Cap. 35
Cap. 35 Show must go on
Inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on
Queen,
Show must go on.
Galleggiava
leggera in un mondo inconsistente, come un palloncino pieno di elio nel cielo,
sempre più lontana.
I
suoi sogni erano lunghi giorni interi, protratti in modo innaturale. Alcuni
erano meravigliosi, frammenti di ricordi felici, di fiori bianchi nelle stanze
della sua infanzia, che si mescolavano ad avventure tra draghi, ippogrifi e
creature mitologiche. Altri invece erano incubi tremendi, castelli immersi
nelle tenebre in cui vagava senza trovare mai la strada per andarsene, specchi
d’acqua che si tingevano di sangue e da cui emergeva il volto cereo di sua
madre, catene che si stringevano ai suoi polsi, che scavavano la sua carne e la
inchiodavano al suolo per il dolore.
Altre
volte invece c’era solo il buio nello spazio circoscritto della sua mente, e
regnava la pace.
Le
loro voci però c’erano spesso, sia che sognasse o che restasse immersa dentro
di sé.
Le
parlavano di tutto, pettegolezzi, appunti di lezione, dubbi, speranze. Le
parole con cui la circondavano erano come tanti fili che lei intrecciava per
ancorarsi alla vita, per ricordarsi che sarebbe dovuta tornare indietro.
Sentiva
che Berty piangeva spesso, aveva la sensazione di sentire le sue lacrime cadere
come macigni sulle coperte. Che cosa avrebbe dato per poterlo abbracciare e
arrestare il suo pianto disperato…
Ma
Elena non poteva muoversi.
Le
sue mani non rispondevano, le sue braccia erano state private della loro forza,
i suoi occhi non potevano aprirsi. Non aveva più percezione delle proprie
membra. La sua mente era in costante movimento, eppure il risultato di tutte
quelle forze in contrasto era l’immobilità più assoluta.
Non
sapeva come fosse accaduto, come si fosse ritrovata prigioniera del proprio
corpo. Non aveva memoria. Tentava di ricordare qualcosa, qualunque cosa del
passato, ma non sapeva dove cercare nello spazio infinito e oscuro dei suoi
ricordi. Così si arrendeva presto e si limitava a percepire il momento presente,
in bilico tra il buio e i sogni.
Sapeva
di non poter restare in quel limbo per sempre, presto o tardi avrebbe dovuto
decidere.
Decidere
se sostituire i sogni con l’oblio che vedeva avvicinarsi come una nebbia
autunnale, oppure tentare di riemergere con tutte le proprie forze. Il momento
si avvicinava sempre più, anche se lei non si sentiva pronta a scegliere la
propria strada.
***
Lo
scenario che si presentò ai suoi occhi, quando Rose aprì la porticina anonima
dell’Ala Ovest, non era affatto eccezionale. Era una stanza stipata di mobili, con
un ampio tavolo ingombro di boccette e ingredienti al centro, rischiarata
appena dalla luce proveniente dall’unica finestra presente.
Non
gli sembrava un luogo tanto minaccioso o inquietante da turbare la ragazza.
Scorpius
si morse la lingua per non iniziare a dar voce al fiume di domande che si
stavano affacciando nella sua mente. Aveva promesso. Nulla era più importante
che aiutarla e convincerla a fidarsi di lui.
La
vide respirare a fondo un paio di volte e poi dirigersi con sicurezza verso un
armadio con delle ante di vetro. Levò la bacchetta contro il mobile.
“Deprimo.”
La voce di Rose risuonò dura come pietra.
Il
rumore del vetro che si frantumava sorprese Scorpius, ma non appena un
miscuglio di fluidi iniziò a riversarsi sul pavimento Rose fece evanescere
tutto, compresi i resti di legno e vetro che si erano sparsi nella stanza.
In
pochi secondi rimase solo un mobile sgangherato completamente vuoto.
Il
giovane Malfoy si guardò attorno perplesso. C’erano molti scatoloni impilati in
vari punti, una poltroncina di vimini un po’ malconcia e un mobile di ferro con
i cassetti a scorrimento.
Rose
si voltò verso di lui. Era sconvolta, lo si leggeva nei suoi occhi, eppure era animata
da una determinazione feroce.
“Niente
domande, Malfoy.” Gli rammentò prima di aprire uno degli scatoloni e rivelargli
il contenuto.
Sei
bottiglie scintillanti di Firewhisky, appartenenti ad una delle migliori aziende
del paese.
“Fa’
evanescere una bottiglia alla volta, per favore. Lo stesso con tutte le altre.”
Rose gli indicò una pila di scatoloni come quello che aveva appena aperto.
Scorpius
annuì ed eseguì quanto lei gli aveva chiesto. Non la perse di vista un secondo,
troppo curioso e confuso dalla situazione per poter rinunciare alle domande su
cui si stava arrovellando.
Rose
estrasse un faldone di carte da un mobile di metallo con cassetti scorrevoli e
lo depositò sul tavolo. Scorpius sbirciò l’etichetta sul cassetto e lesse
l’anno 2020. Dopo un paio di viaggi, la ragazza aveva svuotato i cassetti del
mobile e grossi fascicoli strabordanti di fogli si erano accumulati sul ripiano
di lavoro.
Rose
li scrutò con attenzione, evidentemente indecisa sul da farsi. Senza smettere
di far evanescere le bottiglie Scorpius si decise a dare voce ai propri
pensieri.
“Rimpiccioliscili
e bruciali in Sala Comune.”
Sentì
il peso degli occhi di Rose addosso. Aveva capito che volesse bruciarli, ma
anche lei aveva già previsto che il fumo causato dalla combustione avrebbe
potuto attirare l’attenzione. Subito dopo la sentì sussurrare l’incantesimo per
ridurre i faldoni e infilarli nelle tasche della giacca. La ragazza si chinò
poi accanto a lui e lo aiutò nell’operazione di sgombero delle bottiglie.
“Non
riesco a capire se la tua intelligenza mi irriti o mi affascini.” Gli rivelò in
un soffio, evitando accuratamente di incontrare il suo sguardo
“Probabilmente
entrambe le cose Rose.”
***
Angelique
conosceva la propria parte. L’aveva costruita con meticolosità insieme a
Dominique, in quell’ora infinita, prima di giungere davanti all’ufficio della
McGranitt; tempo in cui aveva sospettato che la mente assolutamente imprevedibile
dell’altra stesse elaborando da molto più tempo quella soluzione.
Sapeva
che cosa avrebbe dovuto fare per tentare di salvare Lucy, anche se questo fosse
andato contro ogni desiderio della cugina. Ancora una volta nella sua vita le
tornavano alla mente le parole della Blackthorn.
I
conti si fanno dopo, quando c’è tempo per considerare i danni fatti.
E loro avevano appena causato una catastrofe.
“Mi raccomando Angie, faccia preoccupata ma non
colpevole.” Ribadì Dominique scrollando indietro i capelli biondi e spargendo
attorno a sé una vampata del suo nuovo profumo primaverile. Ricordava quando la
settimana prima Dom avvolta nel suo kimono delle creazioni aveva dato vita al
suo primo profumo, dopo molti tentativi e studi approfonditi sulle essenze che
aveva selezionato. Cosa più unica che rara, la fragranza era piaciuta a tutte.
Il dolore per quel ricordo la punse come uno
spillo sul polpastrello.
Doveva calmarsi. La tensione si stava
riverberando nel consueto indolenzimento alle spalle, mentre il suo stomaco era
contratto dai crampi, segnale inconfutabile che la paura stesse avendo la
meglio. Chiuse gli occhi appoggiando la fronte alla finestra, prese un profondo
respiro e lo lasciò uscire molto lentamente dalle narici. Doveva ridurre la
mente a una pagina bianca, come Martha cercava di insegnarle da qualche tempo,
doveva lasciar andare tutte le cose inutili e concentrarsi sul suo respiro, che
era reale e tangibile. Rimase ferma contro il vetro per tutto il tempo
necessario a recuperare il controllo.
Finalmente rilassò la postura delle spalle e
percepì il peso su di esse alleviarsi. Pronta ad affrontare il proprio dovere,
si voltò verso Dom. E urlò.
O meglio squittì un verso di sorpresa
tappandosi subito dopo la bocca.
James e Dominique la guardarono con identica
espressione perplessa. Jessy la
guardava.
“Che ci fa lui qui?” bisbigliò concitata
guardandosi attorno.
“Ho bisogno di lui e gli ho chiesto di venire.”
Rispose semplicemente l’altra scrollando le spalle. E Jessy, a cui sicuramente
non era stato raccontato nulla, non aveva esitato a rispondere alla chiamata.
La colse il pensiero che il naturale collocamento di quei due, la configurazione
che avrebbero assunto spontaneamente anche in una stanza buia, era l’uno al
fianco dell’altra.
Volse lo sguardo su Jessy confusa e si sentì
ancor peggio. Sotto la giacca di pelle indossava una camicia azzurra, la stessa
che aveva la sera della festa nel Bagno dei Prefetti, in quella che ormai le
sembrava una vita fa. Il tessuto leggero evidenziava la linea delle spalle e
scendeva sui fianchi, lambendoli con eleganza.
Immaginò come sarebbe stato far scivolare i
piccoli bottoni bianchi attraverso le asole e scoprire con deliberata lentezza
prima il suo petto e poi il suo addome, saggiare la consistenza della sua pelle
con carezze e baci, risalendo fino alle sue labbra piene. Labbra che
l’avrebbero accolta e poi fatta affogare nella propria cavità…
“Ciao Gigì.”
