Beh,
è passato tanto, forse...beh, inutile girarci intorno, sono
passati
anni. Sono imperdonabile, perché le regole successive
all’ultima
da me scritta erano già tutte nella mia testa, ma che cosa
è
successo? Ho perso la fiducia in ciò che scrivevo. Ogni
riga, frase,
paragrafo, tutto urlava: SCHIFO! E così ho smesso. Non sono
mancati
i messaggi in questi tempi, sempre gentili e bellissimi...e poi, un
giorno, la voglia è tornata...e beh, spero rimanga, e spero
di
potervi regalare ancora qualche sorriso e qualche bel momento in
compagnia delle fanfiction, ancora rigorosamente NaruSasu e SasuNaru,
per quanto riguarda LE REGOLE!
Spero
di poter leggere ancora, come un tempo, le vostre bellissime
recensioni.
PS:
per chi non mi conoscesse...la domanda è: ma il sesso
è davvero
così importante? Vi aspetto al capitolo 1!
A
tutti quelli che già mi conoscono, che saranno felici del
mio
ritorno...VI VOGLIO BENE, non c’è mai stato un
giorno senza che
ripensassi a quanto mi facesse star bene scrivere e leggervi.
Al.
VENTINOVESIMA
REGOLA: Quando anche ucciderli tutti purché nessuno sappia
non
rientra più nelle possibili soluzioni, forse è
arrivato il momento
di fare i conti con la verità. [EXTRA – HASHIRAMA
X MADARA]
Sasuke li
avrebbe sterminati, tutti quanti, non ci sarebbe stata pietà
per
nessuno.
Naruto,
Itachi, Shisui, Obito… a Obito avrebbe fatto anche un favore.
Una famiglia
di folli, meritavano di morire.
Poi la sua
rabbia sparì, ripenso al viso di sua madre, allo sguardo che
si
erano scambiati quel pomeriggio, alle sue labbra sorridenti.
Sospirò e
si concentrò su un punto del soffitto dove una minuscola
crepa
sembrava disegnare una C.
C di
coniglio, un vigliacco che non aveva il coraggio di dire apertamente
“sì, sto con un uomo. Sì, amo un uomo.
Sì, è il mio migliore
amico d’infanzia”.
Digrignò i
denti e affondò meglio la testa nel cuscino.
L’avevano
convinto a rimanere per la notte, a ripartire in tarda mattinata del
giorno seguente. Un altro motivo per detestarli.
Si chiese se
la testa quadra stesse ripensando come lui alla terribile giornata
appena trascorsa. No, sapeva già la risposta, quel demente
dormiva
già da ore, ne era certo.
Rigirarsi
nel letto non servì a niente, lo fece per mezz’ora
buona, poi si
arrese e uscì da quella camera ormai troppo soffocante.
Sentì il
russare placido di suo padre, il ronzare del condizionatore, i suoi
passi sul pavimento, respirò forte, poi aprì una
porta alla quale
non bussava da anni.
Itachi
dormiva a pancia sotto, i capelli raccolti nella solita coda bassa,
la finestra aperta e un braccio abbandonato sul cuscino.
“Ehi”
Sasuke bisbigliò. “Itachi, stai
dormendo?” Ma quanto poteva
essersi rincretinito? Ovvio che dormiva! Imprecò
mentalmente, poi si
avvicinò al viso del fratello.
“Svegliati,
coglione!” Lo scosse, cercando di non essere troppo rude,
anche se
la tentazione di strangolarlo era incredibilmente forte.
Itachi fece
uno scossone, poi aprì gli occhi e mise a fuoco il volto
spaurito
del fratello minore.
“Hai fatto
un incubo? Vuoi venire sotto le coperte del tuo adorato
fratellone?”
domandò facendogli spazio.
