Prologo
Ogni granello di sabbia del grande deserto era arroventato dal calore
del sole di mezzogiorno. Ai margini di Koraha, l’enorme
distesa di dune che copre buona parte del territorio a ovest di Tan, e
dalla quale pochi esseri viventi sono riusciti a uscirne indenni,
spesso si radunavano dei vagabondi senza fissa dimora: chi viaggiava
per avventura, chi lavorava come mercante di schiavi e non poteva
permettersi un alloggio nelle grandi città, qualcuno
perché era rimasto da solo al mondo, altri perché
condannati all’esilio nel deserto e si erano salvati per puro
miracolo. A quel tempo ero un ragazzino, portavo ai polsi delle grosse
catene di ferro che in quell’ambiente mi ustionavano la
pelle, e dovevo lavorare senza riposo per sistemare la carrozza del mio
padrone cui si era rotta una delle ruote per colpa del troppo peso.
Eravamo tanti con le mani legate, rei soltanto di essere nati
sfortunati. In uno dei pochi momenti in cui il mio padrone ci dava
tregua, certo non per carità, ma perché morendo
non saremmo stati di nessuna utilità per lui, guardai per
caso davanti a me. In lontananza, nel pieno del deserto, vidi una
figura umana che lentamente si avvicinava al nostro bivacco e pensai di
essere testimone della salvezza di uno dei pochi sopravvissuti
all’inferno di Koraha, ma più si avvicinava e
più rimanevo stupefatto da quella persona che indossava una
veste blu sormontata da un enorme mantello nero. Tutti rimanemmo in
silenzio, quell’uomo, caracollando, superò
l’ultimo strato di sabbia rovente e stramazzò a
terra finendo sui sassi levigati che delimitano Koraha e
l’oasi di Oazo.
L’Imperatore dei Cinque
Regni – Guerre
1° capitolo
– L’uomo scampato al
deserto
«Lo stupore fu generale perché tutti conosciamo
perfettamente la nostra Leggenda tramandata da generazioni,
vero?»
L’uomo anziano dalla lunga barba bianca osserva tutti i
bambini che sono seduti ai loro banchi e nota il terrore nei loro
occhi. Sorride, è consapevole che sono troppo piccoli
perché conoscano nei particolari la Leggenda, e la giornata
di studio di oggi è programmata proprio per raccontare il
Mito.
«Ebbene cari bambini, le cronache imperiali, la tradizione
popolare e i testi più antichi, ancora oggetto di studio da
parte dei nostri eminenti scienziati, narrano le gesta
dell’uomo dalla folta capigliatura e dalla barba lunga e
bionda, che indossava una veste azzurra con un mantello nero e che in
pieno giorno uscì dal deserto, per poi diventare la guida
dell’intero genere umano. Il leggendario Atua, primo di
questo nome, raccontò alle persone che lo videro per la
prima volta che non rammentava da dove provenisse, ma che aveva ancora
bene in mente le grandi nuvole bianche che attraversò mentre
cadeva verso il basso, prima di finire nelle acque gelide del Mare del
Nord. Lì sconfisse i terribili mostri marini e la loro
perfida e astuta Regina, Kwakhala, ma si amareggiò per
questo evento perché odiava la guerra, così
lasciò in vita la sua avversaria e le fece promettere di non
attaccare mai più le piccole imbarcazioni di pescatori che
attraversavano quel mare soltanto per trovare del cibo che sulla terra
ferma scarseggiava. Dove regnava la guerra da così tanti
anni, che neppure i governanti riuscivano più a ricordare,
Atua portò la pace senza brandire mai
un’arma, insegnò che con la collaborazione ogni
regno poteva prosperare utilizzando le proprie ricchezze come
sostentamento o merce di scambio, e convinse ogni Re a tramutare le
armi di distruzione del presente in mezzi per costruire il futuro.»
I bambini hanno ascoltato in silenzio e i loro occhi sembrano brillare
ogni volta che il maestro racconta leggende e miti del loro mondo. Uno
di questi piccoli studenti solleva la mano nel brusio generale.
«Dimmi giovanotto, che cosa vuoi sapere?» chiede
l’uomo barbuto.
