San
Giovanni d'Acri
Maggio
1223
Nel
sole accecante del maggio siriano Yolande si schermò gli
occhi con
la mano, divertita. La più giovane delle sue dame, che aveva
solo
otto anni, giocava nel giardino del castello con uno dei cagnolini
bianchi che erano i preferiti della piccola regina. Lei, Isabella, da
tutti chiamata Yolande, non molto più grande della sua
piccola dama
Mariam.
Aveva
compiuto undici anni l'autunno precedente, ma era regina di Gerusalemme
da quando aveva pochi giorni. Undici anni di regno, la cui reggenza
aveva portato sulle sue spalle il padre Jean.
La
piccola Mariam tirava un bastoncino al cane, poi quando questi si
rifiutava di mollarlo, lei lo rincorreva. All'ombra del muro che
gettava solo poca ombra sulla terra assolata, le altre dame di
Yolande ricamavano e spettegolavano, mentre il gelsomino rampicante
che i giardinieri avevano piantato in tutto il giardino spandeva il
suo dolce profumo.
“Io
dico che questa ennesima guerra non ci sarà. Fidatevi di me
quando
lo dico. Figurarsi, i re cristiani sono ancora troppo umiliati
dall'esito infausto della quinta crociata per pensarci!”
stava
dicendo Agnes, la moglie di Raoul di Saint Omer, il siniscalco del
regno di Gerusalemme. Con i suoi trentadue anni era una delle dame
più anziane del seguito di Yolande.
“Ti
stai forse riferendo al padre della regina, Agnes? O al mio?”
intervenne maliziosamente la ventunenne Marie di Poitiers, figlia
minore di Boemondo IV, principe di Antiochia.
“Perdonami
Yolande... non intendevo certo biasimare tuo padre...” si
affrettò
a giustificarsi Agnes, rossa in viso, scoccando contemporaneamente
un'occhiataccia a Marie, alla quale non aveva evidentemente
intenzione di chiedere scusa.
Non
era un mistero per nessuno che il padre di Yolande, Jean di Brienne,
fosse stato uno dei capi, insieme a re Andrea di Ungheria, al re Ugo
di Cipro, al Duca Leopoldo d'Austria e al principe Boemondo IV, padre
di Marie, della disastrosa quinta crociata.
Yolande
prese la mano della sua dama fra le sue, rassicurandola con una
dolcezza che le era propria: “Nessuno potrebbe mai crederti
capace
di sottintesi maliziosi Agnes. Nessuno che ti conosca come ti conosco
io, perlomeno” aggiunse scoccando una bonaria occhiata di
rimprovero a Marie, che continuò a sorridere divertita
riportando lo
sguardo sul tamburo sul quale stava ricamando un motivo floreale.
Yolande
sospirò: sapeva che Marie poteva essere molto pungente e
testarda
quando voleva. La gentilezza non era nella sua natura, ma era pur
sempre la più alta in rango tra le dame della regina, e
perciò le
altre cercavano di non contraddirla troppo.
“Suvvia,
non litigate voi due” intervenne placidamente Anais,
continuando a
dare punti, interrompendosi solo per dare di gomito a Marie, che
finse di non accorgersene. “Sappiamo bene che se la guerra
è
fallita non è colpa di mio zio Jean, e nemmeno di tuo padre,
Marie.
I principi che hanno partecipato hanno messo il loro cuore e la loro
fede in quest'impresa, rischiando la loro vita per liberare la
Città
Santa. Non si può che ammirarli.”
Sempre
conciliante, pensò
Yolande sentendo crescere l'ammirazione che provava per la cugina.
Poteva affermare tranquillamente che Anais era la sua più
grande
amica. Erano cresciute insieme tra i palazzi reali di Acri e Tiro.
