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Winter Inside
«Pensavo che io e Slash saremmo stati come Geddy Lee
e Alex Lifeson*: si conoscono dai tempi delle scuole, sono cresciuti insieme
facendo musica, hanno avuto successo e sono rimasti insieme, per tipo
cinquant’anni. Era questo che credevo che saremmo stati, ma non è andata
proprio così. Gli amici vanno e vengono, anche quelli che pensi davvero che
siano nel cuore e che resteranno lì per sempre.»
[Steven Adler]
Sgrano gli occhi e tutto attorno
a me vedo solo oscurità; l’aria che mi accarezza la pelle non è calda, eppure
io sto sudando, sento i capelli incollati al viso e al collo e le coperte che
si fanno soffocanti.
Scatto a sedere e scalcio via le lenzuola
per potermi alzare, ma a quei movimenti bruschi il mio stomaco comincia a fare
le capriole. Non importa, devo assolutamente uscire da questa stanza.
Mi precipito in corridoio a
grandi falcate, senza preoccuparmi di non fare silenzio per non svegliare Carolina;
lei comunque dorme profondamente e non sembra accorgersi di niente. Meno male,
non voglio che si preoccupi per me, in fondo è tutta colpa mia se si ritrova
sposata con un caso umano.
È già da un pezzo che fatico a
prendere sonno, tanti sono i pensieri che mi vorticano in testa, ma oggi è
peggio del solito, oggi sento che non ce la posso fare; sento la gola secca e
vorrei soltanto scolarmi una bottiglia di Jack Daniel’s per dissetarmi. E
smettere di pensare e di ricordare.
Mentre vago per il corridoio senza
una meta ben precisa e col cuore che mi batte all’impazzata, prendendo dei
profondi respiri per cercare di rilassarmi, l’occhio mi cade su una foto appesa
alla parete, che svetta in una cornice dorata e lucente. Nello scatto c’eravamo
io e Slash, io gli circondavo le spalle con un braccio e sorridevo
raggiante, mentre lui tratteneva a stento un sorrisetto e aveva assunto una
posa da vera rockstar; quel momento è stato immortalato appena una manciata
d’anni fa, nel backstage della cerimonia per la Rock’N’Roll Hall Of Fame,
quando i nostri Guns N’ Roses vi erano stati introdotti.
Alla vista dei suoi riccioli
fitti, dei suoi immancabili occhiali scuri e del suo iconico cilindro, la vista
mi si appanna e gli occhi cominciano a bruciarmi di lacrime.
“Ma ti rendi conto, Slash? Adesso
siamo delle leggende, delle fottute leggende!” esclamai, giocherellando con un
paio di bacchette. Non riuscivo a stare fermo, tanto era l’entusiasmo del
momento.
Il chitarrista mi lanciò
un’occhiata a metà tra il divertito e l’emozionato. Non era facile decifrare i
suoi sentimenti, ma ormai lo conoscevo talmente bene che mi bastava uno sguardo
per capirlo.
Io e lui eravamo amici da quando
avevamo tredici anni, ne avevamo passate di tutti i colori, ma nonostante gli
alti e i bassi io gli volevo un gran bene ed ero felice di condividere quel
momento speciale con lui.
“Sai,” dissi, facendomi serio,
“penso che questa nostra esibizione chiuderà un capitolo importante della
nostra storia e ne aprirà un altro. Ormai non spero più in una reunion dei
Guns, anche perché con quello stronzo di Axl ho chiuso, non ci voglio avere
nulla a che fare!” Conclusi la frase con enfasi; proprio non riuscivo a
perdonare il mio vecchio cantante per non essersi presentato alla cerimonia di
introduzione alla Hall Of Fame. Avevo immaginato quella serata come l’occasione
perfetta per tornare a suonare tutti e cinque insieme, e chissà che non fosse
scattata la scintilla… invece Axl aveva mandato all’aria ogni possibilità,
aveva rovinato tutto come al solito.
“Concordo, nella mia testa
l’unica reunion possibile sarebbe con la formazione originale: io, te, Axl,
Izzy e Duff” affermò Slash in tono sicuro. Era un dato di fatto ormai, me lo
ripeteva sempre.
Misi su un sorrisetto innocente e
sbattei le palpebre un paio di volte, giusto per sembrare più convincente.
“Quindi, se Axl ti dovesse chiedere di rientrare nei Guns ma impedisse a me di
fare lo stesso, tu non accetteresti?”
Lui scrollò le spalle e tentò di
farsi serio. “Dipende da quanto mi paga.”
