Dedico
questo capitolo a Ste_exLagu, che mi ha provvidenzialmente fornito
l’ispirazione per sbloccare la narrazione: cinghiali marinati
always!
Grazie,
Ste, da parte mia, ma soprattutto da parte di Harry che non sapeva come
uscire dall’impasse.
Piccola
nota ad alcuni capitoli precedenti: vengono fatte delle magie da
personaggi che
sono ancora minorenni e al di fuori di Hogwarts; teoricamente questo
non
sarebbe possibile senza un intervento del Ministero; tuttavia la
Rowling stessa
nei suoi libri viene meno al rispetto di questo Decreto (vi prego,
fidatevi e non
mi fate elencare gli esempi): si può presumere che
l’applicazione sia piuttosto
flessibile, soprattutto se i minorenni si trovano in ambienti senza
Babbani
intorno.
Anche
qui e nei prossimi capitoli, se mi servirà per la trama, i
protagonisti faranno
magie: quindi tenete per favore presente che siamo sempre tra maghi e
streghe e
che il Ministero deciderà di chiudere un occhio.
Ammetto
anche che qui ho focalizzato molto su Harry e Draco, lasciando gli
altri
personaggi di sfondo; contrariamente all’altra fanfiction
(L’Ottavo Anno) non
ho molto interesse a portare avanti una narrazione corale e ad
approfondire
molto le personalità di tutti…
Draco
si era premurato di caramellare a suon di lamentele le orecchie di
Blaise, via
camino, via gufo, via Strillettera: tuttavia il contratto era
irrevocabile e
lagnanze varie non avrebbero mutato la situazione di una virgola.
Il
biondo Serpeverde aveva anche pensato di raccontare l’intera
storia a sua
madre, che di sicuro avrebbe raso alle fondamenta la dimora degli
Zabini a suon
di fatture se lui avesse dipinto il fine settimana abbastanza
foscamente: ma
quando scese dalla sua camera per la cena, i genitori lo informarono
che sarebbero
partiti quella sera stessa per una seconda… No, terza luna
di miele.
-Draco,
tesoro, qualsiasi cosa tu mi debba dire può aspettare che io
ritorni-, mormorò
distratta la madre, accarezzando la testa del figlio e poi tirandoselo
al petto
in un abbraccio profumato e tenero.
Narcissa
era molto prodiga di manifestazioni di affetto, ma in quanto a sesto
senso
materno… Non ne possedeva un’oncia e non aveva mai
indovinato la realtà del
carattere del figlio: non era della tempra algida dei suoi genitori e
spesso
rimaneva vittima del proprio temperamento, scostante ma
fondamentalmente
appassionato.
E
parlarne con il padre? Per Merlino, non si sarebbe fatto scoprire
così debole
da non sapere affrontare un fine settimana insieme a Potter, per quanto
la cosa
lo disgustasse.
Certo,
per essere disgustato dalla prospettiva aveva accumulato una notevole
quantità
di bagagli, una volta risalito in camera dopo aver cenato e salutato i
suoi:
non sapeva decidersi su che abiti portarsi dietro. Ed inoltre aveva
cominciato
a riempire bauli giorni e giorni prima. Come se fosse scandalosamente
in preda
all’entusiasmo. Assurdo, davvero assurdo.
“Sono
abbastanza sicuro che la veste cerimoniale non mi
servirà”, pensò occhieggiando
la tunica di seta nera che pendeva da un attaccapanni in un angolo
della
stanza. “Ma non si sa mai, io me la porto, metti che
decidiamo di sacrificare
Potterginello su un altare…”
Come
sempre, pensare allo Sfregiato gli procurò un intenso
brivido giù per la
colonna vertebrale, come se una goccia di pioggia gelida fosse
scivolata lesta
dal collo all’osso sacro; per quanto fuori si schiattasse di
caldo, nel Maniero
dei Malfoy la temperatura era decisamente più bassa grazie a
muri spessi e
incantesimi refrigeranti: però sentì il bisogno
di farsi una doccia fredda, pur
negando con fermezza a sé stesso che il motivo fosse il
ricordo di due occhioni
verdi e di una bocca umida…
Cacciò
velocemente la veste cerimoniale nell’ennesimo baule e corse
in bagno,
disseminando indumenti per il corridoio man mano che se li toglieva di
dosso,
gridando agli elfi domestici di sistemare il suo casino.
