In deep waters html
In deep waters, you’re my anchor
«If it all falls apart
And if this thing goes wrong
Oh put me back together
However you want»
(Nothing But Thieves – Particles)
Ero intrappolato in una fase di dormiveglia che di ristoratore non
aveva nulla, tremavo senza capire quale fosse la reale ragione. Se solo
ne avessi avuto la forza, avrei sgranato gli occhi e mi sarei alzato,
abbandonando quella claustrofobica cuccetta. Incredibile quanto un
semplice e banale materasso potesse sembrare soffocante e avvolgente,
al contatto con la mia pelle percorsa da brividi.
Stavo malissimo.
“Conor.” Un sussurro giunse alle mie orecchie e avvertii una mano posarsi sulla mia fronte.
D’istinto mi ritrassi e mi rannicchiai ancora di più su me
stesso. Mi sentivo già soffocare così, non volevo essere
toccato.
“Conor, ehi. Sono Phil.”
A quelle parole, mormorate dolcemente a pochi centimetri dal mio
orecchio, il mio cuore perse un battito; Philip era con me, si era
accorto che non stavo bene, ma ora che era al mio fianco tutto si
sarebbe sistemato.
Spalancai gli occhi e misi subito a fuoco la sua figura scura immersa
nella penombra, mentre lui mi accarezzava i capelli con delicatezza,
col solo intento di tranquillizzarmi.
Solo allora mi resi conto che stavo ansimando, respiravo a fatica e
probabilmente lo avevo svegliato per questo motivo. Mi sentivo in
colpa, da quando eravamo partiti in tour avevo causato soltanto
problemi ai miei compagni di band; Philip tra tutti era colui che
prendeva maggiormente a cuore la mia situazione, lui che era
così apprensivo.
L’avevo svegliato anche quella notte.
“Phil… portami fuori di qui” mugolai, sporgendomi appena verso di lui.
“Shh” mi intimò, scostando la mano dai miei capelli
per posarmi un dito sulle labbra. “Altrimenti sveglierai anche
gli altri. Ti aiuto a uscire.” Detto questo, si lasciò
sfuggire un sorriso che – notai nonostante fossimo immersi
nell’oscurità – fece emergere quelle sue tipiche
fossette sulle guance, che io tanto adoravo e non mi stancavo ami di
guardare.
Mi aiutò a sgusciare fuori dalla cuccetta e, non appena i miei
piedi sfiorarono il pavimento freddo, mi sostenne subito circondandomi
le spalle con un braccio; mi rannicchiai subito contro il suo petto
ampio, godendomi quel contatto che non aveva nulla di claustrofobico.
Philip era l’unico, col suo fare protettivo e rassicurante, a
placare le mie ansie e i miei demoni.
“Hai bisogno di prendere un po’ d’aria, te la senti
di uscire?” soffiò il bassista tra i miei capelli, poi mi
attirò più vicino a sé e passò più
volte le mani sulle mie braccia per tentare di scacciare i brividi.
Mi bastò gettare un’occhiata intorno a me per farmi
sopraffare dalla nausea e la disperazione: da infinite settimane ormai
vivevamo in quel dannato tour bus, io non ero riuscito a farci
l’abitudine e ora la sola vista di quell’ambiente mi
metteva ansia. Non avrei mai oensato che partire in tour sarebbe stato
così complicato.
Affondai il viso nel petto di Philip nella speranza che tutto il resto
scomparisse, inspirai il suo profumo e mi aggrappai a lui come fosse il
mio unico punto d’appiglio.
Mi accorsi a malapena, tanto ero scombussolato, che il bassista mi
trascinava verso l’uscita del tour bus; sentii solo
distrattamente la voce di Joe che chiedeva cosa fosse successo, mentre
Philip lo rassicurava e gli intimava di tornare a dormire.
Mi riscossi soltanto quando l’aria fresca della notte mi
schiaffeggiò il viso. La inspirai a pieni polmoni, sentendo
finalmente quel fastidioso nodo alla gola sciogliersi e il cuore
rallentare i suoi battiti. Nel frattempo stringevo convulsamente la
mano di Philip, come a volergli comunicare di non lasciarmi.
Lui mi strattonò leggermente per un braccio e mi avvolse in un
caldo abbraccio, per poi posare le labbra sulle mie con delicatezza e
trasporto. Quando ci separammo, puntò i suoi occhi scuri nei
miei con l’intento di leggervi il mio stato d’animo; nel
frattempo mi teneva stretto, sorreggendo il mio corpo debole e
proteggendolo dal freddo.