“Non ho
cinque anni, imbecille!” sbuffò Sasuke, prima di
andare ad
occupare il posto appena creatosi tra le lenzuola di Itachi. Non
appena toccò con la testa il cuscino non poté
ignorare quella
vecchia sensazione, come ogni volta affiorava invadente da una parte
profonda e nascosta che per anni aveva provato a sigillare a forza.
Si sentiva al sicuro, ed odiava ammetterlo, lì circondato
dal
respiro tranquillo di Itachi, dalle loro foto d’infanzia
ancora
appese alle pareti, lì, riuscì a prendere aria
senza sentire un
peso sul petto.
“Sto con
Naruto” disse, aspettandosi chissà che cosa,
chissà quale
giudizio.
Nessuna
risposta, si voltò per guardare il volto del fratello,
magari colto
da un infarto, da un colpo apoplettico, immobile per il troppo
stupore. Niente di tutto ciò, solo un viso felicemente
addormentato.
Lui
dichiarava la sua omosessualità, e l’altro che
faceva? Dormiva.
Morto, lo voleva morto. Lo afferrò per il mento e lo
costrinse in
primo luogo a svegliarsi, in secondo luogo ad ascoltarlo guardandolo
in faccia.
“Io sto
con Naruto” Sillabò ancora una volta,
assicurandosi che l’altro
capisse bene.
“Sasuke,
se è per questo che mi hai svegliato...lo sapevo
già” disse con
un sorriso prima di dargli un buffetto sulla fronte. “Ora
torniamo
a nanna” aggiunse.
Erano tutti
impazziti?
“Itachi,
ma...hai capito cosa ti ho detto o sei ancora rincoglionito dal
sonno?” Avrebbe voluto urlare, ma farsi sentire da suo padre
era
l’ultima cosa al mondo che desiderava.
“Itachi,
ho scopato con Naruto, scopo con Naruto, sto con Naruto, lo capisci
questo?”
A quel
punto, di fronte agli occhi sgranati di Sasuke, Itachi non
potè far
altro che mettersi seduto, grattarsi la testa ed esclamare:
“ho
capito, ma non dirmi i particolari, ti prego”.
“Sei
impazzito, Itachi? Ma non riesci a capire la gravità della
situazione?”
Sasuke si
sentiva preso in giro, forse stava ancora dormendo e quello era un
incubo, forse già solo il fatto di aver detto a suo fratello
“sto
con Naruto” la prima volta gli aveva provocato un colpo, e
ora il
suo corpo esanime giaceva immobile, forse quella era davvero tutta
una sua fantasia.
“Sasuke,
anche mamma lo sa, lo sanno tutti, Shisui...gli zii, solo...ecco,
papà no, papà non lo sa”
BOOM! Non
era morto, quella era la realtà, quel momento, tanto
incredibile,
era arrivato.
Il suo
COMING OUT. Ecco, coming out non era proprio il termine più
adatto,
dopotutto lui non coincideva con l’omosessuale tipo, non era
effemminato, che poi, non tutti gli omosessuali se ne andavano in
giro ostentando amore per il balletto e per il rosa...ecco, ma non
era neppure uno di quei tizi tutto muscoli e baffoni, ecco, stava di
nuovo ragionando per stereotipi. Neppure suo zio, neppure Hashirama
erano poi così convenzionalmente gay, quindi il suo non
poteva
essere definito proprio un coming out, lui, per la precisione stava
facendo un NARUTING OUT.
“Cos’era
quella scenetta con Shisui?” Chiese una volta sicuro di avere
l’attenzione del fratello non più così
addormentato.
“Beh...certe
volte perché le cose accadano serve una
spintarella...”
Sasuke
avrebbe voluto ucciderlo, lui e quel cretino del cugino, che gli era
saltato in mente? Volevano promuoversi a sostenitori dei diritti
LGBT?
“Tu vuoi
che papà sappia, tu vuoi incastrarmi!”
sibilò.
Itachi,
nell’oscurità della stanza sorrise a
abbassò lo sguardo, una
ciocca di capelli si liberò dalla coda e andò ad
accarezzargli la
guancia glabra.
