Hold me close, smother me di Soul Mancini (/viewuser.php?uid=855959)
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Hold me close
Me ne stavo
là, con la schiena contro il possente fusto di
una quercia e il groviglio di rami a nascondere la luna sopra di me;
nelle mie
narici penetrava l’ormai familiare odore di muschio e
umidità, mentre ascoltavo
il piccolo ruscello torbido gorgogliare a qualche passo da me. Le
sterpaglie
pungevano e ferivano i miei piedi nudi, ma non importava.
Non era da me
staccarmi dal branco e trascorrere intere ore
da solo, soprattutto non era quello l’atteggiamento giusto
per diventare il
futuro maschio alfa; in altre circostanze ci avrei fatto più
caso, ero nato per
dominare e nel corso degli anni precedenti avevo lottato per ottenere
il
rispetto di tutti, ma in quel momento avevo ben altro per la testa.
Lo aspettavo.
Lo attendevo al buio,
dove sapevo che prima o poi sarebbe
giunto, contro ogni legge e ogni morale che regolava il nostro mondo.
E infatti il suo odore
fresco e pungente lo precedette,
ancor prima del sottile fruscio delle foglie alle mie spalle; lo
conoscevo
abbastanza bene da sapere che si stava districando abilmente tra le
fronde
fitte, di ramo in ramo. Alla sola idea di rivederlo e averlo
così vicino, il
mio corpo reagì immediatamente: un’ondata di
calore diffusa dal mio basso
ventre mi travolse, mentre il mio stomaco si contorceva e mi
costringeva a
reprimere un forte conato. Erano sensazioni dolorose e bellissime allo
stesso
tempo, con cui ormai avevo imparato a convivere.
Mi voltai appena e
scorsi subito nella penombra una chioma
dorata e luminosa, unico punto di luce in quella figura slanciata
totalmente
abbigliata di nero. Qualche istante dopo misi a fuoco anche il suo viso
pallido
e constatai che i suoi enormi occhi dalle iridi viola mi stavano
già scrutando,
divorando, esplorando.
“Ciao,
lupacchiotto” mormorò suadente, prendendo posto su
un
sottile ramo – che tuttavia non si spezzò e non si
flesse – ad appena un metro
sopra di me.
Ricambiai il suo
sguardo con malizia. “Ciao, Joe.”
Lui sorrise e i suoi
canini appuntiti, di un bianco
cangiante, brillarono sotto la debole luce della luna. A quella vista
non potei
fare a meno di rabbrividire; la mia natura da licantropo mi suggeriva
che mi
trovavo in pericolo e dovevo fuggire, ma mi imposi di stare fermo e
mantenere
la calma.
Sapevo che anche Joe
stava provando le stesse sensazioni,
infatti mi lanciò un’occhiata di disprezzo prima
di tornare a concentrarsi con
avidità sui lineamenti del mio viso e sui miei muscoli tesi
e guizzanti.
Eravamo
così, era il nostro destino: anime dannate di due
specie rivali, che non si sarebbero mai potute conciliare, portate per
natura a
respingersi ma attratte da un desiderio insaziabile.
“Anche oggi
mi aspettavi” insinuò il biondo in tono basso.
“E tu anche
oggi sei venuto da me” ribattei, sedendomi con
noncuranza sull’erba intrisa di rametti e ciottoli.
“Mah, ero di
passaggio da queste parti…”
Non ne potevo
più di stargli lontano, stavo impazzendo,
volevo sentirmelo addosso. “Ci metti molto a scendere da
lì, draculove?”
incalzai con impazienza.
Lo osservai mentre
temporeggiava e si stiracchiava con
movimenti lenti e studiatamente provocanti, poi fece oscillare le gambe
penzoloni un paio di volte, mi rivolse un’occhiata ardente e
balzò giù,
atterrando con grazia a circa un metro da me; era semplicemente
stupendo, con
le mani bianche e dalle dita affusolate premute sul terreno e qualche
foglia
scura incastrata tra i capelli lunghi e ondulati.
Tuttavia mi venne
spontaneo scattare indietro di qualche
centimetro e mettermi all’erta, mentre la mia natura di lupo
mi imponeva di attaccarlo.
Oh, sì,
l’avrei fatto… ma in maniera totalmente diversa.
Preso da
un’eccitazione incontrollabile, mi fiondai su di
lui e lo spinsi in modo che atterrasse supino, poi presi a
mordicchiargli
voracemente il collo candido e gelido.
Joe era
così, era freddo, tanto leggero da sembrare
inconsistente, eppure sprigionava una forza e un ardore che mai avevo
visto in
un altro vampiro.
Lo sentii mugolare al
contatto con le mie labbra e i miei
denti e spingere con forza il bacino contro il mio, ma io sapevo che in
quel
suono gutturale c’era anche una punta di dolore. Io gli
facevo male, così come
lui faceva male a me.
