pugno di libri
Per un
pugno di libri
Incredibile. È del tutto
inammissibile. Inammissibile e inaccettabile. Insomma, non è stata
un'idea sua bombardare una chiesa – Cielo, una chiesa!
Se Gabriel viene a sapere che c'era pure lui, Aziraphale è un angelo
morto, o quantomeno discorporato. Perché ora dovrebbe eseguire un
miracolo per tirare fuori dai guai sé stesso e quell'idiota di
Crowley? A lui è venuta la brillante idea di presentarsi in chiesa,
non l'ha chiamato nessuno, non l'ha invocato nessuno – certo non
Aziraphale. Che cosa credeva di fare quello lì
saltellando come uno sciocco? Avrebbe dovuto pensare lui a tutto,
senza contare sul buon cuore dell'angelo. Perché è ovvio
che Aziraphale interverrà quando le bombe cadranno sulle loro teste,
ma non è giusto che Crowley lo abbia dato per
scontato dall'inizio. Aziraphale non è tenuto a fare un bel niente
per il demone, non ha obblighi di alcun tipo, eppure anche stavolta è
con le ali al muro: vuole veramente affrontare la
burocrazia del Paradiso per avere un nuovo corpo? Vuole veramente
dover spiegare i motivi per cui ha bisogno di un nuovo involucro? Gli
basta immaginare la faccia di Michael che lo deride e che gli ricorda
che fidarsi di una spia è una cosa da stupidi per sapere esattamente
che non vuole compilare moduli e scartoffie, non date le circostanze.
Non vuole rischiare che qualcuno di loro proponga addirittura di non
farlo tornare affatto sulla Terra, considerata la sbadataggine nel
portare a termine una missione non commissionata da nessuno. Perché
c'è anche quel particolare: Aziraphale ha agito di testa propria, ha
creduto di potercela fare senza guide, senza sotterfugi e,
soprattutto, senza Crowley a guardargli le spalle come al solito. Ma
si è sbagliato: ha creduto di aver aiutato a coordinare
un'operazione rischiosa e pericolosa ai danni dei nazisti, ma è
stato ingannato – si è lasciato ingannare –
malamente, ora ha una pistola puntata contro e Crowley è davanti ai
suoi occhi che sposta il peso da un piede all'altro perché quello è
un dannato suolo consacrato e no, un demone non è
progettato per camminarci sopra. Ha fallito, lo sa, e sa anche che
non ha la forza di guardare Gabriel negli occhi mentre gli dice che è
meglio che tenga per sé le sue idee, visto i danni e gli
inconvenienti che provocano. «Per un pugno di libri,
poi», può sentirlo ridere nella sua testa. È meglio che
questo errore rimanga tra sé e, suo malgrado, Crowley.
Crowley che blatera minacce con voce
strozzata dal dolore. Ma Aziraphale non sta ascoltando la
conversazione: pensa solo che non vede il demone da quasi un secolo e
che dovrebbe essere terribilmente arrabbiato con lui. Dopo la storia
dell'acqua santa questo sarebbe il minimo: dovrebbe odiarlo,
anche se questo è impossibile. Eppure non è che provi proprio
simpatia per i fascismi che hanno deciso di mettere a ferro e fuoco
l'Europa. Se si impegnasse un po' di più, forse riuscirebbe a
riservare lo stesso sentimento di rancore nei confronti del demone.
Invece no: è lì con la fronte corrucciata a dirsi che Crowley è vivo, sempre uguale a sé stesso (a parte gli
abiti e i favoriti) e sfacciato come l'ha sempre visto. Ah, e si
chiama Anthony, adesso. Anthony J. Crowley. Che
cosa stupida. E gli sta chiedendo un miracolo per tappare i buchi del
piano che ha elaborato perché ovviamente non può fare brutta figura
con i dirigenti: deve bombardare una chiesa, ma deve uscirne vivo per
raccontarlo ai Lord infernali.
Da non credere. Ma Aziraphale ormai
sente il bombardiere che arriva e non può poi tanto esimersi dal
fare quanto il demone gli ha imposto. Meno di trenta secondi ed è
ricoperto di detriti e polvere per colpa di un piano mal organizzato
da un idiota da strapazzo. Un idiota che, deve ammetterlo, gli ha
salvato la vita e gli ha evitato una ramanzina di Sopra. Un idiota
che, non sa se vuole sapere come, l'ha rintracciato giusto in tempo
per fargli vivere altri anni sulla Terra. E che è vivo a qualche
passo da sé.