“Non
riesci proprio a capire, fratellino...” rialzò lo
sguardo pece su
di lui, il sorriso triste sul suo volto sembrava così antico
agli
occhi di Sasuke, quasi nascondesse qualcosa di più della
solita
innata malinconia che caratterizzava ogni Uchiha.
“Vuoi
rovinarmi, vuoi deridermi, così papà
vedrà solo te, per sempre, il
suo unico figlio perfetto...Itachi laureato in anticipo con lode,
Itachi che aiuta in famiglia, Itachi che vince questo e quello e
qualsiasi altra fottutissima cosa ci sia da vincere in questo
mondo!”
Vomitò quelle parole intingendole di una rabbia che non era
quella
vecchia e infantile del secondogenito sempre in lotta con il fratello
maggiore, era una rabbia fuori luogo che apparteneva solo e solamente
alla vigliacca paura di non essere più amato dai propri
genitori, di
non essere più normale, di essere colpevole di amare un uomo.
Itachi
sospirò, poi con un gesto inaspettato afferrò la
testa di Sasuke
portando la propria fronte contro la sua e guardandolo dritto negli
occhi.
“Voglio
che tu sia felice, Sasuke, solo questo, voglio che tu abbia quello
che io non ho mai avuto, la forza di scegliere come vivere la tua
vita!”
***
Sasuke
quella notte era poi tornato nel suo letto, non aveva avuto
più il
coraggio di parlare, né di guardare Itachi in faccia; si era
semplicemente alzato ed aveva camminato come ubriaco fino alla sua
stanza. Una volta steso supino, con le mani tra i capelli si
riscoprì
di nuovo insonne ad osservare il soffitto, e quella minuscola crepa a
forma di C adesso gli sembrò molto più simile ad
una S, S di
stronzo.
Cercò il
cellulare, lo accese e aprì la rubrica. Il suo nome era
nella
sezione “i più utilizzati”, ovvio, era
ormai parte del suo
quotidiano, neppure il telefono osava negarlo, solo suo padre non lo
sapeva.
Compose
veloce un sms:
A: Naruto
Idiota Uzumaki
Stai
dormendo?
Spense lo
schermo e si rannicchiò in posizione fetale, vergognandosi
di aver
appena chiesto aiuto. Aveva una voragine nel petto che non riusciva a
riempire , un senso di colpa tanto abissale da inghiottirlo. Gli
occhi troppo gentili di Itachi, l’amore incondizionato di sua
madre, l’appoggio poco rassicurante di suo zio Madara, e
l’inconsapevolezza deleteria di suo padre.
La risposta
di Naruto arrivò un paio di minuti dopo
Da:
Naruto Idiota Uzumaki
No
Sasuke
avrebbe voluto lanciare il cellulare contro il muro, anzi lanciarlo
contro la testa di Naruto e vedere cosa si sarebbe rotto per primo,
se il telefono o quella zucca vuota che non comprendeva
l’evidente
messaggio nascosto dietro ad un semplice “stai
dormendo?” inviato
nel cuore della notte.
Passarono
una decina di secondi, poi il suo telefono vibrò.
Da:
Naruto Idiota Uzumaki
In realtà
sono preoccupato per te
Ecco, adesso
la Crepa-S sul soffitto non era più cosi piccola, gli
sembrava
enorme. “Sono uno stronzo” pensò.
Chiedersi
per l’ennesima volta come fosse accaduto che proprio lui,
Uchiha
Sasuke, fosse lì, insonne nel cuore della notte, a darsi
dello
stronzo da solo, beh, ormai era inutile, la ragione era
propriò nel
destinatario dei suoi SMS più frequenti.
A: Naruto
Idiota Uzumaki
Voglio
essere felice...
Scrisse di
getto, indugiando sul tasto invia. Cancellò tutto e scrisse
ancora.