“Maledizione.” Fu l’unico modo in cui riuscì a
salutarlo bofonchiando.
“Ora, miei cari, ascoltatemi…” Dominique lì
chiamò a sé con un gesto della mano.
Mentre entrambi ascoltavano la ragazza
illustrare come si sarebbero comportati nelle prossime ore, Angie percepì con
chiarezza il corpo del giovane accanto al suo. Ne vedeva i movimenti
impercettibili con la coda dell’occhio, respirava l’aria improvvisamente satura
del suo odore, le sembrava perfino di avvertire il calore da lui emanato. Si
maledisse perché persino nella peggiore delle situazioni la sua presenza le
incasinava gli ormoni, ma soprattutto si maledisse perché era felice di averlo
lì, con lei, davanti all’ufficio della Preside, nel disperato tentativo di
portare in salvo Lucy.
***
Non era stato poi tanto difficile rispettare
gli accordi stabiliti con le ragazze.
Rose aveva ribadito loro un milione di volte
che non avrebbero dovuto parlare. Nemmeno una parola avrebbe dovuto lasciare le
loro labbra senza la presenza di un avvocato.
Appena le avevano tolto il cappuccio nero dalla
testa Lucy aveva scorto due Auror davanti a sé, l’energumeno che aveva
picchiato Benji e una donna dai bellissimi tratti indiani, induriti
dall’espressione severa.
“Come ti chiami ragazza?” le aveva chiesto
l’uomo, rivelando un tono molto più condiscendente di quello che si sarebbe
aspettata.
Gli occhi della giovane si erano piantati sulla
parete di fronte a lei e non aveva pronunciato nemmeno una sillaba. Il suo nome
sarebbe stato rivelato dal primo professore che fosse entrato per riconoscerla
e voleva proprio godersi le loro facce.
Quasi le dispiacque, quando Paciock, il Capo
della sua Casa, la guardò con un misto di sconvolgimento e incredulità
pronunciando il suo nome completo.
Lucy
Catherine Weasley.
Gli occhi scuri della donna erano quasi usciti
fuori dalle orbite sentendo il cognome di uno dei Magistrati del
Winzengamot.
Mentre le parole degli Auror, che cercavano di
convincerla a collaborare, le scivolavano addosso, nella mente di Lucy si
facevano largo spintonando e arrancando i mille frammenti della sua storia con
Benjamin.
Il primo incontro ai margini della Foresta
Proibita, la mattina prima della sua partenza per le vacanze di Natale, la
festa di Halloween, le presentazioni alla Taverna delle Lucciole, il modo in
cui la guardava l’attimo prima di farla sua, le sue fossette, l’espressione
pensierosa quando scriveva le lettere ai clienti…
Benji. Benji. Benji.
Tutto in lei urlava il suo nome, contorcendosi
in un dolore che non lasciava spazio alle lacrime, che le si era aggrappato al
cuore e lì restava conficcato.
Erano stati presi. Lui sarebbe stato sbattuto
in prigione per anni, lei forse in virtù della giovane età avrebbe ricevuto una
pena più blanda.
Le importava che la sua fedina penale venisse
macchiata irreparabilmente? Le importava che qualunque ipotesi di lavori futuri
sarebbe stata spazzata via dallo scandalo del processo? Le importava che avrebbe
dovuto confessare davanti agli sguardi allucinati dei suoi genitori di essere
la fidanzata di un criminale, più grande di quasi dieci anni?
No.
Non sentiva più nulla riguardo a tutto ciò.
Non riusciva più a sentire nulla dal momento in
cui la sua testa era stata infilata nel cappuccio nero che aveva chiuso
definitivamente il capitolo più bello della sua vita. Quello in cui era stata
libera di amare.
Se anche avesse potuto tornare indietro nel
tempo non avrebbe cambiato nulla di quei mesi, nemmeno alla luce di quello che
stava per succederle. Come avrebbe potuto provare rimpianti, se aveva trovato
più umanità, calore e onestà in mezzo a malavitosi e prostitute che nella sua
scintillante famiglia borghese? Come avrebbe potuto pentirsi di essere stata
felice fino all’incredulità?
Non avrebbe potuto, non più, non dopo aver
amato in tal modo qualcuno.
Sull’onda di tali pensieri, riuscì a mantenere
uno sguardo impassibile anche di fronte all’avanzata del magistrato Weasley
nella stanza. Le occhiaie scure spiccavano sul viso dell’uomo, pallido in modo
spettrale. Quando i loro occhi si incontrarono, Lucy sentì il consueto guizzo
di dolore farsi strada nel petto. Il dolore dato della consapevolezza di essere
la vergogna di chi l’aveva messa al mondo.
Le mani affusolate di Percy, identiche alle
sue, aprirono il fascicolo che aveva portato con sé.
“Signorina Weasley, sa perché si trova qui?” le
chiese con tono perfettamente formale.
“Immagino non si tratti dell’ultimo voto di
Trasfigurazione.” Lucy si morse immediatamente la lingua. Non avrebbe dovuto
parlare, ma provocare suo padre le riusciva spontaneo come respirare.
Gli occhi azzurri di Percy saettarono nei suoi
e la voragine dentro di lei si aprì di qualche metro ancora.
“Lei è qui perché è sospettata di associazione
per delinquere, di frode fiscale per contrabbando di sostanze alcoliche, di
detenzione di sostanze stupefacenti e illegali al fine di vendita. Come si
dichiara?”
Dalla voce di suo padre non trasparì la benché
minima emozione, solo il tono più gelido e duro che gli avesse mai sentito
usare. Anni di lavoro incessante e la dedizione più totale alla propria causa,
avevano reso Percival Weasley il Magistrato più inflessibile del Winzegamot. A
tal punto che nemmeno il pensiero di dover accusare pubblicamente la propria
figlia, per quanto scapestrata e ribelle, aveva fermato il suo senso del
dovere.
Suo padre non aveva amato niente e nessuno
nella propria vita più del pensiero di potersi definire integerrimo. La sua
legge era sopra ogni sentimento.
Come si dichiarava di fronte a tutto questo?
Sconfitta.
E sigillando le labbra in una linea
impassibile, ritornò a fissare il muro di fronte a sé.
***
Quando la Signora Grassa aprì il passaggio
verso la Sala Comune di Grinfondoro, Rose non si sorprese di trovarla deserta.
Tra la gita ad Hogsmeade e la bella giornata, gli studenti avevano abbandonato
in massa la scuola, per godersi il sole primaverile.
Si diresse ad uno dei due caminetti che
riscaldavano la Torre Ovest e si sedette di fronte al fuoco. Scorpius, si
accomodò al suo fianco incrociando le gambe.
Quando prese dalle tasche i registri
rimpiccioliti e li gettò nel fuoco senza pensarci, le sembrò che insieme alla
carta venissero carbonizzate anche le sue speranze. Non era riuscita a
proteggere le sue cugine. Non avrebbe visto Lucy diplomarsi e concludere la
carriera scolastica che le aveva richiesto tanti sforzi. Aveva mentito e
nascosto per anni azioni illecite, solo per assicurarsi che le persone a cui
voleva bene non subissero punizioni, quando forse venire espulse da Hogwarts sarebbe
stato il minore dei mali. Aveva fallito in tutto.
Era talmente prostrata dalle proprie
considerazioni che si era dimenticata della presenza di Malfoy, finché non lo
sentì muoversi per cingerle le spalle con un braccio. In men che non si dica si
ritrovò ad abbracciarlo, stupendosi di quanto fosse calmante respirare il suo
profumo, di quanto fosse solido il petto in cui poteva nascondere il viso.
“Non so che fare.” Si lasciò sfuggire in un
bisbiglio.
Scorpius la scostò leggermente da sé e le
sollevò il viso. I suoi occhi avevano le tonalità dell’ardesia, con
picchiettature azzurre a raggera; sapevano essere gelidi al pari dei venti
siberiani o roventi come in quell’istante. La guardò con l’intensità a cui normalmente
si sarebbe sottratta, col desiderio di spogliare, prima del suo corpo, la sua
anima per conoscere e assaporare la sua essenza.
Lui che le si era mostrato sin dall’inizio con
la disarmante sincerità delle proprie imperfezioni, che non le aveva mai negato
la disonestà dei propri intenti. Scorpius, il mosaico di buoni propositi
mascherati da sotterfugi, l’animo nobile celato dalla corazza di Serpeverde.
E davanti a quello sguardo spiazzante, Rose, la
stratega delle Menadi, la calcolatrice, vuotò il sacco come un bambino con le
proprie marachelle.
Gli raccontò in sussurri inframmezzati da
lacrime di come fosse iniziata l’attività delle Menadi, di chi fossero, di che
cosa facessero, di Lucy e di Benji, di Angie e la Polisucco, di Lily e la
taccagneria, tutto quanto. Fino a quando le toccò rivivere quel pomeriggio. E
gli descrisse ogni cosa, ogni passaggio, nella speranza che rivivendolo le si
mostrasse finalmente l’errore, che le aveva condannate tutte.
Malfoy l’ascoltò pazientemente, senza
interromperla mai.
