questions
Of
questions and convictions
402 a.C. - Atene
Aziraphale lo notò quasi subito: con
quei capelli lunghi e rossi era difficile che Crawly non saltasse
subito agli occhi. Si scoprì piacevolmente sorpreso nel vedere anche
lui lì ad Atene, ma allo stesso tempo avvertì la solita punta di
preoccupazione che gli si affacciava nell'animo ogni volta che incontrava il demone
in giro per il mondo. La sua presenza era portatrice di guai, ma era
anche l'unica creatura ultraterrena che lo degnasse di una qualche
considerazione. Era gentile con lui, tanto per cominciare. Gli
sorrideva sempre e scambiava volentieri quattro chiacchiere tra una
tentazione e l'altra. Lo invitava a ragionare, a dubitare – e
questo non andava bene, in un certo senso, perché dubitare del Piano
Divino era una cosa che non doveva essere fatta, ma d'altra parte
Aziraphale non poteva non ammettere che alcune questioni lasciavano
anche a lui la testa piena di domande inespresse e senza risposta. La
storia di Abramo, ad esempio: Aziraphale aveva fatto di tutto per non
commentare, ma quando Crawly gli aveva detto inorridito che Isacco
era solo un bambino, «che vuoi che capisca del Grande Piano? Non
vedrà altro che un padre pronto ad ammazzarlo in nome di una voce
che sente solo lui», lo aveva costretto a tacere e ad andarsene per
evitare di pronunciarsi troppo e di dichiararsi totalmente d'accordo
con lui. O il diluvio: i bambini, caspita. I bambini
innocenti. Anche lì era stato solo Crawly a dirsi del tutto
contrario, ma esclusivamente perché all'angelo era mancato il
coraggio di esprimersi. I suoi dirigenti non mettevano mai in dubbio
niente perché era tutto parte del Grande Piano, che era anche quello
Ineffabile, quindi nessuno poteva saperne veramente alcunché al di
fuori dell'Onnipotente. Ma i suoi capi non erano mai nei paraggi
quando incontrava il demone e questo rendeva tutta la questione
dell'obbedienza un po' più difficile.
Sventolò appena una mano quando
finalmente il demone si accorse di lui. Crawly si staccò subito dal
gruppo con cui si stava intrattenendo per dirigersi dall'angelo con
la sua andatura molleggiante.
«Salve, Aziraphale!» salutò, un
sorriso stampato in volto. «Non mi aspettavo di vederti qui»
«La sorpresa è reciproca» assicurò
l'angelo, cercando di far prevalere la parte più prudente di sé.
«Posso sapere cosa ti porta ad Atene?»
«Lavoro. Un paio di tentazioni.
Immagino che tu debba benedire qualcuno»
Aziraphale sorrise, suo malgrado. Poi
lanciò uno sguardo oltre le spalle del demone. «Chi erano? Se posso
chiedere»
Crawly sollevò un sopracciglio e
ghignò appena. «Quel tipo, Socrate, poi c'è un pallone gonfiato
che è un ambasciatore con il suo schiavo e un altro idiota1 che
li ospita»
L'angelo aggrottò la fronte agli
insulti, ma decise di soffermarsi su altro: «Quindi quello è
Socrate? Ne ho sentito parlare»
«Ci scommetto!» rise Crawly. «Sta
facendo chiacchierare parecchio. Se ne va in giro come uno straccione
ma è molto acuto2. Dall'aspetto non lo diresti, eh?»
Aziraphale dovette convenire: quello lì
proprio non sembrava un uomo di scienza. «Ho sentito dire che sia
esperto di morale» fornì, curioso, sperando che Crawly ne sapesse
di più.
«Mm. Può darsi, ma se lo chiedi a lui
non è d'accordo» fu la risposta del demone. «Dice di non sapere o
una cosa del genere. Forse è sapere di non sapere, mi pare»
«Modestia?» il volto di Aziraphale si
illuminò: quella era sicuramente una virtù.