Gli
elfi domestici del Maniero detestavano il signorino Malfoy: ogni tanto
se lo
confessavano l’un l’altro, per poi punirsi
stirandosi le orecchie o tirandosi
in testa a vicenda l’intera collezione di calderoni a doppio
fondo in ferro del
quindicesimo secolo; soprattutto odiavano il signorino Malfoy quando
restava da
solo nel Maniero e si annoiava, ed allora li coinvolgeva, obbligandoli,
nei
suoi giochi e passatempi. La prima volta era capitato quando il piccolo
erede
aveva sette anni: i suoi genitori erano rimasti a dormire fuori dopo
una cena e
lui aveva fatto mascherare tutti gli elfi da coniglietti per poi
inseguirli
tirando loro certe strane pallette erbacee piene di piccoli aculei che
si
attaccavano ai loro sudici indumenti e poi davano un fastidio di
inferno; oltre
al danno la beffa: gli elfi prima avevano dovuto ripulire tutto il
tessile del
Maniero da quelle pallette insidiose e poi avevano dovuto picchiarsi
con delle
mazze per aver maledetto il ragazzino. Poi c’era stata
quell’estate, dopo il
primo anno di scuola, in cui li aveva reclutati a giornate
perché lo aiutassero
con gli allenamenti di Quidditch in vista dell’ammissione in
squadra dei
Serpeverde.
“Per
Morgana, volate da fare schifo!”, aveva urlato contro loro.
In
effetti, gli elfi domestici sulla scopa fanno una misera figura.
E
adesso questo: il signorino Malfoy assolutamente fuori di testa in
preda agli
ormoni come un Erumpent sulla soglia della stagione
dell’accoppiamento.
I
piccoli esserini facevano il conto alla rovescia per la sua partenza,
mentre si
martellavano le dita con i pesanti cucchiai da portata del servito
d’argento
per aver osato essere felici di liberarsi del padroncino.
Draco
non stava un gran che in quanto a stabilità mentale, ma si
sarebbe sentito
rifiorire se avesse potuto vedere lo stato in cui versava Harry Potter:
questi aveva
inizialmente accolto con un senso di ineluttabilità il
contratto firmato ed
aveva deciso di affrontare il fine settimana con razionalità
e
un’arrendevolezza da placida mucca condotta alla fiera di
campagna;
successivamente erano subentrate le paranoie, miste a momenti di
euforia, per
il fatto di poter comunque rivedere il soggetto delle sue
fantasticherie
emotive e sessuali, ed inframmezzate a lunghe parentesi di scoramento,
perché
era certo che sarebbe stata un’esperienza deludente.
Nei
suoi sogni ad occhi aperti (ed anche in quelli ad occhi chiusi) Draco
gli si
sarebbe avvicinato con fare allusivo e sensuale, gli avrebbe sorriso e
poi gli
avrebbe infilato trenta metri di lingua giù per la trachea;
e questo sarebbe
stato solo l’inizio. Non si sarebbero chiesti scusa a parole,
ma le azioni
avrebbero parlato per loro dichiarando la loro tenerezza ed i loro
sentimenti.
E
avrebbero fatto sesso, sì, assolutamente tanto sesso,
così tanto sesso che i
muscoli delle gambe di Harry avrebbero continuato a tremare per giorni.
Di
solito, a questo punto dai sogni ad occhi aperti e ad occhi chiusi
spariva la
componente sentimentale e si accentuava la parte in cui erano sudati ed
appiccicati e gementi. Il che lo riportava al punto di partenza: niente
di tutto
questo sarebbe successo, ed il solo motivo per cui Harry non avrebbe
corso
pericoli era che Draco non poteva attaccarlo magicamente; anche se, a
ben
pensarci, forse il biondo sarebbe riuscito ad escogitare qualcosa di
tremendo
anche senza l’ausilio della magia. Del resto, lo aveva ferito
tantissimo quando
erano stati a Hogsmeade e, altro che magia, non aveva neanche dovuto
usare le
mani…
-Merda,
non posso farcela!-, sbraitò in mezzo alla cucina di casa
dei Dursley.
-Se
papà ti sente dire queste parole, è la volta che
ti sbatte fuori casa-, esordì
una voce atona dietro di lui.
I
rapporti con Dudley non erano idilliaci, ma dopo l’attacco da
parte dei
Dissennatori il grosso cugino aveva migliorato il suo comportamento,
come se le
visioni di dolore ed angoscia subite lo avessero indotto a cambiare
direzione;
era sempre odioso, ma meno prepotente. Non era diventato grande amico
di Harry,
ma ogni tanto riuscivano ad interagire in maniera quasi cordiale.
-Zia
Petunia glielo impedirebbe-, rispose Harry, e di questo era certo. Non
che dopo
i fatti dell’anno precedente sua zia fosse più
affettuosa o più tollerante, per
carità. Però il racconto di Silente dopo i fatti
accaduti al Ministero aveva
indotto il ragazzo che in fondo in fondo qualcosa a sua zia lo doveva:
gli
aveva permesso di avere una vita, anche se insieme al resto della
famiglia
Dursley aveva provveduto a renderla uno schifo.
Dudley
intanto si era servito una più che generosa porzione di
pudding al caramello,
accompagnato da altrettanto gelato alla vaniglia e granella di
nocciole:
praticamente una promessa di infarto a quarant’anni; si era
seduto a tavola, su
una sedia che aveva protestato vivacemente contro la sua mole e poi
aveva
alzato lo stolido sguardo dal piatto per rivolgerlo al cugino.