A: Naruto
Idiota Uzumaki
Ti amo,
voglio fare coming out, voglio andare ai Pride con te, baciarti su un
carro da parata con tanto di bandiere arcobaleno, voglio adottare dei
bambini con te e crescerli sperando che sorridano proprio come
sorridi tu…
Patetico,
cancellò velocemente, aveva esagerato: bandiere arcobaleno,
feste,
addobbi, pubbliche manifestazioni di amore, tutto ciò non
gli
apparteneva, anche se Naruto probabilmente, anzi, quasi certamente le
adorava. Un Uchiha al gay pride? Ma quando mai! Arrossì, poi
provò
vergogna, poi provò invidia per tutti quelli che riuscivano
a
sentirsi liberi di amare senza sentire il senso di colpa lacerargli
le viscere. Scrisse di nuovo.
A: Naruto
Idiota Uzumaki
In casa
lo sanno tutti, tranne mio padre.
Inviò, la
risposta arrivò più in fretta del previsto:
Da:
Naruto Idiota Uzumaki
Vediamoci
tra 10 minuti al parco giochi dietro l’asilo
Il
parco dietro l’asilo era uno dei “loro
luoghi”. Lì si erano
picchiati, tirati i capelli, sbucciati gomiti e ginocchia, imparato
ad andare in bici, Sasuke per primo; avevano persino vomitato dopo
aver trangugiato un’intera busta di caramelle gommose. Sasuke
ricordava di aver diviso con Naruto tantissime sigarette, le prime
volte senza aspirare, seduti sulle altalene di quel parco, ricordava
di averlo sentito parlare dei suoi sempre diversi sogni su un futuro
in cui neppure una volta Naruto li aveva immaginati divisi.
Si
infilò i pantaloni della tuta e la vecchia T-Shirt della
squadra di
matematica del liceo, quella in cui una frase ad effetto gli decorava
il petto dicendo “Number Ninjas”.
Quando
scavalcò il cancello del parco giochi si sentì
stranamente leggero,
come se fosse entrato in un area protetta dal normale scorrere del
tempo, lì era di nuovo un liceale fuori casa nel pieno della
notte,
o un ragazzino in cerca di avventura.
Naruto
lo stava aspettando, seduto sull’altalena si dondolava piano,
senza
staccare le scarpe da ginnastica da terra, con lo sguardo azzurro
rivolto alle stelle.
Sasuke
si fermò per qualche secondo, adorava guardarlo senza esser
visto,
poter gioire della consapevolezza dell’esistenza di Naruto
nel
mondo, si sentiva grato per quell’insieme di atomi, molecole
e
cellule che lo componevano. Naruto esisteva, ed era suo, finalmente.
Fece un sospiro e andò a sedersi nell’altra
altalena, poi, si
diede uno slanciò fortissimo e iniziò a dondolare.
Naruto
sobbalzò di sorpresa, poi sorrise e prese a dondolare
insieme a lui.
Saltarono
giù come da bambini, in sincrono al tre di Sasuke. Le loro
scarpe
atterrarono sulla terra dove l’erba non cresceva
più, una piccola
nuvola di polvere sporcò le loro scarpe e il fondo dei
pantaloni.
Scoppiarono a ridere per quel piccolo rito dell’infanzia
appena
ritrovato.
“Sono
atterrato più lontano di te” Lo schernì
Naruto.
Sasuke
sorrise, poi camminò verso di lui, ignorando la sua sfida.
Afferrò
il lembo della maglietta arancione del compagno, era la stessa che
usava per dormire, non aveva avuto neppure l’accortezza di
cambiarsi, era corso lì praticamente in pigiama. Sorrise,
poi
avvicinò e in un gesto che per Naruto fu davvero
inaspettato, Sasuke
poggiò la testa sul suo petto e pianse piano.