«Se lo chiedi a me, tutto il
contrario»
«E come? È un'affermazione umile,
questa»
«Bah. Dire con certezza che sai di non
sapere è piuttosto irriverente, no? Si ritiene il più saggio per
questo»
Aziraphale continuava ad essere sicuro
che questa fosse una cosa buona: «Arrivare alle certezze assolute è
impossibile, dunque l'ignoranza è l'unica certezza assoluta di cui
un uomo possa farsi messaggero. Secondo me ha ragione»
Crawly lo guardò in un modo
particolare che Aziraphale non seppe decifrare. Aveva detto qualcosa
di strano? Aveva solo espresso un'opinione, non-
Appunto. Era di nuovo caduto
nella trappola del demone: quando era con lui cominciava a pensare
secondo la sua testa. Si chiese se Crawly non lo stesse tentando in
qualche modo silenzioso, ma lui era un'entità angelica, se ne
sarebbe senz'altro accorto.
Arrossì, ma il demone non disse nulla:
si limitò a sorridere.
«C-Che cosa fa, dunque?» si sforzò
Aziraphale per riportare la conversazione su un piano oggettivo.
«Domande, principalmente. Davvero
troppe domande3. Non credo che sarà dei vostri, angelo»
rise il demone, ma Aziraphale poté notare una fugace ombra
malinconica attraversargli le iridi serpentine.
«Ogni tanto bara» continuò Crawly,
scuotendo il capo. «Ma tanto gli altri sono tutti dei completi
mentecatti e nessuno se ne accorge»
Ad Aziraphale venne spontaneo sollevare
gli angoli della bocca in un delicato sorriso. Poi fu còlto da
un'osservazione: «Lo conosci bene»
Crawly si strinse nelle spalle. «È
simpatico. Ha in mente una... rivoluzione di pensiero. Te l'ho detto,
lo avremo noi: ai Piani Alti queste cose non piacciono»
Aziraphale storse il naso: «Smettila,
Crawly. Non è una gara. E a me sembra a posto»
Il demone lo scrutò seriamente, poi
gli sorrise. «Come vuoi tu»
-
399 a.C. - Atene
Aziraphale trovò Crawly solo dopo
un'ora dalla conclusione del processo. Lo aveva visto lanciare
occhiate velenose ad Anito per poi abbandonare il pubblico subito
dopo il verdetto. Aveva pensato di lasciarlo in pace, di fargli
elaborare la notizia in solitudine, ma poi si era detto che a lui
avrebbe fatto piacere contare su qualcuno con cui sfogare rabbia e
dolore, perciò aveva deciso di mettersi sulle sue tracce.
Il demone si era nascosto bene fuori
dalla città, Aziraphale glielo concesse. Questo lo fece desistere
per un attimo dal proseguire quando lo vide: forse non voleva essere disturbato, non
voleva nessuno intorno a sé. Forse, dopotutto, erano tanto diversi,
loro due.
Ma Crawly lo notò avvicinarsi e non
disse niente. Rimase appoggiato contro l'albero al quale aveva
affidato il proprio peso e guardò Aziraphale con rancore. L'angelo
in qualche modo seppe che non era rivolto a lui.
«Oggi come ieri fare domande è ciò
che serve per essere condannati» sentenziò il demone, guardandolo
con disperazione. Aziraphale non capì, ma non aveva il coraggio di
chiedere ulteriori spiegazioni. Rimase ad osservare la figura
contrita di Crawly torcendosi le mani in grembo.
«E ha dovuto fare l'idiota» continuò
il demone, più a sé stesso che all'angelo. «Ha dovuto fare
l'idiota. Scherzare sulla pena, sul serio?4» sbuffò
risentito, cominciando a camminare avanti e indietro. Anche
Aziraphale aveva notato la follia di quella scelta, ma confermarlo in
quel momento non aveva senso. Si limitò ad abbassare gli occhi e ad
attendere che continuasse.
«Stupido. Doveva difendersi da solo,
ovviamente. Ovviamente. Perché lui sa come parlare, eh? Lui
sa come mettere in fila due parole e dar loro senso, ma non sa
metterle per iscritto5». Il viso del demone si deformò
in una maschera di rabbia. «Cazzo» sibilò prima di sferrare
un pugno contro l'albero.
«Crawly!» esclamò involontariamente
Aziraphale, facendo un passo avanti, la mano protesa per offrire
aiuto.
