per la centesima volta in tre giorni nei confronti di Magnus.

«Oddio, che palle. Qualcuno lo riprendi, per piacere» — sbotta Magnus esasperato, andando avanti e indietro, infilando una gamba nei pantaloni. — «Ti ho detto che è stata un'emergenza!»

«Emergenza un cuerno! Ci hai lasciati al locale per andartene con qualcuno» — continua, mentre Magnus alza gli occhi al cielo sbuffando rumorosamente. Raphael è piuttosto rancoroso, e questo è un dato di fatto, ma possibile che non riesce a mettersi in testa che quando Sabato è scappato dal locale senza avvisare è stata per un'emergenza reale?

«Ti ho detto che Isabelle è stata male e ho seguito lei e il fratello» — dice, toccandosi istintivamente la punta del naso — «Ragazzi, vi prego, mi aiutate voi a togliermi questo deficiente dalle orecchie?» — supplica Magnus, riferendosi a Ragnor e Catarina che se ne stanno beatamente sul divano in pelle di Magnus a sentire i battibecchi dei due.

«Raphael, davvero, basta» — dice Catarina e Magnus sospira per esprimere un finalmente.

«Umani, razza che no puedo entender» — borbotta il Messicano, sbattendo la porta del loft di Magnus.

«Qualcuno mi spiega come faccia ad essere ancora amico nostro?!» — chiede Magnus esasperato.

«Dai, Mags» — dice Ragnor ridendo e alzandosi per posargli una mano sulla spalla. — «Sai che è fatto così» — lo giustifica lui.

«Eh, è fatto male» — borbotta l'asiatico. — «Voi che fate?» — cambia discorso, aggiustandosi i bracciali sul polso destro.

«Io mi preparo per il turno notturno» — risponde Catarina, sbadigliando.

«Io contemplo Presidente Miao» — risponde Ragnor, e il gatto — sentendosi interpellato — drizza le orecchie, per poi abbassarle di nuovo. — «Grazie sempre per la considerazione» — mormora Ragnor offeso dal trattamento ricevuto da quella palla di pelo.

«Presidente sembri Raphael!» — lo rimprovera Magnus, invano. — «Vabbè, ci vediamo più tardi» — continua, avviandosi verso la porta, non prima di essersi dato qualche altra specchiata.

«Senti un po'» — mormora Catarina, prendendolo sottobraccio mentre si avvia alla porta. — «C'è pure il fratello di Isabelle?» — ammicca lei.

«Non so sinceramente. Isabelle mi ha detto che glielo chiedeva, ma non sono così tanto sicuro» — risponde, sistemandosi l'helix.

«Fammi sapere» — dice Catarina. Gli fa l'occhiolino e, senza aspettare risposta, chiude la porta di casa. Magnus sorride divertito e si affretta a scendere di casa. Si è dato appuntamento con Isabelle alla fermata dell'autobus, ma rimane un po' scettico quando nota un'auto parcheggiata proprio fuori il suo portone. E se la memoria non lo inganna, riesce a ricordare il proprietario di quell'auto.

«Magnus!» — scende dall'auto Izzy, baciandogli la guancia.

«Ehi! Non dovevamo vederci alla fermata dell'autobus?» — chiede divertito, mentre anche Alec esce dall'auto. — «Ehi Alec!» — si affretta a salutarlo Magnus.
E mo, che devo fare? Devo dare i baci sulle guance anche a lui, una pacca, o devo starmene impalato?, si chiede nella sua testa. Alec, probabilmente, si sta facendo le sue stesse paranoie.

«Ciao Magnus» — risponde Alec, avvicinandosi a lui per scoccare guancia e guancia. 
Complimenti occhi azzurri, pensa nella sua mente, ottima mossa. Magnus decide di ignorare la scossa che ha sentito nella spina dorsale nel contatto con la pelle liscia dell'altro, perché non può proprio permettersi di arrossire o di farsi venire uno scompenso ormonale. Però deve ammettere che è piuttosto piacevole. Deve essersi raso poco fa. I tre entrano nell'auto di Alec e, in contemporanea, allacciano le cinture.

«Ma dov'è la mostra?» — chiede Alec improvvisamente, pensando al fatto che stia vagando senza una meta.

«Allo stesso posto dell'altra volta» — spiega Izzy.

«Perché secondo te io mi ricordo i luoghi in cui Clary fa le mostre» — mormora Alec, per niente ironico, poggiando un braccio sul finestrino, mentre l'altra mano resta sul volante. Magnus ridacchia.

