cap2
CAPITOLO
II:
Magic Nik
«E tu saresti un cellulare parlante??»
«Sì, qualcosa di
simile. In realtà la questione è un po’
più complessa.»
«Ma per favore! Senti, basta con questo scherzo, chiudi
la telefonata e lasciami in pace!»
«Certo che sei
cocciuta, eh? Sei quasi peggio della vecchia!»
Ormai era da cinque minuti che urlavo contro quel
cellulare che affermava di avere vita propria. Per fortuna che quella
mattina
non c’era molta gente al cimitero o mi avrebbero preso per
matta… E forse matta
lo ero veramente visto che iniziavo a credere alle assurdità
che Machia mi
diceva. Vivo o meno, quel cellulare aveva sicuramente qualcosa di
strano. Non
solo non potevo spegnerlo, ma, quando lo aprii per provare a togliergli
la
batteria, scoprii che non ve n’era alcuna. Al suo interno
c’era solamente
quella che sembrava essere una SIM senza numero e con sopra disegnato
un cuore.
Assolutamente irremovibile (sì, nonostante il disegnino e le
proteste del mio
interlocutore, tentai subito di rimuoverla ma senza successo).
Disperata, decisi di arrendermi (per il momento) e
sentire quello che aveva da dire.
«Va bene, Machia,
facciamo finta che io ti creda. Che diavolo ci faceva un cellulare
magico nel
salotto della signora Corvetti?»
«
Eh, me lo sono
chiesto anch’io per molti anni…»
fece il
cellulare esalando quello che
aveva tutta l’aria di essere un sospiro
«È
stato il mio padrone a consegnarmi alla vecchia.»
«Il tuo padrone…?».
«Sì, l’uomo che
possiede il mio spirito. Quello a cui è intesta la cosa che
tu hai chiamato
“SIM”.»
In pratica stava parlando dell’uomo che pagava messaggi,
chiamate e forse i giga di internet (ma dubitavo fortemente che quel
coso che
sembrava uscito alla fine dagli anni ‘90 avesse la
connessioni dati).
«E chi sarebbe?».
«Un mago.»
Logico. C’era da immaginarselo. A chi poteva appartenere
un cellulare parlante se non a un mago?
«E perché questo mago ti avrebbe consegnato alla
signora
Corvetti?»
«Perché quel vecchio
pazzo voleva che l’altra pazzoide potesse essere sempre in
contatto con lui.»
«Ma è un suo parente?»
«Oh no, no di certo.»
Ah! Uno spasimante!
«È suo marito??»
Il cellulare scoppiò in una fragorosa risata.
«Seee, certo! Al
vecchio pazzo sarebbe piaciuto!»
Ok, probabilmente Machia non era un cellulare dallo
spiccato spirito romantico e io fantasticavo troppo.
«Comunque,»
riprese a parlare una volta terminato l’attacco di
ilarità «
non è che potresti riportarmi
dal mio padrone?»
Seguire le indicazioni date da un cellulare vivo per incontrare
il suo
padrone mago?
Mi avrebbe portata sicuramente in
un Centro di Salute Mentale… e quella era
l’ipotesi migliore. Non era ancora da
escludere l’altra del serial killer psicopatico che lasciava
in giro strani
telefoni e poi chiamava le sue vittime inventandosi strane storie con
lo scopo
di incontrarle in un qualche edificio isolato, stuprarle e ammazzarle.
Certo,
c’era anche l’ipotesi più ottimistica,
fantasiosa e assai meno probabile di
conoscere un vero mago.
Chissà se
sarebbe stato un tipo più alla Harry Potter oppure alla
Gandalf o Merlino… Da
come parlava di lui Machia, era più probabile che
assomigliasse a quest’ultimo.
Versione disneyana, non quella della BBC.
«Allora, mi riporti o
no da lui?» tornò a
brontolare il telefono
«
Adesso che la vecchiaccia è morta, il mio compito
qui è
finito!»
Vecchiaccia... che cosa
poco carina da dire al suo funerale... A proposito! Il funerale! Da
quanto
tempo mi ero assentata??
«Senti, adesso devo ritornare dagli altri ad ascoltare la
fine dell’orazione. Tu sta zitto per un’ora o due e
poi torneremo a parlare del
tuo mago, ok?»