“So che Dom e Angie si stanno occupando del
resto, ma non riesco a smettere di pensare a quello che abbiamo fatto. A chi ne
pagherà davvero le conseguenze. E non riesco a perdonarmi, Scorpius! Non riesco
a non pensare che sia tutta colpa mia, che non sono stata abbastanza attenta,
abbastanza intuitiva. Penso che l’uomo che ha cercato in ogni modo di
convincerci a fare un passo indietro, l’uomo che Lucy ama, sarà processato per
reati che sono anche miei.” La voce le si esaurì in gola e si trovò a guardare
imbarazzata un punto imprecisato del tappeto.
Scorpius deglutì un paio di volte e poi le
chiese cautamente:
“Rose… Pensi davvero che un caso di
contrabbando di alcolici meriti l’attenzione del Winzegamot?”
La Weasley davanti a quella domanda insolita si
accigliò per un istante.
Una squadra intera di Auror mandata a scovare
un criminale che, per quanto noto e ricercato, sicuramente non costituiva un
pericolo pubblico degno dell’impiego dei migliori combattenti del Ministero.
Sentì i propri occhi azzurri spalancarsi e
fissare attoniti quelli di Scorpius. Le sopracciglia del ragazzo erano
lievemente corrugate.
A Rose sembrò che il filo dei loro pensieri si
intrecciasse per la prima volta e fu travolta dalla linearità del ragionamento.
Un arresto eclatante. Uno dei Magistrati più in
vista del Winzegamot. Un processo pubblico seguito dalle principali testate
giornalistiche del paese. La messa in luce dell’efficienza del sistema
giudiziario del Ministero della Magia e quindi conseguentemente di…
“William Danes.” Rose sussurrò quel nome mentre
le si dipanava davanti agli occhi una parte della matassa che le aveva
annebbiato la mente. “Non sarà un semplice processo per contrabbando. Benjamin
verrà usato come capro espiatorio e Lucy finirà alla pubblica gogna. La nostra
famiglia verrà screditata, così che Danes possa brillare come esempio di
integrità morale. Sarà un macello.”
Qualcosa guizzò negli occhi di Scorpius alle
sue parole.
“Sai chi ha appoggiato Danes alle future elezioni
per il Ministro della Magia?” le chiese con un mezzo sorriso sornione sulle
labbra. Rose lo guardò interrogativa senza comprendere dove volesse andare a
parare. “Kurt Schatten. Questo arresto è quanto di meglio potessero sperare per
la loro campagna elettorale.”
Rose per la prima volta in vita propria, seduta
per terra nella Sala Comune di Grifondoro, sentì morire ogni speranza. Laddove
pensava che avessero lanciato una granata, avevano in realtà innescato una
bomba all’idrogeno. Ma la disperazione da cui per qualche istante si sentì
travolta, fu smorzata dalla voce di Malfoy.
“Ho bisogno che tu sia molto sincera.” Le disse
prendendole una mano tra le proprie.
Rose sentì lo stomaco farle una capriola
nonostante la situazione disperata. Annuì semplicemente, consapevole che se
avesse parlato la sua voce sarebbe stata stridula.
“Credi che concederanno a Benjamin un processo
equo?”
“No.”
Scorpius annuì e dopo qualche secondo riprese a
parlare
“Ti sentiresti colpevole se Benjamin venisse
assolto?”
Rose corrugò la fronte senza capire la logica
di quei pensieri, ma scosse il capo.
“Allora esegui un Muffliato e un Incantesimo di
Invalicabilità.”
***
Dominique si riteneva un’adolescente abbastanza
fuori dal comune, partendo dalla sua straordinaria bellezza e arrivando alle
sue molte qualità, tra cui senz’altro la fiducia nei propri mezzi. In
particolar modo quelli di persuasione.
Tuttavia, Minerva McGranitt la metteva in
difficoltà. Sicuramente c’entrava l’esperienza decennale in fatto di Weasley e
Potter, di adolescenti, nonché di Weasley e Potter adolescenti, per cui la
donna vivisezionava ogni loro parola e movimento con la precisione di un falco.
Ciò che la preside non sapeva però, era che Dominique
aveva affinato le proprie abilità recitatorie grazie ad un allenamento quotidiano
e massacrante, al fine di nascondere a chiunque i suoi sentimenti per Teddy
Lupin.
Inoltre, in quel momento agiva sotto la più
stretta necessità. Doveva tirare fuori Lucy da quella situazione. Poteva farlo.
E nemmeno la faccia rugosa e appuntita della McGranitt l’avrebbe fermata.
Nemmeno orde di dissennatori l’avrebbero fermata.
Suo nonno Arthur citava spesso un modo di dire
babbano che riguardava il salvare un animale e una verdura, tipo una capra e
un’insalata, o un cavallo e una carota. In quell’istante Dominique non
ricordava con esattezza i protagonisti della storia, ma lei avrebbe salvato animali
e vegetali, l’intera fattoria se possibile.
“Signorina Weasley, la sua insistenza per
essere ascoltata è assolutamente inopportuna.”
“Preside mi rendo conto che siate in una
situazione di emergenza. Credo tuttavia che ciò che possiamo riferirle abbia
una certa importanza.”
Gli occhi della McGranitt scintillarono dietro
le lenti degli occhiali
“E che cosa le fa pensare che ci sia una
situazione di emergenza?”
Dominique sorrise alla preside e accavallò le
gambe, pronta finalmente a dar battaglia.
“Suvvia Preside, secondo lei l’intera scuola
non è al corrente che qualcuno sia stato arrestato ad Hogsmeade e sia stato
portato proprio qui. Senza contare che si dice che fossero ben due persone
incappucciate, quindi nessuno voleva che trapelasse la loro identità. Se
dovessi azzardare un’ipotesi sull’identità del nuovo ospite del castello direi
che sicuramente ha una certa rilevanza per gli Auror e che essendo stato
portato qui, con ogni probabilità è stato catturato nella Foresta o, forse, a
Hogsmeade.”
Non una sillaba o il più piccolo movimento del
corpo flessuoso di Dominique sfuggiva all’analisi della McGranitt. E Dom seppe
che la vera sfida era appena iniziata.
“Non vedo come le sue illazioni possano anche
solo vagamente interessarmi. Non la riguarda chi o che cosa venga ospitato nel
Castello, considerato che non è lei la preside di questa scuola di babbuini
indisciplinati.” Rispose la donna seccamente.
“Non lo sarebbe, se non fossi convinta che sia
stato arrestato un famoso criminale di Hogsmeade e che questi abbia coinvolto
un membro della mia famiglia.”
Non riuscì a impedirsi di pronunciare le ultime
parole con tono protettivo: la sua famiglia, chiodi della sua croce e balsamo
rigenerante sulle sue ferite. La McGranitt non mosse il minimo muscolo.
Capra
e zucchine,
si ripeté mentalmente Dom, ricordando le urla disperate di Lucy nella Stamberga
Strillante. Sentì gli occhi inumidirsi di lacrime mentre fronteggiava la
McGranitt.
“Vorrei solo che mi dicesse se è stato
catturato un delinquente che si fa chiamare Benji Allucemonco.” Dom cambiò
totalmente registro, utilizzò un tono quasi tremante, privo della spavalderia
usata fino a quel momento. Non che avesse bisogno di fingere, era molto
preoccupata e poteva sfruttarlo a proprio vantaggio. “So che non è autorizzata
a rilasciare una simile informazione, ma l’edizione della Gazzetta del Profeta
della sera uscirà tra un paio di ore e se davvero il Ministero è riuscito a
catturare quell’uomo, sarà questa la notizia della prima pagina. Le chiedo solo
se può anticiparmi ciò che leggerò sui giornali di tutta la nazione tra poco.”
“Perché dovrei privilegiarla rispetto a tutti
gli altri studenti dandole questa informazione?”
“Perché io potrei fornire alcune informazioni
molto interessanti al Magistrato incaricato delle indagini.”
La McGranitt inarcò un sopracciglio bianco come
la neve e posò i gomiti sui braccioli della sua poltrona.
“È sicura di voler essere interrogata da un
membro del Wizengamot e di dover deporre come testimone in un processo?”
Qualcosa dentro di lei si mise in allerta. Dom
conosceva la preside, era una donna ligia e all’apparenza inflessibile, ma
avrebbe dato la propria vita per ciascuno dei suoi studenti. Le sembrò che la
loro conversazione fosse un continuo avvertimento, ma d’altra parte non
esistevano vie d’uscita.
“Sono sicura.”
La donna chinò il capo e si alzò dalla propria
sedia con un movimento lento, rivolgendole un’occhiata dispiaciuta. Dom si
voltò verso James, quando fu certa che fossero rimasti solo loro tre.
Jimmy aveva un’espressione calma e riflessiva,
quella che solitamente riservava alle situazioni più disperate, ma i suoi occhi
ambrati le stavano chiedendo a chiare lettere “In che razza di guaio ti sei cacciata?”
Poi lo vide lanciare un’occhiata rapida ad
Angelique, che lo stava osservando a sua volta. Si scambiarono un cenno
affermativo come per farsi coraggio a vicenda e Dominique pensò che erano la
palese dimostrazione che talvolta anche le ceneri possono tramutarsi nuovamente
in vita pulsante. Si domandò inoltre quanti altri mesi ci sarebbero voluti
prima che si decidessero a saltarsi addosso e sfogare gli anni di sarcasmo e
passione repressa. Non molti a giudicare dalle occhiate sottecchi che Angie rivolgeva
a suo cugino quando pensava di non essere osservata.