-Cosa
non puoi riuscire a fare?-
Fantastico:
miliardi di persone su questo pianeta e l’unico che si
interessava ai suoi
problemi era l’unico a cui non avrebbe mai voluto confessarli.
Tuttavia
Harry aveva disperatamente bisogno di uno sfogo.
-Mi
piace una persona-, si ritrovò ad ammettere, senza
però sbilanciarsi con i
dettagli. -Ma non credo di essere ricambiato-, aggiunse dopo un secondo.
-Non
puoi farla innamorare di te con la bacchetta?-, chiese il Babbano.
-Credimi,
magari potessi; purtroppo non va così-.
-Allora
comprale dei fiori e dedicale una canzone: alle ragazze piacciono cose
del
genere-, suggerì Dudley, dando per scontato le preferenze di
Harry, cosa che
lui non si sentì di contraddire: davvero non gli pareva il
caso di iniziare una
discussione sulle sue preferenze sessuali.
Harry
immaginò la scena di sé stesso che porgeva un
mazzo di fiori a Draco e la
reazione del Serpeverde: gli venne alle labbra una risata con un
accenno di
esasperazione.
-Non
credo che funzionerebbe-, sospirò tra l’afflitto e
il divertito.
Ma
Dudley aveva iniziato a mangiare e a guardare la televisione,
perennemente
accesa in quella casa: il parente era sparito dall’orizzonte
dei suoi
interessi.
Così
il Grifondoro si risolse a salire in camera propria: in attesa di poter
liberare Edvige per un volo notturno le dette da mangiare e poi si
buttò sul
letto con l’intenzione di leggere e finendo invece con
pensare a… Tanto per
cambiare a quello che lo aspettava nel fine settimana.
Stava
rimuginando da un bel po’ quando gli venne in mente che non
aveva ancora letto
le clausole del contratto magico ed iniziò a rovistare sul
fondo dell’armadio
dove lo aveva cacciato tentando invano di dimenticarsi
dell’intera faccenda. Lo
recuperò e si mise a studiarlo con attenzione.
Mezz’ora
dopo lo riavvolse con cura: aveva appreso molte cose utili e aveva
iniziato a
spuntargli un piano in testa, a metà tra la rivalsa ed un
inconfessato
tentativo di conquista. Un po’ come tirare le trecce alla
ragazza più carina
dell’asilo per farsi notare.
Sorrise.
“Ci
vediamo presto, Draco”.
Il
fine settimana fatidico arrivò sin troppo presto.
Blaise
aveva scritto a tutti per dare istruzioni: l’appuntamento era
fissato per
venerdì prima di pranzo, davanti al Paiolo Magico: avrebbero
mangiato lì e poi
avrebbero utilizzato una Passaporta per arrivare a casa sua; dei loro
bagagli
si sarebbero occupati gli elfi domestici della famiglia Zabini.
Harry
ricevette un gufo anche da Ron, dove questi gli chiedeva se dovesse
passare a prenderlo
in qualche maniera; il ragazzo rispose che sarebbe andato a Londra con
il
Nottetempo dalla sera prima, ed avrebbe pernottato al Paiolo Magico,
per cui si
sarebbero visti là; chiese anche se poteva far restare
Edvige alla Tana per il
fine settimana, convinto che la risposta sarebbe stata positiva.
-Edvige,
ti va di restare dalla famiglia Weasley mentre io non ci sono?-
La
civetta fece un verso in risposta che non poteva essere interpretato
che come
un assenso: era molto meglio cacciare topi nel Devonshire che in
città.
-Bene,
allora consegna il messaggio e resta semplicemente lì. Se ci
sono problemi,
raggiungimi al Paiolo Magico-.
Poi
aprì la finestra e lasciò volare fuori la candida
civetta: la guardò
allontanarsi silenziosa ed aggraziata e, solo quando fu diventata un
puntino
lontano, si riscosse per preparare il baule da portarsi dietro.
Per
fortuna che aveva perfezionato con Hermione l’incantesimo
Adduco Maxima ed ora
era in grado di far entrare una gran quantità di oggetti,
compresa la sua attrezzatura
da Quidditch, in un baule molto più piccolo, leggero e
maneggevole di quello
che usava per la scuola. Ripensare alla sua amica riportò di
conseguenza alla
mente l’imbarazzata telefonata che lei gli aveva fatto per
tentare di spiegare
il suo comportamento riguardo al piano escogitato con Pansy: Harry
tuttavia
aveva liquidato l’argomento, perché in quei giorni
provava una sorta di sordo
fastidio nel sapere i suoi amici felicemente, diciamo, fidanzati e che
rinsaldavano i legami della nuova combriccola, da cui lui per ovvie
ragioni si
sentiva escluso; sperava che almeno la presenza di altri ragazzi
durante il
ritrovo lo avrebbe distratto dal sentirsi un intruso: sapeva che Luna
gli
sarebbe stata di sicuro di appoggio, anche se nella sua trasognata ed
assurda
maniera.