L'angelo si toglie il cappello, ma non
sa cosa urlare al demone che si pulisce gli occhiali dalla fuliggine.
Vorrebbe dirgli che ha vissuto nel timore di non vederlo più dal
1862, nella paura che un'altra delle sue conoscenze gli avesse
fornito quello che aveva osato chiedere a lui. Vorrebbe dirgli che
lui, Aziraphale, non meritava e non merita tuttora quel dolore perché
lui è un angelo buono, amorevole e non può sopportare tutta quella
disperazione così come non può odiare. Vorrebbe dirgli che invece
di maledirlo per quasi un secolo, ha pregato che fosse in buona
salute, non depresso e lontano da qualsiasi pillola del suicidio. Ma
niente di tutto questo viene fuori.
«È stato molto gentile da parte tua»,
dice invece, come se gli ultimi settantanove anni fossero stati
cancellati.
«Chiudi la bocca». Crowley è rude
come sempre, ma Aziraphale per la prima volta da quando l'ha visto si
concede un sorriso mentre spiega che non subirà ritorsioni dai suoi
superiori. Anche dall'altra parte è come se fosse tutto normale,
come è sempre stato: uno dei due finisce nei guai e l'altro fa
qualcosa per salvarlo o per riportare la partita in parità. Forse
non dovrebbero lasciar correre così. Forse dovrebbero parlarne e
chiarire, spiegare, ma-
«O no, i libri!», questa è la
preoccupazione più importante dell'angelo al momento. «Ho
dimenticato tutti i libri!». Quello che gli
scorre nella voce è il panico. «Oh, saranno
tutti bru-»
Aziraphale si sente morire. Forse
dopotutto il suo miracolo non è servito a niente e lui morirà lo
stesso e dovrà subire l'ira di Gabriel e la derisione di Michael. È
stato tutto inutile: sì, perché quello che avverte mentre guarda
Crowley che si avvicina al cadavere di un nazista è un qualcosa di
indefinibile – ineffabile – che lo paralizza e gli fa male e bene
allo stesso tempo. Più male che bene. La fitta è dolorosa, ma è un
dolore perverso perché Aziraphale non vorrebbe farla andar via. C'è
forse qualcosa di sbagliato in lui? Che sia davvero giunto il momento
di cambiare involucro? Non ricorda nulla riguardo al deterioramento
dei corpi nei quali gli angeli si incarnano, ma è anche probabile
che abbia saltato qualche paragrafo del manuale di Gabriel, che non è
proprio un grande scrittore e prima o poi qualcuno dovrà pur
dirglielo. Forse il suo corpo non sta funzionando bene e deve
provvedere alla manutenzione. Tuttavia sembra reagire agli impulsi
esterni perché la sua mano afferra il manico della borsa che il
demone gli sta porgendo con grande naturalezza. Ma non è usuale che
Crowley gli dia dei libri.
«Un miracolino demoniaco da parte
mia», chiarisce l'altro con voce leggera. Aziraphale non sa bene se
chiedergli aiuto perché adesso è sopraggiunta l'afasia più
completa. Ma gli sembra scortese, dato che il demone ha salvato non
solo sé stesso, non solo l'angelo ma anche i libri di profezie. Per
un attimo vorrebbe rinfacciargli il fatto che, visto che ha salvato i
libri, avrebbe potuto salvare pure i loro corpi senza obbligarlo a
intervenire, ma nessun suono esce dalla sua bocca e, di nuovo, non
gli sembra una scelta opportuna. Non dopo che le prime edizioni di
Aziraphale sono tornare al sicuro nella sua stretta grazie
all'intervento di Crowley.
«Un passaggio a casa?», domanda il
demone con noncuranza mentre si allontana verso una macchina,
probabilmente la sua. Ma Aziraphale oltre all'afasia ora ha una
paralisi alle gambe che non vuole andare via. È fermo, immobile,
guarda la borsa con i libri e non può credere a quello che è appena
successo. Perché Crowley ha salvato i libri? E perché questo gli
impedisce di muoversi, di parlare, di pensare lucidamente e gli fa
sentire un dolore forte ma anche piacevole? Forse deve davvero
cambiare corpo perché quelli sono sintomi di una malattia, ma
Aziraphale stavolta è sicuro che un angelo non
possa ammalarsi. Deve assolutamente parlare con qualcuno ai Piani
Alti e scoprire le cause del malfunzionamento, anche se già sospetta
che quasi seimila anni di utilizzo abbiano un po' compromesso le
capacità dell'involucro. Non può essere altrimenti, perché se così
non fosse proprio non saprebbe darsi alcuna spiegazione del perché
Crowley gli stia facendo quell'effetto. Vorrebbe ricordarsi di essere
arrabbiato con lui, ma non ce la fa: la valigetta è un peso troppo
gravoso perché possa dimenticare che il demone ha salvato per lui e
per lui soltanto i libri che ama.