Il demone scosse la testa. Tanto bastò
per fermare l'angelo, persino di fronte alla vista delle nocche
insanguinate dell'altro. La sua mente corse al pericolo di
un'infezione, ma effettivamente nessuno dei due aveva bisogno di
preoccuparsi di quello.
«Lasciami solo, angelo»
Aziraphale si sentì ferito. Voleva
aiutare, anche solo con la sua presenza. Sapere di non essere gradito
faceva male. Avrebbe voluto farlo quantomeno calmare, ma non riusciva
nemmeno ad avvicinarsi per curargli il taglio. Non aveva parole
giuste da dire per confortare Crawly e si sentiva in colpa per
questo: che diamine, lui era un angelo! Portare conforto era parte
del suo lavoro, eppure con il demone dai capelli ramati questo non
funzionava, le sue abilità venivano meno e Aziraphale perdeva ogni
potere.
«Se è questo che vuoi» trovò la
forza di sussurrare, ben conscio di non voler sapere la risposta.
Crawly non ribatté subito: appoggiò
la fronte al tronco senza guardare l'angelo, le spalle rigide e tese.
Solo dopo qualche attimo mosse la testa in quello che Aziraphale
considerò un assenso.
Annuì a sé stesso, sconfitto. Si
costrinse ad accontentare l'altro, ma prima di andarsene si curò di
far apparire una benda bianca sul terriccio accanto a Crawly.
«Arrivederci» salutò atono per poi
tornare indietro verso la città.
Aveva avuto un'idea. Idea che gli era
costata un paio d'ore di discussione con uno dei discepoli di
Socrate. Ma alla fine ci era riuscito, più o meno: Platone aveva
cominciato a prendere in considerazione la possibilità di tramandare
la memoria del processo, della strenua difesa del maestro. Sarebbe
stato un peccato lasciare che quella straordinaria arringa venisse
dimenticata per colpa di una sentenza ingiusta. Socrate era un uomo
onesto, buono: non meritava quella condanna e non meritava l'oblio.
Qualcuno doveva prendersi la briga di assumersi la responsabilità di
fare giustizia.
Aziraphale credeva fermamente in tutte
le cose che gli aveva detto, ma doveva ammettere di aver abbellito
qui e là il discorso per riuscire a entrare nelle grazie del
raffinato Platone. Le lusinghe dirette non funzionavano, aveva
notato, perciò l'unica via era stata quella di provare
l'inoppugnabile logica della sua argomentazione. Un'esperienza
estenuante, ma dall'esito lodevole. O almeno questo era quello che
sperava mentre se ne stava addossato allo stipite della sua casa
ateniese, gli occhi persi nel vuoto.
Si accorse della presenza di Crawly
solo quando fu sufficientemente vicino da udirne il sibilo. Trasalì
appena, riemergendo dai suoi pensieri, ma non osò tentare alcun
approccio: era stato scacciato via, d'altronde. Per quanto ne sapeva,
il demone poteva averlo rintracciato solo per dirgli che non lo
voleva più tra i piedi in generale, non solo lì in Grecia. Ma nulla
nell'atteggiamento piuttosto neutro dell'altro faceva supporre ciò.
«È morto»
L'affermazione era stata rilasciata
insieme a un sospiro e Aziraphale sentì che era crollato – almeno
in parte – il muro che il demone aveva eretto intorno al suo
dolore. Se non altro, la ribollente rabbia non era più visibile.
L'angelo annuì. «Mi dispiace. È
stato veloce?»
«Credo». Crawly puntò per un attimo
lo sguardo sull'angelo, ma lo distolse in fretta. «Non ero con lui
in cella quando ha bevuto la cicuta. C'erano i suoi seguaci. Solo Platone non c'era6»
Aziraphale si sentì in colpa. Non
aveva forzato l'allievo a rimanere in casa per stare a sentire la sua
storia sul valore della memoria, ma si disse che avrebbe potuto
convincere l'uomo a recarsi dall'amico in pena, cosa che non aveva
fatto.
«Hanno cercato di convincerlo a
scappare, a lasciare Atene, ma lui ha rifiutato» fornì Crawly con
malcelato disprezzo nella voce. «Ha detto loro che devono restituire
un pollo o qualcosa del genere a uno7». Stavolta il
demone rise, ma la tristezza era visibile negli occhi da serpente.