Rimasi di sasso e sentii il
sangue defluire dal viso a quelle parole, ma vedendo la mia espressione Slash
scoppiò a ridere e mi batté una leggera pacca sul braccio. “Ma seriamente ci
hai creduto? Stevie, cazzo, sei troppo ingenuo! Certo che no, non vorrei mai
suonare nella mia band senza il mio batterista!”
Scoppiai a ridere di gusto. “Ma
che stronzo! Sei un coglione! Non dire più stronzate del genere!” Ora ero molto
più tranquillo, riconoscevo nuovamente il mio vecchio Slash, il mio migliore
amico.
“Tra poco tocca a noi.” Duff ci si
avvicinò, in compagnia di un tizio che stringeva tra le mani una macchina
fotografica, e ci informò con la sua solita pacatezza.
“Ragazzi, volete una foto
insieme?” ci domandò l’amico di Duff con un sorriso cordiale.
Senza neanche rifletterci su, mi
misi in posa e circondai le spalle di Slash, esclamando: “Mi raccomando,
atteggiati a leggenda del rock!”.
Slash ridacchiò appena e un
istante dopo fummo accecati dal flash della macchina fotografica.
“Slash?”
“Dimmi.”
“Se ci sarà qualcosa di bello
dopo questa giornata, d’ora in poi lo voglio condividere con te.”
Un conato mi scuote lo stomaco e sono
costretto a correre in bagno, lasciandomi quella dannata foto alle spalle. Faccio
appena in tempo a varcare la soglia e crollare a terra, prima di cominciare a
vomitare fuori tutto ciò che ho dentro: tristezza, delusione, paura, rabbia.
Se solo quest’azione così
disgustosa potesse purificare anche la mia mente e la mia anima, calmare i miei
demoni, cancellare i ricordi troppo belli e troppo lontani.
Svuoto il mio stomaco, che già di
per sé non conteneva nulla, e anche i miei occhi si svuotano di tutte le
lacrime che non pensavo di avere.
Oggi è il 22 gennaio, fa freddo
fuori e anche dentro il mio cuore. È il mio compleanno, ho appena compiuto cinquantun
anni e mi sento un totale fallimento.
Circa venti giorni fa, i Guns N’
Roses hanno annunciato una reunion con parte della formazione originale.
E io non sono state incluso.
Slash sì. Slash tornerà a suonare
con Axl, Duff e degli altri insignificanti musicisti, tra cui un batterista che
non sono io.
Mi alzo e mi passo una mano sul
torace. Mi sento vuoto e debole, così solo.
Tremando e con le lacrime che
ancora mi rigano il viso, esco dal bagno e attraverso il corridoio di tutta
fretta, cercando di evitare che l’occhio mi cada su quella cornice. È così
falso, quel momento, così come sono false le promesse che io e Slash ci siamo
scambiati in quel momento.
Non ho nessuna intenzione di
tornare a letto, così agisco senza pensare: mi reco al piano di sotto ed esco
di casa, lasciando che il vento gelido della notte di Las Vegas schiaffeggi la
pelle imperlata di sudore. Non ho una giacca pesante con me, indosso solo una
maglia di cotone, ma non sento freddo, non sento niente. La mia anima
sta soffrendo così tanto che le sensazioni corporee impallidiscono in
confronto.
In giardino, mi accomodo su una
sedia e mi accendo una sigaretta – la prima di una lunga serie.
E penso, e pensare mi fa male, mi
fa piangere.
Non speravo più in una reunion
dei Guns, potevo anche farne a meno; ma alla fine era avvenuta e starne fuori
era la cosa peggiore che potesse capitarmi. Del resto avevo fondato io la band.
Un brivido mi attraversa la
schiena, facendomi tremare da capo a piedi, ma non ci faccio caso; riempio i
miei polmoni di fumo caldo ed è l’unica cosa in grado di confortarmi in questo
momento. Riprendo indisturbato il filo dei miei pensieri.
Non è tanto questa finta
rimpatriata della band a darmi il voltastomaco, ma il fatto che Slash ne faccia
parte. Mi ha tradito un’altra volta, l’ennesima, dopo che mi ha voltato le
spalle all’infinito e io l’ho perdonato all’infinito, perché per me ha sempre
avuto un posto speciale.
Comincio a pensare che si
approfitti di me, perché sa che gliela farò sempre passare liscia. O forse
semplicemente non gli importa più nulla di me.
Mi asciugo le lacrime col dorso
della mano. Il vento gelido si insinua tra i miei capelli e sotto i miei
vestiti, probabilmente ci sono diversi gradi sotto lo zero.