Lo sentii sbuffare poi mugugnò un
“d’accordo” e si
spense.
In generale non ho mai avuto un gran bel rapporto con la
tecnologia, sapevo cavarmela discretamente con i computer ma con i
cellulari
era un altro paio di maniche. Dalla prima media ne ho avuti diversi,
con alcuni
c’è stato un certo feeling mentre con altri ho
avuto una relazione un po’ più
burrascosa ma mai avrei immaginato che sarei arrivata al punto di fare
delle vere
discussioni verbali, con tanto di compromessi,
con uno di loro.
La situazione si stava facendo sempre più assurda.
Ma non potevo trovare un ipod o un ereader parlante? Mi
sarebbero stati sicuramente più simpatici.
Giovedì
11 febbraio 2016, ore 17:24
Pieveottoville, Parma
Dopo aver convinto la mia adorata sorella maggiore a
farsi un’ora di macchina per arrivare a un paesino disperso
in mezzo alla
campagna, arrivai nel luogo dove avrei conosciuto il mago: la Casa di
Riposo Villa
Principe.
Le probabilità di trovarsi davanti a un serial killer si
erano ridotte notevolmente, in compenso si erano drasticamente alzate
quelle di
incontrare un vecchio rimbambito.
«Ma che ci vai a fare in una casa di riposo? Ti vuoi
mettere avanti?» mi chiese Sara mentre scendevo dalla
macchina.
«Ho promesso a un’amica che l’avrei
accompagnata a
trovare suo nonno» inventai di sana pianta.
«Tu hai degli amici??!»
Non sapevo se sentirmi offesa da quella domanda e dalla
sua espressione stupefatta.
«Certo, Sara, anch’io ho degli amici»
risposi in tono
piatto con un sorriso falsissimo in faccia.
«Bah! Io non ti vedo mai uscire dalla tua stanza! Credevo
che la tua unica amica fosse la vicina!»
“Cara sorella,
ma perché non ti fai un
po’ i cazzi tuoi?
Io non ti rompo le scatole contando i tuoi ragazzi...”
fortunatamente lo pensai e basta, se no sarei dovuta tornare a casa a
piedi.
«Come vedi le tue preoccupazioni sono infondate, adesso
sono fuori
dalla mia stanza e sto per incontrare
un’amica.»
«Sì, proprio il giorno del funerale della vicina.
Meno
male, così non resti sola.»
Appena avrò diciott’anni prenderò la
patente.
«Te adesso che fai?» cambiai argomento prima che
iniziasse ad uscirmi fumo dalle orecchie «Io dovrei essere
pronta per tornare a
casa tra un’ora, massimo due.»
«Qui vicino abita un mio amico, l’ho già
sentito, andiamo
a bere qualcosa da qualche parte.»
Come no. A bere la saliva l’uno dell’altra.
«Allora ti mando un messaggio quando ci sono.»
«Ok, ma non fare troppo tardi che tu domani hai scuola e
io lezione.»
Tardi...? Ottimo, mi sarebbe toccato aspettare
un’eternità.
«Veramente io pensavo di tornare a casa per cena.»
«Ah!» la vidi aggrottare la fronte con aria
pensierosa,
probabilmente si stava facendo un paio di conti «Va bene, va
bene, allora per
massimo le sette e mezza sono qui.»
Dopo un saluto veloce con la mano, rimise in moto la
macchina. Speravo vivamente che questo suo amico non le interessasse
più di
tanto, non avevo idea di quanto ci avrei messo a parlare con il mago,
ma
dubitavo di avere molti argomenti di conversazione con un anziano in
una casa
di riposo.
«Oh, era ora che se ne andasse!»
sbottò
Machia dalla tasca
dei jeans «
Prima quella musica orrenda in macchina e adesso
questa stupida conversazione, su dai, andiamo!»
Era davvero un cellulare insofferente.
Entrata nell’edificio, mi diressi subito alla reception.
«Buonasera, come ti posso
aiutare, cara?» mi chiese cordiale la donna in piedi dietro
al bancone.
«Salve, sono venuta a
trovare uno degli anziani che tenete qui.»