***
Extra:
Di bandiere colorate, striscioni e ORGOGLIO
“Sai
a cosa stavo pensando?” Esordì Hashirama
avvolgendosi un
asciugamano attorno ai capelli appena lavati.
Madara
gli lanciò un’occhiataccia, sprofondato nella
vasca da bagno piena
di acqua calda e sapone profumato al cedro, ascoltare gli assurdi
pensieri del compagno era l’ultimo dei suoi desideri.
“Pensavo
a Naruto e Sasuke… sono così...”
Hashirama si infilò
l’accappatoio e si mise seduto sul coperchio del WC.
“Idioti?”
Borbottò l’Uchiha.
“Stavo
per dire felici”
“Beh,
le due cose non si escludono tra loro” Madara si immerse
completamente nella vasca e riemerse con i capelli completamente
bagnati e all’indietro, il viso libero dalle solite ciocche
disordinate.
Hashirama
lo guardò come chi vede per la prima volta il mare.
“Comunque
stavo pensando anche ad un altra cosa...”
continuò, ricevendo per
risposta un’altra occhiataccia.
“Ah,
due idee in meno di cinque minuti, c’è un cervello
là dentro”
Un’occhiataccia gli era sembrata troppo poco.
Hashirama
gli tirò un flacone di balsamo.
“Ehi!”
Ruggì l’altro.
“Sono
serio, Madara, ascoltami…” Disse incrociando le
braccia.
“Ti
ascolto” L’Uchiha rivolse il suo sguardo nero al
compagno e
rimase in attesa, sapeva che quando Hashirama aveva
quell’espressione
e un turbante in testa non poteva accadere niente di buono.
“Se
tutto va bene, al Pride del prossimo anno potremmo andare in
quattro!”
Eccole,
le parole, la catastrofe, la mente sconclusionata di Hashirama aveva
partorito il peggior pensiero possibile che una mente sconclusionata
potesse partorire.
Madara
inizialmente non si mosse, desiderò affogare in quella vasca
da
bagno, poi desiderò che un tostapane cadesse magicamente dal
soffitto e lo friggesse come una patatina ad una fiera di paese, poi
la rabbia prese il sopravvento, scacciò via le sue deliranti
manie
di autodistruzione e creò scenari in cui le sue mani
spingevano
sott’acqua la graziosa testolina di Hashirama.
“Allora?
Non ti sembra magnifico!” Il compagno si era tolto il
turbante
dalla testa e con la chioma umida che gli ondeggiava attorno al viso
radioso era andato a sedersi sul bordo della vasca, schizzandolo
d’acqua con la mano
“Eh?
Madara? Eh? Non è bellissimo?”
Voleva
morire, arriva sempre un momento in cui un uomo capisce di voler
morire, Hashirama probabilmente aveva orchestrato tutta quella
scenetta da Soap perché dentro di lui albergava una grave
depressione mai curata; questo spiegava la mania per i bonsai,
chissà, povera anima, per quanti anni aveva provato a
mantenersi
utile, a darsi uno scopo di vita, probabilmente occuparsi di
qualcosa, di piante e vegetali vari, era stato il consilglio di
qualche psicoterapeuta…Era l’unica giustificazione
che Madara
riusciva a dare a quel comportamento assurdo, e...bene! Meglio per
mezzo di una mano amica, meglio così, se proprio voleva la
morte che
fosse per mano sua…
“Madara,
ma mi stai ascoltando?” Hashirama lo scosse da quegli assurdi
pensieri, i suoi occhi sgranati e felici lo osservavano da meno di
cinque centimetri.
“Tu
sei scemo” Avrebbe voluto dire qualcosa di più
articolato ma
quello fu il massimo che riuscì a rispondere.
Hashirama
si alzò di scatto, corse via dal bagno e tornò
subito dopo con un
pezzo di carta abbastanza grande tra le mani.