Ma nulla può competere col gelo
del mio cuore.
Non appena avevo letto la
notizia, avevo provato a chiamare Slash con rabbia e disperazione, volevo
parlarci e capire cosa fosse questa storia, perché non mi aveva informato. Mi
aveva risposto dopo giorni col suo solito tono distaccato, come se nulla fosse.
“Si può sapere cosa cazzo vuol
dire? Tu torni a suonare con Axl? Amico, questo dev’essere un fottuto scherzo!”
ruggii.
“Steven, per favore, stai calmo.
Sì, sono di nuovo nei Guns, è capitata l’occasione e ho colto la palla al
balzo.”
“E non mi hai detto niente? Non
avete pensato neanche per un secondo di coinvolgere anche me?”
“Non è così semplice.”
“Come sarebbe? Perché invece per
te è stato semplice? E poi mi hai sempre promesso che non saresti tornato nei
Guns senza di me, cazzo! Erano solo stronzate, vero? Di’ un po’, l’hai detto
per farmi stare zitto e illudermi?”
“Datti una calmata. Okay,
ascoltami. Non c’è nessuna cospirazione contro di te, semplicemente mi è stato
chiesto e ho accettato; ti avrei coinvolto volentieri, lo sai, ma questa
decisione non dipende da me.”
“Sai cosa ti dico? Sei un amico
di merda, te ne fotti di me, da sempre! Buona vita e buona carriera, a te e a
tutti!” Chiusi la chiamata con rabbia e scoppiai a piangere; qualche istante
più tardi Carolina mi stringeva tra le braccia e tentava invano di consolarmi.
In fondo è questo il mio destino:
correre dietro a persone che non mi vogliono e deludere quelle che tengono a
me.
Forse, dopo cinquantun anni di sbagli
e batoste, sarebbe il caso di farla finita.
Sono nato in inverno, ma con una
personalità troppo esplosiva, destinata a cristallizzarsi nel gelo di gennaio.
Forse, se avessi avuto una corazza di ghiaccio attorno a me, non sarei stato
ferito così tante volte e nessuno avrebbe potuto scalfirmi.
Chiudo gli occhi e mi abbandono
contro la sedia, rilassando i muscoli intorpiditi dal freddo.
Non riesco a darmi pace, a capire
perché Slash mi abbia abbandonato di nuovo, dopo avermi teso la mano negli
ultimi anni e avermi illuso che tutto era tornato come ai vecchi tempi.
A quattordici anni avevamo fatto
un patto: non ci saremmo mai separati, avremmo condiviso tutto, come fratelli,
come se fossimo l’uno il sangue dell’altro. Per quanto mi riguarda, quel patto
è ancora valido.
Forse sono uno sciocco a crederci
ancora, sono sempre il solito ragazzino che non è mai cresciuto, che ancora
crede ai valori come l’amicizia.
I muscoli non rispondono più ai
miei comandi, deve averli impietriti il freddo. Sono stato un idiota a uscire e
sedermi qui, senza mettermi nulla addosso per coprirmi.
O forse sono stato furbo, magari
questo vento di gennaio mi porterà via così come mi ha generato, e il mondo
avrà un fardello in meno da portarsi appresso. Forse farei un piacere a qualcuno.
Ma adesso non ho più voglia di
pensare, all’improvviso mi è venuto sonno.
Non so da quanto tempo sono qua
fuori, ma a giudicare dalla quantità di mozziconi nel posacenere – ora che ho
chiuso gli occhi non lo vedo più, ma lo ricordo bene – dev’esserne passato
parecchio.
Mi torna in mente la foto di me e
Slash e ora mi verrebbe da sorridere. Ehi Slash, ti auguro ogni bene. Sii
felice e non preoccuparti più di me. Non rientrerò più nei tuoi piani se non lo
vorrai; un buon amico sa riconoscere quando è il momento di farsi da parte.
Ho freddo. Non ne posso più. Dio,
se esisti, salvami.
“Steve…”
Una voce familiare.
Caro…
“Steven!”
Mi sveglio nel mio letto, scosso
dai brividi e avvolto in una pesante crisalide di coperte e piumoni. La mia
pelle è a contatto con qualcosa che scotta e fa male: sembrano borse dell’acqua
calda o bottiglie di plastica riempite di liquido bollente.
Riconosco quella sensazione,
ormai troppo nota, di essere scampato per un pelo alla morte, dopo averla
guardata in faccia. Ormai con la morte ci ho preso confidenza, la prossima
volta che la incontro le offro da bere.