Anais aveva nove anni più di lei, era vero, ma questo non
aveva
impedito loro di legare. Per Yolande, Anais era la sorella che non
aveva mai avuto. Ammirava tutto in lei: il suo carattere dolce e
gentile – per la verità molto simile al suo. Ma
Anais era anche
forte e determinata, molto più di Yolande, che per sua
natura era
mite. E poi era bellissima: bruna come Yolande era bionda, aveva le
forme sensuali e piene di una saracena, tanto che nessun uomo poteva
fare a meno di voltare lo sguardo quando lei passava. In confronto a
lei l'undicenne ragazzina impallidiva. Dal viso grazioso e dai
lineamenti delicati, Yolande era però ancora troppo acerba
per
essere definita una bellezza. Il suo vero punto di forza erano i
lunghi capelli di un biondo dorato, talmente lunghi, poiché
non
glieli avevano mai tagliati, da arrivarle oltre la vita.
“E
di chi è la colpa Anais?” chiese un'altra giovane
dama. “A parte
degli infedeli, ovviamente.”
“Lo
sappiamo tutte di chi è” s'intromise di nuovo
Agnes.
“Dell'imperatore, ecco di chi è!”
“Di
Federico di Svevia?”
“E
di chi se no? Aveva promesso di mandare rinforzi, ma non l'ha mai
fatto. Per questo la crociata è fallita. Onorio avrebbe
voluto
scomunicarlo.”
“Chi
è Onorio?” chiese Mariam, che si era avvicinata
con il cagnolino
in braccio, ormai stanco di giocare, e aveva sentito solo l'ultima
parte della discussione.
“E'
il Papa, sciocchina” rispose Agnes dandole un buffetto sulla
guancia. Mariam porse il cagnolino a Yolande, che se lo mise in
grembo. Il cane si acciambellò poggiandole il muso umido sul
braccio. Gli altri cagnolini, che riposavano ai piedi delle dame,
berciarono un po' a quel favoritismo, chiedendo di essere anche loro
presi in braccio, ma Mariam li zittì seccamente e con tanta
autorevolezza che tutti gli animali si accucciarono di nuovo senza
protestare. Yolande appariva divertita, mentre considerava la
figuretta della più giovane delle sue dame. Mariam era una
figlia
illegittima di un dignitario del regno e della sua schiava saracena,
ma la bambina era stata battezzata cristiana, e così Yolande
aveva
potuto esaudire la richiesta di suo padre di prenderla nel suo
seguito, un onore che era a molti sembrato anche troppo per
un'illegittima per metà saracena.
“Per
dare a Cesare quel che è di Cesare” intervenne
Anais, citando il
Vangelo. “Innocenzo III e poi Onorio avevano proibito a
Federico di
partecipare alla crociata, a causa delle sue ben note posizioni
antipapali.”
“Ma
da che parte stai?” Marie era scandalizzata. Il trono di
Gerusalemme poi, la riguardava da vicino, perché suo padre
aveva
sposato in seconde nozze la zia di Yolande, Melisende.
“Dalla
parte di chi vuole restituire Gerusalemme alla sua legittima sovrana,
naturalmente” rispose Anais senza scomporsi.
“Ti
ringrazio, cugina” sorrise Yolande chiedendosi se fosse un
peccato
tanto grave non desiderare con fervore smodato che Gerusalemme le
venisse restituita.
Non
che ne sarebbe stata scontenta, naturalmente. Come tutti i fedeli si
augurava che la Città Santa tornasse in mano cristiana. Ma
come
aggiunta al suo regno la desiderava poi tanto? Yolande aveva
stabilito già tempo addietro che la risposta era no. Forse
perché
non avendola mai visitata non provava un attaccamento simile a quello
che si prova per un luogo caro. Tiro e Acri erano la sua casa.
Quest’ultima era divenuta la capitale del regno dopo la
perdita di
Gerusalemme. E poi c'erano Jaffa, Arsuf, Caesarea, Sidone e Beirut.
Ed anche città minori come Ascalona e alcune altre fortezze
interne,
per non parlare della sovranità sui su Tripoli e Antiochia,
i cui
governanti, il conte di Tripoli e il principe di Antiochia erano suoi
vassalli diretti.
Anche
se molto più piccolo rispetto ai grandi regni europei ed
anche ad
alcuni sultanati confinanti, Yolande amava il suo regno. Ed Acri in
particolare: le sue spiagge bianche, il suo mare azzurro e blu,
talmente trasparente che ogni singola roccia sul fondo era
perfettamente visibile; le sue torri, le sue cupole, i suoi minareti;
i suoi profumi – in particolare quello del gelsomino dei suoi
giardini e degli agrumi dei suoi aranceti - i suoi colori caldi e il
suo sole sempre splendente.