Sul
retro, scritto con un pennarello verde troneggiava la parola
“AMSTERDAM”. Tutto il sangue di Madara si
gelò in un solo
istante. La profumata schiuma al cedro ora non gli pareva
più così
profumata, e il delizioso solletico che le bolle di sapone facevano
alla sua pelle ora parevano aghi pronti a perforare ogni centimetro
della sua pallida cute.
Come
era possibile che avesse una foto di quella vacanza? Aveva
personalmente cancellato ogni file dal suo cellulare, e buttato nel
fuoco, letteralmente, ogni scheda di memoria che fosse passata per lo
slot della macchina fotografica digitale del compagno. Come poteva
essere accaduto?
Lui
aveva eliminato le tracce, il crimine perfetto, ne era uscito pulito
e innocente.
“Un
Uchiha al Gay Pride, chi l’avrebbe mai detto”
Sospirò fiero
Hashirama voltando la foto verso di lui.
Due
uomini abbracciati, sulle guance portavano dipinta una bandiera
arcobaleno, le loro magliette bianche vantavano la scritta
“LOVE
HAS NO GENDER”. Quei due uomini, sullo sfondo un famoso
canale di
Amsterdam, erano loro, loro al Gay Pride di una delle più
conosciute
città Europee.
Voleva
morire.
“Come
l’hai avuta?” Balbettò.
“Mi
ha taggato su Facebook quel ragazzo simpatico
dell’ostello…
Maarten, quello biondo, con il piercing al naso che ci
prestò
l’adattatore per il phon”
FACEBOOK
Le
orecchie di Madara avevano recepito solo quella parola. Le
associazioni successive erano state davvero semplici: Facebook,
social network, foto, amicizie, persone, reputazione.
“Tu...tu...quanti
amici hai su Facebook?” Chiese, anche se non voleva conoscere
realmente la risposta, era terrorizzato.
“Non
tengo il conto, diciamo tutti i tuoi familiari, i nostri amici, i
colleghi e gente che ho conosciuto, ecco...”
“Io
ti uccido” In uno scatto si alzò dalla vasca da
bagno, nudo,
grondante, con i capelli e i peli pubici insaponati.
“Sei
morto” La sua voce era sottile come un rasoio.
Hashirama
indietreggiò, mentre il compagno uscendo dalla vasca si
slanciò
verso di lui per afferrare la foto.
“Puoi
anche distruggerla, ma ho un’altra copia e poi è
in rete, posso
stamparla quando voglio” Ribattè Hashirama
intuendo le ovvie
intenzioni del compagno,
“Io
uccido te, Marteen e quel cretino di Zuccambarg…”
“Non
si chiama così”
“Allora
lo uccido, porto il suo cadavere all’anagrafe e lo faccio
rinominare io...da morto, insieme a te e a quell’olandese del
cazzo”
Lo
rincorse fino a camera loro, nudo, cercando di non scivolare,
afferrando ogni tanto la cintura dell’accappatoio di
Hashirama, che
per sfuggirgli se lo sfilò abilmente.
Finirono
sul letto, Hashirama teneva stretta la foto contro al petto,
proteggendola, Madara cercava in tutti i modi di torgliegliela per
poi bruciarla, anche se inutile, saperla carbonizzata avrebbe
alleviato un po’ il dolore di vedere la propria privacy
violata.
“Madara,
stiamo insieme da quanto? Da una vita intera? Perchè ti
preoccupa
una foto?” Disse poi serio Hashirama.
“Non
è una foto, è il GAY PRIDE, un Uchiha al
Pride!” Stava urlando.
“Sostenere
i diritti è un reato?”
“L’hanno
vista tutti, la mia dignità è a puttane, ci hanno
visti...”
“I
nostri cognomi sono sul campanello, affiancati da secoli. Tutti sanno
che stiamo insieme...finiscila” Hashirama non sorrideva.
“Non
capisci, tu puoi fare cosa vuoi, io non ti giudico, mettiti in mostra
quanto vuoi, dipingiti tutto di arcobaleno e balla per strada...ma
non infangare la mia reputazione” Sbottò Madara.