Pernottare
al Paiolo Magico fu piacevole.
Probabilmente
non esisteva una sorta di percezione extrasensoriale per la magia, ma
Harry era
convinto di poter avvertire intorno a sé
un’atmosfera diversa da quella che si
respirava nel resto di Londra e soprattutto in Privet Drive: si sentiva
svagato
e leggero, a suo agio.
Chiese
sia la cena che la colazione in camera, così non sarebbe
dovuto scendere di
sotto e sorbirsi tutta la tiritera su
Il-bambino-che-è-sopravvissuto-e-‘sti-cazzi.
Il
giorno dopo, di buon’ora uscì per fare un giro a
Diagon Alley, che trovò come
sempre magnifica; passò alla Gringott a ritirare un tot di
soldi, visitò
ovviamente il negozio di Accessori di Pima Qualità per il
Quidditch, si prese
un gelato alla Gelateria Fortebraccio e infine entrò nel
negozio di Fred e
George, dove fece incetta di ogni cosa: soprattutto comprò
un edizione deluxe
dei Fuochi Forsennati Weasley pensando che sarebbe stato bello farli
esplodere
con gli altri durante il fine settimana; Fred e George ovviamente non
vollero
che li pagasse, anzi, dissero che quanto prima gli avrebbero versato la
sua
parte degli utili: Harry, dopo il primo finanziamento, aveva proposto
loro di
essere un socio minoritario, non voleva mettere bocca nella gestione
del negozio
e nella produzione degli articoli, ma avrebbe fornito una certa cifra
per
contribuire a tenere in piedi l’attività.
La
cosa non era ufficiale perché il ragazzo era per il momento
ancora minorenne,
ma Fred e George si sentivano riconoscenti per questo e non mancavano
mai di
dividere con Harry i guadagni; la realtà era invece che
Harry si sentiva
enormemente in debito con i due gemelli: dandogli la Mappa del
Malandrino loro
gli avevano in parte restituito suo padre.
In
ogni caso, i Tiri Vispi Weasley andava alla grande, e il conto di Harry
si
incrementava costantemente.
Trascorse
bighellonando il resto della mattinata e quando rientrò al
Paiolo Magico,
alcuni dei ragazzi erano già arrivati.
Blaise
e Hermione, Pansy e Ron con Ginny, Megan Jones: tutti gli si fecero
incontro,
Harry li salutò con calore ma volse lo sguardo a
scandagliare il pub.
-Se
cerchi Draco, ha scritto che arriverà dopo mangiato-, gli
spiegò Blaise con
condiscendenza, mentre rivolgeva un cenno con il mento a Terry Boots,
che stava
entrando nel locale in quel momento.
-No…
Io… Ecco… Cercavo la cameriera per ringraziarla
del servizio in camera-, buttò
lì
Il-bambino-che-è-sopravvissuto-con-scarsa-immaginazione-per-le-scuse.
-Sì,
certo, come no-, concesse Pansy.
Harry
ammutolì, pensando a quanto odiasse i Serpeverde intuitivi.
L’atmosfera
non era proprio cameratesca, ma grazie al buon cibo e alla Burrobirra
piano
piano riuscirono ad instaurare una buona conversazione allegra,
soprattutto
quando, con l’arrivo di Michael e Luna, Ginny si
rilassò visibilmente e smise
di lanciare occhiatacce ali due Serpeverde. Harry stava ingurgitando un
grosso
boccone di arrosto, quando la porta del Paiolo Magico si
spalancò e Draco
Malfoy fece il suo ingresso, sostando appena due passi oltre la soglia
e osservando
intorno, mentre il suo consistente bagaglio gli levitava dietro.
Harry
ingoiò il pezzo di carne che si stava cacciando in bocca e
manca poco anche la
forchetta:
Draco
era bellissimo, con il viso altero, i capelli intrecciati e…
Vestito con indumenti
babbani?!
Lo
sguardo grigio si posò sul Grifondoro e le pupille si
dilatarono per una
frazione di secondo prima che Draco assottigliasse gli occhi ed
arricciasse la
bocca in una smorfia che sembrò di fastidio.
Nessuno
avrebbe potuto immaginarlo, ma il motivo per cui Draco era arrivato
tardi era
di dover passare a ritirare gli abiti commissionati a Telami e
Tarlatane, dove,
contando sulla discrezione del proprietario e dei commessi, si era
fatto cucire
alcune cose sul modello di vestiti babbani: jeans che però
non erano jeans,
magliette che però non erano magliette; così gli
aveva suggerito di fare Pansy
per conciliare il suo rifiuto di mischiarsi ai Babbani con uno
spiraglio di
moderazione per campare in pace in quel fine settimana.
Pareva
aver funzionato, perché quasi tutto il tavolo lo osservava
meravigliato e nella
fattispecie Potter sembrava che stesse soffocando per la sorpresa:
fantastico.