La donna mi guardò perplessa. Ok, forse non mi ero
espressa proprio benissimo.
«Come si chiama?»
«Giò Rossini.»
«Ok, fammi un attimo controllare
se abbiamo qualche ospite che si chiama Rossini...»
«Ah no, Rossini è il mio
cognome.»
Quanto
odio dover parlare con gente alla reception. Perché mi
doveva dare del “tu”??
Vado al liceo, ho sedici anni, ho diritto al “lei”!
«Allora mi potresti dire il
nome del signore che stai cercando?»
«Ehm...»
Accidenti. Non lo sapevo. Effettivamente quella era una
cosa abbastanza essenziale da chiedere al cellulare parlante.
Lo presi in mano e vidi che sullo schermo erano apparse
delle lettere.
«Nik» lessi.
«Nik? Sta per Nicola?»
«Sì» confermai senza averne idea.
«Bene, di cognome come fa?»
Riabbassai lo sguardo sul cellulare.
«Boh.»
Ma che diavolo scriveva quel coso??!
«Come “boh”? Non sai il suo
cognome?»
«Mi scusi un attimo.»
Mi allontanai dal bancone e mi portai il cellulare
all’orecchio.
«Che vuol dire “boh”??!»
«Ecco, attualmente mi sfugge il suo cognome. È da
un po’ che non lo sento.»
«Allora, razza di rudere tecnologico, adesso tu mi devi dire
come si chiama
il tuo padrone, nome
e cognome,
se no come cavolo faccio a
trovarlo!»
Non potevo di certo andare
da ogni anziano di quel posto chiedendo: “Mi scusi
è suo questo cellulare? Non
è che per caso lei è un mago?”. Non
potevo e non lo volevo fare. Per quel
giorno avevo esaurito le figure di merda.
«Scusa, bambina...?» fece una signora che mi si era
avvicinata.
Portava un paio di occhiali dalle lenti tonde e montatura
dorata, i capelli erano corti e grigi con qualche ciuffo più
bianco. Doveva
avere qualche anno in meno della signora Corvetti, forse addirittura
dieci, ma era
probabile che fosse una delle ospiti di quel posto.
«Mi è sembrato di sentire che stai cercando un
certo Nik.»
«Sì.»
Anziana o no, la signora ci sentiva ancora bene.
«Non è che per caso cerchi il mago?»
...cosa?
«Ehm... sì.»
«Allora
seguimi, cara.» disse sorridendomi cordiale
«Si sta esibendo proprio adesso in quella stanza
laggiù.»
La signora mi accompagnò davanti a una porta su cui era
stato attaccato un cartello con sopra disegnato (in maniera abbastanza
oscena)
un cilindro, una bacchetta e due colombe. Tale accozzaglia di oggetti e
volatili faceva da sfondo alla scritta “Magic Nik”.
La mia mente non riuscì a fare a meno (purtroppo) di
immaginarsi un uomo sull’ottantina abbondante ma pompato come
il peggior
tamarro visto in palestra, a petto nudo con una cravatta che mette bene
in
mostra i pettorali incartapecoriti. Un canuto Babbo Natale
“infisicato” con un
cilindro in testa. Eew.
«È molto bravo, sai?»
richiamò la mia attenzione l’anziana «Fa
certi trucchi con quella
bacchetta!»
La prego, signora...
Il cellulare iniziò a vibrarmi nella tasca. Machia era
impaziente.
Entrai nella stanza e mi sedetti nella prima sedia libera
che vidi. C’era un discreto pubblico: più di
dodici sedie occupate, senza
contare poi le carrozzine. Naturalmente l’età
media si aggirava sui settanta-ottanta.
«Signore e i signori!» parlò un uomo
dall’altro capo della stanza «Siete pronti per una
nuova
magia?»
Eccolo là. Magic Nik. Un ometto dai folti capelli grigi,
vestito di tutto punto con frac, guanti e cilindro. Fortunatamente non
assomigliava affatto all’immagine mentale che mi ero fatta.
Anzi, era quasi l’opposto:
bassettino e un po’ gracile.
L’ometto mostrò al pubblico un mazzo da gioco che
teneva
in mano, lo aprì e, invece di tirare fuori delle carte, ne
estrasse la già
decantata bacchetta. Nella sala stavano già battendo le
mani.