La sicurezza di Dominique Weasley vacillò
leggermente quando si trovò davanti lo zio Percy.
“Ciao zio, ma che occhiali adorabili,
quest’anno va tantissimo la montatura vintage!” trillò rivolgendogli il più
smagliante dei suoi sorrisi. Era dell’opinione che se proprio si doveva
percorrere la strada dell’inferno, tanto valeva imboccarla a passo di danza.
Percy le rivolse un’occhiata glaciale e le
parlò con tono distaccato.
“Signorina Weasley, la pregherei di utilizzare
un linguaggio consono ad un interrogatorio ufficiale. Il mio segretario
riporterà ogni sua parola nel verbale che alla fine dovrà firmare, per questo
la pregherei di non rivolgersi più con tanta colloquialità.”
“Oh” Dominique emise un grazioso verso di
sorpresa e corrugò la fronte in un’espressione perplessa, “Quindi da ora in poi
dovremo rivolgerci a lei con Magistrato Weasley? Anche ai ritrovi di Natale?
Anche gli zii e la nonna Molly?” chiese con innocenza guardando seria lo zio.
Il collo magro di Percy si imporporò nel sentir
nominare la madre. Dom lo aveva previsto, non esisteva nessun membro della
famiglia che non nutrisse un timore reverenziale nei confronti della matrona.
Chiunque entrava nella tana, fosse anche stato il Primo Ministro in persona,
avrebbe obbedito alle raccomandazioni e agli ordini di Molly Weasley, tra cui
finire tutto quello che si aveva nel piatto.
Colto alla sprovvista dal tono del tutto privo
di malizia della nipote e dalle sue parole, l’uomo annaspò qualche secondo in
cerca di una risposta che ristabilisse la sua autorità nella stanza. La preside
nel frattempo aveva ripreso posto dietro la sua scrivania. Dominique sentiva
gli occhi di tutti i presidi dei secoli passati posati su di lei, così come
quelli della McGranitt. Sapeva che nessuno in quella stanza, a parte Jimmy e
forse Angie, si aspettava un solo ragionamento lineare da parte sua, e questa
era la sua arma da sempre. Celare le proprie armi mostrando ciò che tutti
quanti si aspettavano di vedere: la bellezza disarmante dei suoi lineamenti
sempre sorridenti, l’ingenuità dei suoi grandi occhi turchesi.
“Direi che ci limiteremo al presente
interrogatorio e al processo che seguirà.” Disse con tono fermo il Magistrato
fissando gli occhi azzurri tornati implacabili sulla nipote. “Quindi se vuole
rispondere ad alcune delle nostre domande…”
“Oh, non credo proprio.” Disse sorridendo Dom.
“Ho detto espressamente alla preside che avrei fornito alcune informazioni se
lei avesse risposto alla mia domanda. Considerato che è intervenuto prima che
la preside rispondesse, i termini dell’accordo cambiano.”
Il segretario, un ragazzo moro e di
bell’aspetto, osservò smarrito il Magistrato Weasley con la penna sospesa a
mezzaria. Percy, abituato a trattare con i peggiori criminali del Mondo Magico,
non fece una piega. Congiunse le mani e aspettò che Dom esponesse le condizioni
per la sua testimonianza.
“Desidero conoscere le identità di chi avete
arrestato oggi e, nel caso in cui uno dei due fosse un uomo, guardarlo in
viso.”
“E le informazioni che sostiene di avere
Signorina Weasley, in che modo potrebbero contribuire a far chiarezza sulle
indagini?” chiese con scetticismo Percy.
“Potrebbero chiarire ampiamente i ruoli di chi
è stato coinvolto in questa faccenda. Perché io temo, Signor Magistrato, che
qualcuno sia stato ingiustamente accusato e arrestato. Il che renderebbe le sue
indagini parzialmente… come dire… mal direzionate.”
Il povero ragazzo, incaricato di stendere il
verbale, osservava Dominique con gli occhi quasi fuori dalle orbite, indeciso
che cosa riportare sulla pergamena praticamente intonsa. Il Magistrato Weasley
si schiarì la voce richiamando l’attenzione dell’altro che si riscosse
immediatamente, scarabocchiando qualcosa sul foglio con aria molto concentrata.
I maschi… Quanto erano stupidi.
“Accetto le sue condizioni. Tuttavia, anche io
ho due clausole da proporre per la sua collaborazione: primo che se durante
l’interrogatorio dovessi avere il sospetto che stia mentendo io possa ricorrere
alla somministrazione di Veritaserum, e secondo che gli altri due studenti
lascino immediatamente l’ufficio della Preside.”
Prima che Dominique potesse replicare, la
preside McGranitt intervenne alzandosi in piedi. Nonostante fosse magra come un
fuscello e non molto alta, troneggiò su Percy con una fierezza degna di una
regina.
“Mai. Non permetterò mai che in queste mura
vengano usati simili metodi sui miei studenti. Che non le passi nemmeno per
l’anticamera del cervello, Magistrato, di replicare le azioni di Dolores
Umbridge.” Sibilò il nome con un tale disprezzo che la sua bocca sottile si
contrasse.
Percy spalancò gli occhi stupito e tentò di
difendersi.
“Non era certo mia intenzione… Però deve capire
che dobbiamo essere assolutamente sicuri della veridicità delle parole della
Signorina Weasley.”
“Sono certa che troverete altri modi per fugare
ogni dubbio.” Rispose definitiva la McGranitt tornando a sedersi.
“Se vuole interrogarmi da sola, non c’è
problema. I miei cugini possono uscire, sono stati loro a insistere per
accompagnarmi in modo da confermare le mie parole.” Dominique sorrise con
leggerezza e scrollò elegantemente i capelli indietro, spandendo ciocche bionde
sulla schiena. Il segretario sollevò gli occhi dalla pergamena e la osservò
ammaliato.
“Se acconsentiranno, verranno interrogati dopo
di lei.” Rispose Percy indicando a James e Angie la porta dell’ufficio.
Dom rivolse un breve sguardo a Jimmy, più che
per comunicargli qualcosa, solo per potersi ritrovare nei suoi occhi, raccogliendo
le proprie forze. Gli sorrise nel modo che riservava a lui solo, mostrandogli
in quella frazione di secondo lo strazio per quello che stava per fare. E lui
le rispose con una sola occhiata, seria, piena di talmente tanto orgoglio per
lei, che Dom quasi gli saltò al collo.
Quando furono usciti si rivolse al Magistrato
Weasley.
“I nomi delle due persone che sono state
arrestate e scortate all’interno del castello.”
“Benjamin
Richardson e Lucy Catherine Weasley.” Rispose lui con tono completamente neutro, come
se sua figlia non si trovasse in una cella del castello, con le manette ai
polsi. Dominique, guardando Percy dritto negli occhi, comprese che
effettivamente per suo zio quella che era stata arrestata quella mattina non
era sua figlia, era solo una comune criminale.
“Voglio vedere l’uomo. Dopo dirò tutto quello
che so.”
Perdonami
Lucy, perdonami se non riesco a lasciarti andare, pensò mentre con un
cenno affermativo l’uomo si dirigeva verso il pensatoio della preside. In esso
riversò un ricordo che estrasse in quell’istate dalla propria tempia grazie
alla bacchetta.
Dominique vide comparire nel pensatoio il bel
volto di Benji tumefatto dalle percosse, con un labbro sanguinante su cui
campeggiava un sorriso beffardo, quel sorriso arrogante davanti a cui Leda
ancora arrossiva. Pensò che grazie al cielo né lui né Lucy avrebbero mai
collaborato con la polizia, facilitandole il compito.
Lasciò che i suoi occhi si riempissero di
lacrime e annuì con aria grave.
“Questo è l’uomo che ha minacciato mia cugina,
Lucy.”
***
Angelique
Passeggiava lentamente nel corridoio, con le spalle rilassate e l’espressione
tranquilla. Se non l’avesse conosciuta non avrebbe capito quanto in realtà
fosse tesa.
Lui d’altra parte rimaneva fermo contro una
delle finestre a braccia conserte. Aveva bisogno di assimilare le poche
informazioni che gli erano state fornite e capire come fare a non strozzare le
sue parenti appena avessero aperto bocca. Cominciando da quella con la massa di
ricci spettinati davanti a lui.
Dom gli aveva detto con tono asciutto che Lucy
era stata arrestata insieme a un criminale molto noto, indagato per traffici
illegali, e che se non fossero intervenuti probabilmente l’avrebbero
condannata. James non aveva avuto nemmeno bisogno di chiedere se le accuse
fossero fondate, gli occhi turchesi di sua cugina glielo avevano urlato a
chiare lettere.
“Quanto sai di quello che sta succedendo?”
chiese all’improvviso facendo voltare Angelique.
“Tutto.” Nella sua risposta non vi fu alcuna
esitazione, quasi che sperasse in una sua domanda.
James annuì e fissò lo sguardo lontano per
evitare di mettersi a urlare. Gigì però non sembrò volergli dare una mano.
Gli si avvicinò guardinga e lo osservò da sotto
le ciglia, in quel modo che gli faceva venir voglia di incollarla alla parete a
suon di limoni o di ribaltarla come un calzino per la sua incoscienza.
“Sei arrabbiato. Anzi no, sei preoccupato, ma
come tuo fratello quando ti preoccupi, ti arrabbi.”