A saperlo, se fosse riuscito a liberarsi dello Sfregiato con
così poco avrebbe
commissionato dei jeans-non-jeans anni prima.
Il
biondo inspirò a fondo per farsi forza di affrontare quella
tavolata di
traditori del loro sangue, inetti, Mezzosangue, Nati Babbani e amici
fedifraghi: lui era la vittima di quella congiura e se avesse potuto
l’avrebbe
fatta pagare a tutti; ma dato che era obbligato a frequentarli e che si
trovava
in evidente inferiorità numerica, tanto valeva frequentarli
con classe e stile.
Sorrise
con cordialità e si avvicinò.
A
Harry, che lo stava mangiando con gli occhi mentre tentava di non
soffocare con
il boccone di carne, sembrò che la stanza si illuminasse al
sorriso di Draco,
anche se dovette ammettere che per affabilità assomigliava
ad un Nundu che
scoprisse i denti per divorare una pecorella; quando Draco prese posto
accanto
a lui mormorando “tanto prima o poi mi tocca”, lo
stomaco di Harry si chiuse
repentinamente, tanto che spinse via il piatto.
Ron
gli chiese se non ne mangiasse più, Harry fece un vago cenno
di assenso e il
rosso si impossessò della sua razione per trangugiarla.
-Ron,
sei un maiale!-, esclamarono all’unisono Hermione e Pansy,
scoppiando poi a
ridere.
Il
resto della compagnia riprese a mangiare e discorrere, come niente
fosse, ma
per Harry producevano solo un indistinto brusio, perché
Draco, gomito sul tavolo
e mento sulla mano, lo studiava con intensità; in
più, le loro cosce sotto il
tavolo aderivano per tutta la lunghezza.
E
niente, il cervello del Grifondoro si era spento come un cerino
consumato. Il
ragazzo tentò un sorso di Burrobirra, ricordando a
sé stesso di non sorridere
prima di aver inghiottito, poi provò a replicare la
posizione di Draco per
studiarlo a sua volta, ma mancò clamorosamente il tavolo con
il gomito e
arrossì imbarazzato, aspettando il commento acido del
biondo: il quale però se
ne stette zitto, continuando a guardarlo e anzi aprendo la sua
espressione in
qualcosa di più amichevole.
“Eccoci,
ci risiamo con la tiritera dell’ultimo periodo a scuola,
quando mi ha mandato
fuori di testa”, pensò il Grifondoro, ma invece di
incupirsi sorrise: per fortuna
aveva ingoiato la Burrobirra.
Draco
non aveva pianificato di sedersi là, ci era andato di
impulso; ma a conti fatti
si disse che il suo istinto doveva essere bastardo come la sua parte
cosciente se
quello era l’effetto che sortiva in Potter la sua vicinanza:
di sicuro l’astio
che provavano uno nei confronti dell’altro doveva averlo
confuso. Rimase a
fissarlo ancora un po’ e a godersi il contatto delle loro
gambe (aveva detto “godersi”?),
poi distolse l’attenzione e cominciò a parlare con
Ron (tentando di non far
trapelare quanto fosse disgustato dal suo modo di mangiare) di
Quidditch: li avrebbe
frequentati con classe e stile e forse ci sarebbe stato anche spazio
per
qualche piccola vendetta.
-Tu
stai scherzando!-, sbottò Draco
indignato.
-Per
niente, te lo assicuro-, ribatté serio Blaise sulla soglia
della stanza.
Erano
arrivati alla dimora in Galles della famiglia Zabini: non era grande a
detta
del ragazzo, ma a Harry, che veniva da un sottoscala, era sembrata
enorme e
sfarzosa.
Il
Serpeverde padrone di casa aveva illustrato loro i vari ambienti:
cucina,
bagni, camera da pranzo, salone, stanza della musica e dei giochi ed
infine
camere da letto. Era a quel punto che il melodramma era esploso, quando
Draco aveva
scoperto che avrebbe dovuto pernottare insieme a Harry Potter.
-Sono
tutte camere doppie o triple, e ringraziami che non vi sia toccata una
di
quelle con il letto matrimoniale-, proseguì
l’amico, infierendo.
Draco
lo guardò stravolto e senza parole, ma solo per un attimo:
si riprese
prontamente e dichiarò di voler dividere la camera con Terry
Boots.
Harry
si intrufolò nella stanza e nella conversazione, con un
sorriso da orecchio a
orecchio. Da dopo pranzo tampinava Draco abbastanza da vicino:
quest’ultimo se
ne era accorto, però non si era domandato come mai.
Blaise
invece ritenne opportuno squagliarsela.
-Non
puoi, non hai letto il contratto? Non possiamo stare a più
di tre metri di lontananza.