“Per
favore, ora basta con questi discorsi seri”
proclamò solennemente
Yolande, con un tono che non ammetteva repliche. “Parliamo di
qualcosa di più leggero, con questo caldo non sono proprio
dell'umore per i discorsi di guerra!”
“Parole
sante!” approvò Anais.
“Giusto!
Perché non parlare d'amore? Per esempio chi sarà
scelto come futuro
re consorte del nostro regno...” disse una dama, accennando
con il
capo a Yolande.
Lei
si schermì con la mano: “Non credo che mio padre
abbia fretta di
trovarmi marito...”
“Oppure
potremmo chiedere alla nostra Marie cosa si prova ad essere sposata
con un principe armeno”, Agnes non perse l'occasione di
lanciare
una frecciatina alla sua rivale.
“Come
con chiunque altro uomo, suppongo” rispose Marie fumando di
sdegno,
ma cercando di non darlo a vedere. Marie di Poitiers aveva sposato
Thoros di Armenia, un figlio cadetto della regina Isabella di
Armenia, che era tra le altre cose anche la sorella minore di
Stefania, seconda moglie del padre di Yolande.
Tutti
sapevano che Thoros e Marie, di un paio d'anni più grande
del suo
sposo, erano una coppia male assortita. Erano sposati da tre anni e
non era ben chiaro se non avessero figli perché non erano in
grado
di averne o perché condividevano raramente il talamo
nuziale.
Yolande riteneva più probabile la seconda ipotesi.
Mentre
il punzecchiarsi e il chiacchiericcio delle sue dame proseguiva in
sottofondo, Yolande, stufa, se ne estraniò, dedicandosi al
suo
lavoro di ricamo, interrompendosi solo per dare qualche istruzione a
Mariam, che, seduta accanto a lei, stava iniziando a impratichirsi
con i rudimenti del ricamo.
Quella
sera Yolande si ritirò presto nelle sue stanze. Anche con il
calar
del sole il caldo non concedeva tregue, così
ordinò di lasciare
aperte le finestre della sua camera. Mentre sedeva alla toeletta, con
la sua ancella personale che le pettinava i lunghi capelli, Yolande
si chiese se dovesse considerarsi un'orfana. Al ritmo dei movimenti
della spazzola e delle mani di Eufemie, anche i pensieri di Yolande
vagavano. Pensava a sua madre Marie, che non aveva mai conosciuto, e
che l’aveva preceduta sul trono.
Suo
padre Jean, che era riuscito ad elevarsi da figlio cadetto di un
nobile francese a consorte della regina di Gerusalemme, era sempre
stata una figura sfuggente per lei. Lo aveva visto di rado da quando
era nata. Dopo solo due anni dalla morte di sua madre suo padre si
era risposato con la principessa Stefania di Armenia, che gli aveva
dato solo un figlio morto in fasce. Dopo sei anni di matrimonio, nel
1220, la principessa era morta, e suo padre si era trovato di nuovo
vedovo. Ma ormai aveva cinquantatré anni, ed era improbabile
che
prendesse una terza moglie ed avesse altri figli. Perciò
Yolande,
con tutta probabilità, non avrebbe mai avuto alcun fratello
o
sorella.
Di
tanto in tanto Jean tornava a Gerusalemme – di cui dopotutto
era il
reggente - per incontrare la figlia ed occuparsi degli affari di
stato, ma quei momenti erano davvero rari, e il consiglio comunque
governava efficientemente anche in sua assenza, in attesa che la
regina fosse in età da marito. Quando ciò fosse
avvenuto lei
sarebbe stata incoronata, la reggenza di suo padre avrebbe avuto
termine e lei e suo marito avrebbero governato insieme su
Gerusalemme, proprio come avevano fatto prima di lei la sua prozia
Sybille con il marito Guy, sua nonna Isabella I con i suoi quattro
mariti e sua madre Marie con suo padre Jean. Gerusalemme vantava una
lunga tradizione di regine regnanti.