La fece roteare velocemente tra le dita, passandola dalla
mano sinistra a quella destra e viceversa. Poi,
all’improvviso la bacchetta
sparì sostituita da un fazzoletto rosso comparso da
chissà dove (probabilmente
dalla manica, posto dove anche doveva essere finita la bacchetta) e
iniziò ad
agitarlo, facendo ricomparire e sparire la bacchetta per circa un
minuto.
L’applauso diventava sempre più scrosciante.
Nik si fermò, accennò a un rapido inchino e, con
un gesto
della mano sinistra, invitò il pubblico al silenzio. Una
volta tornata la
calma, il mago prese il cilindro con la mano sinistra.
«Allora, signore e signori, cosa facciamo uscire questa volta
dal cilindro?»
«Un coniglio!»
«Un fagiano!»
«Una bella tettona!»
Le richieste erano molteplici (e alcune di dubbio gusto).
«Lei, signore!» esclamò infine il mago
indicando un uomo in seconda
fila «Ci conosciamo?»
«Ma certo, Nik, ci conosciamo da anni!» rispose
quello visibilmente confuso.
«Sì, lo so, Gianni... Ma ti ricordi cosa ripeto
sempre prima di iniziare lo
spettacolo? Come dovete rispondere voi del pubblico quando faccio
questa
domanda...?»
«Ah!» la bocca del signor Gianni si
spalancò e gli
occhi parvero avere un lampo di intuizione «No, no, Nik, io
non la conosco, mai visti prima!» il
tono era falsissimo.
«Benissimo... quindi è impossibile che io e lei ci
siamo messi d’accordo
prima dello spettacolo, giusto?»
«Giustissimo, impossibile! E questo è
vero!»
«Ottimo. Allora, signore, cosa vuole che faccia uscire dal
cilindro?»
L’uomo alzò lo sguardo e si portò una
mano al mento,
pensieroso, mentre tutt’intorno arrivavano suggerimenti. In
mezzo a quel
vociare, riuscivo a captare distintamente il consiglio “una
bella figliola” di
un qualche anziano furbacchione.
«Va bene, ho deciso!» sbottò dopo quasi
un minuto «Voglio Marilyn Monroe!»
Silenzio in sala.
«Perfetto!» replicò il mago senza
battere ciglio.
Stranamente, ero davvero curiosa di vedere cosa si
sarebbe inventato.
Nik iniziò ad agitare la bacchetta sopra il cappello,
tracciando in aria una spirale discendente.
«Il reclamo è stato detto, ora esci da
cilindretto! Né rossa né mora
gradisce, ma la bionda il signore preferisce! Guardate bene questa
magia,
stasera la bella Marilyn vi terrà compagnia!»
E dopo quel farneticare insensato, il mago sollevò
lentamente la bacchetta. Sulla punta vi era appeso qualcosa... un dvd.
«Ecco a voi Marilyn Monroe nel suo famoso film “Gli
uomini preferiscono le
bionde”! Siete liberi di guardarlo dopo cena!»
Il pubblico era in visibilio.
Nik passò il dvd a una signora nella prima fila poi
tornò
a ricevere i meritati applausi facendo un inchino.
«E anche per questa sera lo spettacolo è
concluso...»
«No, no, un altro!»
«Un’altra magia!»
«Bis!!»
Oh, questo Nik piaceva molto.
«E va bene, va bene.» concesse loro il mago
portando le mani avanti per
quietarli «Ma solo una! Che ne
dite di un po’ di mentalismo?»
Si levò un coro di “sì”.
«Ottimo, allora mi serve un volontario.»
Il suo indice si mosse più volte da sinistra a destra,
scorrendo sui
possibili candidati, finché non si fermò nella
mia direzione.
«Lei, la signorina in un’ultima fila. Si
avvicini.»
«Io?»
Era ovvio che si riferisse a me, aveva detto
“signorina”...
«Sì, sì, venga qui.»
Titubante mi alzai dalla sedia e camminai verso il mago.
Odiavo quel genere di cose, mi sentivo osservata da troppa gente.