James pensò che la parte istintiva di Gigì,
quel lato ferino che lui amava al pari del resto e che aveva fiutato fin
dall’inizio, la spingeva verso i pericoli con un’attrazione irresistibile. A
lei piaceva sentire l’adrenalina scorrerle nelle vene, le dava soddisfazione
mettere alla prova le sue forze. Ogni tanto però sottovalutava il pericolo.
Si mosse rapido, avvicinandosi a grandi passi e
costringendola ad arretrare fino all’altra sponda del corridoio. I suoi occhi a
mandorla si spalancarono quando si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra
e le sue gote arrossirono.
“Sono maledettamente preoccupato, Gigì. Una
delle persone che amo di più al mondo si è lasciata interrogare da un membro
del Winzengamot, nonché mio zio, e dovrà giurare il falso in tribunale. Mia
cugina è stata arrestata con l’accusa di aver contrabbandato alcol e droga,
probabilmente finirà in prigione. La mia famiglia uscirà da questa storia
divisa tra chi deciderà di stare dalla parte di Lucy e chi da quella della
legge. E tu… Tu sei immersa in questa faccenda fino al collo.” parlò
sussurrando perché se solo avesse alzato appena di più il tono della voce
sarebbe esploso. “Sto cercando di restare calmo e razionale. Non farmi
incazzare ancor di più.”
Lei alzò il mento in una posa ostinata e lo
guardò seria.
“Non voglio farti incazzare. Lo so che cosa
provi… io ero lì quando è successo. L’ho sentita urlare come se le stessero
strappando il cuore dal petto. Volevo tornare indietro, ma Dominique non mi ha
lasciata andare.” Fece una piccola pausa, abbassando per un istante gli occhi
incupiti da quel ricordo, poi tornò a fissarlo con determinazione: “So che non
posso impedirti di essere preoccupato, ma ricordati che Dom non scommette mai
se non è sicura di vincere e adesso ha appena scommesso su noi. La sua
famiglia.”
James prese un respiro più profondo per
calmarsi e si rese conto che Angelique aveva ragione. Le si allontanò di un
passo, controvoglia, perché la vicinanza con il suo profumo gli rimescolava il
sangue nelle vene.
“Chi c’era oltre voi tre?”
“C’eravamo tutte.” Rispose semplicemente lei
stringendosi nelle spalle.
James si passò una mano sul viso, frustrato per
la reticenza di Gigì e contemporaneamente per la portata che quelle parole
potevano avere. Tutte, per le mutande
di Merlino!
“Non mi dirai mai che cosa è successo per
davvero?” si rese conto di aver parlato con un tono più aspro di quanto avrebbe
voluto, ma Angelique non fece una piega. Un piccolo sorriso fece capolino sulle
sue labbra e lei scosse la testa.
“Non ne ho il diritto. Non posso decidere anche
per le altre. Posso rispondere solo per ciò che riguarda me.”
“Che cosa facevi? Ti sei messa nei guai? Ti
hanno mai aggredita?” rincarò lui, sperando di capire che cosa avesse combinato
in tutti quei mesi.
“Facevo le pozioni. Oggi è stata la prima volta
in cui sono stata in pericolo e non sono mai stata attaccata, a parte una volta
in cui il fidanzato di Lucy mi ha quasi schiantata, ma era un equivoco!”
“Il fidanzato di Lucy?” quasi urlò guardandola
sbigottito.
Adesso spuntavano fuori pure fidanzati
clandestini. James provava il desiderio di prendere a testate la parete di
granito.
“Già… Penso che tra poco capirai molte più
cose.” Rispose placida Gigì
“Sembri molto tranquilla per essere stata a un
soffio dall’arresto anche tu.” James inarcò un sopracciglio e la guardò
sarcastico.
“Funziono così, probabilmente stasera mi
ritroveranno in un angolo del dormitorio a piangere e dondolarmi su me stessa.”
“Hai ripassato gli argomenti che abbiamo fatto
ieri?” le chiese cambiando completamente argomento e vide un’espressione
colpevole dipingersi sul suo viso.
“No. Sai non ho avuto molto tempo, non sono
riuscita a ripassare tra una squadra di Auror e l’altra!”
“Male, sei nella fase di consolidamento delle
tue conoscenze, se non ti allenarti ti dimentichi subito le cose nuove. La
settimana prossima c’è la prova pratica di Trasfigurazione.”
“Lo so. Me lo ripeti incessantemente ogni volta
che ci vediamo.” Angelique sbuffò e lo guardò storto.
“Questo perché non voglio che il tempo che abbiamo
investito venga sprecato.”
“Stiamo davvero parlando di scuola in questo
preciso istante?” chiese lei allargando le braccia esasperata.
“No, stiamo parlando del tuo futuro, che
c’entra parecchio con quello che è successo oggi. Sono molto stupito che dopo
tutta la fatica che hai fatto per recuperare la media tu abbia potuto rischiare
tutto per… cosa? Soldi? Gusto del pericolo?” finalmente ciò che gli interessava
sapere venne fuori. Non riusciva proprio a comprendere come avesse potuto essere
così sciocca da mettersi in un pericolo tale.
Temeva seriamente che fosse tornata a
quell’atteggiamento autolesionista da cui era faticosamente uscita, ma i suoi
dubbi vennero prontamente sciolti da Gigì stessa.
La giovane scosse la testa e disse con
semplicità:
“Per le mie amiche.”
E in quel momento James impiegò tutta la
propria buona volontà per non baciarla davanti all’ufficio della Preside.
***
La prima conversazione avuta con suo suocero si
era conclusa dopo pochi secondi che il Magistrato aveva esposto i capi
d’accusa, con un semplice “desidero un avvocato” da parte sua.
Benji sentiva il dolore al viso e alle costole
aumentare di minuto in minuto, avrebbe tanto voluto trovarsi alla Taverna delle
Lucciole, nel suo elegante ufficio, per farsi curare le contusioni e le
fratture da Tyra. Ma aveva il forte sospetto che non avrebbe più rivisto la sua
base operativa.
I suoi uomini avevano ricevuto istruzioni molto
precise su che cosa fare nelle ore successive a un suo eventuale arresto.
Avrebbero dovuto sgomberare tutto e trasferire i documenti e le merci in una
casa nel Galles grazie ad una passaporta che Benji teneva sempre attiva.
Lì avrebbero trovato una somma onesta per ricominciare
senza di lui.
La Taverna delle Lucciole, ironicamente,
sarebbe rimasta a Tyra, a cui per altro era intestato l’immobile.
L’unica a cui non era riuscito a pensare era
Lucy, quella che più di tutti avrebbe desiderato tenere al sicuro. Ma la
Ragazzina non si faceva dire da nessuno che cosa fare, infatti aveva preferito
venire trascinata in quello schifo insieme a lui, piuttosto che fuggire a tempo
debito.
E questa era una delle ragioni per cui l’amava.
Nella stanza ombrosa in cui era stato messo
aveva perso la cognizione del tempo, non aveva idea se fosse pomeriggio o
notte. Non che fosse un discrimine così importante. Sarebbe rimasto chiuso per
molto tempo in una cella molto più angusta di quella in cui si trovava ora,
quindi tanto valeva farci l’abitudine.
Azkaban.
Lui, Benjamin, che da quando aveva sedici anni
aveva esplorato il mondo in ogni suo angolo, sarebbe stato rinchiuso da mura di
pietra, in compagnia solo di Auror o di altra feccia della società, come lui.
“Signor Richardson, debbo informarla che è
stato aggiunto un nuovo capo di accusa a suo carico. Si tratta di minaccia
aggravata.”
La voce di Percy Weasley aveva la calma e la
ritmicità dello scorrere dei ruscelli, stessa cadenza e impassibilità. Benji
rivolse un sorriso all’uomo che fissava ostentatamente il fascicolo che si
portava appresso in ogni spostamento. Con un elegante gesto delle mani, legate
dall’incantesimo di vincolo, gli fece segno di esporre la sua nuova colpa
capitale.
Il segretario del Magistrato, che nell’incontro
precedente lo aveva guardato con quel misto di curiosità e superiorità che gli
venivano ispirati dalla sua professione criminali, ora lo fissava con aperto
disgusto, come se avesse di fronte un cumulo di rifiuti maleodorante.
Benji pensò che effettivamente non era al
massimo del suo fascino e della sua igiene personale in quel momento, ma di
certo le ascelle dell’Auror che lo stava sorvegliando contribuivano per buona
parte all’odore generale della stanza.
“Dalle indagini è emerso che il coinvolgimento
della Signorina Weasley abbia natura ben diversa da quella fino a questo
momento ipotizzata.”
Il riferimento alla Ragazzina fece drizzare le
orecchie a Benji, che comunque mantenne la propria posa rilassata con le gambe
incrociate e le mani posate il grembo. Aveva usato il termine ipotizzata, quindi Lucy non aveva ancora
parlato. Testarda come un mulo.