Per
essere giusta con lui, Yolande doveva ammettere che la storia di suo
padre dimostrava la sua abilità nel tracciare da solo il
proprio
destino.
Jean
di Brienne era nato secondo figlio di Erard II, Conte di Brienne e di
Agnes de Montfaucon, nella lontana Francia. Suo padre lo aveva
destinato alla carriera ecclesiastica, una prospettiva che non
piaceva affatto al giovane Jean, che aveva preferito divenire
cavaliere, e che in quarant'anni di battaglie e tornei si era
guadagnato una notevole reputazione. Quando nel 1208 gli inviati del
regno di Gerusalemme erano giunti in Francia per chiedere al re
Filippo Augusto di scegliere tra i suoi baroni un marito per la
regina di Gerusalemme Marie, questi aveva scelto proprio Jean di
Brienne, promettendo di supportarlo nella sua nuova dignità.
Due
anni dopo i suoi genitori si erano sposati; a quel tempo sua madre
aveva diciotto anni e suo padre quaranta. Dopo due anni era nata lei,
la loro unica figlia.
Quando
il fratello maggiore, il primogenito Gautier, che era succeduto al
padre come conte di Brienne, era morto nel 1205, sua moglie Albiria
d'Altavilla aveva dato alla luce un figlio nato postumo, anche lui
chiamato Gautier, che era succeduto al padre. Ma Gautier lasciava
anche una figlia di appena due anni: Anais. Quando era nata Yolande,
ed era stato necessario stabilire il suo seguito di dame, balie e
pedagoghi, Jean aveva offerto alla nipote di nove anni un posto tra
le dame della neonata regina di Gerusalemme. E almeno di questo
Yolande sarebbe sempre stata grata a suo padre: di averle donato la
sua amatissima Anais.
Quando,
due giorni dopo, un paggio informò Yolande che era giunto un
messaggio di suo padre, lei non se ne stupì. Suo padre le
scriveva
sovente, così allungò automaticamente la mano
verso il ragazzino
per farsi consegnare la lettera. Ma la ritirò quando si
accorse
dell'espressione imbarazzata di questi.
“Cosa
succede Philippe?” chiese confusa.
“Scusatemi
Vostra Grazia, credo di essermi spiegato male. Non ho una lettera di
vostro padre... mi hanno solo chiesto di riferirvi il suo messaggio.
Sarà qui tra due giorni.”
Yolande
ne rimase sorpresa. Come mai quell'arrivo inaspettato e frettoloso?
Una cosa era certa: quando suo padre diceva che avrebbe fatto una
cosa, la faceva.
E
infatti si presentò ad Acri due giorni dopo, puntuale. Dopo
aver
parlato con i dignitari e il consiglio si recò direttamente
da sua
figlia, raggiungendola nelle sue stanze.
“Padre...”
mormorò Yolande con una piccola riverenza, stando nel centro
del suo
salotto. Jean le andò incontro e l'abbracciò,
baciandola su
entrambe le guance.
“Figlia
cara, sei cresciuta molto dall'ultima volta che ti ho vista. Quando
è
stato... due anni fa.”
“Ricordate
bene, padre” rispose doverosamente Yolande.
Jean
passò a salutare la nipote Anais, che stava in piedi un
passo
indietro la sua signora.
“Ora
vorrei parlare un momento solo con mia figlia, se non vi
dispiace”
annunciò rivolto alle dame. Siccome tecnicamente solo la
regina
aveva il potere di congedare il suo seguito, le signore attesero che
Yolande annuisse col capo, prima di uscire dalla stanza per lasciare
un po' di riservatezza a padre e figlia.
I
due si sedettero l'uno di fronte all'altra, davanti al grande camino
di pietra lavorata, spento a causa del caldo stagionale.
“Come
stai? Ti trovo bene!” iniziò Jean scrutandola
sommariamente. “Come
procedono i tuoi studi? I pedagoghi mi dicono che hai imparato alla
perfezione il latino e la langue
d'oil.”
“Oui
mon pere... ma
sapete che ho una predilezione per la langue
d'oc. Sarà
sempre la mia prima lingua.”
Yolande
conosceva anche un po' di arabo, che le aveva insegnato una delle sue
balie saracene quando era piccola.