Aziraphale si azzardò a sorridere a
sua volta, abbassando lo sguardo per non incontrare l'eventuale
rimprovero nelle iridi di Crawly. Fu allora che notò la fasciatura
bianca alla mano destra. Riconobbe il suo pezzo di stoffa ed avvertì
un improvviso calore dalle parti del collo. Lo ignorò.
«Ti fa male?» chiese. Incrociarono
gli sguardi e Aziraphale capì di dover precisare: «La mano»
«Mm? Ah. No, non proprio» assicurò
il demone. «Solo un graffio, angelo»
Aziraphale annuì, sorridendo più
apertamente. Tornarono a fissare punti imprecisati nello spazio
intorno, i pensieri e le emozioni troppo complessi da mettere in
parole. Rimasero in silenzio per un tempo indefinito, estremamente
carico di disagio.
Fu Aziraphale a interromperlo.
«Sai,» cominciò, catturando
l'attenzione dell'altro in un secondo, «credo che sia stato molto
coraggioso da parte sua non evadere»
«Molto stupido, vorrai dire»
«Molto coerente, se non altro».
Guardò il demone negli occhi. «Ha accettato le responsabilità
delle sue azioni. Non ha mai fatto niente di male, ma la giuria lo ha
ritenuto colpevole. Ha combattuto con le sue armi e ha accolto la
condanna, anche se sbagliata»
«Faceva domande» ribatté Crawly
laconico.
«Ed è male?»
Il demone lo fissò di nuovo in un modo
diverso dal solito, che l'angelo aveva già visto una volta, ma che
non era riuscito a decifrare. Anche lì Aziraphale non colse il
significato di quello sguardo, ma poteva vedervi qualcosa di
profondamente intenso, un misto tra una supplica e una provocazione.
«Dimmelo tu» fu quello che uscì
dalle labbra del rosso.
Aziraphale cercò di ricacciare
indietro la sorpresa prima di rispondere con onestà. «No. Voglio
dire, perché dovrebbe? È il punto dell'umanità, giusto? Il libero
arbitrio e tutto il resto. Non ci vedo niente di male»
Crawly, inaspettatamente, lo derise.
Aziraphale era confuso: insomma, stava sinceramente difendendo
Socrate e il suo modo di fare ricerca. Perché non era abbastanza?
Erano dalla stessa parte, almeno in quello.
«Per gli umani va bene, certo»
interpretò il demone. «E che mi dici degli angeli?»
Aziraphale avvertì un nodo alla gola
all'improvviso. Perché Crawly gli rivolgeva quella domanda? Si era
forse accorto della sua tendenza a pensare con la propria testa
quando il demone era nei paraggi? Era questa la provocazione che
aveva avvistato poco prima, fargli ammettere che nella sua mente
regnava il dubbio ogni volta che Crawly evidenziava un lato diverso
della situazione in cui erano capitati insieme?
Provocazione o meno, Aziraphale non
poteva negare quell'aspetto del loro rapporto che gli istillava la
curiosità di andare oltre la superficie e, magari, di pronunciare un
sonoro no alla Necessità.
«Penso... – fece una pausa, di nuovo
colto alla sprovvista dalla sua stessa audacia – penso che fare
domande possa... ampliare gli orizzonti anche per... per noi»
Per me,
pensò, lasciando solo
che si esibisse un'espressione un po' accigliata sul suo volto senza
che le parole la accompagnassero. Non era sicuro di voler ricordare a
sé stesso e a Crawly la loro diversa natura, non dopo aver
ammesso nell'intimità dei suoi pensieri di essere un po' come il
demone riguardo alla curiosità.
Cercò la reazione del rosso sul suo
viso e vi lesse stupore. Crawly era sorpreso, in qualche modo, dalla
risposta ricevuta e per un lungo minuto non parlò affatto.
Aziraphale pregò di non ricevere la stessa domanda sui demoni
perché, si rese conto, la soluzione al quesito sarebbe stata così
pericolosamente simile a quella sugli angeli se non addirittura più
gratificante da metterlo seriamente in imbarazzo.
«D'accordo» disse il demone e
Aziraphale tirò un impercettibile sospiro di sollievo.