“Va meglio?” mi chiese.
Annuii. “Grazie. Ho avuto nuovamente quell’ansia e…
non riuscivo a dormire” biascicai, la voce rotta dalla stanchezza
e dall’esasperazione.
“Hai preso di nuovo quelle pastiglie?” Philip parlò
in tono estremamente serio, guardandomi negli occhi, e io mi sentii
morire. Non potevo mentirgli.
“Io… sì, solo una.”
“Lo sai che ti fanno male” mi rimproverò allora, facendosi cupo.
Scrollai le spalle. “Non riesco a dormire, sento addosso un sacco
di pressione e non posso andare avanti così, siamo in tour e
devo cantare quasi ogni sera, se non dormo e non mi
riposo…” presi a giustificarmi con una leggera punta di
isteria nella voce, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.
Non feci in tempo a dire altro, Philip mi zittì posando
nuovamente le labbra sulle mie. “Non mi piace che tu faccia abuso
di queste medicine: sonniferi, ansiolitici… hai visto che non
risolvono niente? Oggi non sei comunque riuscito a dormire.”
Mi scostai appena da lui e mi passai una mano sugli occhi con un gesto
veloce, cercando di ricacciare indietro le lacrime. “Cosa vuoi
che faccia allora? Da quando siamo partiti sto sempre peggio.”
Philip si addossò alla parete esterna del tour bus e mi
invitò ad accoccolarmi contro di lui. Non me lo feci ripetere
due volte e posai la testa sulla sua spalla, lasciandomi circondare
dalle sue forti braccia; lui mi accolse col suo solito profumo e
cominciò a lasciarmi dolci baci sui capelli.
“Devi avere pazienza, Conor” disse dopo qualche istante di silenzio. “Il tempo può risolvere molti problemi.”
“Ma quelli che il tempo non può risolvere, li dobbiamo risolvere da soli.
Ho aspettato, ho provato a convincermi che andasse tutto bene, ma alla
fine sono stato costretto a ricorrere alle medicine. Il fatto è
che… non sono efficaci neanche quelle” ammisi con un
sospiro rassegnato. “Ho sempre l’ansia, dormo un’ora
ogni notte e nemmeno tanto bene. Se continuo di questo passo, non
riuscirò a portare a termine il tour, non posso vivere
così.” A quel punto non potei impedire a una lacrima di
rigarmi il viso. Ciò che stavo dicendo mi faceva male, rischiavo
di rovinare il nostro sogno e l’ultima cosa che avrei voluto era
deludere i miei compagni di band.
“Guardami” mi ordinò Philip in tono fermo, ma sempre
venato da una nota di dolcezza. Adoravo quest’inflessione della
sua voce, che gli impediva di essere brusco.
Sollevai il capo e, mentre incrociavo il suo sguardo, lui ne
approfittò per asciugarmi la goccia solitaria che mi solcava la
guancia.
“Cosa ti manca esattamente? Perché lontano da casa non riesci a stare bene?”
“Perché… perché sono debole, non sopporto i
cambiamenti e… vi sto per deludere tutti.” L’ultima
parola venne soffocata da un singhiozzo.
Nessuno poteva capire quanto mi sentissi amareggiato e incazzato con me stesso, nemmeno Philip, la persona che amavo.
“Non ti basto io? Perché quando stai male non vieni da me,
Conor? Se hai bisogno di piangere io ci sono, se hai bisogno di parlare
possiamo farlo, se non riesci a dormire ti ospiterò nella mia
cuccetta e ti farò poggiare la testa sul mio petto, ti
accarezzerò i capelli, farò ciò di cui hai
bisogno. Voglio essere io la tua medicina.”
Quelle parole, pronunciate all’inizio in tono esitante e poi
sempre più sicuro, mi sciolsero il cuore. Philip non era il tipo
da discorsi strappalacrime e dolci, a lui costava fatica esporre in
quel modo i suoi sentimenti e preferiva di gran lunga dimostrarli;
però si era sforzato per me, perché sapeva che avevo
bisogno di sentirmi dire tutto ciò.
Senza riuscire a smettere di piangere, lo strinsi forte a me e mi
aggrappai in maniera quasi disperata al suo corpo. Lo amavo, lo volevo
sentire vicino e mostrargli tutta la mia gratitudine.
Non mi aveva detto esplicitamente di non mollare, ma mi aveva fatto
intendere che aveva fiducia in me e che sarebbe sempre stato al mio
fianco.
“Lo farò per te. Ci proverò” sussurrai con voce rotta.