“Temo
che dovrai imparare anche il volgare di Sicilia, e quello di
Germania” commentò Jean.
“Sì
lo so che non comprendi di cosa sto parlando”, aggiunse
notando la
perplessità di Yolande. “Abbi un attimo di
pazienza e ti metterò
al corrente. Lo scorso marzo ho avuto un incontro molto importante a
Ferentino...”
“Ferentino?”
chiese Yolande, alzando un sopracciglio. Non aveva mai sentito
nominare quel luogo.
“E'
una piccola cittadina dell'Italia centrale. All'incontro erano
presenti il Papa, il Gran Maestro dell'ordine degli Ospedalieri, il
precettore dei Templari e l'Imperatore Federico II.”
“Avete
discusso della Crociata?”
“Sì,
si è parlato anche di questo. La sesta Crociata
avrà luogo presto,
e vedrai che riusciremo a strappare Gerusalemme agli infedeli. Ma per
acconsentire a prendervi parte l'Imperatore ha posto una
condizione...”
“Quale?”
“Sai
che ha perduto la moglie Costanza da poco meno di un anno. Ha solo un figlio legittimo e
aspira a fare un buon secondo matrimonio. Per farla breve, ti vuole
in moglie, e sia io che Papa Onorio abbiamo dato il nostro
consenso.”
Yolande
rimase a bocca aperta: avrebbe sposato l'imperatore del Sacro Romano
Impero, nonché re di Sicilia?
“Ma...
perché vuole me?” chiese in un soffio.
“Perché
è un uomo avido, che ha ben poco di spirituale. Se
impegnerà le sue
risorse in questa guerra vuole in cambio il regno di Gerusalemme, che
tu gli porti in dote.”
“Quando...
quando dovrei sposarlo?”
“Oh
sei ancora troppo giovane, e inoltre ci vorrà del tempo per
organizzare la crociata. Abbiamo sottoscritto un contratto che
stabilisce il vostro matrimonio al compimento dei tuoi tredici
anni.”
“Ma...
padre! Io non capisco”, disse Yolande, a cui non era sfuggito
il
tono poco lusinghiero con cui Jean aveva parlato dell'imperatore.
“Federico è il nemico, lo è sempre
stato. È un uomo la cui fede
è a dir poco è dubbia. È colui che ha
impedito il successo della
vostra impresa...”
Jean
fece un sorriso amaro, lisciandosi la corta barba grigia.
“Tutto
vero, figlia mia. Hai acume. Ma ora, per un amaro scherzo del
destino, Federico ci serve per riprendere Gerusalemme. Senza di lui
tutto è perduto. Dovrai compiere questo sacrificio, per il
tuo regno
e per il tuo popolo. Sei pronta a farlo?”
Seguirono
alcuni momenti di silenzio in cui padre e figlia si guardarono negli
occhi.
Come
se potessi scegliere...
pensò Yolande.
“Sì,
padre” disse infine ad alta voce, chinando la testa.
“Sono pronta
a farlo.”
Più
tardi, nella sicurezza della sua camera, Yolande pianse a calde
lacrime tra le braccia di Anais, che la teneva stretta carezzandole i
capelli. Mai come in quel momento sua cugina sembrava una bambina
smarrita.
“Suvvia
cara, non sarà così terribile sposarlo,
no?”
“Sì
che lo è!” esclamò l'altra, piccata.
“Oh Anais, ho sempre
saputo di dovermi sposare ma... non lui!”
“E
chi allora?”
Yolande
si tirò su, mettendosi a sedere sul letto. Asciugandosi gli
occhi
arrossati di pianto con la manica dell'abito, cercò di
calmarsi,
perché il suo discorso suonasse più coerente
possibile.
“Riflettici:
che cosa accomunava Folco di Anjou, Guy di Lusignano, Humprey di
Toron, mio nonno Conrad del Monferrato, Henri di Champagne, Amalrico
di Lusignano?” disse enumerando tutti i consorti delle
precedenti
regine di Gerusalemme, inclusi i quattro mariti di sua nonna
Isabella.
“Non
erano monarchi” mormorò Anais, cominciando a
comprendere.
“Esatto!