E visto che le camere da letto sono tutte distanti tra di loro, non
possiamo
che dividere la stessa; a meno che tu non voglia dormire nella vasca
del bagno
qui accanto, ma forse è già troppo lontana. Ehi,
Blaise, mi piace qui! Draco,
io prendo il letto vicino alla finestra, se per te va bene-, concluse
gaio
lasciandosi cadere seduto sul materasso e facendo un paio di saltelli
per
testarne la morbidezza. Se gli passò per la mente come
sarebbe stato
rotolarvisi sopra con Draco, riuscì a dissimularlo
perfettamente. Era matematicamente
certo che Malfoy non si fosse degnato di scorrere il contratto, e
gongolava
nell’aver segnato quel punto a suo favore: lui aveva avuto
modo di prepararsi
mentalmente, il biondo no; in quel momento il Grifondoro si
sentì molto
Serpeverde.
Draco
boccheggiava come un capodoglio spiaggiato: bello, elegante,
proporzionato, ben
vestito e ben pettinato, per carità! Ma pur sempre pesce
fuori dall’acqua.
-Cos…
Cosa?! Io… No! Come? No!-
-Bello
sfoggio di eloquenza, Malfoy. Allora per te va bene il letto vicino
alla porta?-
-Potter,
levati subito di testa questa puttanata di idea per cui divideremo la
stanza
per la notte!-
Potter
per tutta risposta allargò ancora il sorriso sulla sua
faccia.
-Non
vedo come potresti svicolare!-
-Io…
Io russo, ecco! Riesco perfino a svegliare Tiger e Goyle!-
-Perfetto!
Io ho degli incubi in cui sogno Voldemort e urlo come un pazzo! Vedrai,
sarà
bellissimo-, disse battendo le mani in una perfetta parodia di
sé stesso sotto
esaurimento nervoso.
Draco
avanzò a lunghi passi fino ad arrivargli davanti per
sventolargli un dito
minacciosamente davanti al naso.
-Prendi
il cazzo di letto che ti pare, Potty. Hai vinto una battaglia, non la
guerra-,
sibilò minaccioso, per poi dirigersi glaciale verso la
porta. Certo, la sua
uscita teatrale avrebbe sortito un migliore effetto, se non fosse stata
bloccata dal fatto che si trovava a più di tre metri da
Harry, per cui Draco
non riuscì per niente ad uscire e gli toccò
rimanere lì imbronciato a battere
un piede sul pavimento con fare impaziente, intanto che Harry
cominciava a
sganasciarsi dalle risate: si sentiva bene a tormentare Draco,
perché indispettirlo
era comunque meglio di niente.
Nell’immediato
il piano di Draco per vincere la sua guerra fu di rinchiudersi in un
ostinato,
astioso silenzio, con un’espressione immusonita; e tanti
saluti alla classe e
allo stile.
Ora,
Harry trovava la sua bocca imbronciata desiderabilissima e sexy, ma non
gli
parve il caso di dirlo ad alta voce.
Entrambi
sistemarono i bagagli e poi scesero al piano di sotto nel salone: il
Grifondoro
entusiasta davanti e il Serpeverde dietro, di malavoglia, alla distanza
massima
consentita dal contratto. Riunitisi agli altri, Harry prese posto in
una
poltrona, mentre Draco si lasciò sprofondare con mala grazia
in un divano lì
appresso, appoggiando le gambe sul bracciolo e distogliendo lo sguardo
verso
dei trofei appesi al muto, ostentando indifferenza verso quello che gli
accadeva intorno.
Il
resto del gruppo stava decidendo di scendere al fiume, anche quello
dentro la
tenuta, per imparare tutti insieme uno sport babbano che Michael aveva
proposto: si era detto convinto che sarebbe piaciuto agli altri
perché in parte
simile al Quidditch e aveva aggiunto di essersi portato dietro
l’equipaggiamento
per chiunque avesse voluto provare.
Il
biondo fece un commento a bassissima voce su sport babbani del cazzo,
ma lo
sentì solo Harry, perché andò perso
nella confusione della discussione mentre
il Corvonero spiegava le regole del baseball e gli altri facevano
domande.
Lo
spirito Grifondoro ebbe la meglio sugli altri, facendo optare Harry per
non
accodarsi al programma così da non rovinare il pomeriggio a
tutti, cosa che
sarebbe inevitabilmente accaduta se Draco fosse stato con loro; inoltre
voleva
stare con lui da solo il più possibile, perché
sentiva dentro di sé che questa
sarebbe stata la sua sola ed unica occasione per passare più
tempo possibile
con l’oggetto della sua concupiscenza: terminato quel fine
settimana sarebbe
terminato tutto. Si stava arrabattando il cervello per trovare una
scusa alla
loro defezione, quando tra i ragazzi trotterellò
l’unico elfo domestico rimasto
con loro, mentre gli altri erano tornati nella casa principale con la
signora
Zabini: era ben vestito ed aveva uno sguardo sereno e vivace. Fece un
piccolo
inchino a tutti e poi si rivolse a Blaise; mentre parlava il suo
sguardo era
carico di affetto e Harry si ricordò del racconto di
Hermione in cui gli
spiegava che in quella famiglia gli elfi venivano trattati bene e,
anche se non
erano pagati (del resto loro non avrebbero voluto), avevano condizioni
di
lavoro accettabili e indumenti dignitosi: il trucco per farglieli avere
senza
liberarli era di lasciare che li trovassero in giro per casa senza
donarli
loro.