Feci scorrere una
delle mie mani lungo il suo fianco e sul
suo bacino, fino ad arrivare all’inguine; ma a quel punto,
sollevando il busto
in maniera decisa, Joe si liberò dal peso del mio corpo e mi
spinse via con
foga. Col fiato corto e gli stomaci in subbuglio, rotolammo per terra
avvinghiati fino a giungere a pochi centimetri dal ruscello, con le
schegge di
legno che si infilzavano nei nostri vestiti. Era una sorta di lotta, la
nostra:
lo respingevo con disgusto e l’attimo dopo lo stringevo
convulsamente a me, e
lui faceva altrettanto.
Fu il suo turno di
dominare: mi immobilizzò con la schiena a
terra e si mise a cavalcioni su di me, premendo la sua eccitazione
pulsante
contro la mia. Per un istante la vista mi si appannò e
strinsi i pugni con
forza, mentre espiravo profondamente; volevo solo liberarmi dagli
indumenti che
ci separavano.
“Oh Dom, che
triste destino ci è toccato” sospirò
con fare
affranto, prima di fiondarsi sulle mie labbra e baciarle con passione e
desiderio. Fece scivolare la sua lingua contro la mia e io dovetti
strizzare
gli occhi, quell’intrusione era così sbagliata e innaturale! Preso da un
moto di repulsione, gli morsi la lingua con forza, ringhiando appena e
irrigidendo i muscoli del corpo; lui si lasciò sfuggire un
gemito e scattò
all’indietro, ma poco dopo le sue labbra sottili erano
increspate in un
sorrisetto beffardo.
“Qui sono io
che mordo, intesi?” Detto questo, affondò il
viso nell’incavo del mio collo e prese a marchiare la mia
pelle rovente con le
sue labbra gelide, provocandomi brividi in tutto il corpo.
Ma fu quando sentii la
pressione dei suoi denti aguzzi che
mi liberai in un grido e lo spinsi via con forza, in maniera tanto
violenta che
per poco non si schiantò contro il tronco della quercia
dalla quale era sceso
poco prima. I suoi canini, per il mio lato ferino, erano veleno puro,
mentre la
parte umana non attendeva altro: mi sarebbe bastato solo qualche altro
morso
per raggiungere l’apice del piacere senza che Joe facesse
nient’altro.
Era frustrante doversi
interrompere sul più bello.
Mentre ancora lo
fissavo in cagnesco e il mio petto si
gonfiava e sgonfiava con foga, Joe si rimise seduto come se niente
fosse,
incrociò le gambe e sbatté le ciglia un paio di
volte nella mia direzione.
“Sarei
voluto nascere umano per poter essere morso da te”
ammisi, mentre i miei muscoli cominciavano a rilassarsi e sciogliersi
nuovamente, complice la sua momentanea lontananza. Ero distrutto,
quella lotta
interiore mi prosciugava ogni volta.
“Se tu fossi
un umano, saresti già morto” constatò
in tono
piatto.
“Mi sarei
volentieri lasciato uccidere da uno come te.”
Lo osservai con
attenzione mentre stirava le braccia verso
l’alto, per poi lasciar ricadere le mani sul grembo
– due graziose gemme chiare
sulla sua maglia nera.
Ancora una volta
l’attrazione fatale ebbe la meglio e mi
avventai su di lui, costringendolo a sdraiarsi al mio fianco. Sentivo
chiaramente il suo odore di vampiro, sapeva di umidità e
d’inverno, e
quell’odore mi disgustava e mandava sottosopra il mio
stomaco, ancora e ancora.
Ma resistetti e non cedetti al forte impulso di allontanarmi, nemmeno
quando
insinuai le mani sotto la sua maglia ed entrai in contatto con la sua
pelle
fredda, tanto da scottare sui miei polpastrelli. Lasciai correre questi
ultimi
sulla sua schiena e sui suoi fianchi, fino ad arrivare al bordo dei
suoi
pantaloni.
Joe intanto non
perdeva quell’accenno di sorriso malizioso,
anche se i suoi occhi trasudavano dolore e sofferenza. Quando strinsi
le mani
attorno ai suoi glutei, si morse il labbro e roteò gli
occhi. “Okay Dom, sono
queste le regole del gioco?” ansimò, poi mi
posò una mano sul petto e la fece
scorrere lentamente verso il basso, fino alla zip dei miei jeans. La
aprì e,
senza neanche darmi il tempo di prendere fiato, prese a giocare con la
mia
eccitazione.
A quel punto mi
lasciai sfuggire qualcosa simile a un ululato,
un suono che – lo sapevo – alle orecchie di Joe era
fastidioso e stridente;
infatti notai che digrignava i denti e rafforzava la stretta sul mio
membro,
come reazione spontanea al mio latrato.
Non c’erano
parole per descrivere il piacere inebriante e
totale che stavo provando, che mi faceva tremare e fremere senza
ritegno, ma
anche quella volta il mio istinto da licantropo voleva dire la sua:
presi a
divincolarmi e a contorcermi, conficcando le unghie nelle braccia di
Joe e
tentando di respingerlo, ma lui mi teneva fermo con una presa salda e
ferrea,
manifestando tutta la forza che quel suo corpo aggraziato poteva
sprigionare.
“Joe…”
ansimai, sapendo che ben presto il mio corpo avrebbe
potuto reagire in due modi ben diversi, solo ancora non sapevo quale
dei due
sarebbe arrivato prima.