«Si trova nei pressi del bar in cui lavori» — spiega Isabelle, sistemandosi meglio sul sedile e Alec si ritrova ad annuire, tamburellando le dita sul volante. — «Sai Magnus ha la patente, ma non guida?» — dice Izzy ridendo, guardando Magnus dallo specchietto in avanti. Alec sorride divertito, guardando l'altro dallo specchietto retrovisore.

«Ehi, non c'è bisogno di sputtanarmi così tanto» — mormora l'asiatico, ridacchiando.

«Come mai non guidi?» — chiede Alec interessato.

«Non so neanche perché mi abbiano dato la patente» — risponde Magnus, visibilmente imbarazzato, e Alec preferisce non aggiungere altro.

«Siamo arrivati, comunque» — annuncia Alec, parcheggiando di fronte alla struttura.

Magnus scende dall'auto, seguito da Isabelle e poi Alec che inserisce l'antifurto all'auto. I due fratelli camminano in avanti, e Magnus cerca di non pensare al fatto che in quei pantaloni neri del ragazzo ci sia nascosto un ben di Dio che tasterebbe volentieri. Si fermano davanti alla struttura e vengono accolti da un ragazzo biondo, una ragazza rossa e un ragazzo dai capelli mori con degli strani occhiali da vista. Magnus può giurare di aver visto Alec alzare gli occhi al cielo. Non che sia una novità, ma gli piacerebbe sapere il motivo.

«Ciao ragazzi! Benvenuti!» — esclama Clary, contenta nell'avere qualcuno interessato ai suoi quadri. Alec saluta con un gesto veloce della mano, mentre Isabelle spalanca gli occhi nel notare il ragazzo con gli occhiali. — «Entriamo» — esorta Clary, facendo strada nella struttura. Isabelle, Magnus e Alec rimangono per un attimo fermi.

«Izzy, c'è qualche problema?» — chiedono all'unisono Alec e Magnus. Entrambi si guardano negli occhi, sorridendo di istinto per la telepatia.

«Oddio ora vi preoccupate insieme» — dice Izzy un po' scettica. — «Comunque no, quello con gli occhiali è il ragazzo che mi ha offerto da bere Sabato» — risponde, inumidendosi le labbra. — «Ecco io ehm, vado a scusarmi con lui. Voi girate, fate quello che volete» — si affretta a dire, prima di correre all'interno della struttura. Alec e Magnus si guardano, un po' scettici.

«Non penso fosse uno stronzo, no?» — chiede Alec, toccandosi la gote.

«No, anzi. Mi sembra a posto» — mormora Magnus. — «Mi sembra un po' troppo...»

«Nerd» — dicono all'unisono, per la seconda volta in neanche cinque minuti. Si guardano e scoppiano a ridere.

«Sì, direi che sia il termine giusto» — risponde Alec, ridacchiando. — «Entriamo? Non che ne abbia così tanta voglia, ma non vorrei sentire Jace nelle orecchie» — Magnus annuisce ed entrambi cominciano a camminare all'interno della struttura. Non sanno dove siano finiti gli altri, e né ad Alec né a Magnus interessa. Si guardano intorno, volgendo qualche sguardo ai quadri che decorano le mura, e Magnus scatta qualche foto.

«Ti piacciono i quadri?» — chiede Alec improvvisamente, nel notare l'attenzione da parte di Magnus. Lui annuisce.

«Uhm sì, mi piace quando sono particolari. E mi piace i significati che possono celarsi dietro ognuno di esso» — risponde, spostando lo sguardo su Alec. — «Clary è brava»

«Sì, lo è» — ammette Alec in maniera del tutto oggettiva, posando le mani dietro la schiena.

«Perché ce l'hai con lei?» — chiede Magnus, stando al passo con Alec. Quest'ultimo fa spallucce e si schiarisce la voce.

«Non... non ce l'ho con lei. Ma non è una persona che mi dà così tanta fiducia» — mormora, guardando in avanti, arrossendo leggermente fino alla punta delle orecchie. Magnus schiocca le labbra in un sorriso.

«E io?» — chiede, mettendosi davanti a lui, per costringere Alec a guardarlo. — «Io ti ispiro fiducia?» — chiede ancora, stavolta con un leggero imbarazzo nella sua voce. Alec lo guarda, e Magnus sente che all'interno di quegli occhi azzurri ci sia un mondo da scoprire. Isabelle ha ragione. Alec sente la stessa cosa. Gli occhi verdi, assottigliati, di Magnus, gli fanno bruciare l'anima. Dopo qualche secondo sorride flebilmente e fa sì col capo.

«Sì» — risponde. — «Mi ispiri fiducia»


   
 
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