-Padroncino
Zabini, questo è menù per la cena-,
esordì la creatura porgendo un foglio.
-Mi
fido di te, Ghisten-, lo rassicurò Blaise, sorridendo,
restituendo la carta
senza neanche guardarla.
L’elfo
prese a torcersi le mani con violenza.
-Però
io teme che cena sarà servita tardi, io deve ancora fare
tante cose per
prepararla-, confessò lamentoso.
Tutti
cominciarono a dire che non era un problema, che non si preoccupasse;
tutti
tranne Draco, che guardò l’esserino in silenzio,
alzando un sopracciglio.
L’elfo
si scusò e ringraziò, per poi ritirarsi verso la
cucina.
Harry
ebbe un’epifania: scattò in piedi.
-Ti
aiuto io, Ghisten!-, disse trionfante. Poi guardò Draco che
lo fissava a bocca
aperta. -Anzi, ti aiutiamo noi!-, aggiunse, agguantando il biondo per
un polso
e trascinandoselo dietro di peso, caracollante nel tentativo di
recuperare l’equilibrio.
Hermione
e Pansy si scambiarono un sorriso di intesa e poi incitarono gli altri
ad avviarsi.
Ghisten
era sull’orlo delle lacrime per quell’insperato
supporto, ma lo stesso fece un sacco
di cerimonie prima di accettare. Harry riuscì a spuntarla
solo perché lo
convinse che era l’elfo a fargli un favore, accettando il suo
aiuto.
Be’,
in una certa maniera era anche vero.
Draco,
nel frattempo, era rimasto alla massima distanza consentita: la cosa di
fatto
si traduceva nel Serpeverde appoggiato ad un muro, caviglie incrociate,
braccia
conserte e tempesta sul viso.
Harry
lo aveva ignorato, per il momento gli bastava che fosse lì
con lui e che
fossero soli. Chiese invece all’elfo cosa potesse fare:
questi riemerse dalla
dispensa con un grosso involto tra le braccia e lo poggiò
sul piano da lavoro,
in mezzo a barattoli di spezie e bottiglie di condimenti; a quel punto
guardò Harry
diretto negli occhi e chiese con rispetto se davvero padron Potter
sapesse
cucinare.
-Me
la cavo, mia zia mi ha spesso obbligato ad aiutarla-.
-E
padron Malfoy sa cucinare?-, domandò abbassando la voce in
un bisbiglio
dubbioso.
Draco,
sentendosi nominare ma non capendo il resto si avvicinò,
vinto dalla curiosità.
Harry
si abbassò verso un orecchio dell’elfo, che gli
ricordava tanto Dobby.
-Non
credo, ma non ti preoccupare: è qui solo per farmi
compagnia, gli impedirò di
fare disastri-, rispose con fare complice sussurrando. Poi si
rialzò, vedendo
che Draco era sopraggiunto. -Dimmi cosa vuoi che faccia, Ghisten-,
aggiunse con
un tono più alto.
-Padron
Potter può marinare il cinghiale, mentre Ghisten finisce di
pulire casa; poi
Ghisten torna e prepara la torta e cuoce il cinghiale e le patate,
sì, sì-,
propose andando via dalla cucina.
Così
Harry rimase davvero solo con Draco, ed un tocco di cinghiale davanti
da
marinare per la cena.
Guardò,
il biondo, gli scappò un sorriso genuino per la strana ed
intima situazione in
cui si trovavano e poi iniziò a studiare i barattoli per
scegliere quelli
giusti.
Forse
un gruppo di neuroni e sinapsi proiettò l’immagine
dei due insieme a preparare
la cena in una casa che apparteneva a loro, poco vestiti e in
confidenza: ma
erano neuroni e sinapsi cattivi, ed andavano ignorati.
Draco,
dal canto suo, era rimasto in silenzio più che aveva potuto,
deciso ad essere
spettatore passivo di tutto quel che accadeva, ma ad un certo punto la
sua ironia
proprio non ce la fece a restargli dietro la linea delle labbra.
-Potter,
davvero non capisco perché dovresti voler portare pezzi di
cinghiale morto al
mare e gettarcelo dentro-, commentò Draco trasudando
sdegnata perplessità. -Mi
sembra altamente antigienico, visto che lo dobbiamo mangiare-,
considerò
infine.
-Draco,
marinare non vuol dire mica buttare a mare-, ribatté il
moro, tentando di non
dare enfasi al fatto che l’altro avesse ripreso a parlare.
-È una cosa che si
fa con la carne per renderla più tenera e darle aroma-.