E' sempre stato così Anais!” continuò
Yolande, infervorandosi.
“La regina regnante sposa un nobile, non un re! Né
tanto meno un
imperatore. E questo perché deve poter governare il suo
regno
insieme al proprio consorte, che non ne ha altri da amministrare; il
re consorte deve vivere qui e dedicarsi esclusivamente a Gerusalemme.
Ma io sto per sposare un sovrano notevolmente più potente di
me, che
è re di Germania e di Sicilia... nonché
imperatore del Sacro Romano
Impero. Sarò io a dover lasciare la mia casa, il mio paese!
Non
governerò mai il mio regno, non sarò mai una vera
regina per la mia
gente.”
Yolande
dovette interrompersi, perché un nodo di pianto minacciava
di
soffocarla.
Quando
si fu calmata aggiunse. “E più di ogni altra cosa,
più del
pensiero che sarò regina solo di nome, che sarà
qualcuno in mia
vece a governare... più di tutto mi mancherà la
mia terra, il suo
mare, il suo sole...”
Anais
l'abbracciò di nuovo e nel farlo le fece una promessa che si
sarebbe
rivelata disastrosa per entrambe.
“Almeno
di una cosa puoi star certa Yolande: io non ti lascerò mai.
Dovunque
tu andrai, io ti seguirò.”
Jean
di Brienne decise di fermarsi a Acri più del solito.
Trascorreva
molto tempo preso dagli affari di stato, ma riuscì comunque
a
dedicare un paio di giornate ad andare a caccia con il falco insieme
alla figlia e al suo entourage. Le aveva portato in dono addirittura
due girifalchi, i falchi bianchi d'Islanda, meravigliosi e nobili
uccelli che da soli valevano quanto un piccolo castello. Yolande ne
era stata deliziata, più che se avesse ricevuto un qualsiasi
gioiello. La sua voliera era già piena, ma due falchi belli
come
quelli erano una rarità.
“Ho
saputo che ha ventotto anni”, stava dicendo Agnes mentre
tendeva il
cestino a Mariam. Quella mattina passeggiavano nel frutteto, che era
pieno di colori e di profumi da inebriare i sensi. “Quindi
quando
vi sposerete ne avrà trenta.”
“E'
vecchio!” esclamò Mariam scandalizzata, scuotendo
la testa e
facendo ondeggiare la treccia scura. “Come puoi sposare un
uomo
così vecchio, mia signora?”
Anais
ridacchiò: a una bambina di otto anni un uomo di ventotto
doveva
apparire decrepito.
“Non
esserne sorpresa Mariam” le disse gentilmente.
“Pensa che i
genitori della nostra regina avevano più di trent'anni di
differenza
quando si sono sposati.”
“Guarda
Mariam, lì ci sono dei fichi maturi. Santo Cielo, sono
davvero
belli!” intervenne Yolande.
Mariam
si allontanò un po' indispettita, sicura che fosse stata
liquidata
perché considerata troppo piccola per i discorsi sugli
uomini.
Yolande
sospirò. “Spero che la differenza di
età non ci impedirà di
avere un matrimonio sereno”, disse filosoficamente.
“Dicono
che sia molto affascinante, se può consolarti”,
ammiccò Agnes.
“Certo se non consideriamo i suoi capelli rossi!”
“Bé,
è un degno erede di suo nonno, il Barbarossa”,
osservò Anais.
“Non
mi interessa il suo colore di capelli, purché sia un buon
marito.
Credo di ricordare che abbia un figlio, Enrico...”
“Sì,
ha un anno più di te, ed è stato incoronato re di
Germania l'anno
scorso per volere paterno.”
“E
della sua defunta moglie cosa sapete?”
“Cos'è
cugina, temi il confronto?” Marie prese per la prima volta la
parola, con un'espressione maliziosa sul viso.
“Non
stuzzicarla, Marie!” la rimprovero Anais.
“So
io qualcosa su Costanza d'Aragona” disse Agnes, constatando
con
sollievo che nemmeno stavolta Yolande si era offesa per gli scherzi
di Marie. “Era la figlia del re d'Aragona e di una
principessa
castigliana. Ha sposato l'imperatore quando era ancora solo re di
Sicilia e di Germania, e aveva ben dieci anni più di
lui.”