Provo a schiudere le palpebre e
ci riesco a fatica.
La prima cosa che metto a fuoco è
il volto di Carolina, solcato dalla preoccupazione, e i suoi occhi velati di terrore
e lacrime. Le do troppi dispiaceri, mi sento così in colpa…
Mi basta spostare appena lo
sguardo per incrociare gli occhi pieni di rabbia di mio fratello Jamie.
“Ma sei impazzito?! Cosa ti è
saltato in mente? Rischiavi di morire ibernato!” ringhia lui, incazzato e
preoccupato.
Metto su uno dei miei soliti
sorrisoni sciocchi. “Oggi è il mio compleanno, non mi fate gli auguri?”
Già. Buon compleanno, Steven.
Abbia inizio il cinquantaduesimo anno di guai, lacrime, vomitate notturne e
lotta contro l’istinto di farsi in vena.
♣ ♣ ♣
*Geddy
Lee (basso, tastiere, voce) e Alex Lifeson (chitarra) sono due componenti dei
Rush, gruppo musicale statunitense famoso soprattutto negli anni Settanta e
Ottanta.
Eccomi
qui, con una delle mie storie più tristi e drammatiche – e dunque insolite,
dato che chi mi conosce sa che sono una fan sfegatata del fluff.
Chiedo
scusa ai fan dei Guns per questa intrusione nella categoria perché, come
spiegato nella presentazione, non sono una fan della band e non ascolto le loro
canzoni; tuttavia, dopo aver letto l’autobiografia di Slash e quella di Steven,
mi sono appassionata ai personaggi… e, beh, mi sono innamorata di Steven, forse
perché è tanto dolce e fluffoso, o forse perché sono una batterista e sono di
parte :3
Sono
qui per un paio di precisazioni, anche e soprattutto per chi non ha molta
familiarità col fandom!
Comincio
parlandovi di Carolina e Jamie: la prima è l’attuale moglie di Steven (secondo
quanto trovato su internet), con cui è sposato da diciassette anni, dal 2002,
mentre il secondo è il fratello minore di Steven, a cui lui è molto molto legato
^^
La
storia è ambientata la notte tra il 21 e il 22 gennaio 2016, a poca distanza
dall’annuncio ufficiale della reunion dei Guns N’ Roses, di cui fanno parte
solo tre membri originali: Slash, Axl Rose e Duff McKagan. Stando a quello che
ho trovato su internet, all’inizio anche Steven doveva essere coinvolto
marginalmente nella cosa, ma poi è stato tagliato fuori e ha preso parte solo a
qualche concerto per suonare due canzoni. Ci è rimasto molto male.
Comunque
non ho seguito il corso preciso degli eventi ai fini della narrazione.
Poi…
la cerimonia d’introduzione alla Hall Of Fame si è tenuta davvero nel 2012 e
Slash e Steven erano presenti; ha fatto molto scalpore invece l’assenza di Axl,
che ha fatto andare su tutte le furie il nostro biondo batterista (giustamente),
tanto che all’epoca ha dichiarato di non volerci più avere a che fare.
Ah,
altra cosa (poi la smetto con l’elenco, promesso): a un certo punto ho nominato
Las Vegas perché so che Steven ha una casa a Las Vegas e mi piaceva l’idea di ambientare
la storia lì, anche se non so dove alloggiasse di preciso nel gennaio 2016.
E
la citazione all’inizio viene da una sua intervista rilasciata all’epoca della
reunion dei Guns. Mi ha dato da pensare e mi è dispiaciuto leggere quelle
parole, soprattutto se ripenso a quanto Slash e Steve fossero uniti da piccoli.
Infatti ho voluto dare all’amicizia tra i due un posto speciale nella storia,
volevo trattare il tema di un’amicizia tradita.
Sapete,
nella biografia di Steven ho letto tante volte che Slash avrebbe accettato di
tornare nei Guns solo con la formazione originale, almeno questo è quello che
ha sempre detto a Steve, ma non ha rispettato la parola… e mi sono domandata
come si potesse sentire il batterista a riguardo.
Dopo
queste NdA più lunghe della storia (scusate), vi saluto con la speranza di aver
scritto qualcosa di quantomeno decente, anche se non ho troppe speranze XD e
spero che, quando e se tornerò a scrivere del mio Guns preferito, sarà con
un’idea più positiva e simpatica!
Grazie
a tutti per aver letto, a Mary per aver indetto il contest, e alla prossima!!!
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