«Angelo?», si sente chiamare e i
sintomi si intensificano all'improvviso. Crowley è appoggiato alla
portiera di quella che ad Aziraphale sembra una Bentley – ma
onestamente potrebbe essere qualsiasi altra automobile, l'angelo non
è esperto di motori – e lo guarda con l'aria di chi non abbia
troppo tempo da perdere.
L'angelo si muove, anche se non sa
come, e finge di riscuotersi da un qualche torpore. «Lo shock»,
dice, toccandosi la tesa con la mano libera e concedendo al demone il
sorriso più nervoso che riesca ad esibire. Non vede le iridi
serpentine dell'altro, ma sa che si sono assottigliate per la
scempiaggine appena ascoltata. Per lo meno ha il buon cuore di non
dire niente e di infilarsi nell'auto in attesa che Aziraphale lo
raggiunga a fatica.
Passano dei minuti interi prima che
all'angelo venga in mente di non aver detto a Crowley dove andare.
«Soho», inizia senza coerenza e con la voce roca data dal troppo
silenzio. Si schiarisce la gola e ricomincia: «Vivo a Soho, ecco.
M-Mi ero dimenticato di, beh, di dirtelo prima e-»
«Lo so, Aziraphale», interrompe
bruscamente il demone e l'angelo è interdetto.
«Lo... Lo sai? Come?»
Crowley fa spallucce. «Lo so e basta.
Ti sto portando lì, non riconosci la strada?»
No, Aziraphale non ha idea di dove
siano, ma annuisce lo stesso con aria assente.
«Senti, lo so perché l'ho sentito in
giro», continua inaspettatamente il demone e Aziraphale non osa
interrompere. «E in giro ho anche sentito questa cosa dei nazisti e
dei libri, dei roghi... Ho pensato – e ho pensato bene
– che tu c'entrassi qualcosa. Che fossi indignato»
Aziraphale è in imbarazzo. Sa che
Crowley non è come Gabriel e che non lo deride (più o meno) e non
gli chiede di tenere per sé le proprie idee perché le ritiene
stupide, ma percepisce lo stesso che il demone aveva capito subito la
natura di quella situazione, mentre lui, il povero angelo ingenuo, si
è dovuto ritrovare con la minaccia di una pallottola in fronte per
capirlo. La vergogna è tanta che non ringrazia nemmeno una seconda
volta e rimane con la valigia in grembo a fissarsi le mani.
Rialza lo sguardo solo quando avverte
che l'auto si è fermata. Sa che è il caso di scendere, ma non lo
fa. Piuttosto si muove a disagio sul sedile e tamburella con un dito
sulla pelle della borsa, accennando un sorriso in direzione del
demone. Questi, dal canto suo, ricambia lo sguardo, ma ha le labbra
serrate in una linea sottile e la mandritta sul volante. Aziraphale
ha il timore che l'altro non lo voglia più lì perché si è
comportato da imbecille con un trio di smidollati. Sarebbe anche
comprensibile, in un certo senso.
«Questa è nuova», tenta, indicando
l'interno della macchina con gli occhi.
Crowley annuisce. «È utile. Più
veloce delle carrozze e soprattutto senza cavalli»
È il turno dell'angelo di annuire con
vigore. C'è così tanto che vorrebbe chiedergli per recuperare
qualcosa di quei settantanove anni di separazione, ma non sa da dove
cominciare e le parole gli muoiono sulla lingua. Forse potrebbe
aiutarsi con dell'alcol. Ecco, quello sì che lo
farebbe parlare.
Di nuovo, si schiarisce la gola. «Mio
caro-» e improvvisamente i sintomi si manifestano con una velocità
allarmante, ma si sforza di proseguire e di far finta di niente
mentre si sente morire un'altra volta – tre in una sera sono veramente troppe, «che ne diresti di bere
qualcosa?». Crowley tace. «Ho una bottiglia del '73 che vorrei
provare. Se desideri, possiamo godercela e... fare due chiacchiere».