«Allora, proporrei un giochetto con le carte...»
iniziò a
dire estraendo un mazzo dalla giacca «Una cosa semplice
semplice...»
«Nik, Nik, le domande! Non le hai fatto le
domande!» urlò
qualcuno dal pubblico. Forse il signor Gianni.
«Giusto, giusto... Mi scusi, signorina, come si
chiama?»
«Giò.»
«Piacere, Giò. Lei mi conosce?»
«No.»
«Ci siamo mai visti prima?»
«No.»
«Perfetto, procediamo!»
L’ometto mescolò le carte con una certa
abilità (di sicuro
non soffriva di artrite) poi me le passò.
«Ora guardate bene questa busta!»
Tirò fuori dalla giacca (chissà se
c’era altra roba lì
dentro) una busta gialla, la sollevò in alto e la
rigirò in aria davanti alla
platea.
«Qui dentro è contenuta una carta misteriosa che
riveleremo a breve... ma,
nel frattempo, la tenga lei signora Rita.»
Detto ciò, la consegnò a una vecchietta in prima
fila che
se la strinse in grembo come se si trattasse di un tesoro. Dal suo
sguardo sembrava
pronta a
difenderla a costo della vita.
«Ora, Giò, dividi a metà il mazzo e
consegnami i due
mazzetti.»
Feci quello che mi aveva chiesto, cercando di beccare la
metà precisa, e glieli ripassai.
«Adesso scegli uno dei due mazzi.»
Indicai quello a sinistra. Lui me lo ridiede in mano e si
mise in tasca il mazzetto destro.
«Ottimo, rifai la stessa cosa.»
Ripetemmo il procedimento finché non mi ritrovai in mano
solo due carte (in qualche passaggio non dovevo aver diviso benissimo).
«Bene, Giò. Adesso guarda le due carte e scegline
una, l’altra ridammela
pure.»
Me le portai davanti agli occhi, stando attenta a che nessun altro le
vedesse. Erano due regine, quella di quadri e quella di cuori.
Col cavolo che avrei scelto quella di cuori.
Mi tenni quella di quadri e riconsegnai l’altra al mago che
se la mise in
tasca insieme alle altre.
«Ora è giunto il momento di scoprire insieme la
carta misteriosa! Signora
Rita, potrebbe aprire la busta e mostrare la carta a tutti?»
La signora Rita non se lo fece ripetere due volte. Un
istante dopo sventolava in aria la regina di cuori.
Ah! Fregato!
«E adesso vediamo un po’, cosa mai avrà
scelto Giò! Un asso, un due o un
tre, oppure un dieci o un re? Chissà se saranno picche o
fiori, o forse proprio
la regina di cuori!»
Ma che era quella cantilena? Non ci badai molto e girai
tutta soddisfatta la mia carta.
Era la regina di cuori.
Il pubblico impazzì.
Io rimasi lì imbambolata con in mano una carta che in
mano non ci doveva essere.
Come diavolo era possibile?
C’ero stata attenta! Io quella carta l’avevo vista
bene!
E non era la regina di cuori!
«E anche l’ultima magia è stata
fatta!» riprese
parola Nik «Bene, signore e signori, io vi saluto. Il vostro
Magic Nik ritorna la
prossima settimana!»
Piano piano (perché i legamenti delle ginocchia non erano
più quelli di un tempo) le persone abbandonarono la stanza,
lasciandomi da sola
con il mago.
«Piaciuto lo spettacolo?» mi chiese con un ampio
sorriso che metteva in mostra la
dentiera perfetta «Posso esserti di aiuto,
signorina?»
«Sì, ecco, io...»
«Nik, Nik! Come hai potuto abbandonarmi per più di
quindici anni??!»
«Oh, Machia, sei proprio tu! Allora, ci avevo visto
bene!»
Beh, almeno mi ero risparmiata domande imbarazzanti del
tipo “conosce questo cellulare?”
«Perché non sei mai tornato
a riprendermi??»
«Suvvia, non parliamone qui. Andiamo nella mia stanza che tra
poco
dovrebbero entrare per sistemare le sedie.»
Dopo aver girato un po’
all’interno della villa, mi fece accomodare in quella che
doveva essere la sua
camera.
