Pioggia:
(Saga)
(494
parole)
note:
flashfic, missing moment, little Saga
«Non farti più vedere da queste parti»,
ringhiò il guardiano, puntandogli il dito contro, dopo
averlo fatto ruzzolare a terra.
Il piccolo Saga lo fissò con occhi umidi e labbra tremanti.
Quell'omone, che non si curava di avere davanti un candidato
all'armatura d'oro, gli faceva paura. Lo vide dargli le spalle,
rientrare nella baracca e, poco dopo, chiudere gli scuri interni delle
due finestre sul davanti. Successivamente, udì altri rumori
simili. Immaginò l'uomo chiudere anche tutte le altre
finestre, per impedirgli di cercare un altro modo per vedere suo
fratello.
Non capiva perché li tenessero separati. In fondo, che
poteva esserci di male se voleva passare un po' di tempo con lui? Gli
aveva persino portato delle focaccine: quelle che davano per colazione
alla mensa, il giovedì. Aveva tenuto da parte le sue ed era
riuscito a trafugarne un paio per mangiarle assieme a suo fratello.
Alzò la testa al cielo, sentendo qualcosa di umido colpirlo
sulla guancia.
Aveva ricominciato a piovere.
Per tutto il giorno c'erano stati brevi sprazzi di pioggia, sufficienti
però a rendere i sentieri del Santuario –
soprattutto quelli più esterni – dei piccoli fiumi
di fango.
Rimase lì, per diversi minuti, forse per ore intere, a
prendersi quell'acqua che via via diventava più intensa e
fredda, che gli penetrava nelle ossa e lo appesantiva di una solitudine
che le sue giovani spalle non erano ancora in grado di sopportare.
Sapeva che doveva alzarsi da lì e rientrare. Doveva
ritornare prima del tramonto o sarebbe stato punito, ma non voleva
andarsene senza verderlo ancora una volta.
Senza accorgersene, in un attimo il cielo si era fatto nero come la
pece; in lontananza già si facevano largo i primi borbottii
del temporale che si avvicinava in fretta e la pioggia cadeva sul
terreno come piccoli dardi gelidi, ma lui insisteva a rimanere dov'era,
a prendersela tutta. Chissà, forse sperava di muovere a
compassione il carceriere
di suo fratello.
Si sfregò gli occhi e il viso con la mano sporca: non voleva
piangere; soprattutto, non voleva che Kanon lo vedesse piangere.
Singhiozzò, allungandosi sul terreno fradicio per recuperare
il sacchetto di carta con le focacce, ma si bloccò di colpo
e alzò la testa di scatto nell'accorgersi di non essere
più sotto la pioggia. Sgranò gli occhi nel vedere
che quell'uomo che lo stava coprendo con l'ombrello era il Grande
Sacerdote.
«Vieni, torniamo indietro», disse un'uomo, con tono
paterno.
Shion gli offrì la mano, ma lo vide ritrarsi e guardarlo con
diffidenza. Non demorse, gli tese di nuovo la mano, sorridendo
comprensivo e, questa volta, dopo uno starnuto che aveva scombussolato
il piccolo, lo vide cedere e ubbidire.
Lo aveva seguito a distanza fin da quando aveva lasciato la mensa,
sapeva dove stava andando, ma non aveva avuto cuore di impedirglielo.
Forse, se lo avesse fermato prima, gli avrebbe risparmiato tanto
dolore. Ora, avrebbe dovuto spiegargli perché non poteva
stare con il fratello e sperare che si mettesse il cuore in pace.
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