“Una fonte alquanto attendibile ha dichiarato
che lei, Signor Benjamin Richarson, per mesi abbia minacciato e operato
pressioni psicologiche sulla Signorina Weasley, al fine di indurla a introdurre
nella scuola di Hogwarts bevande alcoliche. Secondo quanto riportato dalla
nostra fonte, durante un’uscita scolastica sarebbe arrivato al punto di
isolarla con la forza dal gruppo di studentesse con cui la Signorina Weasley
stava camminando, per avvisarla che avrebbe fatto del male alle sue amiche se
non avesse ceduto alle sue richieste. La Signorina Weasley avrebbe dunque
collaborato al fine di salvaguardare la propria e altrui salute, avendo timore
che la denuncia alle autorità avrebbe scatenato la sua vendetta. Se si sente
pronto a parlare, vorremmo la sua versione dei fatti.”
Sembrava che le sue orecchie avessero iniziato
a fischiare. E che le mani si fossero intorpidite all’improvviso. Si sentiva
avvolto da una momentanea paralisi, contrapposta alla velocità frenetica a cui
si stavano accavallando i suoi pensieri.
Si ricordò della conversazione avuta con Lucy
ai margini della Foresta Proibita. Di lui che grossolanamente tentava di
convincerla di poter spifferare tutto ai professori e di lei che gli figurava
il ribaltamento dei ruoli. Lei che immaginava di raccontare di aver subito
abusi fisici e psicologici e di non aver saputo reagire di fronte alla forza di
un uomo malvagio e senza scrupoli. Lei che gli diceva chiaramente che la sua
parola non valeva nulla contro quella di qualcuno che porta il cognome Weasley.
E quando sentì il cuore sprofondare all’altezza
delle sue caviglie legate e l’orrore per quello di cui lo stavano accusando si
abbatté su di lui; quando stava per negare tutto e difendersi, comprese chi
fosse la fonte a cui il Magistrato aveva fatto riferimento.
Nonostante le parole avvelenate che si erano
scambiati durante il loro primo incontro, sapeva con ogni fibra del proprio
essere che Lucy non lo avrebbe mai accusato di cose simili. No, non era stata
Lucy.
Conosceva qualcun altro in grado di scendere a
compromessi anche col diavolo in persona. L’unica che avrebbe potuto riferire
nello specifico di quell’episodio ad Hogsmeade, in cui lui aveva rimediato un
calcio in zone delicate, e che lo aveva fatto appositamente per consentirgli di
comprendere quale fosse il piano.
Comprese che quella testimonianza, che lo
dipingeva come il colpevole di azioni oscene, era lo scacco matto alle indagini
della Magistratura del Wizengamot e non poteva che accettare quel ruolo, per
scagionare Lucy.
Dominique aveva trovato il modo di tirare fuori
dal pasticcio la cugina, non poteva che ringraziarla per questo, anche se gli
fosse costato ogni briciolo di onore.
Mentre uno strano sollievo si fece spazio
dentro di lui, Benji sorrise beffardo al Magistrato Weasley che finalmente
aveva alzato lo sguardo su di lui. Lo guardava con una furia gelida che avrebbe
indotto chiunque a nascondersi sotto il tavolo.
Se solo quel rigido burocrate avesse saputo
quanto amava sua figlia, quanto la rispettava ed era orgoglioso di lei… Ma
proprio per questo doveva portare a termine ciò che Dominique aveva iniziato.
“Chiamate l’avvocato Cooper, voglio che vengano
stabiliti i termini per la mia confessione completa.”
***
Non ricordava nulla della strada percorsa per
arrivare al cortile davanti alla Sala d’Ingresso.
Qualcosa dentro di lei si era fermato.
Da quando suo padre era ritornato nella stanza
e con tono molto più gentile di quello che aveva usato all’inizio le aveva
detto che Dominique aveva offerto la propria testimonianza volontaria, parlando
di come per mesi lei, Lucy, fosse stata strana, sempre all’erta, preoccupata,
in ritardo a tutti gli eventi extra scolastici. Del sospetto insorto quando
l’aveva vista spinta in un angolo dalla prepotenza di quel farabutto a
Hogsmeade e di come avesse iniziato a sorvegliarla, riuscendo a leggere una
lettera in cui lui le indicava il carico di alcolici e le intimava di smaltirlo
tutto e di portagli i compensi. Di come una volta saputo che qualcuno era stato
arrestato, Dominique avesse temuto il peggio e non trovandola tra gli studenti
di ritorno da Hogsmeade avesse realizzato.
Da quando aveva compreso che cosa avessero
fatto le sue cugine, prendendo il suo amore, l’amore che per mesi era stato la
grazia della sua vita, e trasformandolo in una sordida storia di violenza e
prevaricazione. Da quando non aveva trovato alcuna risposta dentro di sé se non
il pianto disperato in cui era scoppiata, singhiozzando perché la verità che
avrebbe voluto gridare al mondo giaceva sepolta dentro di lei.
Da quando le lacrime si erano esaurite,
qualcosa dentro di lei si era fermato.
Quel qualcosa probabilmente era il suo cuore,
di cui aveva fatto dono all’uomo che ora veniva scortato da una moltitudine di
Auror attraverso il castello per essere portato ad Azkaban in attesa del processo.
Il suo cuore che esanime implorava solo che quel dolore penetrante come un osso
rotto, smettesse di pulsare insistentemente lasciandola senza fiato.
Non aveva rivolto nessuna parola alle Menadi quando
le aveva trovate ad attenderla, dopo che era stata rilasciata. Loro si erano
semplicemente compattate attorno a lei e l’avevano condotta silenziose nel
dedalo di corridoi fino a sbucare all’aperto.
Gli altri studenti erano troppo occupati con la
cena per assistere a quella processione che sarebbe finita fuori dai cancelli
di Hogwarts.
“Mi hanno lasciata andare dicendomi che è tutto
finito… Questi adulti, questi custodi della legge, non sanno nulla.” Il suo
sussurro si disperse nel vento della sera, mentre i suoi occhi nuovamente colmi
di lacrime si fissarono sui gradini della Sala d’Ingresso.
Benji, accerchiato dalle figure scure degli
Auror, comparve in cima alle scale. Avanzò con un portamento tanto fiero, che
Lucy sentì il cuore stringersi ancor di più. Il suo Benji, dall’animo nobile e
generoso, costretto a confessare viltà mai commesse, solo per lei.
“Devo salutarlo. Vi prego, non posso lasciare
che lo portino via senza salutarlo.” Altre lacrime le rigarono le guance e
guardò le cugine più piccole, sperando che capissero.
La prima a reagire fu Angelique, che si fece
avanti spedita verso il comandante della squadra di Auror, che
camminava in testa a tutti; la stessa donna dai tratti indiani che l’aveva
trattenuta per tutto il pomeriggio sperando in una sua collaborazione.
Gli altri Auror si immobilizzarono e puntarono
le bacchette contro il prigioniero. Benjamin alzò gli occhi al cielo con
un’espressione tremendamente annoiata, ma quasi subito i suoi occhi paglierini
rimbalzarono da Angelique, che parlava a mezza voce col comandante, a lei,
seminascosta dagli archi gotici del portico. Implorò a quella distanza potesse
leggerle in viso tutto quello che non era stata in grado di dirgli: che non
riusciva a immaginare una vita senza di lui, che se ne avesse avuto l’occasione
lo avrebbe seguito in capo al mondo, che tutto in lei implorava perché non
glielo portassero via, che lo amava.
Lo amava e non glielo aveva mai detto.
Poi successe qualcosa che gelò il sangue nelle
vene di Lucy.
Dalla Sala d’Ingresso uscirono un uomo molto
robusto, con una barba castana ben curata, vestito nella toga porpora riservata
al Capo del Wizengamot e Celia Danes.
Celia scese le scale col passo aggraziato che
la contraddistingueva, passò accanto agli Auror e a Benji col naso sottile
sollevato altezzosamente e sorpassò Angelique degnandola solo di un’occhiata
sprezzante.
Angelique mantenne il contatto visivo col
comandante e non si mosse, ma la sua postura divenne molto più rigida.
La Danes sembrava ancor più radiosa di quanto
Lucy ricordasse. Indossava un abitino blu notte con una fila di bottoni dorati,
che ondeggiava al ritmo dei suoi passi calmi. I suoi capelli scuri erano
sciolti sulla schiena in morbide onde. Gli occhi da cerbiatta, dolci e orlati
da ciglia folte, si fissarono nei suoi con un’espressione trionfante.
“Meriteresti di essere portata via in manette insieme
a quel pezzente, Weasley.” La voce flautata di Celia le fece venire i brividi,
ma ebbe comunque modo di riflettere che le informazioni sulle indagini erano
rimaste riservate. Celia, grazie al cielo, non sapeva quale fosse la versione
ufficiale.
“Non so quale menzogna abbiate raccontato, ma
io so che siete tutte quante coinvolte in questa storia. Speravo proprio che
oggi vi trovassero tutte e cinque con il malloppo in mano, per vedervi sbattere
fuori dalla scuola e farvi abbassare la cresta. Avete creduto per anni di
essere meglio di chiunque, meglio di me, solo perché i vostri genitori si sono
trovati dalla parte giusta al momento giusto. Beh, da oggi in poi il vostro
cognome non sarà più così speciale.” Le guardava una ad una, godendosi le loro
espressioni allibite.
“Come hai fatto?” chiese Lily sputando quasi
fuori dai denti le parole.
Celia rise, inclinando indietro il capo, in una
movenza vezzosa che le sembrava cucita addosso. Chissà quante prove allo
specchio aveva fatto per perfezionare quella risata.