Il demone insiste nel non dire nulla e Aziraphale non sa cosa fare se
non continuare a parlare per occupare quel pericoloso silenzio. «Ce
lo meritiamo dopo stanotte, non credi?»
Dovrebbe essere furibondo con
l'interlocutore muto per la storia dell'acqua benedetta, e invece gli
offre involontariamente l'espressione più gentile e speranzosa di
cui sia capace. Se possibile, il corpo gli fa ancora più male.
Finalmente Crowley fa qualcosa: si
muove e annuisce, ma quello che dice è contraddittorio.
«No. Non ho ancora finito il giro
delle tentazioni per oggi e non posso trattenermi», confessa. Sembra
una scusa, ma Aziraphale sceglie di accoglierla come verità. Non gli
sbotta contro urlando che non ha il diritto di saltare fuori dal
nulla per salvarlo e per poi parcheggiarlo davanti alla sua libreria
quando si è stancato di averlo intorno. Non lo fa un po' per
codardia e un po' perché forse anche il demone ha tanto da dirgli e
non è prudente sbronzarsi prima. O forse è Aziraphale ad avere
tanto da dire, ma non vuole rischiare di esporsi con gli effluvi del
vino.
«Certo, capisco. Allora vado»,
annuncia mentre la mano corre alla maniglia della portiera per
salvarlo.
«Però possiamo fare un'altra volta».
Un po' Aziraphale odia il demone per come dice le cose che dice. E un
po' odia anche sé stesso quando si volta per fissare gli occhi sulle
lenti dell'altro, in attesa che continui. «Magari a pranzo. Che ne
dici, angelo?»
Aziraphale si odia un po' di più
perché sorride fino a sentire le guance tirare. «È una splendida
idea, mio caro. Fine settimana?»
Crowley annuisce come se gli fosse
indifferente e accenna un vago sorriso prima che l'angelo esca dalla
macchina e richiuda la portiera. Aziraphale non sa perché, ma appena
entra nel negozio ha paura di essersi addormentato per sbaglio e di
aver sognato quello che è successo. Ha paura di aver soltanto
immaginato il ritorno di Crowley e di essere ancora irrimediabilmente
solo. L'unica prova di aver vissuto veramente quella notte è la
borsa nazista che stringe tra le mani.
Il pensiero gli fa arricciare il naso:
in fretta libera i volumi dalla pelle e si pulisce le mani sul
cappotto con aria schifata. Non crede che sia un manufatto demoniaco,
ma decide lo stesso di far sparire la valigia con uno schiocco di
dita. Questo lo solleva un poco, ma l'altro problema, la fitta che
non ha smesso di accompagnarlo da quando Crowley ha salvato i libri,
è ancora lì. Ora avverte anche distintamente una punta di sollievo
e un pizzico di speranza, ma proprio non capisce. Non è mai stato
così, non così intensamente. Deve sedersi e prendersi la testa tra
le mani per provare a calmare il respiro. E deve davvero
parlare con qualcuno Lassù perché non pensa di poterlo sopportare
tanto più a lungo, quel dolore.
Gli scappa un risolino: se non fosse
intelligente, probabilmente penserebbe di essere l'eroina di un
romanzo rosa alle prese con il Vero Amore, ma, insomma, Aziraphale
non ha proprio nessuno a cui rivolgere tale sentimento. È un angelo,
ama tutti indistintamente e incondizionatamente. Più o meno. Certo
non ama i nazisti come ama tutti gli altri, o come...
«No», nega, gli occhi ora sgranati e
tondi come biglie e il respiro di cui non ha bisogno incastrato in
gola. «No. No no no no no no. No.»
La sua mente è impigliata in
quell'unica sillaba e non riesce a pensare ad altro. Aziraphale non
glielo permette, perché ha capito dove andrebbe a
parare e proprio non può farlo. È assurdo, è imprudente, è blasfemo.
«No.», pigola ancora, mente deglutisce
a vuoto e dà un senso a tutto. «No.», ripete, e stavolta sembra più
un Sì, ma non lo dice nemmeno a sé stesso.
D'improvviso la sua testa si concentra
su un'altra parola, una di quelle brutte e poco professionali che non
stanno bene sulle labbra di un angelo.
«Ca... Cavolo!»
Si è graziato all'ultimo momento.
Almeno quello non è cambiato.
[A Stria93, che sa essere molto
convincente]
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