«Allora, signorina, prima di tutto le
presentazioni.» disse
porgendomi la mano «Mi chiamo Niccolò.»
«Piacere.» risposi stringendogliela
«Non mi dica che di cognome fa Machiavelli.»
«No, no, quello è il nome che ho dato al mio
famiglio...»
«Il qui presente! E
gradirebbe essere tolto dalla tasca! È stretta!»
«Il mio cognome è Cosini, Niccolò
Cosini. E invece “Giò” per cosa
sta?»
«Giusto, qual è il tuo nome
per intero?»
Oh no...
«È Giò. Solo Giò.»
«Oh, andiamo, sarà
sicuramente l’abbreviazione di qualcosa!»
«Posso provare a indovinare?» chiese
l’ometto appoggiando il frac su una sedia.
«Guardi, lasci stare...»
«Facciamo che se indovino inizi a darmi del "tu". Io dico che
“Giò” sta
per...»
«Ma dai, sarà qualcosa con
“Giorgia”, magari
“Giorgina”!»
Il mago non gli diede ascolto, chiuse gli
occhi e si portò le dita alle tempie.
«Gioacchina!»
«Pff! Stavolta l’hai sparata
grossa!»
No.
Impossibile.
«Come lo sa?» gli chiesi in tono funebre.
«Oh per Giove, è vero!»
«Be’, sono un mago, ho una dote per queste cose. In
più, qualche giorno fa,
ho ricevuto un messaggio dove mi informavano che il mio vecchio
famiglio era
passato di proprietà a una certa Gioacchina
Rossini.»
«Gioacchina...accidenti, mi
dispiace.»
Disse Machiavelli...
«Beh, non è mica così male,
invece!» fece Nik mettendosi a sedere
sul letto e sistemandosi i polsini della camicia «Gioacchina
Rossini!» esclamò
meditabondo.
«La prego, non lo dica più per intero.
“Giò” basta e avanza.»
«Mai pensato di fare il conservatorio?»
«No.»
Ma perché mamma si era impuntata nel voler dare il nome
dei nonni morti
ai figli? Sara se nasceva femmina e Gioacchino se maschio. Peccato che
abbia
avuto due bambine... E sua sorella è stata la prima.
Maledetta fortunata.
«Comunque, dimmi un po’, Giò,»
riprese a parlare sorridendomi
affabile «devi essere qui per
tua madre, vero? Le assomigli così tanto!»
«Non credo lei possa conoscere mia madre...»
«Ah no? Marcella non è tua mamma?» lo
sguardo dell’ometto si fece
più indagatore «Mmm, quanti anni hai?»
«Sedici.»
«Allora potresti...?!»
Qualsiasi cosa volesse dire, le possibili implicazioni mi
facevano rabbrividire.
«Ripeto che la signora Marcella non è mia madre. E
conosco bene anche mio
padre.»
«Ah, bene bene, allora devi essere sua nipote.»
«La signora era una mia vicina.»
«Eppure le assomigli tanto!»
«Sinceramente spero di no.»
La signora Corvetti non
era proprio una bella donna. Ok che i suoi anni d’oro erano
belli che passati,
ma mi era difficile da credere che la si potesse anche solo vagamente
considerare attraente da giovane. Forse c’era stato un tempo
in cui era un po’
meno larga che alta.
«Eh, aveva i tuoi stessi capelli rossi e il tuo
nasino a patata!»
«Ma lei è sicuro di ricordarsi la signora
Marcella?»
Perché non sembrava proprio. La vecchietta aveva capelli
corti e bianchi che tanti anni prima erano stati neri, mentre il naso
era
sempre stato adunco.
«Forse la sua immagine si è sfumata un
po’ nella mia mente...»
disse sospirando «Sai, l’ho conosciuta
vent’anni fa, era favolosa...»
Facendo un paio di conti, lei doveva avere sessantasette
anni. Favolosa e già diversamente giovane. E probabilmente
la sua forma si
stava già avvicinando a quella di un barile.
«...ci innamorammo perdutamente. La portai a Parigi, le gite
in barca sulla
Senna... Eh, dopo solo quattro anni la dovetti lasciare, diceva che il
suo
cuore non voleva catene e non si voleva impegnare.»