Hashirama
lo scostò via da sopra il suo corpo, poi gli
sventolò la foto
davanti al naso e inaspettatamente la strappò in un gesto
secco.
Madara
rimase immobile a guardare i due pezzi cadere sul materasso. Loro due
divisi da una frattura sprecisa e cartacea.
Raccolse
la parte di foto dove c’era Hashirama, il suo sorriso era
enorme,
le sue guance arrossate, ricordava che aveva tirato su i capelli in
una crocchia disordinata per tutta la vancanza, faceva caldo, era
estate, erano in vacanza, lontani da tutto e tutti, dal lavoro, dalle
loro strampalate famiglie. Avevano fatto un paio di giri in battello
tra i canali, Hashirama aveva pianto davanti ad un quadro di Van
Gogh, avevano bevuto birra alle 17:00 del pomeriggio, e alle 22:00,
anche se nessuno avrebbe mai e poi mai dovuto saperlo, avevano fumato
erba in uno dei numerosi coffee shop del posto, era stato lì
che
Hashirama gli aveva chiesto di partecipare alla parata che ci sarebbe
stata nel weekend, e Madara privo di inibizioni e felice come non mai
aveva detto: “sì, cazzo”. Ricordava che
quella sera, nel bagno
dell’ostello avevano chiuso la porta a chiave e avevano fatto
l’amore sotto la doccia, ricordava che Hashirama lo aveva
baciato
ovunque, che si erano morsi piano il collo, che lui aveva lasciato
sul collo abbronzato del compagno un succhiotto che per tutto il
resto dei giorni di vacanza non aveva mai coperto.
Aveva
ricordi davvero felici di quei giorni in Europa. Prese
l’altro
pezzo di foto, quello dove i suoi capelli scuri troneggiavano
disordinati attorno ad un viso...felice.
Mentre
svolgeva le sue macchinose riflessioni da Uchiha non si era accorto
dell’assenza di Hashirama, della porta del bagno chiusa, del
silenzio.
Aprì un
cassetto della cucina, prese un po’ di nastro adesivo e
rimise
insieme i due pezzi della foto, la parola AMSTERDAM sul retro ora
sembrava dire AMSREDAM, con la T un po’ mangiucchiata, ma i
due
uomini sorridenti sul davanti erano ancora più vicini di
prima.
Provò ad
aprire la porta del bagno, ma la trovò chiusa.
Bussò e infilò la
foto nello spazio libero tra il legno e il pavimento, la
infilò per
metà, la mano dall’altra parte la
trascinò via.
Silenzio,
poi un paio di giri di chiave, e il corpo nudo del compagno addosso,
un bacio sulle labbra, tanto lieve rispetto all’abbraccio.
“Mi
dispiace” Sussurrò Madara.
“Dispiace
a me di non averti detto di Facebook, avrei dovuto farlo...”
“Sono
orgoglioso di stare con te, di essere libero di amare chi mi
pare”
Borbottò imbarazzato Madara, cercando di darsi un certo tono.
“Che la
veda pure tutto il mondo quella cazzo di foto” Concluse.
Hashirama si
trattenne dal ridere, poi prese il mento dell’Uchiha tra le
mani e
lo avvicinò al suo per unire le loro labbra in un nuovo
bacio.
“Hai
ancora del sapone qui” Sussurrò mentre le sue dita
giocavano con i
peli pubici del compagno.
“Tu invece
mi sembri troppo asciutto...” Ribattè Madara
facendo aderire il
proprio corpo a quello di Hashirama.
“L’acqua
nella vasca è ancora calda”
…….
Eccomi
ancora qui, spero che vi sia piaciuto, spero di poter leggere le
vostre impressioni e spero di potervi ritrovare nel prossimo
capitolo! <3
con
amore,
Al. a cui
erano mancati tantissimo questi personaggi così pazzi.
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