«È meglio che vada» soggiunse Crawly
poco dopo, vagamente impacciato. «Voglio vedere come finisce la
questione del pollo»
L'angelo aveva pensato di invitarlo in
casa per un paio di coppe di vino, ma fu costretto a reagire con un
comprensivo «Oh, certo»
«Ci si vede, angelo» salutò il
demone, sventolando debolmente la mano fasciata mentre si
allontanava.
«A presto. Ah, Crawly!» lo richiamò
indietro. «Rimani ancora qui per molto?»
Il rosso si strinse nelle spalle,
noncurante. «Non ne ho idea»
«Mm. Senti, rimani un altro po',
d'accordo? Resto anch'io»
Il demone lo guardò estremamente
perplesso. «Tutto a posto, Aziraphale?»
«Sì. Ho solo fatto... una cosa
e vorrei vederne l'esito»
«E io come sono coinvolto?»
Aziraphale si sentì arrossire a
disagio. Non voleva dirgli del suo esperimento con Platone8,
voleva che fosse una sorta di sorpresa, un ricordo da conservare per
il demone.
«Resta e lo saprai»
Il demone allargò le braccia, basito,
ma una scintilla nelle iridi gialle fece capire all'angelo di aver
vinto.
«D'accordo» assentì. «Ma appena
verifichi questa cosa mi tiro fuori da questa pallosa democrazia»
Aziraphale rise mentre Crawly
riprendeva il cammino. Lo osservò per qualche secondo,
improvvisamente intrigato dall'enigma che il demone rappresentava.
Aveva tante domande per lui, ma mai abbastanza coraggio da esprimerle
ad alta voce. E così Crawly ai suoi occhi rimaneva un mistero e una
contraddizione vivente: un demone che teneva ai bambini.
Si chiese se non fosse meglio così, in
fondo: voleva davvero sapere di più sul suo bizzarro nemico? Cosa
avrebbe fatto con questa conoscenza? Niente, assolutamente niente.
Ma nella sua mente non era quella la
risposta che gli si era palesata.
Sì.
Scosse la testa come per scacciare un
pensiero molesto. Poi spinse la porta e rientrò in casa, illudendosi
di poter sfuggire così alla sua curiosità.
Questo, ovviamente, non accadde.
Note:
[1]: I personaggi qui citati compaiono
nel dialogo di Platone “Menone”. Il “pallone gonfiato”
è Menone, saccente e presuntuoso, istruito dai sofisti e giunto ad
Atene in veste di ambasciatore della Tessaglia (i Tessali cercano
aiuti militari e sperano di ottenerli dal nuovo governo democratico
che ha rovesciato i Trenta Tiranni); l'“altro idiota” è Anito,
politico ateniese, molto più arrogante di Menone e sprezzante dei
sofisti, tra cui annovera anche Socrate. Sarà uno dei principali
accusatori del filosofo.
[2]: Le fonti principali (Platone,
Aristotele, Senofonte) sottolineano la bruttezza e l'aspetto
offensivo di Socrate, mettendo poi in luce il contrasto con la sua
personalità buona e giusta.
[3]: Riferimento alla maieutica: far
sorgere la verità dall'interlocutore stesso attraverso una serie di
quesiti logici deduttivi, senza l'intervento della persuasione tipica
della sofistica.
[4]: Nell'“Apologia” scritta
da Platone si dice che Socrate provocò una reazione indignata nella
giuria suggerendo innanzitutto che avrebbero dovuto mantenerlo a
spese della città nel pritaneo, il luogo più illustre di Atene, e
poi proponendo una multa di una sola mina d'argento, che riuscì ad
alzare a trenta solo per i prestiti degli amici. La giuria si sentì
presa in giro.
[5]: Socrate non ha scritto niente.
[6]: Nel dialogo “Fedone”
Platone è l'unico che non va a trovare Socrate in cella.
[7]: “Dobbiamo un gallo ad Asclepio:
dateglielo, non dimenticatevene.” -cit. Sempre dal “Fedone”.
[8]: Datare le opere di Platone è un
dramma filologico tuttora irrisolto, ma dalle analisi si può pensare
con una certa sicurezza che l'“Apologia” sia stata scritta
tra il 399 a.C., l'anno della condanna, e il 388 a.C.
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