“Beh, erano mesi che vi osservavo. Non siete
state così intelligenti come pensavate. Qualche commento qua e là, le vostre
assenze, il vostro comportamento. Una volta ti ho seguita fino ad Hogsmeade e ti ho vista entrare in quel posto lurido, pieno di gentaglia. E poi ho trovato una lettera in Sala Comune,
quella nel tuo libro Rose, e ho capito che eravate voi le Menadi. Ho scritto a
mio padre dicendogli che forse una studentessa era coinvolta col criminale che
non riuscivano ad acciuffare. Ho suggerito che il momento ideale sarebbe stata
la gita di oggi e a quanto pare ci ho azzeccato.”
Lucy non pensava di potersi sentire peggio in
quel momento, ma la consapevolezza che Benji fosse stato consegnato agli Auror
da Celia e da un loro stupido errore, era semplicemente un incubo. Il dolore al
centro del petto le si irradiò con una violenza incredibile e le impedì di
respirare.
“Celia,
come fai a essere così sveglia e pensare ancora che a piega coi bigodini sia
adatta alla struttura dei tuoi capelli? Era parecchio che volevo chiedertelo,
perché guarda che tendono a diventare crespi!” Come sempre succedeva in quei
momenti, Dominique intervenne completamente a sproposito e restituì a tutte
loro l’arma migliore per affrontare la Regina di Cuori, il sorriso. Dominique
guardava Celia con un’espressione sgomenta e Lucy pensò che fosse semplicemente
geniale.
Le guance di Celia si imporporarono e lei si
voltò indispettita verso Lucy.
“Te l’avevo detto che un giorno ti saresti
pentita di come ti sei rivolta a me.” Le sibilò con cattiveria puntandole
l’indice contro.
“L’unica cosa di cui mi pento è non averti
sbattuta giù dalla Torre di Astronomia al primo anno.” Le rispose guardandola
dall’alto del suo metro e ottanta, per quello che era: un insetto, che appestava
qualunque luogo dove si posasse.
“Ho visto come l’hai guardato. Sai che marcirà
in prigione per i prossimi quindici anni? Uscirà con quel bel viso sciupato,
pieno di rughe, segnato dalle sofferenze. Le sue spalle, quelle spalle ampie
che ti avranno fatta sentire così al sicuro, saranno curvate dal peso della
prigionia. Quando lo rivedrai sarà il fantasma di chi hai conosciuto. E sarà
tutta colpa tua.” Rincarò la dose Celia arrivandole sotto al naso, sperando
forse che reagisse come aveva fatto quella primavera nello stesso luogo
Angelique.
Forse non era un caso che si fossero incontrate
proprio lì, Celia ci teneva a prendersi la rivincita per l’umiliazione subita,
distruggendo la sua vita.
“Un giorno il dolore che hai provocato tornerà
da te, Celia. Un giorno la merda, che stai gettando addosso a chiunque per
sentirti migliore, ti arriverà fino a quel naso rifatto che ti ritrovi e tu
soffocherai. E noi, quel giorno, ci godremo la scena.” La pacata e diplomatica
Rose aveva gli occhi pieni di un fuoco, che se solo si fosse liberato avrebbe
arrostito come un pollo allo spiedo la Danes.
Celia aprì la bocca per ribattere, ma Angelique
arrivò rapida alle sue spalle e l’allontanò con una spallata poderosa, che
quasi fece cadere in terra l’altra. Lily sogghignò apertamente.
“Il comandante ti concede di parlargli, ma ci
saranno anche tutte le guardie attorno perché temono per la tua incolumità.”
Nonostante la sua voce fosse tranquilla, negli occhi di Angie si agitava il
ricordo di un dolore che Lucy finalmente riuscì a comprendere. Il dolore di
dire addio a chi si ama.
Fece per muoversi ma Dominique l’afferrò saldamente
per un polso, facendola voltare. La bionda teneva tra le mani un fazzoletto di
stoffa.
“Veni qui.” Le mormorò, inducendola ad
abbassare un poco il viso. Con delicatezza le passò la stoffa sulle guance e
sugli occhi, lasciandole delle scie umide al profumo di rose. Come avesse
potuto in quel momento trovare del Tonico Miracoloso alle Rose era un mistero,
ma faceva parte della magia di Dom. “Ecco fatto. Ora sei bellissima.” Concluse
sorridendole con dolcezza.
Fissò lo sguardo su Benji, mentre i suoi passi
si susseguivano veloci sul selciato, e le sembrò quasi di volare sotto gli
occhi angosciati di suo padre e quelli compassionevoli degli Auror.
Sapeva di dover recitare una parte. Sapeva che
per tutti i presenti lei era stata costretta
da Benji, che lei aveva subito una manipolazione psicologia, quando l’unica
cosa che aveva ricevuto era stato amore. Eppure, quando le guardie aprirono un
varco davanti al prigioniero, trovarselo davanti fu troppo.
Non voleva piangere ancora, ma gli occhi le si
inumidirono. Con uno scatto rapido lo afferrò per il bavero della camicia e lo
strattonò violentemente, piena di rabbia e di frustrazione. Gli Auror attorno a
loro li osservavano attenti, ma quegli occhi per Lucy non erano reali. Gli
unici che contavano erano quelli dorati di Benjiamin che la osservavano
pazientemente, come se si fossero aspettati di tutto da lei in quel frangente.
“Come
hai potuto?” sibilò, stringendo le labbra subito dopo per non singhiozzare.
Come
hai potuto prenderti tutte le colpe? Come hai potuto lasciare che tutto quello
che abbiamo avuto fosse sporcato? Come hai potuto lasciare che tutti pensassero
il peggio?
Benji inclinò il capo verso la spalla e le
sorrise, con quel sorriso semplice che le mostrava poche volte, quello che lo
faceva sembrare un bambino dalle fossette adorabile. Le sue fossette…
“Mi conosci, Lucy.” Le disse e si strinse nelle
spalle con non curanza.
Era il loro ultimo saluto. Doveva lasciarlo
andare, ma voleva dirgli addio a modo proprio.
“Vuelve a
mi, mi amor.” Scelse la lingua madre di Benjamin, sperando che nessuno
attorno avesse studiato spagnolo. Lo disse così piano che ebbe il dubbio che
persino lui non l’avesse sentita. Venne smentita quando i suoi occhi paglierini
si spalancarono sorpresi e l’uomo dischiuse le labbra.
Lucy lo lasciò andare rapidamente come se le
sue mani si fossero scottate e si voltò di scatto, quasi correndo verso le sue
Menadi. Era esausta, voleva solo chiudere gli occhi e non pensare più a nulla.
Voleva solo…
Aveva ormai raggiunto le sue amiche, quando
vide il viso di Angelique contorcersi in un’espressione buffa. All’inizio parve
perplessa, poi sorpresa e infine totalmente scioccata, tanto che la sua bocca
si spalancò. Lucy fece appena in tempo a voltarsi per sentire gli Auror gridare
come forsennati e vedere Benji venir letteralmente risucchiato nell’aria.
Dove un attimo prima stava fermo il suo uomo
non restava altro che il vuoto.
Lucy si guardò attorno incredula, e ritrovò le
medesime espressioni nelle altre Menadi, tranne che in Rose. La rossa non
riusciva a trattenere il sorriso che le arricciava gli angoli della bocca,
mentre i suoi occhi azzurri si fissavano sul cortile dove si era letteralmente
scatenato il panico.
Gli Auror corsero in ogni direzione, sbraitando
che non era possibile smaterializzarsi nei confini della scuola. William Danes
aveva stretto a sé la figlia che guardava inorridita il suo trionfo
trasformarsi in cenere.
“Cavallo e cavolo!” esclamò vittoriosa
Dominique, il cui turbamento si era dissolto nell’arco di un respiro. Lucy non
chiese che cosa volessero dire quelle parole, perché sentì le ginocchia cedere.
Si ritrovò seduta per terra, stremata dagli
avvenimenti, incapace di formulare il pensiero che continuava a fluttuare nella
sua testa. Rose si chinò verso di lei e le posò una mano sulla guancia
“Digli che se lo becco ancora a delinquere gli
taglio anche l’altro alluce. Ho fatto del mio meglio, ma rimarrà un ricercato.
Da ora in poi sarà molto dura, Lucy.”
Rose aveva liberato Benji.
Lucy l’attirò a sé e la strinse con tutta la
propria forza, scoppiando in un pianto liberatorio in cui concentrò tutta la
tensione della giornata.
Benjamin era libero!
E nel piccolo chiostro che per qualche minuto
aveva visto la distruzione di ogni sua speranza, Lucy si sentì rinascere. Alla
luce di quanto amore le sue cugine, amiche e colleghe le avevano dimostrato,
tentando il tutto e per tutto per lei, non poté far altro che ringraziare Dio,
Merlino, chiunque avesse assegnato alla sua vita persone tanto straordinarie.
***
Lei e Dominique stavano raggiungendo esauste il
dormitorio di Serpeverde.
Dopo la misteriosa fuga di Benjamin, l’isteria
si era impadronita dei dipendenti del Ministero della Magia, avevano perquisito
tutti i presenti per vedere se avessero scagliato qualche incantesimo che
avesse favorito la fuga, ma non avevano trovato nulla. Uno degli Auror disse
che aveva visto una figura piccola come un bambino materializzarsi
all’improvviso e prendere per mano Benji, per poi farlo svanire come fumo.