La signora Corvetti? A quasi settant’anni non voleva
impegnarsi? Forse era più probabile che non volesse questo
tipo attorno.
«Però le lasciai Machia. Lo avevo appena
trasferito in un cellulare di
nuovissima generazione.»
«Infame.»
«Ehi, a quei tempi anche tu eri d’accordo. Che fine
ha fatto quel bel
telefono fisso che ti piaceva tanto?»
«Monique! Ah, Monique...
aveva la più bella cornetta che avessi mai visto. Un
così bel filo arricciato,
il disco con i numerini dentro...»
«Che ne è stato?»
Dal cellulare iniziarono ad uscire suoni molto simili a
lamenti disperati e singhiozzi.
«Una notte... Lei-lei smise
di funzionare bene... Soffriva, si sentiva un fischio continuo nella
sua
cornetta... E così...co-così... due uomini la
portarono via! Al suo posto
misero un... un coso
nero cordless senz’anima! Oh Monique,
non
incontrerò più nessuna come te!»
«Su su, vedrai che ne troverai un’altra!
Hai visto i nuovi modelli
di cellulare che girano? Visto questi iphone?»
«Non voglio avere niente a
che farci con quelle lì!»
sentenziò
categorico
«Piuttosto, perché tu in quindici anni
non ti sei mai fatto vedere?!»
«Beh, ho provato a chiamare ma eri sempre spento. Poi non
ricordavo né
l’indirizzo né il cognome di Marcella. Era un
po’ difficile rintracciarla.»
«Potevi usare qualche magia!»
«E tu perché non hai mai chiamato?»
«Perché la maledetta strega non mi ha mai messo
in carica!»
«Suvvia, “strega”! Mi pare fosse una
maga.»
«A me
basta anche poca, pochissima energia, ma lei niente! Neanche una
caricatina in
quindici-sedici anni! Ho dovuto mettermi in una sorta di
standby!»
«Ahem!» provai a
schiarirmi la gola. Sembravano essersi totalmente dimenticati della mia
presenza.
«Oh, scusa, Giò!» disse Nik tornando a
guardare me e non il cellulare che
tenevo in mano «Stavamo parlando della cara Marcella... A
proposito, come sta?»
«È morta lunedì.»
«Oh.»
Forse avrei dovuto
usare più tatto.
«Che cosa l’è capitato? Un
incidente?» chiese incupendosi «O forse qualche
brutto malanno se l’è portata via prima del
tempo?»
«Sembra sia morta soffocata dalle sue risate dopo
essersi vista allo specchio truccata da clown.»
«Ha senso.»
Ah sì?
«È sempre stata una mattacchiona,
la mia dolce Marcella.» disse accennando a
un sorriso «L’è sempre piaciuto far
ridere la gente, per una volta avrà voluto far
ridere se stessa.»
«E l’è stato fatale.»
«Forse n’è valsa la pena... Ti
è sembrata felice
quando l’hai vista, Giò?»
«Non me l’hanno fatta vedere.»
E nemmeno l’avrei
voluta vedere. Il cadavere di una signora anziana con la faccia
pitturata da
clown? Sarebbero stati incubi assicurati per anni.
«Va beh, così va la vita.»
decretò per poi sospirare «Il fatto che sia morta,
spiega in parte anche perché Machia sia passato a te e io
non me lo possa
riprendere.»
«Cosa?!?!»
«Già, dal messaggio che ho ricevuto sembra che
Marcella ti abbia ceduto alla nostra Giò.»
«Poteva farlo?!»
«Beh, io ti avevo regalato, per MagicWorld è come
se d’allora tu fossi appartenuto a lei, quindi sì.
E adesso sei il famiglio di Giò.»
«Ma lei non è né una maga né
una strega, non può avere un famiglio!»
«Infatti. È per questo che
credo che lei abbia passato alla ragazza anche il suo contratto
magico.»
«Scusate, la ragazza vorrebbe capire di che state
parlando.»
Che contratto? Anche la vecchia signora Corvetti era una maga?
Nik mi rivolse un
sorriso smagliante (e anche leggermente inquietante).
«Congratulazioni, Giò, probabilmente sei
diventata una maga.»
|