Mi tranquillizzò a furia di baci e carezze, la sua vicinanza fu
davvero terapeutica: non tremavo più, respiravo regolarmente e
nel mio cuore si era volatilizzata ogni traccia d’ansia.
“Ehi” mormorò dopo l’ennesimo bacio sulle
labbra. “Che ne dici di rientrare e provare a dormire?”
“Insieme?”
“Insieme.”
Mi sporsi per lasciargli un altro bacio. “Va bene, proviamoci.”
“Ora non hai più voglia di mollare tutto?”
Gli strinsi forte le mani tra le mie e sorrisi appena. “No, a meno che non decida di mollare anche tu.”
♥ ♥ ♥
Ed eccomi col mio ennesimo esperimentino triste/fluff/strappalacrime XD
Devo
ammettere che ultimamente non stavo scrivendo tanto, questa storia
è servita più che altro per uscire da un periodo di mezzo
bloco che ho avuto, quindi mi scuso se è molto cliché e
se la qualità non è tra le più alte!
E poi
era da tanto che volevo parlare dell’argomento ansia/insonnia di
Conor… e fare una shottina con la Phinor, dato che è una
delle mie coppie adorate del fandom *-*
Quindi,
piccole spiegazioni per chi non ha familiarità coi personaggi
– mi scuso già da ora se saranno lunghe, se non ne avete
voglia potete sorvolare!
Conor
ha parlato in diverse occasioni dei suoi problemi riguardanti
l’andare in tour, soprattutto per quanto riguarda quello del
2015/2016 in supporto al primo e omonimo album dei Nothing But Thieves.
Ha raccontato di aver sofferto di insonnia mentre era on the road e di
aver cominciato a prendere delle medicine (immagino sonniferi) per
riuscire a risolvere la situazione. Il peggio in realtà è
venuto dopo, quando è tornato a casa dopo il tour e si è
reso conto di essere diventato dipendente da tali medicine,
perché senza quelle non riusciva più a dormire, e quindi
ha dovuto affrontare un difficile periodo di disintossicazione. Di
questo argomento parla il testo di Particles, motivo per cui ho deciso
di inserire quella citazione a inizio testo! vi consiglio di leggerlo
tutto, è bello da essere sconvolgente, per me è un pugno
nello stomaco ogni volta!
Ma come
mai quest’insonnia? A quanto pare al nostro cantante metteva
ansia e pressione l’idea di andare in tour, quindi non ha preso
per niente bene la lontananza. Ha raccontato: «Il mio sonno si
era ridotto a un’ora a notte, se riuscivo ad addormentarmi. Tutto
ciò mi faceva avere orribili attacchi di panico, ero molto
giù e molto ansioso. Mi ha portato al punto da dire ai ragazzi:
“Se non faccio qualcisa per risolvere questa situazione, me ne
vado. Non posso vivere così”.»
Fortunatamente
ciò non è accaduto, e Conor ha dichiarato di aver avuto
il massimo supporto e la massima comprensione dai suoi compagni di
band, che l’hanno aiutato a sconfiggere i suoi demoni ^^
La
frase che avete trovato in corsivo, ovvero «Il tempo può
risolvere molti problemi. Ma quelli che il tempo non può
risolvere, li dobbiamo risolvere da soli», è una citazione
di Haruki Murakami e mi è stata fornita da wurags, giudice del
contest a cui partecipa questa storia.
L’altro
prompt che ho utilizzato, fornitomi sempre da wurags, è
importante per spiegare il titolo della storia. Nel bando del concorso
c’è una lista di simboli che vengono scelti frequentemente
come tatuaggi, e di ognuno viene spiegato il significato. Questo
è quello che ho scelto io:
«Ancora:
indica la speranza, la salvezza. Era un elemento fondamentale nella
navigazione, un oggetto al quale aggrapparsi, affidarsi. Questo
tatuaggio raffigura una persona o un evento che hanno regalato
stabilità psicologica al portatore, ma può anche
esprimere il desiderio di voler trovare qualcosa tramite il quale
sentirsi sicuri.»
Ecco
perché l’ancora (anchor) nel titolo… e penso sia
abbastanza chiaro che Phil è l’ancora di Conor,
l’unica persona in grado di farlo stare meglio e a cui il
cantante si può aggrappare :3
Ok,
finite queste note più lunghe della storia (XD), non mi resta
che ringraziarvi per aver letto e per continuare a seguire le mie idee
folli e anche un po’ mielose XD
Alla prossima!!! ♥
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