-E
come avrei potuto saperlo? Queste cose per me di solito le fa qualcun
altro: un
cuoco, un elfo…-
-Ma
non desideri essere indipendente nella tua vita?-, domandò
il moro, stupito ed
incuriosito, come se fosse una domanda pienamente lecita da fare a chi
aveva
evitato di parlarti fino a qualche secondo prima.
Draco
lo guardò come se gli fosse spuntata una seconda testa, e
per di più brutta.
-Economicamente
indipendente, vorrai dire. Mica culinariamente indipendente. Se
sarò molto
ricco e potente, e non vedo perché non dovrei esserlo,
basterà che io paghi
qualcuno che dipenda da me e mi marini il cinghiale-. Ci
pensò su un attimo e
sogghignò. -Potrei assumere te-.
Harry
lo guardò storto, ma Draco proseguì nella sua
ironica e assurda fantasticheria
senza badarci.
-Nel
caso che tu non venga sconfitto dall’Oscuro Signore,
trionferai e sarai
osannato. Però la gloria ti darà alla testa,
diventerai instabile e finirai
internato al San Mungo per aver aggredito dei disgraziati bambini che
ti
chiedevano un autografo; dopo qualche anno ne uscirai per scoprire di
essere
rimasto solo al mondo e povero perché il Ministero
avrà confiscato tutti i tuoi
beni. Allora, disperato, ti rivolgerai a me per avere un impiego; io,
nella mia
magnanimità, ti concederò di marinarmi il
cinghiale e lustrarmi le scarpe,
debitamente inginocchiato ai miei piedi-.
Parve
soddisfatto della sua fantasia e rivolse una smorfia
all’altro, una smorfia di
scherno e superiorità.
-Preferirei
spulciare un lupo mannaro con la lingua che stare sotto di te-,
ribatté secco
Harry di getto.
Fu
subito lampante che entrambi avevano interpretato “stare
sotto di te” in una
maniera che niente aveva a che fare con cinghiali e scarpe ed
assunzioni
lavorative: si guardarono ad occhi sgranati, con le pupille
istantaneamente
dilatate per lo scatto immaginativo. Nella fattispecie, Draco
visualizzò Harry
inginocchiato davanti a lui a prenderglielo in bocca e Harry si
immaginò
riverso sul tavolo con Draco sopra che gli faceva cose che non sapeva
nemmeno
bene se fossero compatibili con le leggi anatomiche umane.
Dimenticandosi
del contratto magico ciascuno dei due tentò di scappare
precipitosamente via
dall’altro per sottrarsi all’imbarazzo, ma
raggiunta la distanza massima
vennero riattratti tra di loro come se fossero legati da un
potentissimo
elastico, con il risultato di sbattere violentemente uno addosso
all’altro e
cadere rovinosamente a terra.
Rimasero
lì, a guardarsi senza saper che fare, in preda ad una
galoppata ormonale ma
ognuno reticente ad agire per i propri motivi: Harry per paura di
essere
respinto e deriso, Draco per aver male interpretato la recita di Harry
quando
gli aveva scritto che quella cosa successa ad
Hogsmeade non aveva
significato niente.
Quel
momento sarebbe durato ancora in eterno, o forse si sarebbe risolto in
qualcosa
di più piacevole, se Ghisten non avesse inopportunamente
scelto di rientrare in
cucina per iniziare a preparare da mangiare: non mostrò di
aver notato i due
sul pavimento o, se lo aveva fatto, non sembrò reputarlo
degno di stupore.
-Bravo,
padron Potter! Io ora porta il cinghiale di là e mette al
fresco fino a che non
arriva l’ora di cuocerlo! Grazie, amici di padroncino
Blaise!-, comunicò trotterellando
fuori dalla stanza.
E
l’attimo magico era passato: il Serpeverde si era tirato su.
-Potter,
basta giocare allo sguattero! Io voglio divertirmi con gli altri!-,
proruppe
sgarbato. Fare i capricci aveva risolto molti dilemmi nella sua vita,
forse
sarebbe andato bene anche con questo.
Tuttavia
Harry, aveva notato che Draco aveva il respiro un po’
affannato e che gli
voltava le spalle con troppa convinzione ed un filo ingobbito:
intuì cosa ci
fosse dietro a quella scena. Lo intuì perché lui
aveva passato mesi a tentare
di dissimulare le sue erezioni.
Una
flebile scintilla di speranza baluginò in fondo al suo
animo: forse Draco non
lo voleva, ma forse non lo schifava neanche.
In
ogni caso aveva ottenuto il suo scopo: smuoverlo da
quell’apatico malumore e dal
silenzio cocciuto.
-Bene,
allora, prendiamo le scope e raggiungiamo gli altri che sono scesi al
fiume da
un po’-, propose Harry: Blaise gli aveva spiegato che la
villa era in mezzo a
una vasta tenuta di proprietà della famiglia Zabini e
protetta da incantesimi
che impedivano ai Babbani di entrarvi e di vedervi dentro; per cui non
c’erano
problemi a volare sui manici di scopa, a patto che non fosse troppo in
alto.
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