«Maestro, ma lei è così vecchio che ha
conosciuto Atua, primo del suo nome?»
L’uomo sorride divertito. «Pensi che io sia tanto
anziano?» risponde facendo ridere tutti gli alunni.
Il bambino arrossisce, e il maestro, che di certo non vuole deluderlo,
spiega: «No, non avevo incontrato il Leggendario imperatore
dei Cinque Regni. Quello era un semplice uomo come lo sono io e come lo
diventerai anche tu. Era sfuggito alla morte che porta con
sé il deserto di Koraha, era una persona che fu esiliata in
quell’infernale posto perché ritenuto colpevole di
crimini così grandi da non essere perdonati da nessuno,
neppure dall’Imperatore. Destò stupore
perché assomigliava molto al Leggendario, ma egli non
portava la pace dentro il suo cuore, anzi, il suo animo era stato
distrutto da anni di guerre, da perdite immani e da delusioni cocenti,
anelava la vendetta e non si sarebbe mai fermato davanti a niente o a
nessuno per consumarla. Egli sapeva bene che raggiungendo il bivacco di
Oazo sarebbe diventato un reietto come tutti noi che vi soggiornavamo
per un giorno o per un anno, comprendeva che soltanto l’odio
non gli avrebbe permesso di raggiungere il suo obiettivo e nel corso
della sua vita imparò nuovamente a essere un uomo e non solo
un animale ferito e in fuga.»
Il bambino nota la passione con cui l’anziano maestro parla
di questa persona e domanda prontamente: «Maestro, come si
chiamava quest’uomo?»
L’anziano maestro si siede sulla sua soffice sedia di paglia,
passa la mano sulla sua lunga barba bianca, mentre con lo sguardo
osserva il volto del bambino, ma anche di tutti gli altri alunni.
Sospira così profondamente da far muovere le penne ancora
intinte nel calamaio, le sue labbra si arcuano in un sorriso
compiaciuto mentre i suoi occhi iniziano a brillare; forse
più di quello dei bambini che ha davanti a sé. Il
maestro, in cuor suo, sperava che il suo incipit attirasse
l’attenzione e che spingesse ogni suo alunno a domandarsi chi
fosse quella persona scampata alla morte di cui lui stesso ne ammirava
le gesta. Il bambino guarda i suoi compagni cercando di capire se ha
fatto un errore, ma anche gli altri sono in attesa della risposta del
maestro che pare non giungere mai, poi, con uno scatto
d’altri tempi, l’anziano maestro si leva in piedi,
raccoglie dal tavolo una piccola campanella e la suona con vigore.
«Piccoli miei, oggi è una bella giornata e quindi,
siccome sono io che comando, ho deciso che la lezione si
terrà all’aperto!»
Tutti i bambini scattano in piedi felici, il baccano scuote le
fondamenta stesse della scuola, l’anziano maestro apre la
porta e tutti gli alunni corrono fuori direttamente verso il giardino
fiorito. Tutti tranne uno. Il bambino che ha posto la domanda
è rimasto incollato vicino al suo banco e osserva
l’uomo senza parlare; il maestro gli regala un sorriso
così grande da fargli vedere ogni singolo dente che gli
è rimasto in bocca, gli si avvicina e appoggia la sua mano
ossuta sul suo capo. «Sai, l’uomo scampato dal
deserto mise anche a me la sua mano sulla testa e mi sorrise, proprio
come sto facendo ora io a te, ma adesso non ti dirò il suo
nome. Usciamo insieme ai tuoi compagni e sotto l’Albero del
Mondo vi racconterò tutta la sua storia, fin dal
principio.»
N.d.A.
Il racconto che avete letto fa parte di una storia formata da otto
capitoli che non avranno una cadenza precisa per la pubblicazione.
Questa storia farà parte di una serie di tre, tutte formate
da otto capitoli, che si dipaneranno attraverso le tracce impostate
dalla challenge creata da molang sul forum di EFP.
Spero che gradiate questo grande racconto fantasy e sarò
lieto di rispondere ai vostri commenti, sia inerenti alla storia sia ai
sicuri errori che commetterò nel corso di questi
ventiquattro capitoli.
Grazie a tutti.
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