Altri dicevano che ci fossero un complice poteva avergli consegnato una
passaporta, ma questo risultava pressoché impossibile perché era sorvegliato a
vista. Tutte le congetture comunque non servirono a scoprire dove fosse finito
il ricercato.
Percy Weasley si era precipitato dalla figlia, l’aveva
stretta in un goffo abbraccio dicendole di non preoccuparsi, che lo avrebbero
trovato presto e che non le avrebbe più fatto del male.
Lei si era liberata da quell’abbraccio
immediatamente ed era tornata senza una parola dentro il castello.
Qualche minuto più tardi, nel dormitorio
deserto del terzo anno di Grifondoro, cioè la camera di Lily, Rose aveva
confessato che cosa fosse successo quel pomeriggio. Di Malfoy, del Quartier
Generale, della Sala Comune e poi della sua idea.
Attraverso il fuoco del camino dei Grifondoro,
Scorpius aveva contattato gli Elfi Domestici di Malfoy Manor. Aveva chiesto che
venisse mandato nelle cucine di Hogwarts e con la massima riservatezza uno
degli Elfi che lavoravano nelle case in periferia, possibilmente uno di quelli
più anziani, la cui magia fosse più potente. I servitori dei Malfoy in meno di
mezzora avevano portato a termine il proprio compito, comunicando che l’elfo
Dustin li stava aspettando dove richiesto.
Il piano a quel punto era stato semplice:
camuffare Dustin con abiti scuri, appostarsi su una delle torri, attendere che
portassero fuori dal castello Benji e chiedere all’Elfo di portare via il
prigioniero al primo attimo di esitazione, sfruttando il suo potere di
smaterializzarsi dovunque, solo schioccando le dita. Grazie al diversivo
involontario creato da Lucy, Dustin era riuscito ad approfittare del varco
creato dagli Auror e a farlo scappare.
Le altre l’avevano guardata senza parole,
finché Lily non si era riscossa e aveva esclamato:
“Per le sottane di Morgana! Certo che gli piaci
davvero tanto, se ha messo in piedi un casino tale solo per aiutarti…”
Rose era arrossita fino alla punta delle
orecchie.
Dopo qualche minuto, rincuorata che Benji fosse
sano e salvo in una delle proprietà dei Malfoy, Lucy era crollata sul letto di
Lily. Non aveva voluto infatti mettere piede nella stanza in cui anche Celia
Danes respirava la sua stessa aria. Lily le si era messa accanto come un
guardiano silenzioso, impegnata a metabolizzare gli eventi della giornata. Rose
si era dileguata senza troppe cerimonie e così anche le due Serpeverde avevano
deciso di andare a dormire.
“Ho bisogno di un Cosmopolitan.” Esordì
Dominique fermandosi all’improvviso.
“Beh, mi sa che da ora in poi con gli alcolici
abbiamo chiuso, Dom.”
“Mmm… Sai che esiste un luogo in cui
sicuramente ne hanno ancora un bel po’?” e le sorrise un po’ malandrina.
“Oh.” Esclamò Angie capendo le intenzioni
dell’altra e domandandosi subito dopo se ci fosse stato anche James alla Buca.
Si erano salutati dopo che Percy li aveva lasciati andare, Dom gli aveva
stretto le mani tra le proprie e gli aveva baciato le nocche ringraziandolo.
Angie si era limitata a salutarlo con una mano, come una bambina di quattro
anni.
Dominique cambiò direzione e la condusse verso
la Buca, il piccolo ritrovo che avevano costruito alcuni degli studenti più
grandi. Angie si guardò i vestiti e si pentì di non essere uscita quella
mattina con qualcosa di più carino. Poi si dette da sola dell’imbecille, perché
forse nell’ottica di quello che era successo, il suo abbigliamento non era così
importante.
Quando Dom aprì la porta della stanza
precedendola Angelique si stava ancora arrovellando su dubbi inutili. I suoi
occhi percorsero tutta la Buca, particolarmente affollata quel sabato sera,
nella speranza di incrociare una sola figura… Quando lo vide, appoggiato al
bancone, che parlava con Locarn Scamander, le venne immediatamente mal di
stomaco. Ne ammirò il profilo regolare, i capelli spettinati, l’espressione
tranquilla, (perché con lei non aveva mai quell’espressione?). Ad ogni
dettaglio che individuava si amplificava la morsa alle viscere.
L’ingresso di Dominique, come sempre, attirò
gli sguardi dei presenti, a maggior ragione per le voci che avevano iniziato a
circolare nel castello. Dom salutò un paio di persone che conosceva e poi si
sedette sullo sgabello accanto a James, posandogli una mano sulla spalla.
Jessy le rivolse un sorriso caloroso, prima di
accorgersi che c’era anche lei, a qualche metro di distanza, impacciata e
imbambolata.
Il sorriso si tramutò in un’espressione
diversa, più giocosa e più scanzonata, come le sue antiche espressioni, quelle
che appartenevano al tempo in cui lei aveva una pessima opinione di lui e lui
intratteneva relazioni poco impegnative con giovani bellissime, che di certo
non si mettevano i pantaloni impolverati per uscire con lui.
Dopo un cenno a Svitato, che la salutò appena,
troppo assorbito dalla preparazione del cocktail per Dom, Angie si sedette
accanto a James dall’altro lato. Le loro ginocchia si sfiorarono nello spazio
angusto davanti al bancone.
“Sei stato bravo oggi. Non pensavo sapessi
mentire così bene.” Fu la prima cosa che le venne in mente da dirgli e subito
dopo si sentì una cretina.
Jessy rise prima di sorseggiare dal bicchiere
il suo firewhisky con ghiaccio. Deglutì e poi alzò lo sguardo verso di lei.
“Saresti sorpresa nello scoprire tutti i miei
talenti, Gigì.”
La voce di Jessy era bassa, i suoi occhi
scintillavano nella luce calda della Buca, lucidi fino a sembrare ebbri. E lei
si trovò inchiodata sul suo sgabellino, a fissarlo dritto negli occhi, senza alcuna
intenzione di distogliere lo sguardo. Si trovò lì, davanti alla sua espressione
un po’ maliziosa, a dirsi chiaramente la verità.
Non aveva più voglia di resistere.
Aveva passato mesi interi a lottare contro un
dolore che l’aveva quasi annullata. Aveva passato settimane a lottare contro
l’attrazione che provava per James. In quel momento, alla Buca, dopo la
giornata assurda passata insieme, desiderò solo lasciarsi andare e non pensare
più a nulla.
Quindi gli sorrise a propria volta e gli chiese:
“Desideri forse mostrarmene qualcuno?”
James, che evidentemente non si aspettava
quella risposta, scoppiò a ridere e balzò giù dallo sgabello in un nano
secondo. Le porse la mano e le sorrise con aria di sfida.
Angelique accettò la mano e si lasciò condurre
nella zona dietro al tavolo da biliardo, dove alcuni studenti ballavano a ritmo
di una musica babbana molto allegra. In poco Angie scoprì che davvero James
aveva molti talenti, primo tra tutti quello di farla ridere.
Ballava bene, ma in modo esagerato, al solo
scopo di farla divertire e farle fare evoluzioni al limite dell’assurdo. La
faceva piroettare agilmente, le rivolgeva espressioni buffe e si muovevano
senza curarsi delle occhiate perplesse che gli altri lanciavano loro. Finché
dopo l’ennesimo caschè Angelique in preda alle risate non lo implorò di fare
pausa.
“Nessuna pausa, non te la meriti dopo lo
spavento di oggi.” Ribatté Jessy recuperando la sua mano e facendole fare un
altro passo.
Qualcuno a quel punto cambiò la musica e mise
una canzone molto più dolce, di un qualche cantautore inglese. Si guardarono
incerti per un istante poi James l’attirò a sé, passandole le mani sulla
schiena.
Angie sentì il cuore, già accelerato dai balli
precedenti, battere all’impazzata. Posò spontaneamente la guancia contro il suo
petto e si lasciò trasportare dai suoi movimenti lenti. I vestiti che indossava
erano impregnati del suo odore, che, come succedeva da qualche tempo, le
causava seri problemi a rimanere concentrata su quello che stava facendo.
Pensò che sarebbe stato giusto raccontargli
delle Menadi, visto che Rose per ovvi motivi aveva rotto il patto di
segretezza, forse anche lei avrebbe potuto…
“Sento il rumore degli ingranaggi che girano,
Gigì.” Le sussurrò James.
“Sto decidendo se raccontarti tutto o fare la
gnorri.” Rispose lei sorridendo.
“Raccontamelo domani. Ora basta questo.”
E trattenendo un sospiro, per la prima volta
Angelique si rese conto che quello non le bastava. Non le bastava affatto.
Note
dell’Autrice:
Ehm… Salve. Probabilmente nessuno si ricorderà
più a che punto eravamo arrivati, ma non importa.
Nel frattempo, mi sono laureata e abilitata
alla professione, quindi diciamo che ne ho passate di cotte e di crude! Spero
che il capitolo sia di vostro gradimento, è stato molto difficile scrivere la
trama e riuscire a incastrare tutti i passaggi perché spesso mi sembrava che ci
fossero dei buchi o degli errori. Spero che non sia così.
Ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di
leggere fino a questo punto e chi si è preso la briga di commentare lo scorso
capitolo: Cinthia988, thetwinsareback,
Idiot, vale_misty e cescapadfoot.
Grazie di cuore a tutti voi.
Un bacio
Bluelectra
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