“Santo
Cielo!” Marie apparve scandalizzata. “Non mi farei
mai convincere
a sposare un ragazzino con la metà dei miei anni.”
“Un
ragazzino, hai detto bene Marie. Lui non aveva neppure quindici anni
all'epoca...”
Yolande
e Anais si scambiarono uno sguardo divertito. Davvero Agnes
concordava
con
Marie? Avevano forse capito male?
“Hanno
avuto solo un figlio?” si affrettò a chiedere
Yolande prima che le
due dimenticassero la ritrovata concordia e cominciassero di nuovo a
becchettarsi.
Agnes
annuì. “Solo Enrico. Anche se...”
dovette interrompersi perché
Mariam si stava avvicinando trionfante, il piccolo cesto colmo di
fichi. Venne frettolosamente allontanata con la scusa di andare a
portarli alle cuoche perché ne facessero della marmellata e
farsi
dare un altro cestino per raccogliere dei cedri. Mariam
brontolò un
po' ma alla fine obbedì.
Agnes
aspettò che i passetti della bambina si fossero persi in
lontananza
prima di continuare, abbassando il tono come se si trattasse di una
cospirazione.
“Ha
almeno altri tre figli illegittimi. Il primo, Federico di Pettorano,
lo ha avuto solo un anno dopo il legittimo Enrico. E altri due, Enzo
e Caterina, hanno appena otto e sette anni. Gli ultimi due li ha
avuti da una figlia del duca di Spoleto.”
Marie
si portò una mano alla bocca. “E' un licenzioso
dunque?”
Agnes
parve esitare. “Non voglio parlar male del fidanzato della
regina...”
“Ti
prego Agnes, continua. Qualsiasi cosa sia, devo saperla. La scoprirei
comunque una volta sposati, perciò preferisco essere
preparata.”
“Dicono
che segua la moda saracena, come tutti i sovrani siciliani. Dicono
che abbia un harim.”
Yolande
e le sue tre dame rimasero alcuni secondi senza parole, a bocca
aperta.
“Scusatemi”
disse infine Yolande, con un filo di voce. Era sbiancata in viso, e
appariva davvero scossa. “Ho bisogno di stare da
sola.” E, dando
le spalle alle altre, si allontanò in fretta, lasciandole
imbarazzate e dispiaciute.
Era
seduta su una panchina di marmo un po' appartata già da
diversi
minuti quando Anais la raggiunse. Yolande alzò lo sguardo.
“Posso
sedermi?” chiese Anais.
Yolande
le fece un cenno d'assenso, indicando il posto accanto a lei.
“Ho
mandato Agnes, Marie e Mariam a raggiungere le altre dame. Credo che
ora stiano spettegolando tutte insieme in attesa del pranzo. Siamo
solo noi due, se può consolarti.”
Yolande
accennò un sorriso. “Ti ringrazio per la tua
sensibilità. Mi
sento molto sciocca, a dire il vero.”
“E
perché mai?” chiese sedendosi.
“Perché
sarò diventata lo zimbello delle mie dame, a quest'ora. E
perché me
la sono presa tanto.”
Anais
le posò una mano sul braccio. “Loro ti sono
affezionate, cugina.
Non devi temere il loro giudizio.”
“Un
harim!
Il
mio futuro marito tiene un harim
come
gli infedeli! Come potrò tollerare una simile
umiliazione?”
Anais
sospirò pesantemente. “Non lo so, te lo dico con
sincerità.
Suppongo che, non avendo altra scelta, dovrai abituarti.”
“Suppongo
di sì”, lo sguardo di Yolande era perso
nell'orizzonte, verso il
mare. In quel momento stava passando una nave dalle vele gialle che
solcava la distesa azzurra e piatta con il favore del vento di
levante. “In fondo, come dici tu, non ho altra scelta. Come
sovrana
di Gerusalemme, devo fare la mia parte. E nessuno ha mai detto che
sarebbe stato facile, no?”
Nota
dell'autrice: Non
ho molto da
dire su questo capitolo se non grazie di vero cuore a tutti coloro che hanno letto e recensito :)
A
presto
Eilan
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