Lui continuava a
stimolare il mio punto più sensibile,
mentre teneva le labbra semiaperte e gli occhi chiusi nel tentativo di
concentrarsi e non respingere la mia vicinanza. Sapevo quanto stesse
soffrendo
e si stesse sforzando.
Lottai e lottai contro
il mio lato ferino, mentre ondate di
piacere mi destabilizzavano con un’intensità
crescente.
Ma alla fine non ce la
feci, non resistetti: morsi con forza
la spalla di Joe, così forte che lo sentii gridare, mentre
le mie ossa
prendevano a pizzicare e deformarsi.
Joe, colto alla
sprovvista da un dolore lancinante, si
allontanò di scatto, allentando subito la presa su di me.
Per un attimo mi
scordai della sua presenza, dei graffi che
la sterpaglia aveva lasciato sulla mia pelle, del luogo in cui mi
trovavo:
esistevamo solo io, il mio corpo che mutava e la luna appesa in cielo e
nascosta dagli alberi.
Le mie ossa si
scolpivano come sabbia, si irrobustivano e
ingrandivano, mentre la mia pelle si ricopriva di pelo folto e nero; i
miei
vestiti si strapparono, incapaci di contenermi, ma io sentivo
ugualmente caldo,
mi sentivo come acciaio bollente che si liquefaceva. Presto mi sarei
sfreddato
e solidificato, proprio come l’acciaio, ma con
un’altra forma.
Mentre i miei tratti
da lupo si facevano sempre più
evidenti, gettai uno sguardo a Joe: si era ripreso ed era saltato sul
tronco di
un albero là vicino, a distanza di sicurezza,
perché ormai sapeva che in
circostanze del genere non era il caso che mi ronzasse troppo attorno.
Dopotutto ero felice che si mettesse al sicuro.
Una volta ultimata la
mia trasformazione, levai il muso al
cielo e la mia gola venne scossa da un lungo e profondo ululato, come
di
consueto.
Joe si
tappò le orecchie con le mani e la scena mi
divertì
parecchio, se fossi stato nella mia forma umana avrei ridacchiato.
Invece in
quel momento non potevo che tenere lo sguardo fisso su di lui, puntarlo
come
fosse la preda più appetitosa al mondo. Per fortuna il mio
lato umano mi
permetteva di avere il controllo ed evitare di attaccarlo e farlo fuori.
“Sai, Dom,
è davvero uno spettacolo,” ammise il biondo con
fare pensoso, poggiando il mento sul palmo di una mano, “tu sei uno
spettacolo, sei bellissimo in qualsiasi forma.” Detto questo,
si mise in piedi
sul tronco e mi sorrise appena, lasciando brillare ancora una volta i
suoi
canini appuntiti. “Ci vediamo nei prossimi giorni per
terminare ciò che abbiamo
lasciato in sospeso… si spera” concluse, per poi
voltarsi e scomparire oltre i
fitti rami.
Il mio olfatto, ancora
più accentuato dopo la mutazione, mi
permise di fiutare le sue tracce per metri e metri, finché
anche quelle non
scomparvero del tutto. Ormai era andato via, ero rimasto solo.
Scrollai il capo nel
tentativo di sistemare il pelo
arruffato, poi con un agile balzo saltai oltre il ruscello e presi a
correre,
lasciandomi quel rigagnolo d’acqua alle spalle. Ora ero
pronto a ricongiungermi
al mio branco, anche se quella notte non ero pienamente soddisfatto.
Ero sempre io:
un’anima dannata e destinata a mischiare
dolore e piacere, racchiusa in un corpo muscoloso, guizzante e
possente, che
saettava tra gli alberi e si confondeva con
l’oscurità.
♠
♠
♠ ♠ ♠
Non so davvero da dove sia balzata fuori quest’idea
bizzarra, ma mi andava di mettermi alla prova con qualcosa di diverso e
ho
optato per il sovrannaturale, chissà perché.
Forse perché in questo periodo mi
sto un pochino fissando con i licantropi e vorrei leggere qualche libro
su di
loro, anche se quelli a mia disposizione in casa li ho già
tutti letti XD e
forse perché quel “draculove” in Forever
& Ever More mi ha sempre
dato da pensare! E così ho avuto
l’opportunità di tornare in questa categoria
con una Joeminic, dato che era da tanto che lo volevo fare.
E a proposito di Forever & Ever More… il titolo
della storia è tratto dal testo della canzone, ovviamente, e
qui il
“soffocamento” è inteso in maniera
figurata – i due vogliono stare vicini, ma
questa vicinanza li ‘soffoca’, o almeno la parte
vampiresca e ferina di loro ^^
Spero di non avervi confuso le idee e aver spiegato
abbastanza bene la situazione di attrazione/repulsione che intercorre
tra
questi personaggi, altrimenti sentitevi autorizzati a bacchettarmi e
correggermi, per questo come per qualsiasi altra imprecisione nella
storia!
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e spero con tutto il
cuore che questa categoria possa continuare a crescere – di
certo questa non è
l’ultima volta che mi vedrete da queste parti :3
Alla prossima!!! ♥
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